5
Introduzione
Nell’ordinamento italiano il Servizio nazionale della protezione civile
rappresenta l’organizzazione deputata a tutelare «l’integrità della vita, i
beni, gli insediamenti e l’ambiente dai danni o dal pericolo di danni
derivanti da calamità naturali, da catastrofi o da altri eventi pericolosi
1
».
La definizione legislativa fa riferimento a beni individuali e collettivi
protetti dalla nostra Carta Costituzionale. La tutela non si limita a riparare
i danni già verificatisi, ma si spinge sino a ricomprendere il pericolo di
danni. Di conseguenza, la protezione civile comprende sia quelle attività
volte al soccorso di popolazioni colpite da calamità naturali o catastrofi,
sia quelle attività volte a prevederli e prevenirli.
In origine, la protezione civile comprendeva soltanto la prima tipologia di
attività: lo Stato attuava «una gestione episodica e sporadica
dell’emergenza
2
», in cui si provvedeva al bisogno. Poiché gli eventi
catastrofici (terremoti, alluvioni, eruzioni vulcaniche etc.) non erano
prevedibili, si riteneva che all’uomo non restasse altro che assistere coloro
che il caso sceglieva di colpire. Dimostrazione di ciò può essere data dal
fatto che la prima legge quadro sulla protezione civile risalga soltanto al
1970
3
, nonostante il nostro paese fosse stato da sempre frequentemente
colpito da disastri naturali di ampia portata
4
.
Nondimeno, è proprio con la legge quadro del 1970 che assistiamo a un
primo importante cambiamento, perlomeno nelle enunciazioni di
principio. L’articolo 1 di tale legge affermava che «per calamità naturale
o catastrofe s’intende l’insorgere di situazioni che comportino grave
1
Articolo 1 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, “Istituzione del Servizio nazionale
della protezione civile”.
2
Gandini F., Montagni A., La protezione civile. Profili costituzionali e amministrativi.
Riflessi penali, Milano, 2007, 31.
3
La l. 8 dicembre 1970, n. 996, “Norme sul soccorso e l’assistenza alle popolazioni
colpite da calamità – Protezione civile”.
4
Solo due anni prima dell’emanazione della legge, il 15 gennaio 1968, il terremoto nel
Belice aveva raso al suolo diversi paesi del trapanese e dell’agrigentino e causato circa
400 morti, anche se, come precisano Musacchio A., Mannocchi A., Mariani L., Orioli F.,
Saba L., Stato e società nel Belice. La gestione del terremoto: 1968 – 1976, Milano,
1981, 52, né il numero dei morti né quello dei cd. baraccati fu mai quantificato con
esattezza.
6
danno o pericolo di grave danno alla incolumità delle persone e ai beni».
Secondo la disposizione legislativa, da questo momento lo Stato sarebbe
intervenuto non soltanto in presenza di un grave danno, bensì anche in
presenza del pericolo di un grave danno. Ciò è altamente significativo: il
legislatore ha preso coscienza del fatto che le catastrofi, sebbene non
prevedibili, sono tuttavia possibili; conseguentemente, è necessario
predisporre gli strumenti e le risorse atti a compiere tutto ciò che è
umanamente possibile per contenere eventuali danni. Ad esempio, dato
che l’evoluzione scientifica - tecnologica ha consentito di comprendere
meglio i fenomeni sismici, pur nell’impossibilità di prevederli, e di
costruire edifici che resistono meglio all’impatto di un terremoto, lo Stato
non aspetta di soccorrere le popolazioni colpite da un sisma (soccorso che
comunque non mancherà), ma ex ante richiede certi standard nelle
costruzioni, predispone strutture ad hoc, avvia indagini sul territorio, etc.
A tal proposito, si parla di «Disaster management», intendendo che «la
gestione delle catastrofi deve avere una propria pianificazione …
caratterizzata da una sequenza continua che va dalla prevenzione e
previsione al soccorso e si conclude con la ricostruzione
5
».
Nonostante le buone premesse, la l. n. 996 del 1970 non affrontava
compiutamente le questioni della prevenzione ora accennate. Il
regolamento attuativo della legge venne approvato ben dieci anni dopo la
sua entrata in vigore, a seguito del terribile terremoto che nel 1980 aveva
colpito l’Irpinia
6
.
