4
contributi in tema apportati sia da autori e studiosi della teoria classica sulle
Organizzazioni Complesse, che autori degli studi più recenti e moderni.
Principale contributo all’elaborazione del sistema cooperativo sarà
individuato in Chester Barnard, autore de “Le funzioni del dirigente”, testo di
basilare e cruciale importanza per gli studi anche più recenti in ordine alla
definizione del sistema cooperativo, del clima organizzativo nonché in ordine
alla definizione del concetto di potere e dei rapporti da esso connotati. Sempre
in questo capitolo, per una più completa descrizione e specificazione della
categoria cooperativa, verrà utilizzata la efficace quanto appropriata metafora
dell’organizzazione come “trama”, tratta dall’omonimo testo di Piero Romei,
studioso e docente della Teoria delle Organizzazioni complesse. In esso si fa
riferimento alla metafora della “trama” per porre enfasi sull’aspetto della
stretta interconnessione e correlazione tra unità e gruppi della stessa
organizzazione, osservando le organizzazioni complesse alla luce della
dimensione “organica”, evidenziandone l’aspetto della cooperazione,
contrapposta alla dimensione conflittuale.
Gli aspetti conflittuali delle relazioni interne ad un’organizzazione verrà
affrontata, invece, nel secondo capitolo. In questa accezione si parlerà della
metafora dell’”arena”, utilizzabile, ereditando un termine weberiano, come
“idealtipo” opposto a quello del sistema cooperativo di cui si è trattato prima. In
questo capitolo saranno affrontati i temi ed i concetti che contribuiscono a definire
gli aspetti più problematici di un sistema organizzativo, correlati alla gestione dei
conflitti intraorganizzativi, alle forze centrifughe ed alle dinamiche di potere che
caratterizzano tali contesti. Anche in riferimento a questo argomento ci si è
avvalso del contributo di autori classici come Amitai Etzioni, Michel Crozier,
Emile Durkhaim, Georg Simmel, ecc.
Tale approccio analitico fonda le sue basi su un’interpretazione
dell’organizzazione come fenomeno duale: in essa, infatti, si sviluppano
dinamiche centripete, tendenti cioè a conferire e mantenere unitarietà
all’organizzazione, privilegiando atteggiamenti ed azioni tese a coordinare,
integrare e controllare gli apporti delle singole unità che compongono
5
l’insieme organizzativo; al contempo, ed in senso contrario, si sviluppano in
essa anche dinamiche centrifughe, ciò a dire atteggiamenti delle stesse singole
unità che sono tesi a mantenere la loro propria identità individuale con le
proprie specifiche caratteristiche, anche quando esse si pongano in netto
contrasto con le caratteristiche unitarie e integranti dell’organizzazione stessa.
1
Pertanto, all’interno di ogni singola organizzazione è sempre presente
questa complessa dicotomia, che caratterizza, in virtù della “coesistenza” delle
due forze, il grado di cooperazione/arena e quindi di integrazione intra-
organizzativa.
Una volta analizzati i singoli estremi di questo continuum concettuale
che si estende dall’idealtipo del “sistema cooperativo” a quello proprio di
“arena”, compito del capitolo terzo sarà quello di effettuare un’analisi
comparativa delle due connotazioni per sostenere che nella realtà dei sistemi
organizzativi è improbabile, se non impossibile, che si realizzi solo una delle
due connotazioni. Si sosterrà invece che ogni realtà organizzativa sarà
connotata come una sintesi delle due realtà, affermando che ad ogni sistema
organizzativo corrisponde di fatto una propria identificazione e collocazione
all’interno di questo ideale continuum.
Si analizzerà anche il concetto di “impresa”, inteso come termine
sintetico atto ad indicare una posizione di equilibrio di un determinato sistema
organizzativo in funzione delle due connotazioni - “sistema cooperativo”
“arena” – della variabile delle interazioni intraorganizzative.
Nel quarto ed ultimo capitolo si analizzerà la seconda variabile di
analisi consistente nella dicotomia “pubblico/privato”, distinguendo i due
principali tipi di struttura organizzativa.
