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D’altra parte, l’amplissima cognizione attribuita al tribunale in composizione
monocratica con la istituzione del giudice unico di primo grado e la previsione,
contenuta nel D.Lgs. 51/98, secondo cui in tale procedimento si dovevano applicare le
disposizioni del vecchio processo pretorile, avevano destato forti perplessità e avevano
suggerito di rimandare l’entrata in vigore di questa importante riforma.
Attraverso la legge 479/99 il legislatore ha disciplinato in modo organico tutta la materia
relativa al procedimento innanzi al tribunale in funzione monocratica.
L’opportuno bilanciamento delle esigenze di salvaguardia delle garanzie individuali con
gli interessi di difesa della collettività e di maggiore efficienza della giustizia penale, ha
finalmente consentito anche l’avvio della riforma del giudice unico di primo grado.
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1.2 Le Novità Introdotte dalla Legge
Gli istituti processuali modificati dalla legge 479/99 sono molteplici e le innovazioni
sono, in alcuni casi, alquanto rilevanti.
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Le modifiche più significative concernono, come si è accennato,
a) il procedimento dinanzi al giudice monocratico,
b) la chiusura delle indagini preliminari;
c) lo svolgimento dell’udienza preliminare,
d) i riti alternativi.
A) In primo luogo, è stata ridotta l’originaria previsione in tema di competenza
del giudice monocratico, stabilendo che non può giudicare di reati punti con la
reclusione superiore a dieci anni, con la sola eccezione dei reati in tema di stupefacenti,
che, in relazione alla loro ampia diffusione e della relativa semplicità di accertamento,
non si è ritenuto necessario affidare al giudice collegiale.
Inoltre, è stato completamente rivisto il procedimento dinanzi al tribunale in
composizione monocratica: il decreto istitutivo del giudice unico si era limitato ad
estendere al giudice monocratico le disposizioni del processo dinanzi al pretore;
viceversa, la legge Carotti ha predisposto una disciplina molto più articolata.
Con riferimento alla fase delle indagini preliminari, e stato previsto che il procedimento
si svolge in modo unitario quale che sia d reato per cui si procede (si tratti di delitto o di
contravvenzione, ci reato attribuito al giudice collegiale o a quello monocratico) e sono
state abrogate tutte quelle disposizioni del processo pretorile in tema di archiviazione e
di incidente probatorio, che prevedevano livelli di tutela differenziati.
La prima diversificazione procedimentale tra giudice collegiale e giudice monocratico
opera al momento del promuovimento dell’azione penale.
Per i reati attribuiti alla cognizione del giudice collegiale e per quelli di maggior rilievo
attribuiti alla cognizione del giudice monocratico l’azione penale è esercitata con la
richiesta di rinvio a giudizio, sulla quale si pronuncia il giudice, all’esito dell’udienza
preliminare. Solo per i reati di minore gravità e di più ampia diffusione attribuiti alla
cognizione del giudice monocratico (contravvenzioni, delitti puniti con la pena detentiva
della reclusione non superiore ai quattro anni, alcuni delitti già attribuiti ratione materiae
alla competenza del pretore), è stata mantenuta la regola della citazione diretta a giudizio
da parte del magistrato del pubblico ministero.
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Una ulteriore differenziazione attiene allo svolgimento dei riti alternativi: i processi per i
quali è prevista l’udienza preliminare, di regola, si risolvono all’udienza stessa; i processi
nei quali si perviene a giudizio a seguito di citazione diretta sono normalmente celebrati
in dibattimento, prima della dichiarazione di apertura; unica eccezione è costituita
dall’ipotesi in cui il rito alternativo sia chiesto in sede di opposizione al decreto penale di
condanna, nel qual caso si svolge dinanzi al giudice che ha emesso il decreto stesso.
B) Importanti innovazioni sono state introdotte con riferimento alla fase delle
indagini e dell’udienza preliminare.
Quanto alle indagini preliminari una prima novità è costituta dalla introduzione dell’art.
54 quater c.p.p., che attribuisce all’indagato, al difensore e alla persona offesa la facoltà
di esercitare, in quella fase processuale, un controllo sulla competenza territoriale del
magistrato del pubblico ministero.
