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INTRODUZIONE
Il dolore è un fenomeno multidimensionale con implicazioni sensitive, emotive, cognitive.
Elementi come il disagio psicologico e l’aspettativa di dolore, ad esempio, condizionano la
percezione stessa del dolore. Proprio per questa sua caratteristica multidimensionalità e per
la sua afferenza all’ambito personale è difficile addivenire ad una definizione unitaria che
agevoli anche un approccio unitario al suo studio, alla sua misurazione e gestione, che sia in
grado di ricomprendere le peculiarità proprie di ciascun individuo nel comunicare (non solo
verbalmente) l’esperienza provata.
Il dolore è anche definito come un sintomo temuto, è spesso presente all'inizio di una
malattia, è quasi sempre presente durante le procedure diagnostiche e terapeutiche ed è
associato alla paura della malattia stessa. Il dolore ha quasi completamente perso la sua
valenza adattativa, è un sintomo dannoso; è ampiamente accettato che le alterazioni
dell’attività neurale dovute al dolore e alla lesione nello sviluppo precoce possono produrre
effetti immediati e a lungo termine sull’elaborazione sensoriale e sulla risposta futura al
dolore. Infine, il dolore è associato ad una maggiore ansia e disagio psicologico e aumenta
anche il disagio dei genitori.
Dopo due anni di lavori, nel 2020, una task-force di 14 membri rivede per l’International
Association for the Study of Pain
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i termini della definizione di dolore, valutando l’utilità
dei termini usati in riferimento alle nuove conoscenze sugli aspetti clinici e scientifici di base
del dolore. Nella nuova definizione esso è una spiacevole esperienza sensoriale ed
emozionale associata a, o che assomiglia a quella associata a, un danno tissutale attuale o
potenziale
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. Vale la pena sottolineare la portata innovativa della nuova formulazione
nell’aver scollegato la causa organica dalla presentazione del sintomo doloroso e l’aver
espunto dalla definizione la necessità che la sensazione dolorosa debba essere descritta,
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IASP è la principale società scientifica che promuove la ricerca, l’istruzione e le politiche per la
comprensione, la prevenzione e il trattamento del dolore, è stata fondata nel 1974 sotto la guida di John J.
Bonica.
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Riportiamo integralmente le note che accompagnano la nuova definizione di dolore elaborata da IASP in
quanto riteniamo che aiutino a mettere in luce la complessità dell’esperienza del dolore: “1- Il dolore è sempre
un’esperienza personale influenzata a vari livelli da fattori biologici, psicologici e sociali. 2- Il dolore e la
nocicezione sono fenomeni diversi. Il dolore non può essere dedotto solo dall’attività neurosensoriale. 3- Le
persone apprendono il concetto di dolore attraverso le loro esperienze di vita. 4- Il racconto di un’esperienza
come dolorosa dovrebbe essere rispettato. 5- Sebbene il dolore di solito abbia un ruolo adattativo, può avere
effetti negativi sulla funzionalità e il benessere sociale e psicologico.6- La descrizione verbale è solo uno dei
numerosi modi per esprimere il dolore; l’incapacità di comunicare non nega la possibilità che un essere umano
o un animale provi dolore.” Raja 2020.
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includendo in questo modo nella definizione stessa anche l’esperienza dolorosa di quanti
non sono nelle condizioni di poter appunto fornire una descrizione di quest’ultima, a
sostegno delle persone più fragili per le quali si può fare riferimento, invece, alla mimica
facciale, alla irrequietezza o ai vocalizzi. Le note accompagnatorie chiariscono alcuni aspetti
fondamentali come ad esempio che il dolore è sempre un’esperienza personale e non più
soggettiva, termine che poteva far pensare ad una esperienza non reale, non oggettiva. Si
pone quindi l’accento sulla rilevanza di vari fattori (biologici, sociali, psicologici) che
possono condizionare l’esperienza dolorosa. Altro aspetto innovativo contenuto nelle note
esplicative è costituito dalla enunciazione della differenza tra dolore e nocicezione, per cui
si ribadisce che non sempre è necessaria né sufficiente l’attività nocicettiva per generare
dolore. Si mette, inoltre, in evidenza l’importanza delle esperienze di vita, non solo quelle
legate all’infanzia, nell’apprendimento del concetto di dolore da parte delle persone. Si
ribadisce il valore fondamentale del rispetto nei confronti del resoconto di un’esperienza di
dolore e a questo fine la IASP riprende la Dichiarazione di Montréal (2011, la terapia del
dolore rappresenta un valore fondamentale dell’uomo
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). Al tempo stesso si richiama
l’attenzione sulla necessità di integrare la valutazione dell’intensità del dolore con l’impatto
sul funzionamento quotidiano e sul benessere psicologico della persona.
