8
Questo interesse nei confronti della responsabilità sociale dell’impresa da parte
delle istituzioni nazionali ed internazionali è solo un’ulteriore riprova del fatto
che, oggi, non è più sufficiente affermare l’esistenza di una responsabilità
sociale insita nella natura stessa dell’impresa. Viene da chiedersi in quale
misura, i comportamenti socialmente responsabili, siano diventati strumenti
importanti per migliorare l’immagine e la reputazione aziendale, divenendo così
elementi di maggiore competitività.
Attraverso questo studio sul caso “Ipanema Coffes”, ho provato a fornire una
descrizione di questi strumenti, sui quali si fonda proprio la peculiarità
dell’azienda brasiliana. Il suo essere soggetto giuridico ed economico che
agisce in maniera etica, in primo luogo nei confronti dei propri dipendenti e
dell’ambiente, lo porta poi automaticamente, in modo quasi naturale, ad aprirsi
alle problematiche sociali del territorio in cui opera, a fare del proprio “credo”
aziendale anche uno strumento per la sua azione di marketing, una opportunità
in più che rende i suoi prodotti, conosciuti ed apprezzati, non solo per la bontà e
la qualità che li contraddistingue, ma anche per il “plusvalore etico” che in essi è
contenuto, e di cui è portatore il marchio “Ipanema Coffes”.
Da questa analisi si può certamente ricavare un insegnamento assai
importante. In un mondo sempre più globalizzato, in cui la forza e la stessa
sopravvivenza delle imprese deve fare i conti con una concorrenza sempre più
dinamica ed aggressiva di pari passo con l’accorciarsi delle distanze, la ricerca
di una propria posizione sul mercato, e la difesa della stessa, non può
prescindere da un forte impegno relazionale con tutti gli ambienti in cui
l’impresa opera. Ma non è però più sufficiente che l’impresa sia “aperta” in
modo passivo, o peggio attivo ma limitatamente al solo rendiconto aziendale. Il
profitto, non può e non deve essere l’unico metro che misura l’azione e
l’interazione dell’impresa nell’ambiente. Lo studio di questo caso ci dimostra
infatti che attraverso un impegno etico costante, sia all’interno dell’impresa, che
proiettato verso l’esterno, si possono raggiungere dei risultati talvolta anche
sorprendenti, e conquistare posizioni di mercato spesso non raggiungibili con
una condotta meramente “utilitaristica” delle imprese.
9
CAPITOLO I°
IL BRASILE
10
I.1. SITUAZIONE GEOGRAFICA E SOCIO - POLITICA
Storia del nome "Brasile"
Il navigatore portoghese Pedro Alvares Cabral, che sbarcò per primo sulle
coste brasiliane nell'anno 1500, battezzò la terra da lui scoperta con il nome
Vera Cruz (poi Santa Cruz).
Tale nome non ebbe lunga fortuna, infatti i portoghesi al seguito di Cabral
notarono che su quelle coste abbondava una pianta dal legno del colore della
brace, che aveva la proprietà di tingere l'acqua di rosso. A quel legno che
sembrava di brace venne dato il nome "pau Brasil", o "braxil" o “lignum brasile”.
Il nome piacque e, in breve, ebbe l'onore di designare la nuova terra.
Situazione geografica
Situato nella parte centro-orientale dell'America del Sud, il Brasile è il quinto
Paese del mondo per estensione, con una superficie di 8.514.215,3 kmq.
Il territorio comprende: la sezione meridionale del Massiccio della Guyana,
lungo i confini con il Venezuela e con le Guyane, l'immenso Bassopiano
dell'Amazzonia e l'Altopiano del Brasile, vastissimo tavolato che, nel suo bordo
verso l'Atlantico, si eleva in una serie di modeste catene dette "Serras". Al
centro l'Altopiano prende il nome di Mato Grosso e separa il Bacino delle
Amazzoni da quello del Paranà-Paraguay.
Il profilo costiero del Brasile, bagnato dall'Oceano Atlantico, presenta un tratto
nord-orientale in genere basso e uniforme, con varie isole, e un tratto sud-
11
orientale più frastagliato, con bellissime baie, ottimi porti e con le principali isole
di San Sebastiano e di Santa Caterina.
Il maggiore dei numerosi fiumi brasiliani è il Rio delle Amazzoni, ingrossato
dalle acque di moltissimi affluenti. Il Brasile è invece povero di laghi.
Il clima è caldo e umido nell'Amazzonia, è tropicale-moderato nell'Altopiano per
divenire temperato nelle regioni meridionali.