Nuovo, ma forse dovrebbe parlarsi di “un ritorno all’antico”, stante la assonanza
con il deposito degli atti di cui all’art. 372 c.p.p. del 1930, è anche l’obbligo imposto
al magistrato del pubblico ministero di notificare all’indagato e al suo difensore
l’avviso della chiusura delle indagini, con facoltà per l’interessato di produrre atti e
documenti, anche relativi ad indagini difensive, di chiedere di essere interrogato e di
indicare lo svolgimento di ulteriori investigazioni (art. 415 bis c.p.p.).
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Con riferimento all’udienza preliminare le modifiche apportate alla normativa previgente
sono molteplici e tutte di particolare rilievo.
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All’udienza preliminare sono state estese le disposizioni in tema di verifica della
costituzione delle parti previste per il dibattimento, è stata introdotta la dichiarazione di
contumacia ed è stato dato rilievo all’impedimento legittimo del difensore.
In più, è stata notevolmente ampliata la possibilità di integrazione probatoria
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prevedendo da un lato, con l’art. 421 bis, il potere del giudice di indicare al magistrato
del pubblico ministero le ulteriori indagini, da compiere in un termine predeterminato
(con un meccanismo analogo a quello dettato dall’art. 409 co. 4, per il caso
dell’archiviazione non accolta) e, dall’altro, una riserva di supplemento istruttorio, con
assunzione diretta della prova da parte del giudice in ordine alla ipotesi che essa appaia
necessaria ai fini della pronuncia della sentenza di non luogo a procedere (art. 422 c.p.p.
nuovo testo).
Vi è stata, poi, una modifica radicale in tema di valutazioni relative ai provvedimenti
conclusivi dell’udienza: il giudice pronuncia sentenza di proscioglimento anche quando
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la prova è insufficiente o contraddittoria, quando l’accusa non appare utilmente
sostenibile in dibattimento e quando con il concorso di circostanze attenuanti -
eventualmente equivalenti o prevalenti sulle aggravanti , il reato è estinto.
Per comprendere la portata di tali innovazioni è sufficiente considerare che, secondo
l’originaria formulazione del codice di rito, il magistrato del pubblico ministero
svolgeva, nella fase delle indagini preliminari solo le investigazioni necessarie per
l’esercizio dell’azione penale e che il giudice all’esito dell’udienza preliminare
pronunciava sentenza di non luogo a procedere solo se l’innocenza dell’incolpato
risultava evidente.
Il progetto che aveva determinato una siffatta previsione normativa era sostanzialmente
il seguente: investigazioni rapide, svolte dal p.m. in segreto ed acquisizione e formazione
della prova esclusivamente in dibattimento, con metodo accusatorio e piena esplicazione
del contraddittorio.
In realtà, come l’esperienza concreta ha dimostrato, la soluzione prescelta si è rivelata
erronea.
In un sistema fondato sulla obbligatorietà dell’azione penale, consentire, da un lato, al
p.m, di svolgere anche indagini preliminari incomplete e solo sufficienti a giustificare
una richiesta di rinvio giudizio e obbligare, nel contempo, il giudice ad un controllo solo
sommario e tale da definire solo i processi con imputazioni palesemente azzardate, ha
significato riversare in dibattimento un numero enorme di processi penali, molti dei
quali con esito finale incerto.
Infatti, solo nel giudizio l’imputato aveva la possibilità di articolare una compiuta attività
difensiva per contrastare la prospettazione accusatoria.
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Il ricorso ai riti alternativi, che si prevedeva dover definire almeno l’80% dei
procedimenti penali, è stato, quindi, fortemente ostacolato dallo stesso sistema
processuale, in quanto, come l’esperienza concreta ha dimostrato, di fatto, l’imputato li
ha richiesti solamente quando aveva prospettiva di sicura condanna.
Le disposizioni della legge 479/99 capovolgono completamente questa impostazione.