Una delle criticità nella gestione del dolore è proprio la sua valutazione. L’ideale sarebbe
utilizzare strumenti di misura multidimensionale, capaci di intercettare i vari aspetti
dell’esperienza di dolore in una persona, anche laddove questo non sempre appare
praticabile. Muovere in questa direzione comporta un importante cambiamento nel comune
modo di condurre la gestione del dolore, implica superare la propensione a mantenere
abitudini operative, implica la necessità di ampliare e approfondire le proprie conoscenze,
incanalare energie in un processo che mette al centro dell’attenzione l’importanza della
gestione del dolore come attività determinante per la salute e il benessere della persona.
L’accertamento del dolore, come fase preliminare per la sua gestione, comporta indagare il
dolore prima che esso si presenti, significa reperire informazioni, oltre che sulle cause
fisiche, anche sugli stimoli emotivi e psicologici che condizionano la percezione personale
di quegli stessi stimoli, come anche sull’impatto sulla vita socio-familiare del paziente. Ciò
è massimamente vero quando parliamo ad esempio di dolore cronico. Questa particolare
dimensione comunicativa è connaturata alla professione dell’infermiere, il quale opera
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“La Dichiarazione di Montreal elaborata nell’ambito dell’International Pain Summit (IPS) dell’International
Association for the Study of Pain (IASP), sostiene che il controllo del dolore è un fondamentale diritto umano
ed in particolare l’articolo 3 sancisce testualmente: “il diritto di tutte le persone con dolore di avere accesso ad
una appropriata valutazione e trattamento del dolore da parte di professionisti sanitari adeguatamente formati”.
Bambi 2019, Raja 2020.
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avvalendosi degli strumenti dell’ascolto e del dialogo al fine di stabilire con l’assistito una
relazione di cura, agisce nell’interesse della persona informandola e coinvolgendola nella
valutazione dei suoi bisogni assistenziali, valorizzando e accogliendo il contributo, le
convinzioni e il sentire del paziente, aiutandolo ad esprimere la sofferenza percepita
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. In
un’ottica di presa in carico globale della persona, l’infermiere è responsabile di effettuare il
trattamento del dolore e la valutazione dell’efficacia del trattamento effettuato, mettendo in
atto ulteriori interventi qualora quest’ultimo si sia rivelato inefficace. Uno specifico articolo
è riservato alla gestione del dolore all’interno del vigente Codice Deontologico delle
Professioni Infermieristiche: ci riferiamo all’art. 18, che precisa in modo inequivocabile che
è responsabilità dell’infermiere prevenire, rilevare e documentare il dolore dell’assistito
dalla presa in carico alla dimissione e che nel gestire il sintomo dolore, e le implicazioni
che esso comporta, egli deve avvalersi delle buone pratiche e agire per favorire una
consapevole adesione al percorso di cura. In virtù del rapporto privilegiato che si crea tra
paziente e infermiere, quest’ultimo si pone in una posizione cruciale nella fase di
accertamento e, in generale, nella gestione del dolore, tanto da influire in modo determinante
sull’esito della terapia. Questo è possibile anche grazie alla fiducia che il paziente e la sua
famiglia ripongono nell’infermiere, fiducia che scaturisce dalla relazione di cura che si
sostanzia anche delle conoscenze e delle competenze che l’infermiere possiede e condivide
con l’assistito e i suoi cari, superando, ed aiutando a superare, le proprie credenze basate
sull’esperienza e sulla cultura. Possiamo dire che la pratica sanitaria è fortemente permeata
da quella che è la rappresentazione del dolore degli operatori sanitari; varie
costruzioni/dimensioni di significato (come la combinazione di relazioni operatore-assistito,
convinzioni culturali e più specificatamente mediche) conducono ad una sovrastruttura
imponente e priva della necessaria flessibilità per sentire, pensare e agire riguardo alla
malattia e al dolore. Pertanto occorre agire anche sulle rappresentazioni sociali degli
operatori sanitari, le quali appaiono come un sapere condiviso, nel quale il dolore che non è
legato ad una chiara spiegazione organica richiama altre spiegazioni che lo rendono meno
rilevante e bisognoso di una gestione
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. Questo tipo di problematica va ad appesantire il
quadro già interessato dalle difficoltà connesse alla necessità di individuare gli strumenti più
adeguati a ciascun setting per un efficace accertamento del dolore, di garantire che le
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Facciamo riferimento agli artt. 4 e 17 del Codice Deontologico delle Professioni Infermieristiche.