Finalmente, la legge 24 febbraio 1992, n. 225, “Istituzione del Servizio
nazionale della protezione civile”, la legge che delinea il modello attuale
di protezione civile, introduce per la prima volta un efficiente sistema di
tutela contro le calamità e le catastrofi.
Viene creato il Servizio nazionale della protezione civile, che, in quanto
“servizio”, è composto da una rete di organizzazioni ed attua le attività di
previsione e prevenzione, di soccorso e di superamento dell’emergenza,
5
Pepe V., Governo del territorio e valori costituzionali. La protezione civile in Italia e
Francia, Padova, 2009, 48.
6
Così Meoli C., La protezione civile, in Cassese S. (a cura di), Trattato di diritto
amministrativo. Diritto amministrativo speciale, Tomo II, Milano, 2003, 2147-2148.
7
sotto la direzione e il coordinamento del Dipartimento della protezione
civile, organo istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
La protezione civile delineata dalla l. n. 225 del 1992 è «una
organizzazione complessa diffusa sul territorio
7
», alla quale aderiscono
differenti enti pubblici, territoriali e non, associazioni di volontariato ed
altresì enti privati. Essa è organizzata in modo tale che tutti i soggetti che
ne fanno parte «conservino la propria autonomia organizzatoria,
istituzionale ed operativa
8
», senza diventare organi del Servizio nazionale
stesso. Come è stato spiegato, la formula organizzatoria del servizio
nazionale è apparsa al legislatore la più adeguata per coinvolgere le
diverse componenti della società che, nelle tragiche esperienze del
passato, si erano attivate per soccorrere popolazioni drammaticamente
colpite da calamità e catastrofi, nonché la più adatta «per l’attuazione, nel
campo dell’organizzazione e dell’attività amministrativa, dello slancio e
dell’impegno solidaristico
9
».
La legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, modificando il Titolo V
della Parte II della Costituzione, inserisce la protezione civile tra le
materie di legislazione concorrente tra Stato e Regioni. Le materie di
competenza concorrente «sono quelle nelle quali la potestà legislativa
regionale deve esercitarsi nel rispetto dei principi fondamentali della
materia stabiliti dallo Stato: principi o espressamente fissati da apposite
leggi cornice, oppure, in loro assenza desunti dall’ordinamento
vigente
10
». La riforma ha, dunque, costituzionalizzato l’intervento
regionale nelle attività di protezione civile, già previsto all’articolo 12
della l. n. 225 del 1992 e puntualizzato nel decreto legislativo 31 marzo
1998, n. 112, “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello
Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge
15 marzo 1997, n. 59”.
Come mostra la giurisprudenza costituzionale anche nella materia di
nostro interesse
11
, non è sempre agevole stabilire fino a che punto il
7
Gandini F., Montagni A., op. cit., 37.
8
Meoli C., op. cit., 2150.
9
Giampaolino L., Il servizio nazionale di protezione civile. Commento alla legge 24
febbraio 1992, n. 225, Milano, 1993, 3.
10
Barbera A., Fusaro C., Corso di diritto pubblico, Bologna, 2006, 318.
11
Ad esempio, Corte Cost., 16 luglio 2008, n. 277, in Giur. cost., 2008, 3119.
8
legislatore possa spingersi nel delineare i principi fondamentali di una
materia e, conseguentemente, spetta proprio alla Corte Costituzionale
individuare, in caso di conflitto, il punto di equilibrio tra potestà
legislativa statale e potestà legislativa regionale. Ciò che sicuramente è
importante notare, è che il Servizio nazionale della protezione civile è
informato ai principi di sussidiarietà e adeguatezza, nonché al principio di
leale collaborazione tra enti pubblici, nel rifiuto di un sistema
amministrativo centrale che non coinvolga i diretti interessati nelle attività
tipiche. A partire dal Comune e dal Sindaco, che secondo l’articolo 15,
comma 3, della l. n. 225 del 1992 è «autorità comunale di protezione
civile», ogni ente territoriale è coinvolto nelle attività tipiche di protezione
civile con competenze differenziate, che talora, come vedremo, si
sovrappongono, rendendo problematico stabilire quale livello
organizzativo debba attivarsi in determinate situazioni.