Il legislatore ha mostrato di essersi reso conto che il dibattimento penale è un’attività
complessa che ha un costo rilevante sia per chi vi è sottoposto, sia per la collettività e
che, quindi, ad esso si deve far luogo solo quando la prospettazione dell’accusa ha un
sicuro fondamento, cioè quando, sulla base delle fonti di prova raccolte, appare
formulabile una fondata e ragionevole prognosi di condanna.
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In sostanza, è stato stabilito che le indagini devono essere complete oggettivamente e
soggettivamente, perché solo una accusa basata su investigazioni effettivamente
approfondite può giustificare il passaggio alla verifica dibattimentale ed è stato previsto
un articolato sistema di controllo, in ordine a tale completezza.
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Prima della formulazione della richiesta di rinvio a giudizio il p.m. deve mettere a
disposizione dell’indagato tutto il materiale raccolto in modo da consentirgli di
prospettare compiutamente le proprie difese, potendo anche sollecitare
l’espletamento di ulteriori indagini: è stato così introdotto un meccanismo di
controllo da parte dell’indagato sulla esaustività delle investigazioni.
È stato stabilito, poi, che all’udienza preliminare, il giudice, se ritiene che le indagini
sono incomplete, può indicare al p.m. le ulteriori investigazioni da compiere.
Si tratta di una previsione nuova e opportuna: di fronte ad un materiale probatorio
insufficiente, ma suscettibile di approfondimento, il giudice non aveva altra possibilità
che disporre il rinvio a giudizio; viceversa, attraverso il meccanismo introdotto con l’art.
421 bis c.pp., il giudice, senza tradire la sua posizione di terzietà e di imparzialità,
individua i temi di prova da approfondire e li indica al magistrato del pubblico ministero
per la integrazione delle investigazioni.
Infine, ove all’esito di accertamenti effettivamente approfonditi residuino dubbi in
ordine alla sussistenza della penale responsabilità dell’imputato, il giudice è legittimato a
una pronuncia di proscioglimento fondata sulla insufficienza o contraddittorietà degli
elementi di prova di carico.
L’obiezione che questo articolato meccanismo potrebbe far si che l’imputato giunga al
cospetto del giudice del dibattimento già gravato da una predelibazione di responsabilità,
appare superabile: il sistema del doppio fascicolo e l’acquisizione probatoria
dibattimentale su iniziativa delle parti dovrebbero escludere qualsiasi possibilità che si
formi un convincimento anticipato.
C) Rilevantissime sono anche le novità in materia di presupposi e di svolgimento dei
riti alternativi.
Vi era una duplice esigenza: da un lato rendere il ricorso ai giudizi speciali alternativi al
dibattimento, specie il giudizio abbreviato, più agevole e, dall’altro, adeguare la struttura
degli istituti agli interventi della Corte Costituzionale.
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Il legislatore ha completamente modificato la fisionomia del giudizio abbreviato,
escludendo sia la necessità del consenso del magistrato del pubblico ministero alla
instaurazione del rito, sia la preventiva delibazione del giudice circa la decidibilità allo
stato degli atti: l’imputato può accedere al rito abbreviato senza alcuna limitazione. Per
converso, il rito rimane solo tendenzialmente una decisione allo stato degli atti, perché
giudice può assumere le prove necessarie ai tini della decisione.
E stata poi reintrodotta la previsione, già contenuta nella formulazione originaria del
codice e poi dichiarata incostituzionale, secondo cui può farsi luogo al giudizio
abbreviato anche per i reati puniti con la pena dell’ergastolo, che viene sostituita con la
reclusione di anni 30.
Quanto alla applicazione di pena, in coerenza con l’intenzione di favorire la celebrazione
dei riti alternativi al di fuori del dibattimento, è stato previsto che essa può essere chiesta
solo fino alla precisazione delle conclusioni dell’udienza preliminare; può essere ri-
proposta in dibattimento solo nel caso che in precedenza il p.m. non vi abbia consentito
o il giudice non l’abbia accolta.
Il procedimento per decreto è stato esteso anche ai reati perseguibili a querela, a meno
che il querelante nell’atto non abbia dichiarato di opporsi.
