5
L’argomento dottrinale che si prende in considerazione in questa breve e
non esaustiva trattazione è forse quello più cruciale nei rapporti ecumenici:
l’intercomunione e, più in specifico, l’ospitalità eucaristica, ossia la possibilità che
la chiesa cattolica possa accogliere nella celebrazione eucaristica i fedeli di altre
chiese e comunità ecclesiali con cui non si trova in piena comunione.
L’ospitalità eucaristica è un argomento su cui occorre fare chiarezza;
tacerlo sarebbe fare un assordante silenzio su un elemento essenziale
dell’avvicinamento tra le chiese.
L’Eucaristia è il fulcro della fede cristiana; la sua condivisione segnerebbe
un traguardo miliare nell’avvicinamento ecumenico. Per i cattolici l’Eucaristia è
segno dell’identità ed unità di fede esistente e visibile all’interno della Chiesa; non
può quindi essere segno di un’unità in formazione. L’Eucaristia non può essere il
“prezzo da pagare” per avere l’unità tra le varie denominazioni cristiane, deve
essere il fine a cui tende tutta l’azione ecumenica.
L’elaborato, dopo un primo chiarimento terminologico, in cui si
presentano le difficoltà concettuali e teologiche, nel primo capitolo affronta la
questione dal punto di vista storico. In questa parte si traccia il progresso
teologico della chiesa cattolica dall’ecumenismo “del ritorno” al rinnovamento
del Vat II, fino ai frutti più maturi della recente riflessione teologica quali il DE e
la Ut Unum Sint.
Il secondo capitolo prendendo in considerazione i dialoghi locali ed
internazionali della chiesa cattolica con le chiese e comunità ecclesiali acattoliche
cercherà di mostrare come il dialogo ecumenico stia avanzando a macchia d’olio,
un traguardo dopo l’altro, nonostante le difficoltà. Un paragrafo a parte sarà
dedicato a ciascuna delle due mete importanti dell’intercomunione:
l’intercomunione della chiesa caldea con la chiesa assira, unico caso di ospitalità
eucaristica cattolica, e la Concordia di Leuenberg, ossia l’accordo raggiunto in ambito
protestante per la reciproca ospitalità nella santa Cena.
Nell’ultimo capitolo si presentano in modo sommario alcune soluzioni per
la situazione attuale e le problematiche da risolvere ancora oggetto di
6
discussione, per poter percorrere nel futuro un altro tratto di strada nel difficile
cammino verso l’ospitalità eucaristica.
Le proposte che si espongono possono richiamare alla mente il gioco delle
scatole cinesi: ogni problema risolto ne fa scaturire altri; ma questo non deve
scoraggiare anzi deve rafforzare l’impegno necessario per il cammino del dialogo.
Lo spirito che deve animare il dialogo teologico per l’ospitalità eucaristica
deve richiamarsi all’affermazione di sant’Agostino ripresa nel Vat II: “Ci sia unità
nelle cose necessarie, libertà nelle cose dubbie e in tutto carità” (GS 92).
7
Capitolo I . I CONCETTI DI INTERCOMUNIONE E
OSPITALITÀ EUCARISTICA
Prima di affrontare direttamente il problema di cosa si intenda e di quali
ambiti tratti l’intercomunione, è necessario chiarire subito come il problema
dell’intercomunione sia nato e si sia sviluppato all’interno della teologia, e quali
sfumature raccolga questo termine.
In questo primo capitolo presento innanzitutto alcune definizioni di
intercomunione; in seguito come questa si è sviluppata nel rapporto tra cattolici
ed acattolici, infine quali sono le ultime posizioni della chiesa cattolica a riguardo.
La mia prospettiva è cattolica, di conseguenza affronto il problema della
intercomunione dei cattolici nelle liturgie non cattoliche e della partecipazione dei
non cattolici ai sacramenti della chiesa cattolica. L’intercomunione tra le diverse
confessioni non cattoliche, è presa in considerazione solo come esempio di
impostazione ecumenica.
