IV
L’adozione del punto di vista psicologico, innanzitutto, si-
gnifica che cercheremo di studiare il conoscere come fatto reale,
nella sua genesi e nel suo processo, come attività che si manifesta
in un dato ente, il soggetto umano appunto, sotto determinate
condizioni. Analisi del conoscere, dunque, quale attività che si
manifesta in certe condizioni, ed analisi di queste condizioni.
Il conoscere umano, però, anche considerato solo dal parti-
colare punto di vista psicologico, è pur sempre un campo
d’indagine immenso; così la nostra ricerca avrà quale principale
oggetto un aspetto ben definito del conoscere stesso, si concentre-
rà cioè in particolare sulle componenti sensitive dell’atto e del
contenuto di percezione e rappresentazione. Non si trascurerà
tuttavia la prospettiva generale: essa infatti consente di collocare
l’ambito specifico appena descritto nel suo contesto naturale.
Si cercherà, inoltre, di affrontare il tema appena enunciato
secondo un’ottica ben precisa, quella determinata dall’uso, quale
principio esplicativo, della nozione di organizzazione. Questa è
normalmente utilizzata come chiave per interpretare la peculiarità
degli esseri viventi: ciò che distingue e spiega il vivente è il fatto
che è un essere organizzato. A noi sembra che possa essere pro-
ficuo servirsene, con gli opportuni adattamenti, anche per com-
prendere il conoscere umano. Parleremo perciò
dell’organizzazione del conoscere ed in particolare
dell’organizzazione della conoscenza sensitiva umana.
* * *
Questa indagine intende collocarsi in un ambito dottrinale
ben preciso: tale ambito è quello tomista. Intendiamo, insomma,
studiare il conoscere alla luce di come esso è concepito da San
Tommaso d’Aquino, tenendo conto inoltre dell’apporto di alcuni
tomisti di questo secolo.
Ciò non significa però che la nostra sarà una trattazione di
V
tipo storico, essa al contrario vuole essere una indagine a carattere
teoretico. Almeno in via di principio, cioè, essa non è una rico-
struzione del pensiero di San Tommaso o della dottrina di questa
o quella scuola tomista, ma piuttosto un tentativo di capire, rela-
tivamente al tema indicato, come le cose stanno; l’oggetto cioè
dello studio è, a rigore, il conoscere umano, in particolare sensiti-
vo, nelle condizioni del suo darsi, e non ciò che San Tommaso ha
detto intorno a ciò. Del resto siamo in filosofia, e a proposito del-
la filosofia lo stesso Dottore Angelico ha detto: «Lo studio della
filosofia non ha il fine di sapere che cosa abbiano detto gli uomi-
ni, ma come stiano veramente le cose»1.
Quale valenza assume allora il riferimento al tomismo? In
quest’ottica il pensiero di San Tommaso diviene uno strumento
privilegiato per avvicinarsi alla comprensione della realtà del
conoscere umano. È lo stesso Aquinate, lo si è visto, ad affermare
che fare filosofia significa ascoltare le cose: ebbene noi cerchere-
mo di ascoltarle attraverso di lui, di vederle attraverso di lui; nella
speranza che la debolezza della nostra vista sia almeno parzial-
mente riscattata dalla straordinaria potenza di una simile lente.
* * *
1
In de Caelo I, lect. 22. Osserva in proposito J. Maritain: «Si è tomisti perché si è
rinunciato a trovare la verità filosofica in un sistema fabbricato da un individuo, anche se
questo individuo si chiamasse ego», anche, aggiungiamo noi in linea di principio, se si
chiamasse San Tommaso d’Aquino, «e perché si vuol cercare il vero [...] facendosi disce-
poli di tutto il pensiero umano, per non trascurare nulla di ciò che è. Aristotele e San
Tommaso hanno per noi un importanza privilegiata proprio [...] a causa della loro suprema
docilità alla lezione del reale» (J. MARITAIN, Distinguer pour unir ou Les degrés du sa-
voir, Desclée de Brouwer, Paris 19596, trad. it. di E. Maccagnolo, Distinguere per unire.
