5richiesta di rinvio a giudizio . La superfluit del dibattimento Ł legata
ad una valutazione negativa degli elementi lato sensu probatori che
corredano l’imputazione, ritenut i inidonei a sostenere l’accusa e a
traghettarla verso un provvedimento di condanna.
All’interno dell’udienza preliminare, dunque, possono
rintracciarsi perlomeno due sub -fenomeni, costituiti dalle vicende
relative ai fatti di imputazione (attivit asserti ve) ed alle attivit (cd.
asseverative) produttive di elementi che servano ad orientare le scelte
definitive dell’organo giudicante di fase : il Pubblico ministero chiede
il rinvio a giudizio dell’imputato in quanto ritenuto soggettivamente
responsabile di un fatto-reato, e per sostenere le proprie ragioni
l’organo inquirente deve produrre risultanze che dimostrino la bont
delle tesi d’accusa.
Nella richiesta di rinvio a giudizio, dunque, il P.m. deve sia
specificare il fatto contestato all’imputato, sia in dicare gli elementi
che “provino” la ragionevolezza della contestazione, e tanto l’uno
quanto gli altri possono subire all’interno dell’udienza preliminare
modificazioni ed integrazioni, anche a causa delle attivit difensive
dell’imputato: difatti, il con traddittorio fra accusa e difesa Ł garantito
e fa da sfondo alle vicende di cui si Ł appena accennato.
Si ritiene opportuno, per ragioni espositive e di completezza
dell’analisi, scindere e valutare partitamente le vicende relative al
fatto contestato e quelle relative alle attivit di natura “probatoria”,
consapevoli che i due fenomeni rappresentano sostanzialmente facce
della stessa medaglia, in quanto, ad esempio, modificazioni del fatto
rappresentano modificazioni del tema di prova, mentre nuove
6emergenze probatorie (o rivalutazione del quadro probatorio gi
delineato) possono condurre a modificazioni nell’area del fatto,
ovvero all’emergenza di fatti nuovi non considerati in precedenza.
Se l’intera vicenda processuale gravita intorno al fatto da provare ,
anche il Giudice dell’udienza preliminare dovrà necessariamente
pronunciarsi in merito al thema probandum, non gi secondo criteri di
valutazione dibattimentali bensì in un’ottica tutta processuale; in altre
parole, il G.u.p. non stabilisce se l’imputato Ł da ritenersi
soggettivamente responsabile per quel fatto -reato contestatogli, in
quanto tale prerogativa è riservata dall’ordinamento al giudice del
dibattimento.
Il G.u.p. permette o meno che una vicenda imputativa approdi al
dibattimento, ed i criteri di valutazione stabiliti nell’art. 425 c.p.p. – in
special modo l’inidoneit probatoria quale prima e piø importante
regola di giudizio – si rivelano sintomatici della funzione che il
legislatore codificante ha inteso attribuire all’udienza preliminare.
Pertanto, potr essere interessante vagliare criticamente i
mutamenti normativi intervenuti sulla regola di giudizio che il G.u.p.
è tenuto ad osservare, specificando che all’ampliamento della gamma
di decisioni che il G.u.p. Ł chiamato ad adottare si Ł accompagnato un
irrobustimento degli spazi istruttori.
Tali novazioni hanno indotto qualcuno (Corte Costituzionale in
primis) a ritenere che l’udienza preliminare, sostanzialmente, sia
divenuta un momento di giurisdizione nel merito paragonabile al
giudizio dibattimentale: laddove fosse riscontrabile una simile
7prospettazione, non potrebbe evitarsi una riflessione sullo stato attuale
degli equilibri dinamici fra le fasi del processo penale.
La questione sar nostro preciso tema di indagine, costituendo, se
vogliamo, il filo conduttore dell’esposizione: un’esposizione che parte
dal presente normativo dell’istituto e si proietta verso il futuro dei
rapporti fra le varie fasi del processo, cercando di valutare
criticamente tanto gli interventi normativi quanto l’ interpretazione di
essi fornita dalla giurisprudenza di legittimit e di merito, dalla
Consulta e dalla piø attenta dottrina.
Si cercher di offrire un quadro sintetico ma nel contempo
esaustivo delle principali problematiche afferenti all’udienza
preliminare, con la speranza di poter in futuro approfondire tanto la
fase delle indagini preliminari quanto quella dibattimentale; la natura
dell’udienza preliminare e degli intervenuti mutamenti normativi è
pienamente comprensibile soltanto se si hanno ben prese nti gli
equilibri fra le fasi del processo penale, e quindi un discorso limitato
alla sola fase in esame potrebbe rivelarsi sostanzialmente incompleto
ovvero difficilmente comprensibile.