Situazione socio - politica
Il Brasile è una Repubblica Federale di tipo presidenziale, formata da 26 Stati
più un distretto Federale. La Capitale è Brasilia
Gli Stati e i territori sono raggruppati in 5 grandi regioni geografiche: il Norte, il
Norteste, il Sudeste, il Sul ed il Centroeste.
1
La popolazione è di 169.590.693 abitanti (nel censimento dell’anno 2000), con
una densità di 19,92 abitanti per Kmq., ed una crescita annua del 1,1%; sono
divisi in varie razze: bianchi 54%, meticci di varia origine 39%, neri 5,9 %,
giapponesi 1% ed infine circa
1
Fonte: Guida del Mondo 2003/2004. Il mondo visto dal Sud, Emi editore 2003.
12
100.000 indios.
I cattolici presenti in Brasile sono l'88% della popolazione, il 6% è protestante
mentre altre minoranze seguono i culti dei Paesi d'origine. Alcune tribù indie
praticano riti animistici.
La popolazione urbana costituisce l’81,7 di quella totale. I ragazzi con meno di
15 anni sono il 28,8% del totale, mentre gli anziani con più di 65 anni sono il
5,3%. Quindi il Brasile si dimostra essere un Paese relativamente giovane.
Nel 1993 il Brasile è caduto dal 50° al 70° posto nella classifica mondiale delle
condizioni di vita, basata sulla combinazione di indici come alfabetizzazione,
distribuzione di reddito e mortalità infantile. Oggi, la situazione è decisamente
migliorata anche se permangono gravi sacche di povertà e sottosviluppo.
Gli alfabetizzati costituiscono circa l’85% della popolazione, ma il livello
culturale medio, è molto basso. I medici sono 127 ogni 100.000 abitanti.
L’accesso all’acqua potabile è garantito all’87% della popolazione, facilitato
anche dalla enorme ricchezza idrica del territorio brasiliano.
Nel 1995 il Brasile risultava la nona potenza economica mondiale, ma un terzo
dei suoi abitanti patisce la fame. Solo il 30% della popolazione è integrato nel
mercato del lavoro.
Alcuni dati recenti:
2
Pnl procapite: 7.360$ (a parità di potere di acquisto).
Il 20% più povero consuma e/o guadagna il 2,2% delle risorse; il 20% più ricco
viceversa ne consuma e/o ne guadagna il 64,1%.
Gli aiuti ufficiali allo sviluppo: rappresentano appena lo 0,1% del PIL.
Servizio del debito: il 10,8% del PIL e il 28,6% delle esportazioni.
Le principali risorse economiche del Brasile sono:
Caffè, canna da zucchero, cacao, soia, cotone, fagioli, mais, manioca, riso,
legni pregiati, petrolio, bauxite, cristallo di rocca, energia idroelettrica.
La moneta ufficiale è il REAL, equivalente a circa 0,30€.
2
Fonte: UNDP, Rapporto 2003 sullo sviluppo umano, Rosenberg & Sellier 2003.
13
I.2. BREVE STORIA DEL BRASILE CONTEMPORANEO (1984 –2004)
Dopo la lunga dittatura, della durata di 20 anni, (dal 1964 al 1984), nel 1985, si
tennero finalmente le elezioni presidenziali. Tuttavia anche se erano le prime
elezioni libere dopo anni di oppressione, il sistema di suddivisione dei collegi
elettorali, era stato concepito per garantire la vittoria del candidato appoggiato
dal regime militare. Con grande sorpresa, venne invece eletto il candidato
dell’opposizione, Tancredo Neves. Milioni di brasiliani, si riversarono nelle
strade per celebrare con manifestazioni spontanee di gioia la fine della dittatura
militare. Tragicamente, però, Tancredo Neves morì per un attacco cardiaco il
giorno prima della sua investitura e venne sostituito dal vicepresidente José
Sarney, uomo politico non molto conosciuto che aveva sostenuto il regime
militare fino al 1984.
Durante il mandato di Sarney la crescita economica fu frenata da una inflazione
galoppante, tanto che alla fine del 1990, il Brasile aveva un debito estero di 115
miliardi di dollari. Nel 1988 il governo riuscì ad elaborare una Costituzione
nuova e più liberale, in teoria capace di garantire il rispetto dei diritti umani.
Le prime elezioni presidenziali veramente democratiche, si tennero nel 1989. Il
carismatico Fernando Collor de Mello, ex campione brasiliano di karatè ed ex
governatore del piccolo Stato di Alagoas, strappò una risicata vittoria al
candidato del Partito dei Lavoratori (PT), Lula da Silva. Collor si insediò
promettendo di ridurre l’inflazione e combattere la corruzione, ma alla fine del
1992, venne rimosso dalla sua carica ed incriminato per corruzione; in
particolare lo si accusava di essere il capo di una banda che tramite estorsioni e
pagamenti illeciti, aveva sottratto alle casse dello Stato oltre 1 miliardo di dollari.