Obbiettivo di questo capitolo sarà quello di operare un raffronto dei due
tipi di organizzazione, una, l’organizzazione pubblica, basata su una
razionalità burocratica intesa nel senso classico weberiano, con le tipiche
caratteristiche di un sistema centralizzato, di una struttura gerarchica, di
impersonalità delle decisioni, ecc..; l’altra, l’organizzazione privata, basata su
1
Romei, P.: L’organizzazione come trama, CEDAM, Padova, 2000.
6
una razionalità di tipo imprenditoriale caratterizzata da un ambiente
competitivo e da elevata sensibilità ai mutamenti dell’ambiente esterno, con
strategie e procedure manageriali e meritocratiche improntate su una struttura
versatile avente caratteristiche a volta opposte a quella pubblica.
In tale ottica si cercherà di analizzare come determinate caratteristiche
del sistema organizzativo pubblico assumano un valore diverso e talvolta
contrario a quello del sistema organizzativo di tipo privato. In questo contesto
vanno inserite le diverse interpretazioni di fenomeni come il conflitto
intraorganizzativo, la leadership, il processo decisionale, le dinamiche di
potere, il concetto di autorità, i concetti di efficacia ed efficienza, l’importanza
delle risorse umane, la definizione e la condivisione degli obbiettivi, ecc..
Infine le conclusioni verteranno su un tentativo di analisi diacronica di
tali sistemi organizzativi, cercando di individuare una possibile evoluzione di
entrambe i sistemi in futuro. Tale analisi trae origine dall’evoluzione dei due
tipi di organizzazione, già avviata da qualche tempo, sostenendo che non
necessariamente i due tipi di sistemi – pubblico e privato – convergeranno
verso una posizione comune. Ma, anzi, si sosterrà che tale evoluzione origini
da esigenze diverse e che più che di convergenza potrà parlarsi di “scambio di
posizione” in cui ognuno dei due sistemi tenderà ad adottare connotazioni e
razionalità proprie dell’altro.
Un ultimo accenno in questa breve introduzione va fatto in riferimento
alla metodologia di analisi utilizzata.
Occorre prima di ogni altra considerazione, al fine di evitare facili
confusioni interpretative, chiarire quale sia il livello di analisi in riferimento
all’oggetto principale di studio. Come si avrà modo di constatare dalla lettura
della tesi, l’oggetto principale, l’elemento focale, oggetto di analisi è la
dimensione delle dinamiche sociali interne all’organizzazione, siano esse
conflittuali o cooperative, in cui importanza essenziale assumono l’individuo
ed il gruppo. L’ottica di analisi è quindi unicamente intra-organizzativa – ossia
un approccio «micro» – e trascura deliberatamente, se non utile alle tesi
sostenute, il rapporto tra le organizzazioni e l’ambiente esterno.
7
Tale specificazione è di importanza saliente in considerazione del fatto
che le dinamiche oggetto di studio sono diverse, addirittura opposte, se
considerate sotto la luce dei rapporti tra organizzazioni ed ambiente esterno,
che possiamo definire «macro». Infatti, si cercherà di sostenere la tesi secondo
cui al livello intra-organizzativo le organizzazioni maggiormente predisposte
al conflitto e ad una sua visione negativa sono le strutture burocratiche-
pubbliche. Mentre, al contrario, le organizzazioni che favoriscono le energie
centripete e di integrazione del gruppo, tese ad una cultura organizzativa
cooperativa sono le imprese private di piccole e medie dimensioni. L’unità di
analisi in tale approccio è l’individuo, come singolo o in gruppo. Ma questo
tipo di tesi non può essere trasposta alla realtà «macro» in cui l’unità di analisi
è l’organizzazione e le dinamiche studiate sono quelle proprie dell’interazione
tra organizzazioni e tra organizzazione ed ambiente. Sotto questa ottica lo
studio sulla base delle due variabili privato/pubblico e conflitto/cooperazione
assume connotazioni totalmente opposte. Pare ovvio che l’ambiente di
mercato, dove si trovano ad interagire organizzazioni di tipo imprenditoriale
sia caratterizzato da una elevata e crescente competitività, mentre per quanto
riguarda l’interazione tra strutture burocratiche – e con strutture burocratiche –
non potrà che assumere connotazioni cooperative e di integrazione.