Consapevoli, pertanto, di tali fisiologiche limitazioni, ci scusiamo
se in qualche parte mancheremo della dovuta chiarezza; del resto, la
maturit della nostra elaborazione critica Ł ad un grado ancora
embrionale.
8CAPITOLO PRIMO
L’IMPUTAZIONE
10
1. CENNI SULL’OBBLIGATORIET COSTITUZIONALE
DELL’AZIONE PENALE
Entro il termine di conclusione delle indagini preliminari, il P.m.
si trova innanzi ad una scelta obbligata: esercitare l’azione penale,
formulando l’imputazione (art. 405, comma 1 c.p.p.), oppure chiedere
al G.i.p. l’archiviazione della notizia di reato.
Tale modello diadico1 degli esiti delle indagini prelimina ri trova
un importantissimo referente normativo nell’art. 112 della
Costituzione, il quale dispone che “Il Pubblico ministero ha l'obbligo
di esercitare l'azione penale” : dovere che scatta laddove l’organo
rappresentante la Pubblica accusa, ritiene che il corredo delle
risultanze delle indagini svolte possa fondare la necessit di condurre
un approfondimento dibattimentale (in una prospettiva di condanna)
sul fatto ascritto all’indagato.
In prima analisi, obbligatoriet dell’azione non consiste in un
mero automatismo per cui il P.m. sarebbe costretto a promuovere
l’azione penale circa ogni notizia di reato iscritta, bensì indica il
dovere da parte della Pubblica accusa di esercitare l’azione solo ove
ne siano presenti i presupposti stabiliti dalla legge 2, i quali – ritenuti
sussistenti dal P.m. in base ad una verifica delle risultanze raccolte
durante le indagini, e quindi legati, almeno tendenzialmente, ad una
1 MORSELLI, Archiviazione, in Digesto pen., XI, Torino, 1994, 379
2 GIOSTRA, L’archiviazione. Lineamenti sistematici e questioni interpretative , Torino, 1994, 8
11
prima valutazione di fondatezza della notizia di reato 3 – sono
senz’altro da rinvenire innanzitutto nell’idoneità degli elementi
acquisiti a sostenere l’accusa in giudizio, così come indicato nell’art.
125 delle disposizioni attuative del codice di procedura penale 4.
A differenza di quanto sancito dal codice abrogato, che imponeva
la valutazione sulla fondatezza della notitia criminis nelle prime
battute del procedimento, le scelte attinenti all’ azione sono ora
collocate al termine delle indagini, segnando la distinzione tra
procedimento e processo5. Ne consegue la diversa natura dell’azione:
intervenendo all’esito di indagini tendenzialmente complete 6, essa,
infatti, non si configura piø quale mera richiesta di una generica
decisione sulla notizia di reato, bens quale istanza chiaramente
orientata in direzione accusatoria 7.
L’art. 112 Cost., quindi, configura l’azione penale quale dovere
inerente la funzione istituzionale della Pubblica accusa; tuttavia, un
3 CAPRIOLI, L’archiviazione, Napoli, 1994, 330. Fin da ora pu rivelarsi opportuno chiarire che, se
l’archiviazione serve ad evitare un processo vertente su di un’imputazione sostanzialmente infondata, analogia di
ragioni giustificative portano a riconoscere la stessa funzione (o una fun zione assolutamente simile) alla sentenza di non
luogo a procedere pronunciata quando “gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non
idonei a sostenere l'accusa in giudizio.” (art. 425 comma 3 c.p.p.), ma sulla relativa ques tione ci si soffermer a lungo
quando tratteremo della sentenza di non luogo a procedere.
4 Art. 125, d.lg. 28.7.1989, n. 271: “Il pubblico ministero presenta al giudice la richiesta di archiviazione
quando ritiene l’infondatezza della notizia di reato perchØ gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non sono
idonei a sostenere l'accusa in giudizio”
5 MORSELLI, op. cit., 381
6 L’enunciazione formale del principio di completezza delle indagini preliminari si deve, in particolare, alla
Corte Costituzionale secondo la quale il P.m., onde pervenire ad una scelta consapevole in ordine all’eventuale
instaurazione del processo, Ł tenuto ad apprestare una completa individuazione dei mezzi di prova, compiendo ogni
attivit necessaria ai fini delle deter minazioni inerenti all’esercizio dell’azione (comprese la ricerca di elementi a favore
della persona sottoposta alle indagini) (C. Cost., 15.2.1991, n. 88, in Cass. Pen., II, 1991, 207).