È stato, inoltre, previsto che il decreto penale produce gli stessi effetti della sentenza di
patteggiamento: non si fa luogo alla applicazione della condanna alle spese processuali e
delle pene accessorie; la confisca opera solo nei casi previsti dall’art. 240 cpv. c.p.;
trascorso un certo tempo il reato è estinto.
D) Interessanti, anche se di minore rilievo sono le modifiche apportate ad altri
istituti processuali.
È stata attribuita al difensore la facoltà di autenticare la sottoscrizione della procura
speciale con la quale esso difensore è nominato procuratore ad causam, così
semplificando le formalità per la costituzione di parte civile; è stata vietata la
pubblicazione di immagini di soggetti sottoposti a misure di coercizione personale; è
stata eliminata la necessità della procura speciale per la proposizione, da parte del
difensore, della impugnazione avverso la sentenza contumaciale; è stato elevato
l’importo massimo concedibile per la ingiusta detenzione; è stato previsto che il
fascicolo per il dibattimento sia formato all’udienza preliminare in contraddittorio e che
le parti possano concordare l’inserimento di atti di indagine nel predetto fascicolo;
infine, sono state apportate alcune modifiche minori alle norme sul dibattimento.
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E) Da ultimo, va evidenziato che allo scopo di scongiurare appiattimenti dei g.i.p. e dei
g.u.p. su una routine di eccessiva attenzione per le istanze investigative, a scapito di quelle
di cui è portatrice la persona sottoposta alle indagini, sono stati fissati, attraverso
modifiche della legge sull’ordinamento giudiziario, dei requisiti per l’esercizio di dette
funzioni.
In particolare, è stato previsto che per esercitare le funzioni di giudice per le indagini
preliminari e di giudice per l’udienza preliminare è necessario aver svolto per almeno
due anni le funzioni dibattimentali e si è previsto un termine massimo di sei anni per la
permanenza nei predetti uffici.
Peraltro, con una disposizione che certamente non aiuterà a risolvere i problemi
organizzativi, si è stabilito che per i magistrati in servizio all’ufficio del g.i.p. da almeno
quattro anni alla data di entrata in vigore della legge, il periodo di permanenza massima
decorre dalla data di assunzione delle funzioni, con la conseguenza che la maggior parte
dei magistrati che esercitano tali funzioni entro breve tempo dovrà essere sostituita.
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1.3 L’Udienza Preliminare da “Filtro” delle Imputazioni Azzardate ad
“Alternativa” alla Udienza Dibattimentale.
L’alternativa che, secondo il sistema del 1988, esisteva tra udienza preliminare ed
udienza dibattimentale non è più attuale, perché la prima ha assunto una funzione del
tutto diversa, nella economia del procedimento.
L’udienza preliminare dunque viene completamente “rinnovata” dalla riforma,
proponendosi come una seria alternativa al giudizio dibattimentale.
Non siamo più in presenza di un “filtro” destinato a trattenere le imputazioni azzardate,
ma ad una verifica giurisdizionale approfondita e dettagliata della possibilità di definire
l’imputazione con tutti gli esiti diversi dalla condanna, sempre che non si ricorra al
giudizio abbreviato, nel qual caso non opera neppure il limite della condanna.
In udienza preliminare si discute ora un ampio profilo del merito dell’imputazione ed al
giudice è conferito un potere di definizione che va ben al di là della mera constatazione
della inutilità del dibattimento. La possibilità di dichiarare il non luogo a procedere,
anche all’esito di una articolata integrazione probatoria e con formule definitorie che
non attingono più legittimazione ad una assoluta estraneità dell’imputato ai fatti che
formano oggetto dell’accusa, allontana la prospettiva di una soluzione assolutoria della
fase dibattimentale.
Il legislatore “rinnova” completamente l’udienza, dopo aver constatato che l’elimina-
zione dell’aggettivo “evidente” dopo il verbo “risulta”, effettuata allo scopo di avvertire i
giudici che il non luogo a procedere poteva anche essere “cercato”negli atti di indagine e
non doveva “ necessariamente saltare agli occhi” per essere dichiarato, era servita a ben
poco, perché il meccanismo “deflattivo” continuava ad essere frenato.
Si è pertanto tentato di “rilanciarla” capovolgendo, rispetto alla previsione originaria, la
regola di giudizio.