Non mancano delle criticità con riferimento ad alcune trasformazioni che
la protezione civile sta subendo negli ultimi anni.
Un primo profilo in tal senso emerge in relazione all’articolo 5, commi 2
e 3, della l. n. 225 del 1992, in base al quale per l’attuazione degli
interventi conseguenti alla dichiarazione dello stato d’emergenza, in
seguito ad eventi «che, per intensità ed estensione, debbono essere
fronteggiati con mezzi e poteri straordinari
12
», il Presidente del Consiglio
dei Ministri direttamente o tramite un commissario delegato può emanare
ordinanze «in deroga ad ogni disposizione vigente». Siffatto potere, che
trova esplicito limite nei principi generali dell’ordinamento giuridico e,
dunque, ovviamente, nella Costituzione (giacché una legge ordinaria,
quale la l. n. 225 del 1992, non potrebbe in alcun caso prevedere una
deroga, per di più per mezzo di ordinanza, a una norma costituzionale),
appare adeguato in un contesto emergenziale e si fonda sulla «comune
accettazione, da parte di chiunque, del recedere degli istituti giuridici di
fronte al fenomeno che si deve fronteggiare e non viceversa
13
». Sin dai
12
Art. 2, comma 1, lettera c), della l. n. 225 del 1992.
13
Tedeschini F., Ferrelli N., Il governo dell’emergenza, Napoli, 2010, 5.
9
tempi più remoti, infatti, si ricorre a istituti straordinari per rimediare ad
eventi che si pongono al di fuori dell’andamento ordinario delle cose
14
.
Tuttavia, ci si domanda se non sarebbe più opportuno circondare di limiti
maggiormente rigorosi l’emanazione di ordinanze in deroga alle leggi
vigenti, pur nella consapevolezza che le eventualità della realtà concreta
sono così varie e numerose che l’astrattezza di una legge non potrebbe in
alcun modo contemplarle. Infatti, come approfondiremo meglio,
l’applicazione pratica mostra un’erosione degli istituti della dichiarazione
dello stato di emergenza e dell’ordinanza del Presidente del Consiglio dei
Ministri, in quanto esse sono state utilizzate non solo con lo scopo di
fronteggiare emergenze di portata tale da giustificare una deroga alle
procedure ordinarie, bensì anche «per risolvere i problemi più disparati,
il cui unico denominatore comune è stato quello dell’essere tali problemi
rimasti, fino a quel momento, insoluti
15
»: problemi, dunque, che se non
fossero stati precedentemente trascurati, sarebbero stati risolti con le
consuete procedure amministrative
16
.
Bisogna, inoltre, porre l’accento sulla prassi consolidata di prorogare lo
stato di emergenza, il che trasforma in ordinaria una situazione che
dovrebbe essere straordinaria e che, secondo alcuni, determina un
«progressivo disallineamento della costituzione materiale da quella
formale
17
». Tutto ciò, a distanza di diciotto anni dall’emanazione della
legge istitutiva del Servizio nazionale della protezione civile, induce a
porsi alcuni dubbi sull’esistenza e la diffusione di una “cultura della
prevenzione” in Italia, o, più precisamente, a domandarsi se
l’organizzazione della protezione civile italiana sia effettivamente
adeguata a prevenire o a tentare di prevenire almeno quegli eventi che
sono prevedibili.
14
I Romani, durante l’età repubblicana, eleggevano un dictator, in gravi situazioni di
emergenza, ad esempio al fine di sedare una rivolta o in caso di guerra. Il dictator era
dotato di sommo imperio, ma il suo incarico era temporaneo: non durava, infatti, per più
di sei mesi, come racconta Tito Livio, Ab urbe condita, 23.23.1.
15
Tedeschini F., Ferrelli N., op. cit., 6.
16
Si pensi al problema dell’eliminazione dei rifiuti in Campania, dove lo stato di
emergenza, inizialmente introdotto con il d. P. C. M. dell’11 febbraio 1994, in G. U. n.
