II
Il primo capitolo si concentra sull’analisi dell’origine della poesia,
rintracciando nel “materno” i connotati emotivi che caratterizzano l’opera del
poeta. Il secondo analizza l’intimità poetica che Dickinson crea nella scrittura
indirizzata alle donne, segno della libertà femminile come atto di ribellione alla
società e al conformismo vittoriano. Il tentativo di ritrovare negli ambiti artistici a
noi contemporanei lo iato di una poesia che supera i confini spazio-temporali per
realizzarsi nelle più svariate forme di espressione femminile dà vita al terzo ed
ultimo capitolo, come conclusione di un percorso tanto difficile quanto
interessante. La bellezza della poesia e la sua innata capacità di generare nel
femminile l’ansia febbrile di conoscere e scoprire i significati che nasconde per ri-
crearli ha dato a me la possibilità di entrare in contatto, grazie al preziosissimo
aiuto del mezzo informatico, con alcune delle donne che sono state contagiate
dalla densità della scrittura dickinsoniana.
Data la complessità del genio di Dickinson, non c’è nessuna volontà di dare
una visione complessiva o una spiegazione esaustiva della sua indecifrabile
scrittura, perché significherebbe ridurre l’“infinito” della sua profondissima
interiorità ad un giudizio parziale e sentenzioso.
I tre capitoli analizzano tre ambiti all’apparenza separati, ma intimamente
legati da corrispondenze simmetriche, che vanno dall’origine della scrittura
all’esplosione della sua intensità, fino agli effetti sulla sensibilità femminile.
“L’origine, il poetico e l’eredità: il potere di Emily Dickinson” è il percorso
tortuoso, ma straordinario che mi ha aiutato a comprendere la potenza del poeta, il
mistero di una donna che esprime in sillabe frammentate la ribellione dell’essere
femminile in una società che non la comprende, inaugurando un modo di fare
III
poesia indipendente e originale, seguendo il suo istinto e la sua filologia, cioè la
capacità unica di tradurre l’impressione in espressione in una continua
metamorfosi che è alla base delle sperimentazioni letterarie, figurative e
spettacolari della contemporaneità.
1
CAPITOLO I
LA POTENZA DEL MATERNO
Volcanoes be in Sicily
And South America
I judge from my Geography
Volcanoes nearer here
A lava step at any time
Am I inclined to climb
A Crater I may contemplate
Vesuvius at home
(Emily Dickinson, Poema n. 1705)
2
1 – IL POTERE INCANDESCENTE DEL VULCANO
a) L’esplosione
Il potere e la forza traboccante dai poemi e dalle lettere di Emily Dickinson mi
conducono a riflettere sul suo non-comune e non-convenzionale coraggio di scrivere
nella società vittoriana in pieno ottocento, in cui “donna” è sinonimo di fragilità,
passività e malata innocenza
1
. Il genio di Dickinson, invece, si manifesta assumendo
le sembianze di una esplosione come la lava di un vulcano, immagine che lei stessa
crea in un poema e che Adrienne Rich riprende come asse portante del suo saggio su
“La bella di Amherst”
2
:
On my volcano grows the Grass
A meditative spot –
An acre for a Bird to choose
Would be the General thought –
How red the Fire rocks below –
How insecure the sod
1
Emily Elizabeth Dickinson nasce il 10 dicembre 1830 ad Amherst (Massachusetts), un piccolo centro di
religione e cultura puritana. Il padre Edward è un celebre avvocato che si adopera economicamente per la
fondazione della Amherst Academy nel 1814 e poi dell’Amherst College nel 1821. La madre, Emily
Elizabeth Norcross, è una donna dalla personalità piuttosto debole e quando nel 1875 viene colpita da paralisi,
Emily se ne occupa con cura e dedizione. Dal 1840 al 1847 frequenta la Amherst Academy e,
successivamente, si iscrive alle scuole superiori di South Hadley, da cui il padre la ritira dopo un anno.