Strutturata, all’origine, come udienza di definizione allo stato degli atti solo in caso di
“evidente insussistenza del fatto”, essa è, oggi, udienza di definizione della
imputazione anche quando gli elementi a carico sono insufficienti, contraddittori
o, comunque, non idonei a sostenere l’accusa in giudizio.
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Va inoltre posto l’accento sul fatto che il giudice dell’udienza preliminare può anche
tenere conto delle circostanze attenuanti, ai fini della declaratoria di non luogo a
procedere per estinzione del reato con la conseguenza che questi è stato trasformato in
un vero e proprio giudice di merito, non solo perché dichiara la contumacia
dell’imputato e valuta l’impedimento del difensore alla stregua del giudice del
dibattimento, ma anche perché sono del tutto nuovi i suoi poteri decisori e, in funzione
di questi, i poteri di acquisizione probatoria.
L’unico limite che incontra come giudice di merito è nel non potere dichiarare la
responsabilità dell’imputato, anche se può presupporla quando tiene conto delle
circostanze attenuanti.
L’aspetto più innovativo è però rappresentato dal potere di disporre, anche di ufficio,
l’assunzione delle “prove delle quali appare evidente la decisività ai fini della sentenza di
non luogo a procedere” che a differenza di prima, non è più vincolata alla regola della
evidenza o, comunque, alle risultanze processuali.
Ciò vuol dire che nel dare impulso alla integrazione probatoria, di sua iniziativa o in
accoglimento di richiesta difensiva, il giudice deve tenere conto di tutte le possibili
soluzioni della fase e, pertanto, la “evidente decisività” non può non essere interpretata
elasticamente come “possibilità” di definizione allo stato degli atti.
Certo, non si può ignorare lo stridente contrasto che esiste tra le due proposizioni
normative: l’art. 422 co.1 c.p.p., che subordina l’assunzione di prove alla evidente
decisività ai fini della sentenza di non luogo a procedere; l’art. 425 comma 3 c.p.p., che,
invece, consente la pronuncia di tale sentenza anche quando gli elementi acquisiti
risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in
giudizio.
Sembra quasi che il legislatore abbia voluto ipotizzare situazioni distinte: il giudice
dichiara il non luogo a procedere per insufficienza probatoria, quando, ictu oculi, allo
stato degli atti, rileva che l’accusa non è sostenibile in giudizio e procede alla
integrazione della prova quando essa appare idonea ad una pronuncia di non luogo a
procedere ampiamente liberatoria, per accertata insussistenza del fatto, non
commissione del fatto o esclusione dell’elemento psicologico del reato o altra causa
indicativa che il fatto non costituisce reato.
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Una simile interpretazione restrittiva sarebbe, tuttavia, assolutamente arbitraria, perché è
nella logica della riforma, tendente alla valorizzazione della udienza preliminare come
occasione di sfoltimento del carico giudiziario, in applicazione del principio di economia
processuale e del principio del favor rei, che l’integrazione probatoria sia disposta in vista
di uno dei possibili esiti favorevoli dell’udienza.
Anche la “riscrittura” del giudizio abbreviato, svincolato oramai dal consenso del
magistrato del pubblico ministero e correlato pure ad una integrazione probatoria muta
a favore di una interpretazione estensiva, essendo evidente che il legislatore tende a
ridurre il più possibile il ricorso al giudizio dibattimentale.
Ma, se il giudice è legittimato a recepire istanze difensive, tendenti anche ad integrare il
materiale di prova esistente agli atti, non solo ai fini del giudizio abbreviato, ma anche in
prospettiva di definizione favorevole dell’udienza preliminare, non si vede quale utilità
difensiva possa scaturire dalla previsione del deposito degli atti di indagine, prima della
formulazione definitiva della imputazione.
Appare evidente che l’interesse dell’imputato, il quale disponga di elementi favorevoli
alla sua tesi, non è quello di “offrirli” al magistrato del pubblico ministero, bensì di
utilizzarli per sollecitare il giudice all’acquisizione probatoria.