Si è cercato quindi di analizzare gli apporti concettuali di autori diversi
ed anche di opposte posizioni teoriche, specialmente della teoria classica delle
organizzazioni complesse, in ordine alle salienti caratteristiche strutturali e
costitutive delle organizzazioni. In virtù di questo, si è cercato inserire gli
apporti più recenti della moderna teoria, necessari per cercare di offrire
un’interpretazione dell’evoluzione delle organizzazioni, siano esse di tipo
pubblico che privato.
Di enorme utilità per tale scopo si sono rivelati i testi dei moderni
teorici e studiosi della scienza delle organizzazioni, nonché i numerosi articoli
pubblicati sulle maggiori e più autorevoli riviste del settore, provenienti dalla
ricerca europea e nordamericana.
8
CAPITOLO 1: L’ORGANIZZAZIONE COME SISTEMA COOPERATIVO
1.1 Individuo, organizzazioni formali ed informali.
Attingendo alla condivisa teoria di Chester J. Barnard, una volta
definite come oggetto di studio le dinamiche interne alle organizzazioni
complesse, è utile se non necessario analizzare le realtà organizzative, ma
anche sociali, sotto il duplice aspetto di organizzazioni formali ed informali.
Ma prima di fare ciò è opportuno definire il concetto di individuo,
avvalendosi per questo di un’eredità teorica e letteraria di degna consistenza e
rappresentata da eminenti studiosi in particolare in materia di scienze sociali
ancor prima che organizzative.
Sulla base di teorie squisitamente organizzative è lo stesso Chester J.
Barnard che ci definisce le caratteristiche e le dinamiche individuali in
rapporto a quelle proprie delle organizzazioni. Questi considera l’uomo in una
duplice dimensione. Da una parte pone l’accento sull’individuo come
“singolo”, con le proprie caratteristiche individuali, caratteriali, con la propria
storia e reputazione; dall’altra l’individuo appare come parte
dell’organizzazione cui appartiene come un tutto unico, perdendo le proprie
caratteristiche prettamente individuali, venendo considerato e analizzato come
elemento non più dominante, ma secondario. In questa seconda accezione vi è
grande disaccordo nel definirne la natura e l’essenza.
2
E’ utile continuare a far riferimento allo stesso Barnard per ciò che
concerne in modo più specifico la definizione delle connotazioni
dell’individuo, soprattutto perché gran parte di questa trattazione attinge in
modo generoso alle sue teorie, al fine di affrontare l’aspetto cooperativo ed
organico delle organizzazioni complesse.
In linea con quanto ripromesso, costituisce un passaggio obbligato
l’esame delle caratteristiche dell’individuo come entità singola, unica ed
2
C.J. Barnard, Le funzioni del dirigente, Utet, Torino, 1970.
9
indipendente, che si connota per fattori fisici, biologici e sociali ed in quanto
partecipante a specifici sistemi cooperativi. In questo senso l’individuo viene
considerato funzionalmente, come fase della cooperazione.
3
Questi due aspetti dell’individuo, va ben inteso, non si auto escludono a
vicenda, bensì vanno concepiti come alternati e sempre presenti nella persona.
Una persona, infatti, oltre che essere “individuo”, ossia un’entità unica, è
sempre al contempo una componente di diverse entità organizzative e quindi
membro funzionale di una qualche organizzazione. E spesso
quest’appartenenza è anche inconsapevole e involontaria. Basti considerare si
definisce organizzazione anche quella detta «effimera», cioè sorta
spontaneamente in un dato momento, per un fine ben definito e per una breve
durata, finché è in atto un evento che accomuna i suoi partecipanti. Si pensi,
per estrema semplicità, al gruppo di persone in attesa dell’autobus alla fermata
o al gruppo di persone che aiuta a spingere un veicolo rimasto in panne per
aiutare lo sfortunato conducente e ripristinare la circolazione. Entrambi gli
aspetti, individuale e sociale, sono sempre presenti nei sistemi cooperativi.
Ma che cosa è un sistema cooperativo? Secondo Barnard esso è «un
complesso di componenti fisiche, biologiche, personali e sociali che sono in
una specifica relazione matematica a causa della cooperazione di due o più
persone per almeno un fine definito»
4
. Se, invece, si fa riferimento ad una
definizione che escluda come componenti le persone, l’ambiente fisico e
sociale, allora la definizione più idonea ed accurata indica un’organizzazione
come «un sistema di attività o forze personali consapevolmente coordinate».