8
1. Precisazioni terminologiche
L’intercomunione è stata definita in diversi modi a secondo del periodo
storico e del contesto teologico; più esattamente, diverse sono le sfumature con
cui il temine è utilizzato e i vocaboli che sono adoperati come sinonimi.
In linea con il pensiero tradizionale si tende ad identificare
l’intercomunione con la communicatio in sacris. Questa può essere così definita:
«La communicatio in sacris con i battezzati acattolici consiste in una unione tra
la chiesa cattolica e coloro i quali, per quanto battezzati, non sono cattolici, e
precisamente una unione a motivo o in occasione di una realtà del culto»
2
.
L’espressione communicatio in sacris, pone l’accento su una dimensione
molto vasta: considera tutte le occasioni di culto. L’utilizzo della formula ha due
sfumature: si parla di communicatio in sacris “sacramentale” nel caso di
partecipazione ai sacramenti, e communicatio in sacris “extrasacramentale”, nel caso
di partecipazione ad azioni cultuali non sacramentali come la recita del padre
nostro o le esequie.
Il termine “intercomunione” per l’estensione di significato può essere
accostato alla communicatio in sacris sacramentale.
«Nel rinnovato fervore ecumenico che ha caratterizzato questa epoca
postconciliare è emerso anche il problema dell’intercomunione, cioè quello della
possibilità e del significato di eventuali celebrazioni sacramentali, specialmente
eucaristiche, fatte da cristiani appartenenti a differenti confessioni religiose»
3
.
In questo contesto l’intercomunione è intesa come eventuale celebrazione
sacramentale.
2
F. COCCOPALMERIO, La partecipazione degli acattolici al culto della Chiesa Cattolica nella pratica e
dottrina della S. Sede dal sec. XVII ad oggi (=Ricerche di scienze teologiche, 5), Morcelliana, Brescia 1969, p.
15.
3
E. RUFFINI, Sacramentalità e Intercomunione, in AA.VV. Nuovo Dizionario di Teologia, Edizioni San
Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 1998, p. 1366.
9
Questo significato è abbastanza vago; perciò per restringere l’orizzonte
terminologico al sacramento dell’Eucaristia, si completa l’espressione
aggiungendo “specialmente eucaristiche”.
In questa accezione, l’intercomunione nel sacramento dell’Eucaristia, è
sinonimo di “ospitalità eucaristica”. Questa espressione nata in ambito
protestante pone maggiormente l’accento sulla partecipazione alla celebrazione
eucaristica, escludendo il problema delle altre realtà sacramentali.
«L’ospitalità eucaristica, consiste nel fatto che una chiesa accoglie altre chiese
e comunità ecclesiali nella celebrazione eucaristica. Prende anche il nome di
celebrazione eucaristica “aperta” a più denominazioni cristiane con reciprocità di
accoglienza e talora interscambiabilità di ministri»
4
.
La formulazione: “celebrazione eucaristica aperta”, cambia il punto di
vista mantenendo lo stesso oggetto: si pone l’accento sulla situazione di una
chiesa che celebra l’Eucaristia e estende l’invito alla partecipazione - si apre
appunto - a chiunque vi voglia prendere parte.
Qui l’intercomunione è letta in rapporto alla comunità che celebra.
Questi sono alcuni dei significati attribuiti allo stesso “oggetto” del
discorso.
Lo spettro di significati di “intercomunione” si estende entro due limiti
oggettivi: uno massimalista, che intende racchiudere tutte le occasioni di incontro
cultuale tra le diverse confessioni, l’altro minimalista, per cui la relazione in cosa
sacre, si avrebbe solo all’interno dei sacramenti, o in modo ancor più ristretto
solo nell’Eucaristia.
Cercando di dare una prima linea interpretativa, stilando per così dire “una
classifica”, il termine con significato più ampio è quello di communicatio in sacris
extrasacramentale, che comprende tutti i culti liturgici pubblici. Segue il termine
communicatio in sacris sacramentale, che indica solo i sacramenti; il significato più
4
GRIS, L’ospitalità eucaristica o intercomunione, in http://spazioinwind.libero.it/gris_cerignola/ecu/
ecu3.htm, sito del gruppo ricerca e studi sull’ecumenismo e sulle sette di Cerignola.