35 del 12 febbraio 1994, è durato per quindici anni, fino al 31 dicembre 2009.
17
Tedeschini F., Ferrelli N., op. cit., 5.
10
Proveremo a rispondere a questa domanda, abbassando talora lo sguardo
verso quelle esperienze recenti e di più grave entità, che meritano
attenzione sotto il profilo giuridico. Tra di esse un cenno va alla
situazione di emergenza gravissima creatasi in Abruzzo, e in particolare
nel territorio della provincia di L’Aquila, a seguito del sisma di
magnitudo 5.8 del 6 aprile 2009
18
. Come è stato notato, quell’evento «è
stato non soltanto il più significativo per dimensione e drammaticità, ma
ha consentito di testare sul campo la maggior parte degli strumenti
apprestati dalla legge generale sulla protezione civile
19
». Il decreto legge
28 aprile 2009, n. 39, «Interventi urgenti in favore delle popolazioni
colpite dagli eventi sismici nella regione Abruzzo nel mese di aprile 2009
e ulteriori interventi urgenti di protezione civile», convertito, con
modificazioni, dalla legge 24 giugno 2009, n. 77, predispone un
procedimento di apprestamento urgente di abitazioni, nonché altre misure
attraverso le quali il Dipartimento della protezione civile ha potuto gestire
l’emergenza e ha potuto fornire un’abitazione o un contributo di
autonoma sistemazione a circa cinquantamila persone
20
.
È vero che alla mancanza di controllo parlamentare sulle ordinanze di
protezione civile si sostituisce il controllo giurisdizionale: tuttavia,
bisogna sottolineare che, nel caso specifico, non sempre i tradizionali
strumenti di controllo giurisdizionale potrebbero avere la necessaria
effettività. Infatti, l’utilizzo dei poteri emergenziali spesso non lede gli
interessi dei privati e delle Regioni (che sono coloro i quali potrebbero
avere interesse all’annullamento di un’ordinanza di protezione civile), ma
spesso lede «l’interesse pubblico alla migliore utilizzazione delle risorse
economiche
21
». Il controllo giurisdizionale non sopperisce completamente
l’assenza di controllo parlamentare, né la mancanza del controllo
preventivo di legittimità da parte della Corte dei Conti sulle ordinanze di
protezione civile, secondo quanto stabilito dall’articolo 14 del decreto
legge 23 maggio 2008, n. 90, recante “Misure straordinarie per
18
Dato forniti dall’Istituto di geofisica e vulcanologia sul sito www.ingv.it.
19
Tedeschini F., Ferrelli N., op. cit., 107.
20
In base al report sulla popolazione assistita aggiornato al 9 novembre 2010, pubblicato
sul sito del Commissario per la ricostruzione www.commissarioperlaricostruzione.it, il
totale delle persone assistite e alloggiate in tutti i Comuni del cd. cratere è di 41.024.
21
Gnes M., I limiti del potere d’urgenza, in Riv. trim. dir. pubbl. 2005, 03, 641.
11
fronteggiare l'emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella
regione Campania e ulteriori disposizioni di protezione civile",
convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2008, n. 123.
Un secondo rilievo critico, che si ricollega alla stessa definizione di
protezione civile, riguarda l’articolo 5 bis, comma 5, della legge 9
novembre 2001, n. 401, che converte il decreto legge 7 settembre 2001, n.
343, recante disposizioni urgenti per assicurare il coordinamento
operativo delle strutture preposte alle attività di protezione civile, secondo
il quale le disposizioni dell’articolo 5 della l. n. 225 del 1992, relative al
potere di ordinanza attribuito al Presidente del Consiglio dei Ministri, si
applicano anche ai «grandi eventi», cioè eventi «diversi da quelli per i
quali si rende necessaria la delibera dello stato di emergenza», che, dal
punto di vista del legislatore, sembrano comunque necessitare una
regolamentazione mediante ordinanze che potenzialmente deroghino alle
leggi ordinarie.
La norma è stata giudicata quantomeno ambigua
22
.