Dickinson manifesta, intanto, un carattere fiero e indipendente, frequentando assiduamente i visitatori di casa
Dickinson, scrittori, filosofi e uomini di cultura, tra cui Ralph Waldo Emerson, Benjamin Newton e il
reverendo Charles Wadsworth, continuando i suoi studi da autodidatta e inizia a scrivere lettere, un modo
intimo per entrare in contatto con il mondo. Nel 1852 conosce Susan Gilbert, fidanzata e futura moglie del
fratello Austin, con la quale stringe un forte legame, testimoniato dalla corrispondenza epistolare e qualche
anno dopo avvia una corrispondenza con il colonnello scrittore Thomas Higginson, a cui si affida per un
giudizio letterario. Egli rimane impressionato dalla eccezionalità dello spirito, dell’intelligenza e del genio
della poetessa, pur ritenendo non pubblicabili le sue opere. D’altronde, Emily non intende dare alle stampe i
propri versi. Il 1862 è l’anno di maggiore produzione creativa: scioccata da numerosi lutti e
dall’allontanamento di Austin e Susan, Emily si ritira nella solitudine della sua stanza nella Homestead
paterna, dedicandosi esclusivamente alla scrittura. Nel 1886 si ammala gravemente e la diagnosi è: il morbo
di Bright, una malattia pericolosa e devastante che distrugge i nervi. Emily muore il 15 maggio dello stesso
anno ad Amherst, nella stessa casa in cui è nata. Cfr. B. Lanati, Vita di Emily Dickinson, Milano, Feltrinelli,
2000; M. Bulgheroni, Nei sobborghi di un segreto, Milano, Mondadori, 2002.
2
Adrienne Rich, “Vesuvius at Home: The Power of Emily Dickinson”, in A. Rich, On Lies, Secrets and
Silence, London, Virago, 1979, p. 157.
3
Did I disclose
Would populate with awe my solitude.
3
Il primo biografo ed editore di Dickinson, Thomas Johnson, vede in questo poema
la chiara espressione di una forza demoniaca che possiede il poeta e la conduce, come
sotto effetto ipnotico, a scrivere senza sosta. Ci sono varie espressioni nelle sue
poesie che si prestano ad una tale interpretazione, come nel poema 273:
He put the Belt around my life –
I heard the Buckle snap –
And turned away, imperial,
My Lifetime folding up –
Deliberate, as a Duke would do
A Kingdom’s Title Deed –
Henceforth, a Dedicated sort –
A member of Cloud.
Yet not too far to come at call .
And do call the little Toils
That make the Circuit of the Rest –
And deal occasional smiles
To lives that stoop to notice mine –
And kindly ask it in –
Whose invitation, know you not
For Whom I must decline? (Poema n. 273)
3
Emily Dickinson, Poema n. 1677, in Thomas Johnson (ed. by), The Poems of Emily Dickinson,
Cambridge: Mass., The Belknap Press of Harvard University Press, 1955. Nelle successive citazioni,
riprese da questa edizione, verrà indicato solo il numero della poesia tra parentesi.
4
Rich suggerisce una diretta ed esplicita relazione tra il poeta ed il suo demoniaco
genio, sinonimo di potere creativo. Ted Hughes si esprime chiaramente al riguardo,
considerando il potere estremo della poesia di Dickinson in questi termini:
The eruption of [Dickinson’s] imagination and poetry followed when she shifted
her passion, with the energy of desperation, from [the] lost man onto his only
possible substitute, - the Universe in its Divine aspect…Thereafter, the marriage
that had been denied in the real world, went forward in the spiritual…just as the
Universe in its Divine aspect became the mirror – image of her “husband”, so
the whole religious dilemma of New England, at that most critical moment in
history, became the mirror-image of her relationship to him, of her “marriage”
in fact.