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La rappresentazione del dolore che i professionisti inevitabilmente mostrano di possedere risente delle
conoscenze mediche e degli strumenti della pratica clinica che essi padroneggiano e devono utilizzare
quotidianamente. Le forme di dolore connesse agli aspetti relazionali, psicologici o emotivi, che non possono
essere ricondotte nell’ambito della causa diretta del sintomo, non si prestano ad essere gestite con gli quegli
stessi strumenti e, di conseguenza, non sono viste come sintomi da trattare al pari delle forme codificate, già
inserite in un codice, per così dire, universalmente riconoscibile, Nencini 2015.
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conoscenze e le competenze degli operatori nella gestione del dolore siano aggiornate e di
fare in modo che gli operatori non trascurino nella pratica quotidiana l’attività di rilevazione
del dolore.
Nel presente lavoro analizzeremo il modello dell’Ospedale Senza Dolore così come
delineato nelle Linee Guida Ministeriali del 2001 e, attraverso la lente degli studi di
prevalenza del dolore elaborati fino ai nostri giorni, andremo a descrivere come le istituzioni
abbiano cercato di promuovere il Progetto dell’Ospedale Senza Dolore, e con quali risultati.
Attraverso una disamina sistematica delle più recenti linee guida nazionali sulla gestione del
dolore nei diversi setting, cercheremo di delineare quali sono gli strumenti attualmente
raccomandati per una ottimale gestione del dolore. Infine, tenteremo di individuare le
criticità e i punti di forza delle strategie messe in campo per abbattere le barriere ad una
adeguata gestione del dolore negli ospedali italiani, per cercare di trarre dalle esperienze
descritte in letteratura possibili suggerimenti per una migliore gestione del dolore
nell’ambito ospedaliero.
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1 OSPEDALE SENZA DOLORE
L’idea di un ospedale che ponesse al centro il paziente e il trattamento del dolore del paziente
come “mission” specifica dell’istituzione è relativamente recente e deve essere collocata
negli Stati Uniti, Stato di Washington. Il primo ospedale senza dolore viene fondato a Seattle
da un anestesista italo-americano, John Bonica, promotore di un approccio multidisciplinare,
soprattutto rispetto al dolore cronico, volto all’utilizzo di strategie capaci di garantire un
efficace controllo del dolore. L’interesse suscitato da questo nuovo modo di vedere il
sintomo dolore, “Io ho dichiarato guerra al dolore” (John Bonica), porta alla nascita della
IASP (Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore) nel 1976 e al primo Congresso
Mondiale sul Dolore che si tiene a Firenze.
La crescente attenzione per la tematica della terapia del dolore porta negli anni ’80 alla
istituzione di numerosi centri nei quali viene praticata in modo sistematico la terapia del
dolore. Nel 1988 si contano duemila cliniche in 36 paesi. Nel 1992, con il supporto dell’OMS
(Organizzazione Mondiale della Sanità) viene presentato a Montreal, Canada, il progetto
“Towards a pain-free hospital” che dal 2001 viene associato al più ampio progetto Health
Promoting Hospitals. In Italia alcuni ospedali aderiscono alla fine degli anni ’90 alla rete
degli Ospedali per la Promozione della Salute (l’Ospedale di Padova, il Buzzi di Milano
primi tra tutti).
Nel 1999 viene approvata la L. 39/99 che sancisce il diritto dei cittadini ad accedere alle cure
palliative e il Programma nazionale per la realizzazione di strutture per le cure palliative
(DM Salute 28/9/99).
In Italia l’interesse per il modello assistenziale proposto da IASP non riesce a trovare una
forma organica e strutturata fino alla sperimentazione portata avanti dall’Istituto Europeo di
Oncologia dove nel 1999 viene avviato il progetto "Ospedale senza dolore", volto a
realizzare, con la partecipazione di medici e infermieri, un programma di intervento
strutturato nel quale il dolore diviene un parametro da misurare sistematicamente e da tenere
sotto controllo.
Quando nel 2001 la Conferenza Stato-Regioni approva le Linee Guida Ministeriali per la
realizzazione del progetto “Ospedale Senza Dolore” c’è la consapevolezza, motivata dagli
studi di prevalenza effettuati in diverse strutture sanitare nel Paese, prima tra tutte nel 1998
presso l’Ospedale di Vicenza, che vi è una elevata prevalenza del dolore, che il sintomo
dolore viene sottostimato e non adeguatamente trattato. Il dolore viene spesso negato,