Il grande evento è una formula vuota che il Consiglio dei Ministri può
riempire nell’esercizio della sua discrezionalità. E ancora, nell’esercizio
della sua discrezionalità, una volta avvenuta la dichiarazione di grande
evento, con ordinanza il Presidente del Consiglio dei Ministri può
derogare a leggi ordinarie. Ci si domanda se il potere di ordinanza sia
necessario per realizzare, ad esempio, gli impianti di una competizione
sportiva e perché, piuttosto, non si faccia ricorso alle procedure
ordinarie
23
. La prassi consolidata di nominare commissari delegati che si
occupano della gestione dei grandi eventi appare un mezzo per sottrarre
alle Regioni e alle amministrazioni locali la gestione degli eventi suddetti.
Come vedremo, recentemente anche la Corte dei Conti ha espresso
22
Si veda Gandini F., Montagni A., op. cit., 63-65.
23
Ci riferiamo al campionato mondiale di nuoto, tenutosi a Roma nell’estate 2009,
dichiarato grande evento con d. P. C. M. del 14 ottobre 2005, in G. U. n. 248 del 24
ottobre 2005. Tra i grandi eventi passati, il semestre italiano di presidenza europea,
dichiarato grande evento con d. P. C. M. del 20 marzo 2002, in G. U. n. 68 del 21 marzo
2002 e il Congresso europeo delle famiglie numerose tenutosi a Roma nell’agosto del
2008, dichiarato grande evento con d. P. C. M. del 14 febbraio 2008, in G. U. n. 44 del
21 febbraio 2008. Tra i grandi eventi futuri, il Congresso eucaristico che si terrà ad
Ancona nel settembre del 2011, dichiarato grande evento con d. P. C. M. del 19 marzo
2008, in G. U. n. 73 del 27 marzo 2008. C’è chi si interroga sull’opportunità di un tale
strumento per gestire eventi programmati diversi anni prima, come Bonaccorsi M.,
Potere assoluto. La Protezione Civile al tempo di Bertolaso, Roma, 2009, 14.
12
perplessità in ordine all’inserimento dei grandi eventi tra quelli che
azionano l’intervento del Dipartimento della protezione civile, in assenza
del carattere fondamentale dei beni danneggiati o in pericolo, nonché
dell’assenza dello stesso pericolo o danno
24
.
Nel presente lavoro si toccheranno questi e altri aspetti, tenendo presente
che l’organizzazione del Servizio Nazionale della protezione civile riveste
un’importanza primaria per il raggiungimento degli scopi che la legge gli
assegna, in quanto un’organizzazione non adeguata allo scopo non può
svolgere attività di previsione e prevenzione, soccorso e superamento
dell’emergenza, tutte attività che, se da un lato sono previste dalla legge,
vincolando, dunque, le amministrazioni destinatarie delle norme di legge,
dall’altro sono, altresì, costituzionalmente dovute, in quanto un
ordinamento che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo e
che richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica,
economica e sociale, non può ignorare l’attività di protezione dei cittadini
dai rischi posti dal territorio in cui essi vivono.
24
Così la deliberazione n.5/2010/P della Corte dei conti, Sezione centrale di controllo di
legittimità su atti del Governo e delle amministrazioni dello Stato nell’adunanza del 4
marzo 2010, consultabile sul sito www.corteconti.it.
13
CAPITOLO I
Profili istituzionali
1. Cos’è la protezione civile
La prima questione da affrontare è quella di definire la protezione civile.
È possibile farlo partendo dall’articolo 1 della l. n. 225 del 1992, che
individua l’oggetto della protezione civile nell’integrità della vita, nei
beni, negli insediamenti e nell’ambiente contro i danni o il pericolo di
danni derivanti da calamità naturali, catastrofi e altri eventi calamitosi.
La tutela di tali beni è indubbiamente di origine costituzionale.
L’integrità della vita è tutelata dall’articolo 32, che considera la salute
«fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività».
La tutela dell’ambiente deriva sia dall’articolo 32, poiché il diritto alla
salute è anche diritto a vivere in un ambiente salubre, sia dall’articolo 9,
che protegge il paesaggio.