I gradi del sapere, Morcelliana, Brescia 19812, pag. 12; corsivo nel testo). L. Bogliolo
nota invece che «San Tommaso dunque non era tomista, ma realista. Non vuole che la filo-
sofia s’impari ascoltando lui, ma piuttosto le cose. Sta qui appunto la sua genialità [...] So-
lo alle cose appartiene l’autorità incontrovertibile» (L. BOGLIOLO, Antropologia filosofi-
ca, Vol. I: L’uomo e il suo agire, Città Nuova, Roma 19774, pag. 139). L’autore esprime
un concetto simile anche in “Realismo moderno e realismo tomista”, in AA. VV., Studi
tomistici. San Tommaso ed il pensiero moderno, Città Nuova, Roma 1974, pagg. 33-66.
VI
San Tommaso2 sarà dunque la nostra guida alla compren-
sione del reale, l’opera ed il pensiero dell’Aquinate3 saranno la
fonte cui attingere uno sguardo nuovo e profondo sui problemi
del conoscere4.
Ma quale sarà il metodo del nostro approccio ai frutti della
speculazione tomista? Come ci confronteremo con essi? Qui
infatti sorgono dei problemi, e quello principale sta nel fatto che
Tommaso non ha dedicato nessuna delle sue numerose opere alla
2Circa la vita e gli scritti di San Tommaso segnaliamo l’opera di J. A. WEISHEIPL,
Friar Thomas d’Aquino: his life, thought and work, The Catholic University of America
Press, Washington 19832, trad. it. di A. Pedrazzi, Tommaso d’Aquino. Vita, pensiero, o-
pere, Jaca Book, Milano 1988. Lineamenti biografici e discussioni intorno agli scritti ab-
biamo trovato anche in A. D. SERTILLANGES, Saint Thomas d’Aquin, Flammarion, Paris
1931; in S. VANNI ROVIGHI, Introduzione a Tommaso d’Aquino, Laterza, Roma-Bari
19904, pagg. 7-40; ed in C. FABRO, Introduzione a San Tommaso. La metafisica tomista e
il pensiero moderno, Ares, Milano 1983, Capp. 1 e 2.
3Per una collocazione storico-tecnica dell’opera di San Tommaso indispensabile è il
riferimento al libro di M. D. CHENU, Introduction à l’étude de Saint Thomas d’Aquin,
Vrin, Paris 1950, trad. it. di R. Poggi e M. Tarchi, Introduzione allo studio di S. Tomma-
so d’Aquino, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1953. Si veda tuttavia in proposito an-
che J. A. WEISHEIPL, Tommaso d’Aquino. Vita, pensiero, opere, cit. Circa il clima cultu-
rale ed in particolare filosofico nel quale maturò la dottrina di Tommaso, fondamentali
sono le opere di E. GILSON, L’esprit de la philosophie médiévale, Vrin, Paris 19482; e La
philosophie au moyen âge. Des origines patristiques à la fin du XIV siècle, trad. it. di
M. A. del Torre, La filosofia nel medioevo. Dalle origini patristiche alla fine del XIV
secolo, La Nuova Italia, Firenze 1983. Per una introduzione generale alla dottrina di San
Tommaso abbiamo preso in considerazione: S. VANNI ROVIGHI, Introduzione a Tommaso
d’Aquino, cit.; C. FABRO, Introduzione a San Tommaso, cit.; E. GILSON, Le thomisme. In-
troduction à la philosophie de Saint Thomas d’Aquin, Vrin, Paris 19445; A. D.
SERTILLA NGES, Saint Thomas d’Aquin, Alcan, Paris 19254; R. GARRIGOU-LAGRANGE, La
synthèse thomiste, Desclée de Brouwer, Paris 1946, trad. it. di I. Paci, La sintesi tomista,
Queriniana, Brescia 1953.