Questo scandalo ebbe tuttavia un risvolto positivo, giacché dimostrò al popolo
brasiliano che la costituzione della sua fragile democrazia era capace di
rimuovere dalla carica un presidente corrotto, anche senza l’intervento dei
militari. Molti tuttavia rimasero delusi del fatto che Collor riuscì ad evitare la
prigione: nel 1994, infatti, la Corte Suprema lo giudicò, non colpevole di
“corruzione passiva”.
Leggiamo in proposito:
3
“Tuttavia la ridemocratizzazione del Paese non portò i
cambiamenti sperati nel funzionamento dello Stato e della classe politica.
Allorquando un gruppo di politologi analizzò i misfatti dello Stato patrimoniale e
clientelare del Brasile, attribuendoli alle perversioni dello Stato autoritario
istituito nel 1964, si avvide che la privatizzazione dello Stato, la formazione di
spirali di burocrazia fra lo Stato e le grandi imprese, la concussione, erano un
male più profondo che continuava a minare la nuova Repubblica.”
Nel 1992, dopo le dimissioni di Collor, si insediò alla presidenza il
vicepresidente Itamar Franco. Ritenuto un uomo politico provinciale,
impreparato ad assumersi tale incarico, Franco riuscì invece a sorprendere tutti
i suoi oppositori con l’amministrazione del paese, onesta e competente. I
maggiori risultati li ottenne in campo economico, avviando la tanto attesa
stabilizzazione della economia, con l’introduzione della nuova moneta il REAL,
che prese il posto del Cruzeiro. Quando fu introdotto, nel 1994, il cosìdetto
“Plano Real”, produsse un immediato boom economico: l’economia si aprì alla
concorrenza straniera, le imprese brasiliane iniziarono a modernizzarsi, la gente
aveva più denaro da spendere ed i Brasiliani si diedero ai consumi.
3
Cfr. Ignacy Sachs, Un modello di sviluppo alternativo per il Brasile, trad. Marco Giovagnoli,
EMI Editore, 1993, pag.10.
14
Inizialmente, il candidato favorito per le elezioni del 1994, era Lula,
ripresentatosi per la seconda volta dopo la sconfitta del 1989. Egli però perse
consensi a causa proprio del Plano Real, di cui all’inizio era stato fortemente
critico. Chi iniziò a mietere successi fu invece l’artefice del piano economico,
ministro delle finanze del governo di Itamar Franco, e cioè Fernando Henrique
Cardoso, che vinse le elezioni presidenziali ottenendo una schiacciante
maggioranza. Ex professore di sociologia all’università di São Paulo, FHC,
come viene chiamato dalla stampa (la gente invece lo chiama Fernando
Henrique), reduce dalle fila della sinistra, ora entrato a far parte del partito
socialdemocratico, si trovò a gestire un Brasile che presentava un’incoraggiante
situazione economica di crescita e sviluppo, ma che era afflitto anche da gravi
problemi sociali. Durante tutta la prima metà degli anni ’90, Cardoso guidò un
paese caratterizzato da una valuta stabile, una bassa inflazione, ed ingenti
investimenti stranieri. Riuscì anche a convincere il Congresso a cambiare la
Costituzione, in modo da potersi ripresentare per ottenere un secondo
mandato. Sconfisse ancora una volta Lula nelle elezioni del 1998, proprio poco
prima che il Real venisse svalutato, introducendo una stretta economica che
sarebbe durata un anno circa. E nel 2000, l’economia visse una nuova fase di
crescita.
Cardoso, pur essendo accusato da sinistra, di aver operato una politica
neoliberista, travestito da riformatore di sinistra, ha avuto il merito in otto anni di
ridurre e bloccare l’inflazione
4
, rivitalizzando l’economia del Paese, anche se
questo talvolta a scapito di dolorosi tagli sociali ed di una politica di “svendita”
delle risorse economiche nazionali.
La storia recente ci porta alle elezioni del 2003, in cui finalmente al quarto
tentativo, il rappresentante del Partito dei Lavoratori (PT), Luiz Inacio Lula da
Silva, è riuscito nell’intento di diventare, lui ex operaio, ex leader sindacale
imprigionato durante la dittatura militare, Presidente del Brasile.
Eletto il 27 Ottobre 2003, giorno del suo 57° compleanno, Lula, in carica dal 1°
Gennaio 2004, al contrario dei suoi predecessori, ha scelto di non vendere
sogni e di parlarsi addosso (facendo poi pagare prezzi salatissimi alla gente),
ma rappresenta la speranza che tenta di creare le condizioni per farsi storia. Il
suo principale progetto “FOME ZERO” (azzerare la fame) è diretto alla
salvaguardia dei diseredati, in maggioranza bambini.