7 MARZADURI, Riflessioni sull’obbligatoriet dell’azione penale all a luce della riforma del codice di
procedura penale, in AA.VV., Recenti orientamenti in tema di Pubblico Ministero ed esercizio dell’azione penale , Atti
del convegno, Milano, 1998, 51
12
incondizionato esercizio del dovere non sarebbe compatibile nØ con
ragioni di ordine logico, nØ con principi di economia processuale.
Pertanto il legislatore ordinario, prevedendo partitamente le
ipotesi e le valutazioni in base alle quali il P.m. Ł tenuto a richiedere al
G.i.p. il provvedimento archiviativo, non fa altro che offrire alla
Magistratura inquirente una regola di giudizio, predisposta ex lege,
che ne orienti le determinazioni, in modo tale che l’esercizio del
dovere di agire non risulti affidato al mero arbitrio del soggetto
istituzionalmente preposto. Del resto, sempre la Carta Costituzionale –
all’art. 101 – subordina l’esercizio del potere giurisdizionale alle
disposizioni di legge: Ł solo la legge, e non altri, a dover orientare le
scelte operative dei singoli magistrati, affinchØ esse non si palesino
arbitrarie e possano essere valutate scientemente dalla collettivit , nel
cui nome Ł amministrata la giustizia dello Stato.
Il P.m., dunque, esercita l’azione penale proprio quando non
sussistano i presupposti di legge (art. 125 disp. att. c.p.p.) per la
richiesta di archiviazione, tertium non datur; anche da autorevole
dottrina8 Ł stato piø volte sostenuto che «i presupposti positivi
dell’archiviazione sono – proprio in quanto tali – i presupposti
negativi dell’azione penale».
L’imperativo di cui all’art. 112 Cost. è da ritenersi soddisfatto
soltanto se e quando il P.m. si sia determinato p er l’una o l’altra
alternativa, non potendo l’ordinamento tollerare un atteggiamento di
8 GREVI, Archiviazione per inidoneit probatoria ed obbligatoriet dell ’azione penale, in Riv. It. Dir. Proc.
Pen., 1990, 1281
13
inerzia innanzi ad una notizia di reato 9; tuttavia si deve segnalare che
un’evenienza del genere non è per nulla sanzionata a livello
legislativo. Di conseguenza, sul p iano giuridico l’imperativo di cui
all’art. 112 Cost. assume i contorni della figura ibrida del potere -
dovere, ricorrente laddove la legge rivolge a figure istituzionali talune
direttive d’azione, sanzionandone tutto al più l’inottemperanza con
misure di carattere meramente disciplinare.
NØ tuttavia alcun meccanismo sanzionatorio Ł previsto per le
ipotesi di esercizio avventato del potere di agire: se il P.m. chiede il
rinvio a giudizio in difetto delle condizioni stabilite dalla legge (ad
esempio in presenza di una notizia di reato infondata o di una causa di
estinzione del reato), non Ł prevista nØ unacomminatoria di invalidit
dell’atto propulsivo, nØ una dichiarazione di illegittimit dello stesso,
nØtanto meno la pronuncia, da parte del giudice, di un provvedimento
archiviativo non richiesto10.
Il principio dell’obbligatorietà dell’azione è da ritenersi, pertanto,
soddisfatto anche nel caso in cui il P.m. abbia esercitato l’azione o
richiesto l’archiviazione in difetto dei presupposti di legge, e ci in
quanto la Pubblica accusa, pur sbagliando 11, si Ł comunque attivata in
9 Secondo la dottrina maggioritaria, non sembra contrastare con l’art. 112 Cost. la fissazione di criteri di priorit
nell’esercizio dell’azione (ZAGREBELSKY, Stabilire le priorit nell’esercizio o bbligatorio dell’azione penale, in
AA.VV., Il Pubblico Ministero oggi , Milano, 1994, 101 e ss.; DI FEDERICO, Il Pubblico Ministero: indipendenza,
responsabilit , carriera separata , in Ind. Pen., 1995, 321): in effetti «di un’obbligatoriet nel senso pieno del termine
non Ł possibile parlare in concreto, data la gamma degli innumerevoli illeciti che consentono, anzi impongono,
all’ufficio del P.M. di dosare i tempi e le modalit del suo intervento» (CONSO, Introduzione, in AA.VV., Pubblico
Ministero e accusa penale. Problemi e prospettive di riforma , Bologna, 1979, XVI).