Per quanto riguarda, invece, la definizione del concetto di
organizzazione formale, occorre prima di tutto identificarne le caratteristiche
salienti, che sono riducibili a tre: a) la comunicazione; b) la volontà dei suoi
appartenenti a dare un contributo nell’organizzazione ed a cooperare; c) il fine
comune. Un sistema organizzativo formale deve necessariamente possedere
tutti gli aspetti sopra descritti e in esso vi è la sintesi degli stessi.
3
Ibidem, p. 26.
4
Ibidem, p. 67.
10
La condizione ottimale per un’organizzazione formale è il
raggiungimento di uno stato di equilibrio. Si parla, prima di tutto di equilibrio
interno, qualora sia riferito ai tre aspetti dell’organizzazione precedentemente
citati, mentre si parla di equilibrio esterno se ci si rivolge al rapporto tra
l’organizzazione e l’ambiente esterno. Complessivamente, questo equilibrio è
necessario per la sopravvivenza dell’organizzazione stessa.
Ciò per anticipare uno degli aspetti fondamentali dell’organizzazione in
relazione alla propria sopravvivenza, che sarà trattato successivamente e che
attiene ai due concetti di efficacia ed efficienza dell’organizzazione. Per
efficacia si intende la rilevanza degli scopi dell’organizzazione rispetto al
contesto ambientale, mentre il concetto di efficienza si riferisce
all’interscambio tra l’organizzazione formale e gli individui che la
compongono.
La comunicazione, il primo degli elementi di un’organizzazione
formale, ha una connotazione di particolare rilevanza ed importanza e verrà
trattata nei capitoli successivi.
Per quanto attiene, invece, alla disponibilità/volontà a cooperare tra gli
individui e l’organizzazione cui appartengono, si può già individuarne le
caratteristiche principali.
In ogni organizzazione formale vi è un grado di propensione alla
cooperazione variabile. Si va da una condizione di intensa volontà di servire
l’organizzazione ad una intensa volontà opposta e negativa, quest’ultima
sempre presente. Anzi, Barnard ritiene che quest’ultima sia tendenzialmente la
propensione maggiormente diffusa assieme all’atteggiamento di sostanziale
indifferenza, persino in riferimento ad organizzazioni formali di vaste
dimensioni e diffusione come la Chiesa Cattolica.
Altro aspetto da considerare è che ogni tipo di volontà dell’individuo
verso l’organizzazione non è di intensità costante nel tempo. E numerosi sono i
fattori che intervengono a disturbare questa linearità di atteggiamento.
11
E’ quindi uno dei compiti più impellenti di un’organizzazione formale e
dei suoi dirigenti fare in modo che la volontà dei suoi componenti sia
mediamente positiva, considerando che una percentuale di «anomia»
5
, o
avversione alla stessa sia ineliminabile. Spetta alla stessa perciò attivare tutte
quelle strategie che attengono principalmente al sistema premiante al fine di
incentivare gli individui alla cooperazione aumentando il loro livello di
motivazione.
L’ultimo elemento, non certo in ordine di importanza, tra quelli
descritti è il fine. L’assunto è che non esiste una cooperazione se non vi è un
fine comune definito. Così come non esiste neppure un’organizzazione senza
di esso.
Tale fine deve avere connotazioni di obiettività e deve essere il più
possibile compreso e condiviso dagli individui componenti l’organizzazione.
Se vi sono differenze di interpretazione sostanziali in merito al fine stabilito
dall’organizzazione, si genera disordine e viene meno l’aspetto cooperativo,
favorendo, all’opposto, dinamiche centrifughe e conflittuali. Il fine comune e
la motivazione individuale non sono mai corrispondenti. Occorre in genere
tenere sempre separati questi due concetti. E ciò deve avvenire sia a livello
dirigenziale che operativo, altrimenti sarà arduo riconoscere e gestire
situazioni di conflitto.
E’ vero, però, che può verificarsi una forma di compatibilità tra questi
due elementi, in particolare se il conseguimento del fine organizzativo
costituisce anche l’aspetto di maggior gratificazione per l’individuo
cooperante. Ciò può avvenire i rari casi di piccole organizzazioni con pochi
componenti o caratterizzate da un sistema di valori condiviso e una cultura
organizzativa accettata e assimilata da tutti. Ma, nella realtà, è raro, se non
irrealizzabile, che il conseguimento del fine organizzativo sia per l’individuo
l’unico elemento di gratificazione personale.