4
Fig. A) Anna Tintori, Esplosione
La scelta dell’eterno nubilato non è la manifestazione, come John Cody asserisce,
di una patologia né una decisione consapevole di Dickinson; è semplicemente la
necessità di prediligere altri aspetti della vita per soddisfare più elevati bisogni. A
dispetto di quanto la tradizione della sua epoca impone, Dickinson non diviene la
vergine religiosamente devota; si mostra, al contrario, eretica ed eterodossa nelle
4
T. Hughes, A Choice of Emily Dickinson’s Verse, London, Faber & Faber, 1968, p. 11.
5
opinioni religiose e rimane totalmente fuori dalla Chiesa e dal dogma, realtà troppo
strette da adattare all’immaterialità informe della sua incandescente immaginazione.
E’ difficile spiegarsi a chi Dickinson permetta di metterle “la Cintura intorno alla
vita”, come esprime chiaramente nel poema 273. Rich interpreta il poema come la
massima espressione della relazione del poeta con il suo potere, esteriorizzato in una
forma maschile “He”.
Il ruolo affidatole la segna in modo irreversibile, incastrandola nella stretta
“fibbia” di un’esistenza che non sceglie, ma accetta. Dickinson si cela dietro il
proprio potere, fingendosi “vittima” di un’invisibile forza che le toglie il respiro e la
costringe a piegarsi ad una volontà prepotente che vince la sua ribellione.
Ingannevolmente Emily mi trascina con sé nel dolore che la “possiede” fino a
farmi dimenticare chi è lei e chi sono io e, prendendomi per mano, mi lascia entrare
nel suo reame di mistero dove non è più giorno né notte, dove non c’è più tempo né
spazio ma solo un’esplosione convulsa e senza tregua di cui nessuno è responsabile
all’infuori di lei. Sono totalmente in suo “potere”, è lei a possedermi più che essere
posseduta, grazie alla forza traboccante della poesia che Rich descrive come: “The
writing poetry”.
5
b) La lava.
La produzione poetica di Dickinson ammonta a quasi duemila poemi, 366 dei
quali prodotti solo nel 1862, l’anno più intenso della sua lunga attività letteraria. Ciò
che per Emily significa scrivere è paragonabile a ciò che per un vulcano significa
eruttare.
5
A. Rich, On Lies, Secrets and Silence, cit., p. 171.
6
Fig. B)
I. Friedlaender, L’eruzione
del Vesuvio
La lava incandescente si eleva dalle profondità della terra, prende velocità traendo
forza dalle viscere e sale fin su il cratere per esplodere, quasi a toccare il cielo per
inondare la terra circostante come un fiume di fuoco che, raffreddandosi, si trasforma
in pietra immortale.
E’ esattamente ciò che accade in Dickinson: la brace ardente del suo genio e il
potere incandescente della sua sensibilità esplodono nella notte tranquilla della vita,
per assumere le sembianze di un vulcano tanto silenzioso quanto distruttivo:
A still – Volcano – Life –
that flickered in the night –
When it was dark enough to do
Without erasing sight –
A quiet – Earthquake Style –
Too smouldering to suspect
By natures this side Naples –
The North cannot detect
7
The Solemn – Torrid – Symbol –
The lips that never lie –
Whose hissing Corals part – and do –
And Cities – ooze away –
(Poema n. 601)
Il poema segue esattamente le fasi progressive di una eruzione messa a confronto
con la vita che, apparentemente tranquilla e discreta, luccica senza “troppo clamore” e
si tramuta in una quiete, stile terremoto, ardente ma silenziosa.