Ma Lula è anche lo statista che dialoga da un lato con il mondo No-Global
riunito a Porto Alegre e poi si reca a Davos, per il summit dei ricchi della Terra.
5
E’ il presidente che ha imposto le sue regole durante il recente summit della
Wto, dimostrando anche che il FMI e la BM non possono permettersi proprio
tutto contro il Brasile, che è pur sempre la nona potenza economica del mondo.
Lula insomma rappresenta una speranza. Sia per il suo popolo (in un recente
sondaggio conserva la fiducia dell’85% dei brasiliani, e la metà di essi è sicura
che il suo governo stia ottenendo più vittorie che insuccessi), sia per l’America
latina ed il mondo intero, giacché il Brasile può diventare un laboratorio vivace
di sviluppo alternativo (“la terza” via) al neoliberismo selvaggio, da un lato, alle
utopie rivoluzionarie dall’altro.
4
Cfr: Egidio Cardini, Il Brasile di Lula, in Madrugada n° 48 dic.2002, pag.22.
5
Cfr: Angelo Turco, Axé Global, in Nigrizia n°10 ott.2003, pag.8-9
15
I.3 IL BRASILE OGGI: gli incredibili contrasti socio - economici.
Il Brasile è terra di incredibili contrasti socio-economici.
Certe tecniche produttive sono rimaste pressoché immutate dall’epoca
coloniale e sono in uso in molte parti del Nordeste e dell’Amazzonia, mentre le
industrie automobilistiche e chimiche, nonché le acciaierie e le fabbriche di armi
di São Paulo, sono tecnologicamente così avanzate da poter competere con
successo sul mercato mondiale. Nelle città
6
”poderosi grattacieli, sfidano il
limpido cielo, illuminati da insegne che richiamano i nomi più noti delle aziende
multinazionali mondiali, in gran parte americane, ma anche europee e qualcuna
italiana. Nei quartieri bene, ville holliwoodiane, con pistoleiros alla porta vigilano
sul tranquillo riposo dei benestanti locali: politici, imprenditori in affari con,
oppure funzionari delle stesse aziende straniere, e quindi spesso anch’essi non
brasiliani. In mezzo a questo luccichìo, l’umanità dolente, quella delle Favelas,
quella a cui manca il pane, e non solo
Le Favelas ti appaiono improvvisamente, ma ti accorgi di loro prima di vederle.
Vedi gruppi di ragazzini, sporchi, spesso accompagnati da cani (cachorrinos:
chiamarli cani sarebbe un lusso troppo grande per questi animali, denutriti e
spesso malati, che si nutrono, spesso in lotta con i loro padroncini, di ciò che
possono trovare per strada, o davanti ai barzinhos, bettole da strada, dove tra
gli scarichi delle auto e dei mezzi pesanti, ti cucinano frango asado e abacaxi,
pollo arrosto con ananas, e ti servono birra o Cibel, una bibita gassata deliziosa
prodotta con il Guaranà; e poi donne; ragazze, alcune ancora bellissime, altre
che sembrano vecchie, malgrado la loro giovane età. Scendono con bimbi in
braccio e vanno a lavare i panni, ed i bimbi, in qualche fiumiciattolo, nero dagli
scarichi delle case, che scorre sotto i ponti delle circonvallazioni. Gli uomini no,
spesso non si vedono. Vivono dentro, sottoposti alla legge ferrea della Favela.
Sono alcolizzati, vivono di espedienti, furti, traffico di droga, rapine. Vanno in
città solo per questo. La Favela è strana da vedersi per l’occhio di un
occidentale. E’ un insieme disordinato, è un qualcosa che il nostro istinto non
può capire, prima ancora di accettare”.
7
“Nella favela arrivano persone e famiglie schiacciate dalla siccità e dal
latifondo, dall’interno del Brasile, attratte dalle promettenti luci della città,
dell’industrializzazione seduttrice e dalla speranza di una vita migliore per i suoi
figli. Qui i loro sogni di persone buone, allegre, ospitali, si sono infranti nella
dura realtà di un barraco, in una favela costruita sulle fogne a cielo aperto, con
un salario da fame (circa il 70% della popolazione percepisce al mese dal nulla
fino al massimo 2 salari minimi), con lo spettro della disoccupazione o del
biscate, il lavoro saltuario. Le loro speranze sono seppellite dalla mancanza
delle infrastrutture di base, strade e fogne, assistenza medica, scuola; e qui
hanno trovato l’anonimato di una selva umana, violenze di tutti i tipi, la legge
delle squadre della morte, la paura della gente che per riuscire a sopravvivere
non vede, non sente, non parla.”
