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PREMESSA
La presente tesi è incentrata sul tema dei controlli nelle imprese aventi forma
giuridica di s.r.l., su chi è preposto a tale funzione e sul come debba svolgerla,
sull‟evoluzione della normativa specifica, su come i controlli agiscano sulle
società e sulle ricadute degli stessi sulla vita aziendale e, visto il numero più
che rilevante di s.r.l. presente in Italia, sui risvolti possibili nel contesto
macroeconomico nazionale.
È proprio la forte presenza delle s.r.l. sullo scenario economico nazionale la
principale motivazione che mi ha spinto a soffermarmi sui controlli in tale
categoria di imprese, in modo particolare sui casi di istituzione obbligatoria
dell‟organo di controllo.
Dal 2003 ad oggi stiamo assistendo ad un incremento continuo, sia quantitativo
che dimensionale, della presenza delle s.r.l. nel tessuto produttivo italiano e tale
incremento, non relativo ma assoluto, valutato anche in rapporto alla quota di
partecipazione alla formazione del p.i.l. nazionale, ha portato le stesse s.r.l. a
poter (se non addirittura a dover) essere considerate come l‟ossatura portante
del sistema imprenditoriale italiano. Ovviamente, anche se non rimarcato, il
fattore dinamicità che caratterizza le s.r.l. non va assolutamente taciuto, né
tantomeno trascurato.
Relativamente alla dinamica dimensionale delle s.r.l., possiamo osservare
come in un decennio di evoluzione, nel panorama imprenditoriale italiano si
siano sviluppate s.r.l. molto vicine, nelle dimensioni, nel fatturato e nella
rilevanza sociale, alle s.p.a. non quotate di maggiori dimensioni. In un‟analisi
più dettagliata possiamo rilevare ancora come tra le s.p.a. non quotate
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convivano società anche grandissime, come la Ferrero, e società piccolissime
con volume d‟affari molto ridotto, capitale minimo legale, poche riserve o
addirittura nessuna riserva. Specularmente lo stesso avviene nelle s.r.l. dove
possiamo spaziare, ad esempio, dall‟ Ikea alle affiliate italiane della Coca Cola
Corporation e della Philip Morris. Quindi la ragione sociale di s.p.a. o di s.r.l. di
per sè non è assolutamente indicativa della potenza dell‟azienda e, sebbene
ancora oggi le s.p.a. continuino a restare mediamente più grandi delle s.r.l.,
stante l‟evoluzione registrata dal 2003 ad oggi, c‟è verosimilmente da aspettarsi
che tale gap dimensionale possa sempre più affievolirsi.
Tutto quanto detto rappresenta il supporto logico alla tesi che voglio sostenere.
In tale scenario, quindi, sarebbe ovvio aspettarsi che, all‟aumentare della
rilevanza sociale delle imprese, qualunque sia il modello societario, dovrebbero
aumentare i controlli al fine di tutelare l‟intero assetto imprenditoriale e tutto
quanto ad esso connesso - intendendo in ciò compresi i dipendenti, i fornitori, le
imprese correlate e tutto quanto a sua volta correlato a queste categorie (altri
dipendenti, altri fornitori, altre imprese) e via di seguito per ulteriori livelli - dagli
effetti riflessi che si potrebbero generare, anche se progressivamente più
sfumati in funzione del posizionamento sempre più lontano dall‟impresa che
rappresenta l‟epicentro della crisi. Si genera dunque un‟attenuazione sempre
maggiore degli effetti, ma non per questo trascurabile, visto che, anche se
diluiti, la somma di molti effetti minimi determina un effetto negativo totale più
che apprezzabile. Quanto appena detto può considerarsi un valido assunto,
vista la grave crisi economica che stiamo vivendo ormai da troppi anni e che,
solo ora, sembra dare i primi timidi segnali di superamento.
Il legislatore ha scelto invece una via diametralmente opposta, optando, nel
corso degli anni, e parallelamente all‟incremento del peso sociale ed economico
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delle s.r.l., per una riduzione degli stessi controlli. Basta una veloce confronto
storico per vedere come effettivamente le s.r.l. fossero sottoposte a maggiori
controlli nel 2003 piuttosto che oggi.