I cd. beni sono i beni privati, tutelati dall’articolo 42, comma 2, secondo il
quale «la proprietà privata è garantita dalla legge, che ne determina i
modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la
funzione sociale e di renderla accessibile a tutti».
Gli insediamenti comprendono abitazioni private, stabilimenti produttivi,
infrastrutture, trasporti, beni culturali, ossia un insieme di beni che
permettono all’uomo di svolgere la sua vita individuale, lavorativa,
sociale; in generale, possiamo riferirci all’articolo 2 della Costituzione,
secondo il quale «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili
dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la
sua personalità».
I rischi contro i quali agisce la protezione civile (i danni o il pericolo di
danni derivanti da calamità naturali, catastrofi e altri eventi calamitosi),
richiamano alla mente l’articolo 3, comma 2, della Costituzione, laddove
si afferma che la Repubblica ha il compito di «rimuovere gli ostacoli di
ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e
14
l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona
umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione
politica, economica e sociale del Paese». Infatti, i pericoli a cui è
sottoposta l’attività umana sono raramente di origine esclusivamente
naturale: spesso la mala gestione, gli abusi edilizi, l’assenza di
prevenzione, la mancanza di fondi contribuiscono in maniera decisiva ai
disastri. In questo senso, il concorso dell’opera dell’uomo può essere
considerato un ostacolo di ordine economico e sociale al pieno sviluppo
della persona umana, minacciata da calamità e catastrofi.
Nel definire la protezione civile, è essenziale, inoltre, analizzare le attività
in cui essa si esplica. Secondo la legge, le attività di protezione civile
sono quelle «volte alla previsione e alla prevenzione delle varie ipotesi di
rischio, al soccorso delle popolazioni sinistrate ed ogni altra attività
necessaria e indifferibile diretta a superare l’emergenza
25
».
Intuitivamente possiamo suddividere le suddette attività tra quelle che
devono essere svolte prima del verificarsi dell’evento calamitoso, la
previsione e la prevenzione, e quelle che devono essere svolte dopo
l’evento calamitoso, il soccorso e il superamento dell’emergenza.
Come è stato sottolineato, la previsione e la prevenzione rappresentano
delle vere e proprie «innovazioni culturali
26
», introdotte dalla l. n. 225 del
1992, nonché le attività «più silenziose
27
», poiché vengono condotte
quando sembra non esservi alcun pericolo derivante da calamità naturale
o antropica.
È proprio dove la previsione e la prevenzione sono più forti, che si misura
la maturità di un sistema di protezione civile, poiché il rischio reso
oggetto di osservazione, studio, conoscenza è un rischio più
“amministrabile” e, dunque, meno temibile. Sembra non essere un caso
che proprio in una Regione distrutta da due terremoti a pochi mesi
distanza, il Friuli Venezia Giulia
28
, viene emanata la prima legge in Italia
25
Così l’articolo 3, comma 1, della l. n. 225 del 1992.
26
Gandini F., Montagni A., op. cit., 72.
27
Pepe V., op. cit., 2009, 49.
28
Il 6 maggio 1976 un sisma, pari al decimo grado della scala Mercalli, colpì il Friuli e
le zone circostanti, provocando la morte di 989 persone. Nel settembre dello stesso anno,
vi furono nuove scosse di notevole intensità. Per un approfondimento di carattere storico,
si rinvia a Zamberletti G., Pizzi A., Se la terra trema. A trent’anni dal Friuli Giuseppe
15
che disciplina compiutamente le attività di previsione e prevenzione, con
un anticipo di sei anni nei confronti della legge statale.
La legge regionale del Friuli Venezia Giulia 31 dicembre 1986, n. 64,
“Organizzazione delle strutture ed interventi di competenza regionale in
materie di protezione civile”, affida, infatti, all’amministrazione regionale
la rilevante funzione di coordinare le misure organizzative e le azioni
volte alla tutela dell’incolumità delle persone e dell’ambiente contro
situazioni che comportino danno o pericolo di grave danno, privilegiando
– afferma esplicitamente la legge – le azioni di prevenzione
29
.