Eppure, l’economia brasiliana occupa il nono posto tra quelle più fiorenti al
mondo. Nonostante sia definito un Paese in via di sviluppo, la sua economia è
oramai ampiamente consolidata. Attualmente si stima che in Brasile la
popolazione occupata raggiunga i 75 milioni di persone (per un terzo donne),
6
Cfr: Mauro Zedda: Immagini dal sogno “brasileiro” in Sardegna Magazine n° 199, Maggio
2003, pag.5. e n° 200, giugno 2003, pag.6
7
Cfr: Padre Renato Chiera: Meninos de Rua, Edizioni PIEMME, 1994, pag. 19.
16
delle quali il 27% è impiegata nell’industria (un quarto è concentrato a São
Paulo), e il 31% nel settore agricolo. Il Brasile è il maggiore produttore di caffè
al mondo ed il primo esportatore di zucchero e succo d’arancia, il secondo di
soia ed il terzo di carne di manzo e di pollo. In Brasile c’è un gran numero di
contadini che vivono a livelli di sussistenza e milioni di persone che non hanno
neanche un pezzo di terra da coltivare. Tra il 1970 ed il 1990 circa 30 milioni di
persone sono emigrate verso le città.. La manodopera a basso costo e la
sottooccupazione sono fenomeni particolarmente diffusi. Le famiglie ricche
assumono normalmente due o più domestiche fisse, mentre bambini di 5 anni,
che non andranno mai a scuola, vendono chewing-gum lucidano le scarpe per
la strada.
In un paese dove l’1% dei proprietari terrieri possiede quasi la metà della
terra coltivabile, e circa il 40% di quella terra non è coltivata, la ridistribuzione
dei terreni è vista come un soluzione, ma i potenti fazendeiros (proprietari
terrieri) usano la violenza per mantenere il controllo sulle loro proprietà, a volte
aiutati in questo dallo stesso Governo.
Classificazione delle proprietà agricole in Brasile.
8
Categorie Numero Area media (ettari) Area totale (milioni di ettari ) %
Padronale
Familiare
Subfamiliare (sussistenza)
500.000
2.500.000
4.000.000
600,0
36,0
2,5
300,0 75
90,0 23
10,0 3
Totale 7.000.000 57,0 400 100
Tristemente famoso è stato il massacro dei contadini di Eldorado dos
Carajas, nello Stato di Parà, dove il17 Aprile 1996, 200 poliziotti militari,
eseguendo l’ordine emanato dal governatore dello Stato Almir Gabriel, hanno
aperto il fuoco sui lavoratori rurali senza terra che protestavano contro le
promesse non mantenute del governo circa la concessione delle terre incolte ai
contadini. Morirono 19 lavoratori e 69 rimasero feriti.
9
Invece di attuare la
riforma agraria i governi hanno cercato di aprire la regione amazzonica allo
sviluppo agricolo e minerario. Sono state costruite numerose strade per
incoraggiare i poveri delle campagne a stabilirsi nelle nuove terre, ma , dopo
aver proceduto ad una intensa opera di deforestazione e di creazione di nuovi
terreni, i contadini si sono accorti che il suolo, povero di minerali, era anche
scarsamente produttivo, così molti hanno dovuto cedere il loro appezzamento di
terreno agli allevatori di bestiame. Nonostante questo continuano i progetti per
lo “sviluppo” dell’Amazzonia. Il governo Cardoso aveva predisposto per gli anni
2000/2007 il piano economico “Avança Brasil” che prevedeva 8.000 Km di
strade nuove o riasfaltate, una dozzina di porti, 4 aeroporti, due oleodotti e
numerose centrali elettriche nuove.
Il Brasile è, come abbiamo detto, uno dei paesi meno equanimi al mondo:
un 10% di persone estremamente facoltose, controlla circa il 50% della
ricchezza nazionale, mentre il 10% di persone poverissime ne possiede meno
dell’1%. Quaranta milioni di brasiliani vivono in abitazioni prive di acqua
8
Fonte: Progetto FAO/Incra Prof. J. Veiga, USP, 1992, su dati IBGE.
9
Cfr: J.P. Stedile – Frei S.Gorgen, Senza Terra: la lotta del MST in Brasile, Rete Radié
Resch, 1998, pag. 65.