Dopo l’esplosione la lava a contatto con l’aria si raffredda, i gas avvolgono
l’atmosfera ed il liquido magmatico si trasforma in brace che dal colore rosso assume
una sfumatura di grigio scuro. Dickinson sente il fuoco di un’estasi silenziosa che,
come un subdolo demone, le dilania l’anima. Pian piano, proprio come il magma, tale
forza, originata dalle viscere del suo essere, esplode. Quest’ultimo poema esprime
esattamente la fase successiva alla esplosione quando la lava (la poesia) si raffredda a
contatto con l’aria fredda (l’indifferenza del mondo esterno) e non lascia trapelare il
fuoco che ancora arde sotto lo strato di brace (il genio). In Dickinson il potere della
creazione poetica assume dimensioni tali da superare persino il terribile potere
distruttivo di un vulcano che, una volta esploso, dopo aver manifestato la sua
superiorità, si riaddormenta. La forza del genio di Dickinson, invece, apparentemente
raffreddata dal contatto con l’aria del mondo, si cela dietro una quiete che non funge
che da coperchio momentaneo ad una bomba che urla: VITA!
8
c) L’origine
La lava procede per tappe il suo percorso, traendo origine dal punto più profondo
della terra dove è solo fuoco. Dickinson, come un vulcano, attinge forza da una
origine senz’altro non comune, ricavando da quell’abisso l’ “humus” necessario per
alimentare l’intera sua esistenza di artista.
All’origine di un grande talento c’è sempre un’esperienza, un evento, un incontro
oppure una perdita. Secondo Hélène Cixous, ad esempio, ci vuole una morte per
iniziare a scrivere, è la perdita della persona amata che rende possibile il passaggio da
questo mondo ad un altro:
Ci vuole la morte, ma giovane, presente, feroce, fresca, la morte del giorno, la
morte d’oggi. Che arriva al nostro fianco così d’improvviso da non lasciarci il
tempo di evitarla, voglio dire di evitare di sentirci toccare dal suo respiro. Ha!
6
Scrivere diventa, dunque, lo sforzo per non dimenticare l’origine scomparsa; è
così per ogni scrittore, ciascuno con il suo inizio, il suo ricordo, la sua origine.
Ci vuole una morte per iniziare, “la fredda, feroce morte”, la stessa che Dickinson
affronta moltissime volte nella sua vita. A soli 14 anni si ritrova a guardare in faccia
la silenziosa, inaccessibile, impenetrabile morte, quando la sua più cara amica si
ammala gravemente e muore, così, d’improvviso, senza neanche poterla salutare.
7
Questo è un evento significativo per la giovane Emily che ancora adolescente ha
l’occasione di conoscere la “morte presente”, di cui parla Cixous.
Il cuore di poeta di Emily, però, ha cominciato a battere già da qualche tempo e
non è la morte ad aprirle la strada verso la poesia; piuttosto è la lava incandescente di
quel vulcano che Emily sente sgorgare dalle viscere del proprio essere e che riposa
6
H. Cixous, Tre Passi sulla Scala della Scrittura, trad. it. a cura di Silvana Carotenuto, Roma, Bulzoni, 2002,
p. 33.
7
B. Lanati, op. cit., p. 20.
9
negli abissi di una più profonda origine: la madre. Il fondo della terra, su cui giace il
magma, come massa liquida ed incandescente, diventa per Dickinson l’involucro
cavo e capiente del grembo materno da cui ha origine per lei anche la scrittura. La
nascita del giorno, la nascita di un bambino, la nascita della scrittura sono precedute
dal buio di una esperienza drammatica; per la lava è il passaggio dall’oscurità della
terra alla luce; il magma della poesia di Dickinson si inebria, invece, di un humus
totalmente diverso, ma che trae ugualmente origine da un cuore di tenebra: l’oscuro
fondo della matrice (Mater).
Luisa Muraro, scavando nei sotterranei del proprio “inizio”, si ritrova faccia a
faccia con la madre e, soprattutto, con la consapevolezza di non averla amata da
sempre. Muraro ha l’intenzione di andare all’origine della filosofia, cercando la
propria indipendenza dalla realtà data ed, inoltrandosi verso il principio delle cose per
capire e capirsi, scopre di scontrarsi con la sua vera origine: la madre.