4Che l’insegnamento di San Tommaso d’Aquino fosse all’insegna del nuovo, era co-
sa ben nota agli stessi contemporanei dell’Aquinate. Molto insiste su ciò, ad esempio, Gu-
glielmo di Tocco, biografo di San Tommaso. Nel citare un testo di Guglielmo a proposito
dell’originalità del Dottore Angelico, S. Vanni Rovighi osserva assai acutamente che «es-
sere originali non significa dire che è bianco ciò che è nero, ma andare alle origini di
quella verità che tutti in qualche modo vedono e ammettono». (S. VANNI ROVIGHI,
L’antropologia filosofica di San Tommaso d’Aquino, Vita e Pensiero, Milano 1965, pag.
1).
VII
teoria della conoscenza5; e tanto meno ad un trattazione esaustiva
della psicologia della conoscenza sensitiva umana.
Questo significa in primo luogo che è necessario andare a
cercare la dottrina delle condizioni del conoscere umano, in parti-
colare sensitivo, là dove essa si trova, ovvero sparsa qua e là nella
produzione tomista. Esamineremo, dunque, di volta in volta i pas-
si che ci interessano cercando, specie ove essi presentino qualche
oscurità o diano adito a diverse interpretazioni, di considerarli nel
loro contesto; tenteremo quindi di inserire ordinatamente ogni
frammento all’interno della struttura generale del nostro discorso,
struttura che è frutto della meditazione di quegli stessi testi.
In secondo luogo la mancanza di una trattazione specifica e
completa può in qualche caso costringerci ad integrare ciò che
San Tommaso esplicitamente dice con ciò che vi è in qualche
modo implicato senza essere espresso. Certo qui sono i rischi
maggiori; pure ove tale opera di integrazione sarà necessaria, non
ci sottrarremo ad essa, avendo cura di condurla sempre alla luce
dello spirito del sistema e dei suoi principi basilari e tenendo nella
massima considerazione le dottrine in proposito dei più autorevoli
interpreti.
Fra tutte le opere che compongono la vasta produzione di
San Tommaso e di cui ci serviremo, daremo una posizione di pri-
vilegio alla “Somma Teologica”6, in particolare per quanto riguar-
derà la collocazione di questa o quella tesi, di questa o quella dot-
trina nell’ambito della sintesi tomista. Il tomismo, secondo J. Ma-
5D. Lanna trova a questa situazione un motivo ben preciso: «La teorica della cono-
scenza in S. Tomaso corrisponde, in certo modo, ad una teorica dei gradi della realtà.
L’uno e l’altro ordine di cognizioni, della natura e dello spirito, procedono, al lume di
quell’indagine filosofica, quasi parallelamente ed a comune riprova [...] È questo il segreto
del metodo tomistico; ed è questo anche, per quel che sembra a noi, il motivo per cui [...]
non è stato in alcun luogo da San Tomaso trattato, integralmente e di esclusivo proposito,
il problema della conoscenza» (D. LANNA, La teoria della conoscenza in San Tommaso
d’Aquino, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1913, pag. 13).
6Circa la Somma Teologica (contenuto, piano dell’opera etc.) si veda in particolare
M. D. CHENU, Introduzione allo studio di San Tommaso d’Aquino, cit., pag. 257-278.
VIII
ritain, «non è un sistema, un artefactum, quanto piuttosto un or-
ganismo spirituale. I suoi legami interni sono legami vitali, in cui
ogni parte esiste dell’esistenza del tutto»7; ora di questo organismo
si ha il miglior riflesso proprio nella poderosa sintesi della
“Somma Teologica”, cosicché è più semplice trovare l’autentica
collocazione di una tesi nel complesso della dottrina osservando
la sua posizione qui piuttosto che in altri scritti. Essa è l’opera del-
la piena maturità in cui, a differenza che in altre, la disposizione è
libera8, il pensiero segue vie personali, cosicché il talento architet-
tonico di Tommaso può esprimersi nella sua pienezza: non a caso
si è spesso paragonata la “Somma Teologica” allo splendore di
una cattedrale gotica.
Numerosi saranno, nonostante ciò, i riferimenti a passi di
altre opere: l’intera produzione di San Tommaso, infatti, e non
solo la “Somma Teologica”, è una miniera inesauribile di sapien-
za; e talvolta si possono trovare, magari in opere “minori”, degli
spunti davvero chiarificanti.