Lo scopo essenziale del controllo è quello di evitare atti di mala gestio che
possano determinare crisi d‟impresa con i conseguenti effetti negativi a cascata
che ho già descritto brevemente. In tale prospettiva, legiferare in uno scenario
di crisi economica generale, con tutte le potenzialità negative evidenziate,
avrebbe dovuto comportare automaticamente la scelta di un aumento dei
controlli partendo dal presupposto che una crisi aziendale che si insinua in una
crisi nazionale è molto più devastante che se la stessa crisi aziendale si
verificasse in uno scenario macroeconomico di segno opposto. E questo
perché, non solo le aziende, ma principalmente le persone che le costituiscono
e costituiscono quelle aziende e quelle famiglie che subiscono i danni correlati,
in uno scenario di crisi generale hanno poche, se non addirittura nulle,
possibilità di sopperire in modo alternativo agli effetti della crisi. Penso che sia
nella memoria di tutti il numero impressionante di suicidi tra gli imprenditori, in
primo luogo, che la cronaca ha registrato negli ultimi anni.
Il vecchio detto che la necessità aguzza l‟ingegno e che, specialmente quando
si è sotto stress, “il genio del male è più prolifico del genio del bene”, ci
autorizza a supporre che gli imprenditori con l‟azienda in stato di crisi, e che
sicuramente dal loro punto di vista considerano tale stato come dovuto alla
sfortuna e rappresentano se stessi come “onesti ma sfortunati”, sicuramente
riterranno giusto, quantomeno la maggior parte di essi, operare per salvare il
proprio investimento e riportare la propria azienda in bonis, giustificando
eventuali loro operazioni, non propriamente limpide se non addirittura
fraudolente, con la necessità di salvare posti di lavoro e introiti familiari e
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varcando il confine, tanto più labile quanto maggiore è l‟autoconvinzione di
dover operare per controbattere una sfortuna immeritata, della legalità,
trasformandosi così in “disonesti e sfortunati”.
Cerchiamo ora di analizzare gli eventi da un‟ulteriore prospettiva.
La crisi economica e finanziaria del 2006 è stata l‟innesco della crisi per molte
imprese, comportando un aumento del numero dei fallimenti in modo rilevante,
fino al 60%. Un numero elevatissimo di imprese del sistema imprenditoriale
italiano è stato messo in ginocchio, o addirittura espulso dal mercato. Dal 2003
al 2015, in uno scenario di crescita dimensionale e numerica delle s.r.l.,
particolarmente incidente è stata la legge di Darwin che ha consentito solo alle
imprese più forti, e capaci di adattarsi ai cambiamenti del mercato, non solo di
restare operative ma anche di mantenere una variazione pressoché irrilevante
in termini di fatturato. Addirittura, le più forti hanno potuto beneficiare di una
riduzione della concorrenza a causa degli effetti della crisi su altre aziende del
settore, e quindi di un aumento del fatturato, conseguente alla contrazione del
settore stesso, oltre ad un aumento delle dimensioni d‟impresa. E‟ evidente
come le imprese che maggiormente hanno risentito della crisi siano proprio le
piccole e come la difficoltà delle stesse sia tale da mettere a rischio la
sopravvivenza di questa dimensione aziendale nello scenario imprenditoriale
italiano.
La via scelta dal legislatore, per soccorrere le aziende al di sotto di una certa
dimensione, è stata quella di programmare una riduzione dei costi per le stesse.
Dunque, così come bisogna prevedere che all‟aumentare della rilevanza sociale
dell‟azienda debba corrispondere un aumento dei controlli, bisogna anche
prendere come assunto che, per permettere alle imprese di continuare ad
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operare su un mercato in crisi, che produce una diminuzione rilevante dei
profitti, bisogna fare corrispondere necessariamente una diminuzione dei costi.
E l‟intervento di riduzione dei costi aziendali è stato scelto di effettuarlo anche
nel settore dei controlli.
Si realizza, quindi, nel campo dei controlli societari, un trade off tra efficacia del
controllo e il risparmio sui costi d‟impresa, in cui risiede il fulcro delle manovre
legislative in materia di controlli societari.