10
ristretto è “ospitalità eucaristica” che fa riferimento solo alla celebrazione
eucaristica.
L’ospitalità eucaristica, a sua volta, può essere di diversi tipi. Ecco una
breve casistica
5
.
Accoglienza limitata: il caso in cui una chiesa ammetta alla comunione
eucaristica i cristiani di un’altra chiesa
6
per ragioni di urgenza o in situazioni
eccezionali.
Accoglienza generale: il caso di una chiesa che ammetta alla comunione
eucaristica i cristiani di un’altra chiesa in tutte le situazioni che si presentano.
Accoglienza reciproca: il caso di una chiesa che ammetta alla comunione
eucaristica i cristiani di un’altra chiesa ed autorizzi i propri fedeli a partecipare alla
comunione in questa chiesa.
Celebrazione comune: è il caso in cui i ministri delle diverse chiese,
celebrano insieme l’Eucaristia e tutti i fedeli di queste chiese partecipano alla
stessa comunione.
Così Max Thurian presenta la diversificazione del termine, identificando
l’ospitalità eucaristica in senso proprio con la “accoglienza reciproca”.
Nella chiesa cattolica si praticano solo l’accoglienza limitata e l’accoglienza
generale; quest’ultima solo in rarissimi casi con la chiesa ortodossa.
Non è presente invece l’ospitalità eucaristica nell’accezione degli ultimi
due significati; disposizione che invece troviamo nei protestanti
7
grazie alla
Concordia di Leuenberg
8
.
5
Per questa distinzione mi rifaccio al testo di M. THURIAN, Vers l’Intercommunion, Maison Mame,
Tours 1970, pp. 15-16.
6
In tutti questi casi si intende parlare di una chiesa o comunità ecclesiale non in piena
comunione con la chiesa ospitante.
7
Con il termine “protestanti”, indico tutte quelle chiese o comunità ecclesiali che si sono
sviluppate in occidente dopo la riforma di Lutero, e tutte le derivazioni da essa scaturite.
8
Alla Concordia di Leuenberg come modello di intercomunione dedico un paragrafo nel secondo
capitolo.
11
In questo lavoro utilizzo l’espressione communicatio in sacris in senso
generale, per indicare la comunione che si realizza nel culto in senso sia
sacramentale sia extrasacramentale tra cattolici ed acattolici. Utilizzo il termine
intercomunione per indicare la comunione che si realizza in senso sacramentale,
compresa l’Eucaristia. L’espressione ospitalità eucaristica, sarà usata in
riferimento esclusivo alla partecipazione all’Eucaristia da parte di un cattolico a
un rito non cattolico e viceversa.
12
2. Brevi precisazioni teologiche
Con la terminologia “ospitalità eucaristica” ci si riferisce non solo alla
comunità che accoglie, ma soprattutto ed in modo eminente, al fatto che il primo
ad accogliere è Cristo Gesù: è Lui che ospita nella sua casa, è Lui che si fa
presente ed invita a riconoscerlo. Inoltre l’espressione ospitalità eucaristica
chiarisce e favorisce i termini della ricerca teologica. Il fulcro deve essere la
dimensione spirituale.
Da Cristo parte il cammino per ristabilire la comunione: quanto più ci
avviciniamo a Cristo, tanto più ci ravviciniamo tra cristiani. Pensiero, questo,
presente sin dai primordi del cammino ecumenico:
«Quanto più ci avviciniamo a Cristo Crocifisso, tanto più ci avviciniamo gli
uni agli altri, per quanto diversi possano essere i colori nei quali la nostra fede
riflette la stessa luce. Sotto la croce di Cristo noi ci stringiamo le mani l’un l’altro,
Solo nel Signore crocifisso e risorto, riposa la speranza dell’umanità»
9
.