* * *
Come San Tommaso è per noi un formidabile aiuto a com-
prendere la realtà, così in un certo senso, gli esponenti della tradi-
zione tomista sono un aiuto a comprendere l’Aquinate, ed in par-
ticolare ad esplicitare, ove necessario, ciò che il Dottore Angelico,
stando rigorosamente alla lettera, non ha detto.
I libri e gli articoli a tal fine presi in esame, che, lo sottoli-
7
J. MARITAIN, Distinguere per unire, cit., pag. 11; corsivo nel testo. Ecco
un’applicazione del concetto di organizzazione quale principio esplicativo, stavolta del
complesso del pensiero di San Tommaso.
8Non dovendo sottostare alla “tirannia” del testo da esporre come nei Commenti, né
alle necessità accademiche come nelle Questioni Disputate. Di questo è pienamente
consapevole lo stesso Angelico quando nel prologo della Somma Teologica,
esplicitamente contrappone lo “ordine della materia” (che intende lì seguire) a quello che
«richiede il commento di dati libri o l’occasione della disputa» (S. Th. I, Prologus).
IX
neiamo, in nessun caso risalgono a prima del mille novecento,
sono segnalati, oltre che nelle citazioni interne al testo, nelle indi-
cazioni bibliografiche poste nelle ultime pagine del lavoro.
* * *
Resta da fare qualche accenno allo schema del lavoro. Esso
si compone di una sezione generale e di una sezione speciale.
Nella sezione generale, ad un primo capitolo contenente
una esposizione della generica dottrina tomista del conoscere
dal punto di vista psicologico, ne fa seguito un altro in cui si in-
troduce, analizza, ed applica in generale al conoscere la nozione di
organizzazione.
Nella sezione particolare invece, alla luce di quanto emerso
nella precedente, si analizza più a fondo una parte della cono-
scenza sensitiva umana.
SEZIONE GENERALE:
CONOSCENZA ED ORGANIZZAZIONE
13
CAPITOLO PRIMO
SGUARDO D’INSIEME ALLA
DOTTRINA TOMISTA DEL
CONOSCERE
In questo primo capitolo intendiamo prendere in esame, se-
condo la prospettiva tomista, alcuni aspetti del tutto generici della
teoria della conoscenza. Si cercherà in tal modo di delineare il
contesto in cui si situerà tutto il resto della nostra indagine.
14
1. IL CONOSCERE UMANO IN GENERALE1
Dapprima dunque analizzeremo la nozione di conoscere, di
atto di conoscenza, nella sua massima generalità; soprattutto, natu-
ralmente, in riferimento al conoscere umano.
1La struttura di questo paragrafo è parzialmente ispirata a J. PÉGHAIRE, Regards sur
le connaître, Fides, Montréal 1949, Première partie, Chapitre premier: Qu’est-ce que
connaître? Una esposizione ed una analisi della dottrina tomista del conoscere si può tro-
vare anche nei seguenti testi: J. MARITAIN, Distinguere per unire, cit., in particolare Parte
prima: I gradi del sapere razionale; dello stesso autore Réflexions sur l’intelligence et sur
sa vie propre, trad. it. di L. Frattini, Riflessioni sull’intelligenza e la sua vita propria,
Massimo, Milano 1987, in particolare i capp. I, II e IX; A. D. SERTILLANGES, Saint Thomas
d’Aquin, Alcan, Paris 1925, cit., Vol. I, Livre V: La vie et la pensée, specialmente, per il
nostro interesse attuale, Chapitre II: L’idée générale de la connaissance; dello stesso auto-
re “L’être et la connaissance dans la philosophie de Saint Thomas d’Aquin” in AA. VV.,
Mélanges Thomistes, Le Saulchoir, Kain 1923, per intero; E. GILSON, Le thomisme, cit.,
Deuxième partie: La nature, capp. V-VII; D. LANNA, La teoria della conoscenza in San
Tommaso d’Aquino, cit., specie Libro primo: La teoria descrittiva dell’operazione di co-
noscenza; E. PISTERS, La nature des formes intentionnelles d’après Saint Thomas
d’Aquin, Bossuet, Paris 1933; S. VANNI ROVIGHI, Elementi di filosofia, Vol. I: Introdu-
zione. Logica. Teoria della conoscenza, La Scuola, Brescia 1962; A. HAYEN,
L’intentionnel selon Saint Thomas, Desclée de Brouwer, Bruges-Bruxelles-Paris 19542;