5
E. Durkheim, De la division du travail social, Paris,Alcan, 1983.
12
Tuttavia si avrà modo, nel corso dello svolgimento di questo breve
trattato, di affrontare gli argomenti sopra delineati con maggiore esaustività e
completezza.
Un altro passaggio obbligato è quello di definire cosa sia, sulla base di
quanto appena affermato, una organizzazione complessa. Come esprime il
termine stesso, siamo di fronte ad una organizzazione formale che si connota
per maggiore complessità nella struttura, nell’articolazione in sub-unità, nelle
dinamiche di comunicazione e di decisione. Si può tranquillamente affermare
che un’organizzazione complessa, definibile anche grande organizzazione
formale, non sia altro che un insieme di altre piccole organizzazioni formali,
quelle che abbiamo citato come sub-unità. Infatti, le organizzazioni di grandi
dimensioni si dividono in tante organizzazioni (sub-unità) di complessità
decisamente inferiore che sono tra loro in rapporto «organico», in stretta
interdipendenza in ambiente cooperativo.
Diviene intuitivo, date tali circostanze, identificare la posizione di
eccezionale importanza del fattore della comunicazione. Riducendo la
complessità e frammentandosi l’organizzazione in un numero indefinito di
sub-organizzazioni, è inevitabile che l’elemento chiave sia quello della
comunicazione tra le singole componenti, fra esse e gli individui che le
compongono e l’organizzazione stessa intesa in senso globale.
In questo difficile e critico contesto appare di indubbia centralità il
ruolo del dirigente, il quale ha il compito di garantire la cooperazione e la
coesione delle singole parti del tutto organizzativo per il perseguimento del
fine comune dell’organizzazione stessa. In una metafora molto puntuale, la
comunicazione nell’organizzazione è lo strumento che detiene il dirigente per
dirigere e coordinare le singole componenti proprio come la bacchetta nelle
mani del direttore d’orchestra.
E’ intuitivo affermare che, essendo la gestione della comunicazione una
delle principali fonti di potere, essa sia anche uno dei fattori più problematici e
forieri di conflitto intra-organizzativo, come si avrà occasione di specificare
meglio più avanti.
13
Elemento essenziale in una grande organizzazione formale è la
identificazione delle dimensioni ottimali delle singole sub-unità, sulla base
della complessità del fine, delle condizioni tecnologiche, delle difficoltà e della
necessità della comunicazione e delle condizioni sociali.
6
Si fa riferimento a
quest’ultimo elemento in attinenza alla complessità e difficoltà delle relazioni
interpersonali tra individui nell’organizzazione in senso generale.
Vi sono casi in cui l’organizzazione formale raggiunge un grado di
complessità talmente elevato che non solo essa si differenzia in un numero
considerevole di sub-unità, ma addirittura alcune di esse si dividono a loro
volta il ulteriori unità organizzative. E’ intuibile che in un contesto strutturale
siffatto sia di critica difficoltà il compito di coordinare e garantire la
comunicazione delle informazioni in modo efficiente funzionalmente al fine
organizzativo. In queste grandi organizzazioni complesse svolge una funzione
di particolare importanza la leadership, detenuta questa volta non più da un
singolo dirigente, bensì da uno staff dirigenziale che costituisce esso stesso una
sorta di unità organizzativa «superiore», sovrapposta a tutte le altre. Barnard
cita anche un esempio chiarificante di una tale organizzazione: l’esercito.
Tuttavia, in linea di massima, tutte le organizzazioni formali complesse sono
strutturate su unità organizzative propriamente «operative» e su altre
specificamente «direttive».
Una volta chiarito il concetto di organizzazione formale occorre
rivolgere l’attenzione al concetto ad esso affiancato di organizzazione
informale. Le organizzazioni informali sono utili a definire il funzionamento di
quelle formali ed il loro rapporto di stretta interdipendenza.
Sovente accade che un gruppo di persone più o meno vasto si ritrovi a
dover condividere una medesima esperienza ed a perseguire un fine comune in
modo inconsapevole e spesso involontario. Ciò è in stretta similitudine con
quanto citato nei precedenti concetti per cui veniva identificato questo tipo di
raggruppamenti sporadici e non intenzionali come organizzazioni effimere.