Nella doppia previsione di deposito degli atti di indagine, quella preesistente,
conseguente al deposito della richiesta di rinvio a giudizio, e quella ora introdotta, che
prelude alla formulazione della imputazione definitiva, non si può leggere altro che un
inutile appesantimento della procedura, destinato a gravare sugli uffici di procura. Se la
previsione fosse stata introdotta per le ipotesi in cui il magistrato del pubblico ministero
procede alla citazione diretta a giudizio, si sarebbe trattato indubbiamente di una
innovazione utile; ma, con riferimento ai procedimenti per i quali e prevista l’udienza
preliminare, non si riesce a comprendere a cosa debba servire questo deposito.
Il rinvio a giudizio dunque è disposto non perché la imputazione non è azzardata, così
come avveniva in passato, ma, piuttosto, perché, in base agli elementi di prova acquisiti,
l’imputato non può essere scagionato, neppure con il dubbio sulla sua responsabilità. A
meno che la difesa disponga, in dibattimento, di una prova nuova rispetto al quadro
probatorio rappresentato al giudice dell’udienza preliminare, è difficile ipotizzare, per il
dibattimento, un esito diverso dalla condanna.
Da questo discende il particolare rigore legislativo nella descrizione della formazione del
fascicolo per il dibattimento che prima della riforma costituiva un adempimento era
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riservato all’ausiliario del giudice, e che ora invece incide sensibilmente sullo
svolgimento del giudizio pubblico, tanto da essere assistito dalla garanzia del
contraddittorio.
È, questa, probabilmente, la modifica più rilevante dell’intera legge di riforma.
Immediatamente dopo l’emissione del decreto che dispone il giudizio, il giudice
provvede, nel contraddittorio delle parti, alla formazione del fascicolo per il
dibattimento. Se una delle parti ne fa richiesta il giudice fissa una nuova udienza, non
oltre il termine di quindici giorni, per la formazione del fascicolo, in cui sono raccolti
oltre gli atti relativi alla procedibilità dell’azione penale e all’esercizio dell’azione civile, i
verbali degli atti non ripetibili compiuti dalla polizia giudiziaria e dal magistrato del
pubblico ministero, i documenti acquisiti all’estero mediante rogatoria internazionale e i
verbali degli atti non ripetibili assunti con le stesse modalità, i verbali degli atti assunti
nell’incidente probatorio, i verbali degli altri atti assunti all’estero, a seguito di rogatoria
internazionale ai quali i difensori sono stati posti in grado di assistere e di esercitare le
facoltà loro consentite dalla legge italiana, il certificato generale del casellario giudiziario
e gli altri documenti indicati nell’art. 236 e il corpo del reato e le cose pertinenti al reato,
qualora non debbano essere custoditi altrove — anche altri atti contenuti nel fascicolo
del magistrato del pubblico ministero e la documentazione relativa all’attività di
investigazione difensiva, se le parti ne concordano l’acquisizione al fascicolo, così come
disposto ex art. 431 c.p.p.
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1.4 Le Difficoltà Interpretative della Legge 479 del 1999
La prima, notevole, difficoltà che si incontra nella lettura del testo della legge n. 479 del
16 dicembre 1999 attiene alla ricerca di un ordine sistematico che abbia guidato il
legislatore nel lungo e frettoloso intervento riformatore.
Finora nessuna novella aveva inciso così profondamente nel sistema da stravolgere le
linee portanti della riforma del 1988, che ne esce completamente “snaturata” quanto alle
finalità assegnate alle singole fasi del primo grado del procedimento.
Tutta la disciplina del primo grado di giudizio è stata « rivisitata » da un disegno
riformatore che non si è proposto come programma omogeneo di innovazione, ma
come un insieme scoordinato di molteplici suggerimenti innovativi, confluiti in un
prodotto legislativo disorganico e di difficile interpretazione, il più delle volte prolisso.
Emblematico di ciò è l’art. 19 co. 2 della legge, che sostituisce l’art. 420 c.p.p. con cinque
articoli, che, a ben vedere, hanno poco di nuovo, rispetto alla disciplina previgente.