J. J. SANGUINETI, Logica e gnoseologia, Pontificia Università Urbaniana, Roma 1983, Par-
te seconda: Gnoseologia sistematica, in particolare pagg. 213-225; L. BOGLIOLO, Antropo-
logia filosofica, Vol. I: L’uomo e il suo agire, cit., pagg. 49-196; dello stesso autore Es-
sere e conoscere, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1983; F. RIVETTI BARBÒ,
Dubbi, discorsi, verità. Lineamenti di filosofia della conoscenza, Jaca Book, Milano
1985; E. PEILLAUBE, “Les degrés de la connaissance humaine dans la doctrine de Saint
Thomas” in Revue de Philosophie, XXIV, 1924, pagg. 161-187; G. DI NAPOLI, “La dottri-
na tomistica delle species ed il fenomenismo” in Rassegna di scienze filosofiche, I,
1948, pagg. 31-74; F. OLGIATI, “L’intenzionalità della conoscenza” in Rivista di Filosofia
Neoscolastica, XXXV, 1943, pagg. 5-23; S. CERRI, “Per una fenomenologia della inten-
zionalità in San Tommaso d’Aquino” in Rivista di Filosofia Neoscolastica, LVIII, 1966,
pagg. 395-426. Utile è anche la lettura del libro dello studioso di formazione non tomista
J. MOREAU, De la connaissance selon Saint Thomas d’Aquin, Beauchesne, Paris 1976.
Da un punto di vista assai particolare, ma interessante, si accosta al tema in questione M.
LA SPISA nel libro Fenomenologia della conoscenza come atto sinergico secondo San
Tommaso d’Aquino, G & G, Firenze 1970. L’autore propone una concezione “ecologica”
del conoscere che sottolinea particolarmente la “simpatia” fra io e mondo. Questi due
termini nel conoscere sono legati in una relazione vivente che è complementarità ecolo-
gica e simbiosi intenzionale. Una concezione per certi versi simile è presente, fra tanti
spunti interessanti, nell’articolo di A. CAMPODONICO, “L’uomo tra partecipazione e inten-
zionalità” in AA. VV., Atti del IX Congresso Tomistico Internazionale, Libreria Editrice
Vaticana, Roma 1991, Vol. II, pagg. 333-345.
15
1.1. Il conoscere come attivo e vitale
La conoscenza è propria agli esseri viventi: solo i viventi
infatti (anche se non tutti) conoscono; essa è dunque qualcosa di
vitale.
D’altra parte siamo coscienti che nel conoscere svolgiamo
un ruolo attivo, ci rendiamo conto che quando conosciamo fac-
ciamo qualcosa, siamo soggetti di un certo agire, poniamo un cer-
to atto: il conoscere è dunque un atto. Unendo queste due ultime
considerazioni si può asserire che il conoscere è un atto vitale.
L’essere proprio del vivente e l’essere atto sono caratteri-
stiche che appartengono per essenza al conoscere: questo significa
che si possono predicare della nozione di conoscenza nella sua
massima generalità ed in ogni sua flessione.
Non in tutte, ma certo in molte forme di conoscenza, e sicu-
ramente in quella umana, il momento attivo è preceduto da uno
passivo che lo condiziona limitandone la spontaneità: su questo
però si tornerà tra poco2.
1.2. Il conoscere come atto immanente auto arricchente
Gli atti, le operazioni, hanno comunque un principio ed un
termine. Ora, mentre il principio è sempre nell’agente, il termine
invece può anche non essere in esso; in base a questa differenza le
attività si dividono in transitive ed immanenti. Le prime hanno
come termine un oggetto esterno all’agente, quindi “passano” su
quest’ultimo e costituiscono un suo perfezionamento. Nelle se-
conde invece l’oggetto che è termine dell’operazione è nello stes-
2Sul conoscere come in se stesso attivo, vitale e spontaneo, insiste J. MARITAIN in
Riflessioni sull’intelligenza, cit.; si vedano ad esempio le pagg. 256-257, dove si affer-
ma: «È così che San Tommaso aveva acquisito in anticipo tutto ciò che l’idealismo mo-
derno ha intuito di vero riguardante l’attività e la spontaneità dello spirito nella cono-
scenza»; corsivo nel testo. Tale spontaneità però nel pensiero dell’Angelico, a differenza
che nell’idealismo, non è resa assoluta.