6
C.J. Barnard, Le funzioni del dirigente, Utet, Torino, 1970, p. 103.
14
In sostanza possiamo identificare come organizzazione informale
l’insieme dei contatti ed interazioni tra individui e i relativi raggruppamenti di
persone come sopra citato. A tal fine giova ricordare che l’esistenza di
organizzazioni informali ha a che vedere con il bisogno essenziale
dell’individuo di associarsi. In quanto tale, l’associazione prevede e necessita
dell’interazione diretta fra individui. Tale istinto di associazione costituisce un
vero è proprio bisogno di cui l’individuo non può fare assolutamente a meno.
Al contrario dell’organizzazione formale, quella informale non
possiede alcuna struttura definita ed in essa vengono meno tutti quegli aspetti
formali che caratterizzano, invece, un’organizzazione in senso classico. Vi
sono poi aspetti comuni a tutti i tipi di organizzazione con l’eccezione che in
quella formale essi sono palesi e consapevoli, mentre in quella informale,
come nell’esempio citato del fine comune, essi sono inconsapevoli e latenti.
Barnard conferisce alle organizzazioni informali un ruolo di particolare
rilevanza e centralità. Nella fattispecie attribuisce alle stesse due importanti
funzioni: esse stabiliscono «atteggiamenti, cognizioni, costumi, usanze
istituzioni» e «creano le condizioni in cui l’organizzazione formale può
sorgere»
7
.
L’organizzazione informale precede l’organizzazione formale e la
accompagna durante tutta la sua esistenza. E’ ovvia la considerazione che
prima della nascita di una organizzazione formale vi siano state interazioni
preliminari tra individui non formalizzate e basate sulle caratteristiche
personali dei suoi componenti. E’ altrettanto ovvio ritenere che le stesse si
protraggano anche successivamente alla nascita dell’organizzazione formale
conferendo ad essa il «carattere» ed influenzando in tal modo la cultura
organizzativa, intesa come «l’insieme coerente di assunti fondamentali che un
dato gruppo ha inventato, scoperto o sviluppato imparando ad affrontare i suoi
problemi di adattamento esterno e di integrazione interna, e che hanno
funzionato abbastanza bene da poter essere considerati validi, e perciò tali da
7
Ibidem, p. 109.
15
essere insegnati ai nuovi membri come il modo corretto di percepire, pensare e
sentire in relazione a quei problemi»
8
.
Da queste preliminari considerazioni traspare come assunto cardine il
concetto di stretta interdipendenza tra i due tipi di organizzazione. Infatti,
l’organizzazione formale non può esistere senza quella informale e viceversa.
Finora si è affrontato il concetto dell’origine delle organizzazioni
formali come effetto della costituzione di organizzazioni informali e se n’è
evidenziata la stretta interdipendenza. Il prossimo passo consiste nella
affermazione che le organizzazioni formali, dopo essere state create e
«plasmate» da quelle informali, a loro volta, iniziata la loro attività, esse
creano nuove organizzazioni informali oltre a favorirne la nascita.
Da qui si arriva ad affermare che conoscere un’organizzazione non
significa comprenderne la struttura, il fine organizzativo, il personale, la
tecnologia e le sue strategie, ma significa avere una conoscenza della natura e
delle dinamiche della società informale su cui essa si basa. E’ fondamentale, a
questo scopo, risalire alle origini delle organizzazioni informali ed al loro
sviluppo interno all’organizzazione formale. Tanto è vero che spesso ci si
rivolge alle organizzazioni informali con la definizione di «governo invisibile»
per evidenziarne il peso e la rilevanza.
Chi affronta l’argomento delle organizzazioni informali in modo
esauriente e innovativo è sempre Chester Barnard, al quale attingiamo anche
per concludere questa breve trattazione sull’argomento. A conferma
dell’importanza che le organizzazioni informali hanno non solo per lo studio
delle organizzazioni complesse, ma anche per l’oggetto di studio della presente
trattazione, egli individua le funzioni delle stesse, la conoscenza delle quali è
necessaria per poter rivolgere attenzione agli argomenti che verranno trattati
successivamente, quali il ruolo della leadership e le dinamiche interne
all’organizzazione formale complessa.
8
Schein, E.: “Verso una nuova consapevolezza della cultura organizzativa”, in P. Gagliardi (a
cura di), 1986.