In effetti, la modifica attiene soltanto alle forme di redazione del verbale di udienza
perché gli articoli aggiunti, dall’art. 420-bis all’art. 420-quinquies c.p.p., non sono articoli
«nuovi », ma articoli « preesistenti », trasferiti da una diversa collocazione sistematica che
originariamente li presentava come articoli 485, 486, 487 e 488, per disciplinare la
rinnovazione dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare (in luogo della
rinnovazione della citazione a giudizio), l’impedimento a comparire dell’imputato o del
difensore, la contumacia dell’imputato, l’assenza e l’allontanamento volontario del-
l’imputato in dibattimento.
Ed ancora si pensi all’art. 484 comma 2-bis c.p.p., inserito ad hoc, con una tecnica di
normazione davvero farsesca, non riuscendosi a comprendere il motivo per cui, pur
essendo costituito l’art. 484, nella versione originaria, di due commi e dovendosi
aggiungere un nuovo comma, non si sia seguita la numerazione ordinaria, inserendo un
comma 3, ma si sia ricorso ad 2-bis, che fa pensare ad un preesistente comma 3 o a
preesistenti commi che in effetti non ci sono.
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Sarebbe stato logico attendersi, piuttosto che questa sorta di stravolgimento sistematico,
una semplice norma di rinvio, inserita nella disposizione di apertura della disciplina
dell’udienza preliminare, per dire che anche in questa udienza si applicano gli articoli
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sulla rinnovazione della citazione; sull’impedimento a comparire dell’imputato o del
difensore; sulla contumacia dell’imputato e sull’assenza e sull’allontanamento volontario
dell’imputato in dibattimento.
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In realtà, il “trasferimento” di questo gruppo di disposizioni era previsto da un disegno
di legge che propugnava la sostituzione dell’udienza preliminare con una udienza pre-
dibattimentale, che avrebbe dovuto “sintetizzare” la attuali due udienze.
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1.5 I Motivi della Riforma
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Tra le motivazioni della riforma vi è certamente il progetto di introdurre il “giudice
unico” nel primo grado del processo penale.
Il progetto ha subito, dalla ideazione politica alla realizzazione legislativa, una vigorosa
riduzione, perché l’intenzione era quella di ridurre drasticamente il criterio della
collegialità, limitandola ai processi per reati di competenza della corte di assise. In tutti
gli altri casi il giudice doveva essere monocratico, dal momento che la garanzia del
collegio sarebbe stata mantenuta per l’impugnazione di merito in grado di appello e per
il controllo di legittimità, mediante ricorso per cassazione.
Il primo grado avrebbe dovuto essere affidato, ad eccezione dei reati idi competenza del
tribunale per i minorenni, ad un unico giudice, individuato come tribunale ordinario in
composizione monocratica.
Ma quanto realizzato è completamente diverso da quanto progettato perché non si può
affermare che, per effetto della riforma, salve le eccezioni della corte di assise e del
tribunale per i minorenni, nel primo grado di giurisdizione sia stato introdotto il giudice
unico.
In realtà a scomparire è stata solo la figura del pretore, ma non la sua competenza,
trasferita al tribunale ordinario in composizione monocratica, il quale divide la
competenza con il tribunale ordinario in composizione collegiale. L’unica novità è nella
inversione del criterio attributivo di competenza: prima, vi era una elencazione tassativa
dei reati assegnati alla cognizione del giudice monocratico, di guisa che al tribunale
ordinario era riservata una competenza residuale, rispetto alla corte di assise ed al
pretore; ora è il giudice monocratico ad avere una competenza residuale, perché la sua
cognizione si estende a tutte le fattispecie che, salve quelle assegnate alla corte di assise,
non entrano nella sfera di attribuzioni del collegio.
Con questo non si vuole sminuire la portata della riforma, identificandola in null’altro
che una mera riduzione di competenza del tribunale collegiale, a vantaggio del tribunale
monocratico.
Con la sostituzione del codice del 1930, il legislatore delegato aveva definito, in
attuazione di una legge-delega i ruoli delle tre fasi fondamentali del primo grado: la fase
delle indagini preliminari, la fase dell’udienza preliminare, la fase del giudizio pubblico,
dibattimentale.