16
so operante: esse dunque perfezionano l’agente3.
Come in genere tutti gli atti propriamente vitali, l’atto cono-
scitivo da un lato ha nel vivente il principio, la sua sorgente, e
dall’altro ha in esso il suo termine, il suo fine: esso è dunque un
atto immanente4.
Di ciò possiamo facilmente renderci conto riflettendo sul
nostro stesso conoscere: ogni nuova conoscenza, infatti, oltre ad
essere posta da noi, porta in noi delle novità, ci arricchisce di no-
vità in ciò perfezionandoci5; ogni nuova conoscenza inoltre perfe-
ziona il conoscere stesso, potenzia, per così dire, la nostra capacità
di conoscere.
Si noti che il fatto che il conoscere sia atto immanente, e
che quindi abbia un principio ed un termine interni all’operante
non esclude, e lo si mostrerà poi, che esso possa avere anche un
principio ed un termine esterni, e che esso colga dunque delle re-
altà esterne, che trascendono il soggetto. Il carattere di immanen-
za del conoscere può essere rettamente compreso solo nella sua
naturale contrapposizione al carattere di transitività di altre ope-
razioni. L’atto di conoscenza è immanente in quanto non passa
all’oggetto in modo da produrre in esso qualche mutazione,
qualche effetto, come invece accade per le azioni transitive; non
certo perché il soggetto è rinserrato in se stesso, chiuso ad ogni
rapporto con altro. Non si deve mai dimenticare che in questo ca-
so “immanente” si contrappone a “transitivo”, e assolutamente
non a “trascendente”.
3Cfr. S. Th. I, q. 14, a. 2, corp. e I, q. 18, a. 3, ad 1.
4Si veda in proposito J. MARITAIN, Riflessioni sull’intelligenza, cit., pagg. 62-63.
5Sul conoscere quale atto che arricchisce l’agente si veda F. RIVETTI BARBÒ, Dubbi,
discorsi, verità, cit., numero 2.5.
17
1.3. Peculiarità dell’unione conoscitiva
Descrivere la conoscenza come atto vitale ed immanente
non è però sufficiente: infatti essa non è l’unica attività ad avere
questi caratteri. Bisogna allora cercare nell’atto conoscitivo degli
aspetti peculiari che lo specifichino.
Si deve innanzitutto riconoscere che il conoscere è una re-
lazione, più precisamente una unione, tra il conoscente ed il co-
nosciuto. Ma anche ciò non è proprio, tra gli atti immanenti, del
solo atto conoscitivo: anche gli atti appetitivi infatti, che al pari
del conoscere mantengono tutte le caratteristiche di immanenza,
tendono all’unione dell’agente e dell’oggetto; eppure è evidente la
distinzione tra conoscenza ed appetito.
La differenza allora dovrà essere tra il tipo di unione che si
stabilisce nel caso del conoscere e quello che si verifica negli altri
casi: cercheremo dunque di descrivere questa unione.
Rileviamo innanzitutto come il fatto della peculiarità
dell’unione conoscitiva sia un evidenza immediata6. Consta infat-
ti ad ognuno che il tenere stretto conoscitivamente l’oggetto per
averlo conoscitivamente afferrato, è radicalmente diverso da ogni
altro afferrare e tenere.
Tale differenza si configura innanzitutto come una maggio-
re intimità del possesso conoscitivo: il conoscere ci pone in una
relazione intima ed unificante con l’altro, è come un’estensione
del nostro essere ad altro, in vista di partecipare di esso ed in
qualche modo “riviverlo”7.