16
Barnard quindi identifica le tre funzioni delle organizzazioni formali
affermando che la prima di esse è la comunicazione, cui si è fatto un breve
accenno e che ci si riserva di trattare nei prossimi capitoli. Qui basti
considerare che le organizzazioni informali possiedono canali di
comunicazione maggiormente efficienti ed accurati di quelli formali ed
ufficiali. Spesso avviene che questa comunicazione delle informazioni per
qualche motivo avvenga in modo parziale o venga strumentalizzata per
conseguire posizioni strategicamente vantaggiose nei confronti dei singoli
gruppi o dell’organizzazione formale stessa. Utile, in tal senso, è l’apporto
teorico di Michel Crozier nel definire le dinamiche di potere
nell’organizzazione formale e di conflitto tra i vari gruppi e tra gli stessi e
l’organizzazione.
9
La seconda importantissima funzione che svolgono le organizzazioni
informali è quella di mantenere la coesione nelle organizzazioni formali,
agendo sul contributo della volontà e sulla stabilità dell’autorità oggettiva e
formale.
Infine, la terza funzione, anch’essa di rilevante importanza, consiste
nella conservazione del sentimento di integrità personale e di auto rispetto
degli individui che cooperano nell’organizzazione formale. Quest’ultima
funzione spesso viene considerata in modo miope come elemento distruttivo
dell’organizzazione formale. In realtà essa è essenziale per preservare
l’integrità individuale a fronte di una tendenza dell’autorità oggettiva a
disgregare la personalità del singolo considerandola come elemento
problematico e non come risorsa potenziale.
9
Crozier, M., Friedberg, E, “Attore sociale e sistema”, Etas Libri, Milano, 1978.
17
1.2 Concetto di sistema cooperativo.
Una grande organizzazione formale viene definita complessa
identificando la complessità come attributo proprio dell’organizzazione, ma in
particolar modo e soprattutto come termine che sta ad indicare il limiti delle
capacità umane. Herbert Simon sosteneva già agli albori dello studio dei
fenomeni organizzativi, che ogni individuo è dotato di razionalità limitata e
che per questa causa al fine di conseguire determinati scopi ed esercitare
determinate attività essi si trovano nella necessità di aggregarsi in
organizzazioni e cooperare ad un fine comune, avvalendosi
dell’organizzazione stessa come strumento per integrare le capacità e
aumentare considerevolmente la razionalità dell’azione umana.
Infatti, l’organizzazione deve essere considerata come un mezzo che
consente agli individui di non farsi sovrastare dalla complessità, agendo come
soggetti attivi, conseguendo obbiettivi sempre più ambiziosi che non sarebbero
permessi ad un individuo singolo, spostando sempre più in là i limiti
dell’azione umana, ma senza incorrere nella presunzione di eliminarli
definitivamente.
Tuttavia, se è vero che le organizzazioni complesse consentano agli
individui di superare i propri limiti cognitivi e ad accrescere la razionalità
dell’agire individuale tramite l’azione per il conseguimento di un fine comune,
è anche vero che l’interazione tra individui, singoli o in gruppi, costituisce per
le organizzazioni fonte di tensioni e problematicità dovuta alle dinamiche
conflittuali che rappresentano una componente ineliminabile in ogni tipo di
organizzazione.
10
10
Per Georg Simmel il rapporto sociale implica sempre armonia e conflitto, attrazione e
repulsione, amore e odio. Egli sosteneva che nella realtà empirica non potrebbe esistere alcun
gruppo interamente armonico; se così fosse esso sarebbe incapace di mutamento e di sviluppo.
Inoltre Simmel sosteneva che è ingenuo considerare negative quelle forze che causano conflitto e
positive quelle che determinano consenso. Il rapporto sociale è sempre il risultato di ambedue le
categorie d’interazione; entrambe sono elementi positivi in quanto danno una struttura a tutte le
relazioni sociali e conferiscono loro una forma duratura. Solamente l’abbandono, per Simmel,
della partecipazione ad una relazione sarebbe da considerarsi interamente negativo; una relazione
conflittuale, sebbene spiacevole per uno o più partecipanti, li lega pur nel dissenso, attraverso il
reciproco coinvolgimento, alla struttura sociale. Per lui il conflitto è la vera essenza della vita