17
potabile, e 60 milioni vivono in abitazioni prive di fognature. Come sempre
accade i mali colpiscono in prevalenza alcuni gruppi rispetto agli altri. I neri, gli
indios, gli abitanti del Norte e del Nordeste , hanno meno probabilità di sfuggire
alla fame degli altri brasiliani. Le entrate degli Stati del Maranão e del Piauì,
sono in media 1/7 di quelle del Distrito Federal, il distretto in cui si trova la
capitale Brasilia. Nel Sertão, l’arido entroterra del Nordeste, ci sono 10 milioni di
contadini che vivono a livello di sopravvivenza. Quì la mortalità infantile è di 84
casi ogni 1000 nascite, tre volte maggiore della media nazionale. I Governi
guidati da F.H.Cardoso, hanno introdotto misure antipovertà a beneficio al
almeno 26 milioni di persone. Ma un brasiliano su tre oggi vive ancora nella
indigenza. Secondo un rapporto del 1999 della Banca Mondiale, 35 milioni di
persone guadagnano meno di 40$ al mese, che non è sufficiente per mangiare
adeguatamente. Il salario minimo ufficiale si aggira intorno ai 75$. Un terzo
delle donne occupate in Brasile lavora come domestica o bambinaia e la
maggior parte riceve uno stipendio inferiore al salario minimo. I meninos de rua,
i bambini di strada, continuano ad essere una piaga e una vergogna per il
Brasile. Nelle grandi città, Rio, São Paulo, Belo Horizonte, frotte di ragazzini
popolano la notte, le piazze principali, alla ricerca di qualche spicciolo, spesso
sniffando la colla, per non sentire la fame ed il freddo, che sembrerà strano, ma
anche a queste latitudini, d’inverno si fa sentire.
Un dossier, dedicato al Brasile dalla prestigiosa rivista americana
Economist, del 7 dicembre 1991, dal titolo Drunk not sick (ubriaco non malato),
sembra far credere che i problemi del Paese siano solo relativi alla mancanza di
una buona gestione dei problemi correnti.
10
“In realtà il Brasile è innanzitutto
affetto dalle conseguenze di un malsviluppo sotteso per 40 anni e di una
crescita forte nella e grazie alla diseguaglianza sociale. Non si uscirà in maniera
stabile dalla situazione attuale se non verranno attaccate le radici strutturali dei
problemi, dal dualismo sempre più spinto nella società, ai fenomeni multipli di
esclusione sociale e di disparità regionali (il superamento dei quali si
tradurrebbe in una auspicabile espansione del mercato interno),
all’indebitamento estero, ecc. Bisogna riconoscere che la crescita della
diseguaglianza ha portato all’ipertrofia del consumo voluttuario, piuttosto che
all’accumulazione virtuosa ed all’investimento da parte dei ricchi….che la
mancanza di una riforma agraria e di una strategia di modernizzazione agricola
incentrata sul piccolo impiego, sono alla base di una urbanizzazione
incontrollata, della proliferazione delle favelas, quanto di una indesiderabile
emigrazione dei contadini del Sud verso l’Amazzonia…”
Per cercare di far fronte a questa drammatica realtà, il nuovo Presidente
Lula, ha lanciato, come abbiamo già detto, la Campagna “Fome Zero”, cioè
azzerare la fame. Il progetto è basato su due aspetti fondamentali. Il primo è
quello della <sicurezza nutrizionale>, che garantisce la integrità fisica
dell’individuo e deve essere dunque considerata come un diritto fondamentale
della persona, il cui pieno godimento non può che realizzarsi nel seno della
comunità familiare. Il secondo aspetto è quello della <sicurezza alimentare>
che è una componente essenziale non solo della stabilità politica, ma della
stessa sovranità nazionale, e che va garantita, pertanto, con un vero patto
sociale.
Tuttavia il Brasile oggi, si presenta come un enorme potenziale serbatoio
di energie in movimento. L’età media molto bassa della popolazione può
10
Cfr: Ignacy Sachs: Un modello di sviluppo alternativo per il Brasile, trad. Marco Giovagnoli,
EMI Editore, 1993, pag.11.
18
costituire uno stimolo etico e culturale interessantissimo, dando via a
sperimentazioni sociali innovative (la già citata “terza via”) ed a meccanismi di
cambiamento profondo.
11
“Siamo un paese povero, con brutali disuguaglianze, ma non siamo
miserabili. Abbiamo ancora un sistema industriale articolato e quasi completo.
Una popolazione giovane, con presenza forte e marcata di persone abituate ad
una produzione moderna. Quadri tecnici in buon numero. Agricoltura capace di
rispondere con rapidità agli stimoli adeguati. Vasto spazio geografico, ricco di
risorse. Centri interni generatori di dinamismo……. Le nostre potenzialità oggi
dimenticate, tornano ad essere evidenti. Territorio e risorse naturali, messi oggi
fuori gioco, da una scuola di pensiero economico obbediente al mondo della
contabilità finanziaria, e per questo incapace di vedere che la creazione di
ricchezza deriva dall’azione interattiva degli essere umani e l’ambiente.”