In sintesi, possiamo affermare che un aumento dei controlli determina
necessariamente un aumento dei costi per le imprese ma, di conseguenza, un
aumento dei costi è inconciliabile con la possibilità di sopravvivenza delle
imprese sul mercato in uno scenario in cui le avverse condizioni
macroeconomiche fanno presumere un livello di ricavi tendente sempre più a
diminuire, aumentando di conseguenza l‟incidenza percentuale dei costi fissi,
che le imprese devono sostenere, sul fatturato delle stesse.
Il legislatore sicuramente non poteva rimanere indifferente a tale situazione
tant‟è che l‟obiettivo primario, oggi, è, e non potrebbe essere diversamente,
quello di rilanciare il sistema produttivo imprenditoriale. Ciò comporta
l‟interessamento di ogni settore dove sia possibile ottenere un risparmio per le
piccole e medie imprese, toccando in estrema ratio anche il campo dei
controlli.
In materia di controlli societari, il legislatore è intervenuto mettendo in atto uno
scardinamento del modello di controllo “tradizionale” del nostro sistema
imprenditoriale. Guardando infatti in modo critico le manovre operate nell‟ultimo
quinquennio, è possibile notare come Il legislatore, dopo un‟iniziale aumento dei
controlli nelle s.r.l. nel 2010, dal 2012 in poi, in sostanza, ha scelto di dare
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maggiore rilevanza alla necessità di ridurre i costi fissi a carico delle piccole e
medie imprese piuttosto che a mantenere lo stesso livello o ad incrementare i
controlli in seguito all‟aumento della rilevanza sociale.
Il legislatore ha cercato di conseguire tale obiettivo, in primo luogo con una
diminuzione del numero dei componenti dell‟organo di controllo e in seguito con
la progressiva esclusione dal controllo obbligatorio di determinate categorie di
imprese, lasciando così come unica tipologia di controllo quella dei soci, nei
casi in cui le stesse non scelgano di nominare facoltativamente l‟organo di
controllo. In quest‟ultima direzione sembrano, inoltre, muoversi i prossimi
interventi legislativi del 2015, relativamente al d.lgs. di attuazione della direttiva
2013/34, in fase di sviluppo da parte del legislatore.
Dal 2003 al 2015 si sono succeduti molteplici interventi legislativi con la
conseguente emanazione di nuove norme, in tema di controlli societari, per
disciplinare i casi di istituzione obbligatoria dell‟organo di controllo, non sempre
chiare o condivise dagli organi professionali. In merito ai casi di nomina
obbligatoria dell‟organo di controllo, gli interventi legislativi sono riconducibili
essenzialmente al d.lgs. 39/2010, alla legge di stabilità del 2012 e al c.d.
decreto competitività del 2014, i quali hanno stravolto le casistiche di nomina
obbligatoria dell‟ organo di controllo. In breve,
il 39/2010 ha determinato un aumento dei casi di nomina obbligatoria
dell‟organo di controllo, introducendo la nomina obbligatoria nel caso in
cui la s.r.l. sia tenuta alla redazione del bilancio consolidato o nel caso in
cui una s.r.l. controlli una società obbligata alla revisione legale dei conti;
la legge di stabilità del 2012 ha consentito la possibilità di ridurre i
componenti dell‟organo di controllo introducendo l‟alternativa tra collegio
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sindacale, sindaco unico e revisore dando nel contempo ai soci la facoltà
di scegliere la tipologia di controllo più consona alle esigenze dettate
dalla dimensione dell‟impresa;
il c.d. decreto competitività del 2014 ha determinato infine una rilevante
riduzione del numero delle imprese che rientrano nelle casistiche di
istituzione obbligatoria dell‟organo di controllo con l‟abrogazione del
limite minimo del capitale sociale al superamento del quale l‟organismo
diventava obbligatorio.
Nelle pagine che seguono, analizzerò nel dettaglio tali interventi legislativi,
facendo emergere la mia critica su ciò che è avvenuto e prospettando quale
dovrebbe essere, a mio avviso, l‟organo predisposto al controllo, e se lo stesso
debba essere monocratico o pluripersonale, in funzione della dimensione
d‟impresa, della tipologia del controllo e del risparmio sui costi. Prima di
soffermarmi ad analizzare gli interventi legislativi testé evidenziati, ho ritenuto
opportuno analizzare quali siano gli organi preposti al controllo nelle s.r.l.
secondo l‟attuale assetto dei controlli societari previsto ex legem.