Per meglio comprendere lo sviluppo storico della communicatio in sacris,
ecco due chiavi di lettura: dal punto di vista dottrinale la relazione in cose sacre si
inserisce nella problematica del grado di comunione nella fede, e in quella
eucaristica in particolare; dal punto di vista pastorale la concezione della
partecipazione all’eucaristica si pone come segno di partecipazione alla vita
comunitaria.
Un principio necessario nel cammino ecumenico è costituito dal fatto che
nel confronto con le altre confessioni cristiane la chiesa cattolica cerca di non
9
ROUSE-NEILL, Storia del movimento ecumenico dal 1517 al 1868, II, EDB, Bologna 1973-1982, p.
185, cit. in P. NEUNER, Teologia Ecumenica (=BTC 110), Queriniana, Brescia 2000, p. 44. Tale principio fu
espresso per la prima volta nel 1925, all’incontro di Stoccolma del Movimento Life & Work, ossia il
movimento per un cristianesimo pratico. Questo movimento si costituì nel 1925 ad opera di Nathan
Söderblom; l’obiettivo fu intraprendere la strada dell’azione a favore della giustizia e della pace. Le
discussioni dell’incontro di Stoccolma si mossero sotto il motto «il fare che unisce». Life & Work si unirà
nel 1938 con l’altra corrente ecumenica Fede e Costituzione nel CEC.
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anticipare mai i tempi. Ogni decisione presa in campo ecumenico, ogni passo
avanti compiuto, anche se di modeste dimensioni, deve essere sempre ponderato.
Si può egoisticamente affermare che se si mettesse da parte la necessità di
un’unione a livello dottrinale e sacramentale, si potrebbe tranquillamente
raggiungere una unità a livello pratico, ossia di impegno sociale: la Croce Rossa
ne è un esempio. Si avrebbe così un ecumenismo esclusivamente sociale.
L’unione tra chiese sarebbe una unione di voci che reclamano pace,
collaborazione, giustizia sociale; mancherebbe però la dimensione verticale che è
proprio della chiesa, a favore di una dimensione solo orizzontale.
Un controversia simile si è presentata nelle assemblee del CEC. Sin dai
primi tempi sorse una diatriba tra i “verticalisti” e gli “orizzontalisti”, tra coloro
che consideravano l’ecumenismo in modo primario come contributo mondiale
per una società più giusta e coloro che chiedevano come punto centrale l’unità
delle chiese considerandola ancorata nel piano salvifico di Dio. Visser t’Hooft,
primo presidente del CEC, a questa controversia rispose:
«Un cristianesimo che ha perso la sua dimensione verticale, ha perso la
propria sapidità e quindi, non solamente è in se scipito e fiacco, ma è anche inutile
per il mondo. Viceversa se il cristianesimo in conseguenza di una concentrazione
verticale, trascura la sua responsabilità nei confronti della vita sociale, rinnega
l’incarnazione, l’amore di Dio verso il mondo che si è manifestato in Cristo»
10
.
Un esempio di questo avanzare nel cammino dell’ecumenismo in
equilibrio tra orizzontalismo e verticalismo, è stato raggiunto oggi con la
sottoscrizione della Charta Oecumenica
11
.
10
P. NEUNER, op. cit., p. 57.
11
Sottoscritta il 22 aprile 2001 a Strasburgo, presenta come dice il sottotitolo, le «linee guida per
la crescita e la collaborazione tra le chiese in Europa». Non ha una forza obbligante in senso giuridico, ma
in quanto testo di natura pastorale presenta in tre parti, il fondamento teologico dell’impegno ecumenico, i
passi da compiere in vista dell’unità delle chiese, e i contributi che le chiese possono offrire per costruire
un’Europa più cristiana anche da un punto di vista sociale. Per una lettura più approfondita: P.
GAMBERINI, La Charta Oecumenica. Presentazione e commento, in Rassegna di Teologia, 45 [2004], pp. 5-17. M.