8
Muraro cerca
l’origine per dare un senso al fare filosofia e si riscopre, a sua insaputa, totalmente
avversa all’autrice della sua vita e la filosofia l’aiuta a rianimare questa oscura
relazione. Come Muraro, anche Dickinson non sa di stare cercando l’origine, quando
scrive: “I never had a mother”.
9
Emily crede, a mio parere, di essere sola, quando in
realtà sta cercando solo la sua matrice, la culla segreta da cui trarre il suo fiero
orgoglio di donna e scrittrice. Muraro trova la via d’uscita nella politica delle donne
che, rivalutando il potere della madre nella costituzione della sensibilità della figlia, le
insegna che:
Per la sua esistenza libera una donna ha bisogno, simbolicamente, della potenza
materna, così come ne ha avuto bisogno materialmente per venire al mondo.
10
8
L. Muraro, L’ordine simbolico della madre, Roma, Riuniti, 1991, p. 8.
9
E. Dickinson, Lettera n. 342b, in T. Johnson (ed. by), The Letters of Emily Dickinson, USA, The Belknap
Press of Harvard University Press, 1958. Nelle successive citazioni, riprese da questa edizione, verrà indicato
solo il numero della lettera tra parentesi.
10
L. Muraro, op. cit., p. 9.
10
Muraro scopre improvvisamente di essere nata in una cultura in cui non si insegna
l’amore della madre alle donne; eppure, è il sapere più importante, senza il quale è
difficile imparare il resto ed essere “originali” in qualcosa:
Improvvisamente mi accorgo che l’inizio cercato è davanti a me: è il sapere amare la
madre. Che lo sia, è certo perché altri inizi non sono possibili per me: questo
soltanto, infatti, rompe il circolo vizioso e mi fa uscire da una trappola di una cultura
che, non insegnandomi ad amare mia madre, mi ha privata anche della forza
necessaria a cambiarla, lasciandomi soltanto quella di lamentarmi, indefinitamente.
Ma come imparerò? Chi mi insegnerà? La risposta è semplice: mi insegnerà la
necessità in cui sono, che è così grande e così maestra che già ho imparato. Già so
cos’è questo sapere amare la madre e scopro che era in me da sempre e che mi ha
sempre assistita nella mia ricerca dell’ordine che potrà darmi l’indipendenza
simbolica.
11
Questo dà, allora, un senso ad una delle più emblematiche espressioni di
Dickinson che, scrivendo a Thomas Higginson, il suo maestro, esprime
apparentemente l’insicurezza di una bambina: “How to grow up, I don’t know.”
12
L’apparente atteggiamento infantile di Emily trae in inganno, lasciandoci credere di
voler cercare davvero un maestro da cui imparare. Proprio come per Muraro,
Dickinson è alla ricerca, più che di una guida, di un inizio, di un’origine, una matrice
che l’aiuti a capire e a capirsi. La capacità di attingere alla fonte inesauribile che lega
madre e figlia è, a mio avviso, la carta vincente su cui Dickinson, inconsapevolmente,
punta tutta sé stessa non accorgendosi che quel magma incandescente del suo genio
poetico non può trarre forza che da un’altra donna e dall’amore che impara solo col
11
Ibid., pp. 13-14.
12
E. Dickinson, Lettera n. 261.
11
tempo a ricambiare e che Muraro definisce un segno di “riconoscenza” per “l’autrice
della vita”.
13
Anche Cherríe Moraga, poetessa e scrittrice chicana, in Love in the War Years, fa
riferimento a quell’unica catena che stringe tutte le donne in nome di una fedeltà alle
madri e alle madri delle madri, che non fa altro che perpetuare un’eterna storia
d’amore, quella che le figlie vivono rispetto alle madri:
Sono ancora la figlia di mia madre. Pensateci, sono le figlie. Sono le figlie che
rimangono fedeli alla madre. L’unica donna accanto a cui si rimane.
14
13
L. Muraro, op. cit., p. 9.
14
C. Moraga, Love in the War Years, Boston, South End Press, 1983, p. 7.