A questo si associa una vitalità aggregativa che non ha pari al mondo:
- Il “Movimento dos Trabalhadores SEM TERRA” a torto spesso dipinto
come eversivo e pericoloso per l’integrità sociale si è rivelato un veicolo potente
di consenso e di educazione politica, oltre che di spinta verso una maggiore
equità sociale, per un popolo dalla scarsa coscienza civile, ponendo l’accento
sulla ormai da troppo tempo promessa e non mantenuta riforma agraria.
- Molti settori della Chiesa hanno compiuto una opzione preferenziale per
i poveri, divenendo spesso il quadro di riferimento più importante per iniziative e
lotte a difesa ed a sostegno dei più miseri.
- L’insieme dei movimenti popolari, dal sindacato della CUT (Central Unida
dos Trabalhadores), ai comitati di quartiere, alle associazioni degli abitanti
delle Favelas
(“i moradores”), alle organizzazioni studentesche, hanno saputo conquistare
gradualmente molti spazi, strada per strada, quartiere per quartiere, città per
città, facendo crescere la coscienza sui propri diritti ad un popolo da sempre
oppresso.
- L’impegno etico di alcune minoritarie parti del mondo economico
brasiliano, di alcune imprese come per esempio la Ipanema Agricola, che
hanno scelto di non isolarsi, ma di rendersi parte della società in cui sono
inserite, sostenendo anche in partnership con i propri clienti internazionali,
alcuni progetti sociali, di assistenza e di aiuto allo sviluppo, delle comunità più
depresse.
11
Cfr: César Benjamin :A Opção Brasileira, Contraponto Editora, 1998, pag 155,156.
19
CAPITOLO II°
INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE IMPRESE
BRASILIANE
20
II.1. CHE COSA E’ ACCADUTO ALLE IMPRESE
BRASILIANE ESPORTATRICI NEGLI ANNI ‘ 70?
Questo argomento è particolarmente importante per capire, sia nel contesto
teorico sia in quello pratico che cosa ha differenziato un’impresa che è riuscita
a mantenere sino ad oggi un’attività esportatrice, da un’impresa che invece la
ha abbandonata, o che addirittura si è estinta. Le teorie esistenti
sull’internazionalizzazione delle imprese non hanno dato risposta a questa
domanda. La conoscenza di quello che riguarda un’impresa esportatrice può
essere dunque un ausilio pratico prezioso nelle decisioni di allocazione delle
risorse per stimolare l’internazionalizzazione delle imprese.
Sul piano teorico, una delle questioni che incuriosiscono i ricercatori è l’impatto
che le attività internazionali delle imprese, in particolare l’esportazione, possono
avere sui loro risultati. Data la resistenza della maggior parte delle imprese nel
lasciare il mercato domestico in cerca di nuovi mercati – resistenza questa che
è più che giustificata, dalla paura dell’ignoto e dai rischi presenti
nell’internazionalizzazione – è quindi interesse degli studiosi e dei governi che
voglio aumentare l’attività esportatrice, conoscere l’impatto dell’esportazione
sui risultati economici delle imprese.
L’esportazione viene dunque vista come un’attività importante per lo sviluppo e
per la crescita delle imprese. In effetti, la bibliografia sul marketing
internazionale da molto tempo enfatizza che l’esportazione, così come altre
forme di internazionalizzazione, permette ad un’impresa di aumentare i propri
profitti e di crescere. Leonidou si è riferito all’esportazione come un
12
“pre-
requisito essenziale per… la crescita, il lucro e anche la sopravvivenza futura” e
Katsikeas ha affermato che questa attività è
13
“sempre più importante per la
sopravvivenza e l’esistenza a lungo termine delle moderne organizzazioni di
affari”. In questa stessa prospettiva, in uno studio sulle imprese neozelandesi
dell’industria di abbigliamento, Chetty ha osservato che gli esecutivi ricercatori
consideravano che
14
“avevano bisogno di internazionalizzarsi per sopravvivere
in un ambiente commerciale liberalizzato”.
L’impegno per l’esportazione viene anche considerato un requisito per il
successo nei mercati esterni. In effetti, l’intensità dell’impegno gestionale per
l’esportazione è riferita come una variabile rilevante per predire il risultato
nell’esportazione.