10 CAPRIOLI, op. cit., 332. In giurisprudenza, C., Sez. II, 9.3.1993, Hocip Agira, in Cass. Pen., 1994, 2486; C.,
Sez. VI, 19.10.1990, Sica, in Cass. Pen., II, 1991, 93; C., Sez. III, 22.6. 1990, Ghirarduzzi, in Cass. Pen., II, 1990, 397
11 Del resto, eventuali errori di determinazione del Pubblico ministero saranno sempre sottoposti al vaglio critico
del giudice (G.i.p. nel caso di richiesta archiviativa; G .u.p. nel caso di richiesta di rinvio a giudizio), il quale potr
stimolare l’organo inquirente a “correggere il tiro”, negli spazi del procedimento appositamente previsti dal codice di
14
un senso o nell’altro: anche se illegittimamente esercitata, l’azione
penale produce i suoi effetti tipici determinando l’ inizio del processo,
per cui sembra possibile prospettare anche un correlativo “obbligo di
non agire”, ma solo a patto di chiarire che la sua eventuale violazione
Ł improduttiva di effetti sul piano giuridico12.
2. L’IMPUTAZIONE QUALE FONDAMENTO STORICO E
POSITIVO DELL’AZIONE PENALE
La correlazione fra azione penale ed imputazione, prima di essere
una correlazione normativa e positiva, Ł assolutamente necessaria da
un punto di vista logico: intendendosi l’azione quale atto propulsivo
cardine del processo penale, sarebbe impensabile che un Procuratore
della Repubblica la esercitasse omettendo completamente di indicare
il fatto-reato per cui si procede, ovvero il soggetto contro cui si
procede. Quindi l’imputazione rappresenta il substrato logico e
sostanziale dell’azione, il suo contenuto minimo ed imprescindibile,
talchØ una richiesta di rinvio a giudizio priva di imputazione darebbe
luogo ad una nullit insanabile del procedimento, rendendosi
rito.
12 CAPRIOLI, op. cit., 333
15
necessaria la restituzione degli atti al Pubblico ministero 13 da parte del
G.u.p.
E’necessario, dunque, qualificare gli atti di e sercizio dell’azione
penale come atti necessariamente imputativi: difatti, oltre alla finalit
di instaurare ritualmente un processo penale, hanno altres la precipua
funzione di rappresentare veicoli di contestazione dell’addebito, onde
far salve le esigenze difensive del soggetto nei cui confronti si intende
procedere14.
Agli albori del codice di procedura del 1930, il grado di
elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale non era tale da offrire
panorami nitidi intorno ai fondamentali concetti di imputazio ne ed
accusa.
Una tale situazione era soprattutto frutto di una scarsa
concettualizzazione normativa e di ambivalenze lessicali presenti
nelle disposizioni disciplinanti l’ordinanza di rinvio a giudizio, la
richiesta ed il decreto di citazione: tali atti, ad esempio, assumevano il
nome di accusa nella rubrica dell’art. 477, e venivano denominati
imputazione dall’art. 445 dello stesso codice.15
In un primo momento, l’unico dato normativo da cui la dottrina
cerc di desumere un concetto di imputazione definito e degno di
sicura collocazione sistematica, fu rappresentato dall’art. 78, il quale
13 GROSSO, L’udienza Preliminare , Milano, 1991, 30
14 La asserita necessarietà dei contenuti imputativi dell’azione penale è dunque necessarietà innanzitutto
costituzionale, dato l’alto grado di intensità assiologica che la Costituzione, all’art. 111, riconosce sia al diritto di difesa
dell’imputato, sia al principio del giu sto processo regolato dalla legge.
15 GROSSO, Determinazione del fatto, cripto imputazione e contestazione sostanziale dell’accusa , in Giust. Pen.,
1987, III, 321
16
conferiva la qualit di imputato al soggetto cui veniva attribuito il
reato in un qualsiasi atto del procedimento 16.
Secondo tale dottrina, l’assunzione della qualità di im putato
avrebbe presupposta la circostanza che al soggetto fosse stato quanto
meno attribuito, dall’autorità giudiziaria, un fatto riconducibile ad una
fattispecie di illecito prevista da una norma penale.