Tornando al quadro legislativo statale, è da cogliere l’importanza della
definizione che la legge fornisce delle attività di protezione civile, poiché
essa permette di distinguerle dalle attività di difesa civile, al cui interno,
per molto tempo, le prime sono state collocate
30
.
La protezione civile non era ritenuta materia dotata di propria autonomia
e consisteva semplicemente nel soccorso offerto alle popolazioni colpite
da calamità di qualsivoglia natura. Gli strumenti adottati per apportare
tale aiuto erano quelli della difesa civile: a seguito del terribile terremoto
che colpì il territorio di Messina e Reggio Calabria il 28 dicembre 1908,
ad esempio, fu proclamato lo stato d’assedio e furono istituiti i tribunali
militari per punire gli atti di “sciacallaggio”
31
.
La distinzione tra difesa civile e protezione civile non risiede soltanto nel
presupposto eventuale (un evento bellico nel primo caso, un evento
calamitoso nel secondo), ma anche nelle attività e negli strumenti
utilizzati per condurre tale attività. È pur vero che le forze armate, in base
all’articolo 11, comma 1, lettera b), della l. n. 225 del 1992, sono strutture
operative del Servizio nazionale della protezione civile; si tratta, peraltro,
di un ruolo di natura meramente strumentale, di sostegno rispetto alle
attività svolte dalle componenti del Servizio nazionale non militari. La
Zamberletti racconta la nascita e lo sviluppo della protezione civile italiana, Milano,
2006.
29
Articolo 1 della L.R. del Friuli Venezia Giulia n. 64 del 1986.
30
Non si è trattato di una situazione unicamente italiana, ma anche in altri paesi la
protezione civile per lungo tempo non ha avuto una sua autonomia rispetto alla difesa
civile. Ad esempio, nel Regno Unito, fino all’emanazione del Civil contingencies Act del
2004, la legislazione sulla protezione civile era contenuta principalmente nel Civil
defence Act del 1948.
31
Cavallo Perin R., Il diritto amministrativo dell’emergenza per fattori esterni
all’amministrazione pubblica, in Dir. amm., 2005, 04, 777.
16
biforcazione tra difesa civile e protezione civile rileva, altresì, come
conseguenza dalla centralizzazione dei poteri di indirizzo e
coordinamento in materia di protezione civile in capo alla Presidenza del
Consiglio dei Ministri, con la contemporanea perdita di qualsiasi
competenza da parte del Ministro dell’Interno, che, viceversa, in base
all’articolo 14 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, “Riforma
dell’organizzazione del Governo a norma dell’articolo 11 della legge 15
marzo 1997, n. 59”, continua ad essere titolare delle funzioni di difesa
civile. Il decreto legge 31 maggio 2005, n. 90, convertito, con
modificazioni, dalla legge 26 luglio 2005, n. 152, “Disposizioni urgenti in
materia di protezione civile”, ha, infatti, eliminato qualsiasi riferimento al
Ministro o al Ministero dell’Interno, contenuto nella l. n. 401 del 2001,
limitatamente alle politiche di protezione civile, mantenendo in vigore
quelle relative alla difesa civile.
A diciotto anni dall’istituzione del Servizio nazionale, possiamo, dunque,
dire che la protezione civile rappresenti quella funzione pubblica che
mediante attività di previsione, prevenzione, soccorso e superamento
dell’emergenza, tutela beni fondamentali dell’individuo dal pericolo di
calamità e catastrofi, che costituiscono eventi che possono capovolgere la
stabilità individuale, economica e sociale raggiunta. Si tratta di funzione
pubblica in quanto il legislatore individua le attività in cui si esplica, i
relativi poteri, le finalità verso le quali deve indirizzarsi nonché - si badi
bene - predispone un’organizzazione ad hoc.
2. La protezione civile nella Costituzione
Alla stabilizzazione normativa della protezione civile ha, senza dubbio,
contribuito la legge costituzionale del 18 ottobre 2001, n. 3, recante
“Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione”.
La protezione civile, infatti, grazie alla modifica costituzionale, è stata
formalmente inserita nella Costituzione tra le materie di legislazione
concorrente tra Stato e Regioni di cui all’articolo 117, comma 3.