Il risultato economico dell’esportazione di per sé, ossia, il quanto un’impresa
riesce a guadagnare attraverso l’esportazione, ha ottenuto una grande
attenzione da parte della bibliografia mondiale. E’ stato misurato in diversi modi,
incluso la percentuale delle esportazione sulle vendite totali, il totale delle
vendite dell’esportazione, il lucro con l’attività esportatrice o la crescita delle
esportazione. Non sono stati trovati, tuttavia, studi che siano stati direttamente
indirizzati alla questione del rapporto tra l’esportazione ed il successo o
l’insuccesso dell’impresa a lungo termine.
12
Cfr: L.C. Leonidou: Export stimulation: a non-exporter’s perspective, European Journal of
Marketing n°29, 1995 pag.17.
13
Cfr: C.S. Katsikeas: Perceived export problems and export involvement: the case of Greek
exporting manufactures, Journal of Global Marketing n°7, 1994 pag. 29-30.
14
Cfr: S.K. Chetty: Dimension of internationalisation ofmanufacturing firms in the apparel
industry, European Journal of Marketing n°33, 1999 pag. 121.
21
Il successo e l’insuccesso sono, di fatto, argomenti ricorrenti nella bibliografia
degli affari. L’osservazione che la vita di un’impresa è molte volte corta ha
richiamato l’attenzione degli studiosi. Un autore ha affermato che, in un periodo
di tredici anni, un terzo delle aziende incluse tra le 500 più grandi nella rivista
Fortune sia stato acquistato, diviso o fuso ad altre aziende.
I motivi degli elevati tassi di mortalità aziendale possono essere a volte trovati
nel momento in cui nasce un affare, ma più spesso si associano ai cambiamenti
nell’ambiente degli affari che colpiscono le imprese non preparate a tale evento.
Sono state identificate quattro caratteristiche che possono essere associate alla
longevità o meno delle aziende: conservatorismo finanziario, capacità di
apprendimento e di adattamento ai cambiamenti, coscienza della propria
identità e apertura a nuove idee.
Anche le imprese con un successo straordinario possono non essere in grado
di sopravvivere ai cambiamenti del loro ambiente. Sull ha osservato che le
imprese che inizialmente hanno successo possono dimostrasi incapaci di avere
a che fare con i cambiamenti nel loro ambiente e ciò è dovuto al fatto che sono
15
“le più lente nell’adattarsi”. L’autore ha diagnosticato il fenomeno della “inerzia
attiva”, definita come “la tendenza di una organizzazione a seguire gli standard
stabiliti di comportamento – anche in risposta a drammatici cambiamenti
ambientali”. Le imprese con successo tenderebbero ad aderire a supposizioni,
processi, rapporti e valori del passato, esattamente quelli che avrebbero alzato
il successo e la prosperità, ma che non sarebbero più validi in un ambiente in
continuo cambiamento. Simons ha anche supposto che il successo, oltre che
portare crescita, profitti ed ottimismo ad una azienda, crea determinati rischi.
Questo autore ha identificato tre settori a rischio che un’azienda dovrebbe
avere sempre in mente ai fini di proteggersi dall’insuccesso: le pressioni che si
originano della crescita, le pressioni culturali e le pressioni di gestione
dell’informazione. La coscienza del cambiamento e del rischio sarebbe, così,
una caratteristica rilevante delle aziende sopravvissute, nella misura in cui
16
“il
minor numero di errori può dettare la differenza tra successo ed insuccesso”.
Si considera, in generale, che gli ambienti degli affari altamente turbolenti
aumentano la imprevedibilità. Quanto più volatile è l’ambiente, più difficile è per
la direzione formulare ed implementare strategie robuste. Tuttavia, anche negli
ambienti dove gli affari sono più incerti, gli esecutivi hanno bisogno di prendere
decisioni. Gli elevati livelli di turbolenza o di incertezza aumentano il livello di
rischio e riducono la capacità della direzione di prendere decisioni strategiche
solide – che possono significare la differenza tra successo ed insuccesso.
Ansoff ha osservato che
17
“quando l’ambiente passa attraverso un
cambiamento discontinuo, le aziende che rimangono con successo lo fanno
attraverso trasformazioni discontinue delle proprie strategie”.
I modi per i quali un mercato o un settore diventa turbolento possono variare
considerevolmente. La turbolenza in un settore potrebbe essere responsabile
della scomparsa di imprese, che vanno in fallimento o sono acquisite da altre
più forti. Tra i fattori che potrebbero forzare le imprese ad abbandonare
15
Cfr: D.N. Sull : Why good companies go bad. Harvard Business Review, Lug-Ago 1999,
pag.43.
16
Cfr: R. Simons : How risk is your company? Harvard Business Review, Mag-Giu 1999, pag.
85.
17
Cfr: H.I. Ansoff : Empirical support for a paradigm theory of strategic success behaviourso of
environment serving organizations. International Review of Strategy Management, 1993, pag.
174.