Prendendo le mosse da tale premessa, fu costruito i l concetto di
imputazione quale contestazione a persona determinata (ritenuta
soggettivamente responsabile) di fatto -episodio, penalmente rilevante,
e descritto nei connotati storici17.
Quindi, partendo dall’imputato si costruì il concetto di
imputazione, la quale a sua volta fin per rappresentare un angolo
visuale privilegiato da cui osservare le dinamiche del processo, i diritti
e gli status generati dalla formulazione dell’imputazione stessa: ad
esempio l’effetto primo dell’imputazione era costituito dal
conferimento, al destinatario, della qualitas - status di imputato che, ai
sensi dell’art. 79 c.p.p. 1930, permaneva in ogni fase e grado del
processo.
L’imputazione costituiva il primo gradino di una scala al cui
vertice era collocata la sentenza definit iva: in altre parole, una volta
formulata l’imputazione si producevano gli effetti tipici dell’azione
penale, il cui esercizio imponeva «il progredire della serie
16 CARNELUTTI, Cenni sull’imputazione penale, in Riv. Dir. Proc., 1948, I, 204
17 CONSO, Accusa e sistema accusatorio , in Enc. Dir., I, Milano, 1958, 339, 340
17
processuale» ormai avviata, finchØ non diventasse irrevocabile la
sentenza18.
L’atto di esercizio dell’azione penale, dunque, coincideva con
quello in cui per la prima volta veniva enunciata l’imputazione, cioè la
contestazione dell’addebito.
Data la sostanziale immedesimazione fra azione penale ed
imputazione, non poteva non trarsi la conclusione che dominus
dell’imputazione doveva essere soltanto colui al quale l’ordinamento
riservava il potere d’esercitare l’azione, ovvero il magistrato del
Pubblico ministero; in dottrina si ritenne che qualora questi avesse gi
formulato l’imputazione nel corso dell’istruzione sommaria, gli
sarebbe stata preclusa la possibilità di disporre l’archiviazione per
infondatezza della notizia di reato 19.
Mentre l’imputazione si collocava, dunque, a monte
dell’esercizio dell’azione penale, il concetto d’accusa fu collegat o agli
atti dai quali riceveva impulso il dibattimento.
Ferma restando una strettissima correlazione sostanziale fra
contenuto di tali ultimi atti ed imputazione, profili di distinzione
emergevano laddove veniva presa in considerazione la categoria
regolativa del giudizio in base al quale si formulava un’imputazione,
oppure si dava impulso al dibattimento.
Nel caso di formulazione dell’imputazione, la categoria
regolativa del giudizio riguardante la sussistenza del fatto prospettato
18 CARNELUTTI, Lezioni sul processo penale , IV, Roma, 1949, 206, 208
19 CORDERO, Archiviazione, in Enc. Dir., II, Milano, 1958, 1030
18
e la sua attribuibilit all’imputato, era da ricostruirsi in termini di
possibilit .
Per gli atti di impulso del dibattimento, invece, le maglie del
giudizio dovevano necessariamente restringersi di molto, in quanto si
doveva procedere al dibattimento solo quando apparivano alta mente
probabili tanto la sussistenza di un fatto -reato, quanto l’attribuibilità al
soggetto nei cui confronti era stata esercitata l’azione: soggetto che, a
questo punto, avrebbe assunto la veste non piø di imputato, ma di
accusato.
La suddetta distinzione20 fu ripresa dalla dottrina, prendendo le
mosse sia dall’art. 69 del Progetto preliminare al codice di procedura
penale del 1913, redatto nel 1905, sia dall’art. 73 del Progetto
preliminare allo stesso codice del 1911, ove era detto che per
“imputato” avrebbe dovuto intendersi la persona contro cui si esercita
l'azione penale, mentre per “accusato” l'imputato sottoposto al
dibattimento; la distinzione fu comunque abbandonata in sede di
stesura del testo definitivo del codice di rito 21.
Salvo tale ultima distinzione non piø riproposta, il legislatore del
1988 sembra aver costruito il rinnovato sistema processuale
prendendo le mosse proprio dal risultato dell’elaborazione dottrinaria
maturata nella prima metà del secolo scorso: l’imputazione
rappresenta (art. 405) il nucleo imprescindibile degli atti d’esercizio
dell’azione penale, che a sua volta rappresenta lo sbocco funzionale
del procedimento per le indagini preliminari (artt. 326 e 358).
20 GROSSO, op. ult. cit., 321, 328
21 DENOTARISTEFANI, Imputato o accusato, in Dig. It., XIII, Torino, 1927, II, 336