Tale “unione” inoltre avviene dentro il soggetto, essa si
configura dunque come un’invasione, un irruzione nel conoscen-
6Cfr. Ibidem, numeri 2.1. e 2.3.
7Cfr. A. D. SERTILLANGES, “L’être et la connaissance”, cit., pag. 177; ed anche A. D.
SERTILLA NGES, Saint Thomas d’Aquin, Alcan, Paris 1925, cit., pag. 96.
18
te del conosciuto8.
Quest’ultima osservazione è del tutto fondamentale: essa
contribuisce, insieme alle precedenti a configurare provvisoria-
mente il conoscere come un atto vitale immanente mediante il
quale dentro il conoscente avviene una unione del tutto peculiare
tra questo ed il conosciuto.
1.4. Il conoscere implica la presenza nel conoscente della
forma del conosciuto
Cerchiamo allora di capire in quale modo il conosciuto
possa essere dentro il conoscente.
Bisogna innanzitutto escludere che il conosciuto sia dentro
il conoscente nella sua integrità e completezza, quasi per un sem-
plice spostamento locale: ciò è evidente in sommo grado, ma per
convincersene basta pensare ai gravissimi danni che provoche-
rebbe in tal caso conoscere una lama affilata. Ma come stanno al-
lora le cose? Per cominciare a scoprirlo bisogna ricorrere ad un
ragionamento.
Una cosa è conoscibile solo in quanto è e nella misura in
cui è9, tant’è vero che ciò che non è non si può neanche conosce-
re. Ora, ogni cosa è in virtù dell’atto; perciò l’oggetto è conoscibi-
le in quanto è in atto10, ed il grado di conoscibilità è proporziona-
le al grado di attualità.
Non solo: un oggetto è conoscibile in quanto è determina-
to, in quanto cioè si distingue da tutti gli altri; e responsabile di
questa determinazione è ancora una volta l’atto. L’atto in quanto
8Cfr. A. D. SERTILLANGES, “L’être et la connaissance”, cit., pag. 177. Qui il Sertillan-
ges aggiunge che «io non so di esistere che in virtù di questa invasione che [...] mi sveglia
a me stesso [...] L’oggetto mi rende visibile a me stesso».
9Cfr. In Job I, lect. 11, n. 213.
10Cfr. S. Th. I, q. 14, a. 3, corp. e molti altri luoghi.
19
determina un oggetto ad essere proprio questo oggetto e non un
altro prende il nome di forma. Sarà dunque in virtù della sua for-
ma che potremo conoscere questa o quella cosa.
D’altra parte abbiamo già detto che perché vi sia conoscen-
za occorre un’unione fra conoscente e conosciuto tale che il co-
nosciuto sia “dentro”
11
il conoscente: possiamo dunque dire che
c’è conoscenza quando la forma o atto del conosciuto è unita al
conoscente nel conoscente.
1.5. Il conoscere umano presuppone un divenire
Prima di procedere nella nostra indagine intorno all’unione
conoscitiva, dobbiamo sottolineare un fatto molto importante. È
assai frequente, specie nel linguaggio corrente, che si confonda la
conoscenza con l’acquisizione della conoscenza, l’essere cono-
scente con il divenire conoscente. La ragione di ciò è che
l’esperienza che facciamo del conoscere è quella di un continuo
divenire; la conseguenza invece di ciò è che diventa assai facile
pensare che il divenire sia essenziale al conoscere.
In realtà le cose non stanno così: il divenire non rientra
nell’essenza del conoscere, tant’è vero che vi sono forme di co-
noscenza cui il divenire è assolutamente estraneo: ad esempio tale
è il conoscere di Dio.
Il divenire è invece necessario presupposto al conoscere
umano, e questo lo si deve ammettere almeno in quanto ci consta
di non conoscere sempre; ma se è così, poiché a volte conoscia-
mo, dobbiamo ammettere che passiamo dal non essere ancora co-
noscenti ad essere conoscenti in atto, e questo non è altro che il
divenire conoscenti.
11
È chiaro ormai che qui la parola “dentro” non deve essere intesa in senso
strettamente spaziale. Si veda quanto afferma in proposito J. MARITAIN in Distinguere per
unire, cit., pag. 112.