5
verso una maggiore partecipazione dei cittadini alla coesione
sociale e allo sviluppo economico”.
L’istruzione, poi, è strettamente correlata con una serie di
diritti e di libertà, quali il diritto allo studio, la libertà di
insegnamento, la libertà di creazione di istituti scolastici
privati, la libertà di scelta dei genitori sulla formazione
religiosa e morale dei figli, etc.
Questi diritti e libertà sono tutelati dai singoli ordinamenti,
che ne devono garantire l’osservanza. In Spagna, addirittura,
il diritto all’istruzione è ritenuto un diritto fondamentale.
Inoltre, come si avrà modo di dire più dettagliatamente
nell’appendice di aggiornamento, l’istruzione è materia
quanto mai attuale (e oggetto di polemiche, dibattiti ed
interventi normativi di vario tipo) nei due ordinamenti presi
in esame.
Il lavoro qui presentato si pone come obiettivo quello di
effettuare un tentativo di comparazione tra l’ordinamento
dell’istruzione in Italia e in Spagna in ordine a tre fattori di
particolare interesse: il riparto di competenze tra Stato,
regioni, enti locali ed istituzioni scolastiche in materia di
istruzione; il rapporto che intercorre tra il settore pubblico e
quello privato dell’educazione; la disciplina e l’attuazione
dell’autonomia scolastica.
Partendo da una breve introduzione storica su quelle che
sono state le vicende dell’istruzione fino ad oggi, si darà
risalto alle vicende relative alla costituzionalizzazione della
materia e alle varie previsioni contenute nella due Carte
fondamentali.
6
Ci si interrogherà, quindi, sempre procedendo in maniera
parallela per i due diversi ordinamenti, su quale sia il riparto
di competenze legislative ed amministrative desumibile dalle
varie fonti normative, quale l’attore principale del sistema
educativo, quale il grado di decentramento raggiunto. Il tutto,
segnatamente per quanto riguarda il caso italiano, alla luce
delle recenti e continue innovazioni normative.
Ci si chiederà, poi, se il rapporto tra scuola pubblica e privata
tenda a privilegiare l’una o l’altra, quali siano le tipologie di
scuole presenti nell’ordinamento, se il rapporto sia sbilanciato
quantitativamente e qualitativamente a favore di una delle
due, se la scelta delle famiglie sia veramente garantita e in
quale modo, quali siano le modalità per la creazione di
un’istituzione scolastica da parte di un privato. Per non
dimenticare l’annosa questione del finanziamento pubblico
erogato a favore delle scuole private e la sua rispondenza, o
meno, al dettato costituzionale.
Il terzo punto di riflessione sarà quello riguardante il livello
di autonomia scolastica garantito dai due ordinamenti, e
l’attuazione concreta di questa autonomia. Ci si chiederà, a tal
proposito, se non sia il caso di ampliarla per far sì che le
scuole siano titolari di autonomia in senso stretto e non solo
di uno spazio d’azione non compresso dagli enti territoriali; e
si verificherà quale peso l’autonomia abbia rivestito nel
processo di decentramento e di quale importanza gode
attualmente nei due ordinamenti.
Si cercherà di rispondere al quesito (per ciò che concerne il
riparto di competenze e l’autonomia) su quale sia la distanza
7
tra il modello delineato dalle varie fonti normative e la sua
effettiva realizzazione.
Un capitolo sarà dedicato a quella che sembra essere la vera
particolarità del caso spagnolo rispetto a quello italiano, vale
a dire l’esistenza e la disciplina dei centri concertati, che sono
scuole private interamente sostenute con fondi pubblici.
Come risultato finale ci si propone di delineare una visione
globale dei due ordinamenti, che ci ha permetterà di cogliere
varie sfumature, ma anche differenze strutturali fra di essi;
che tuttavia non bastano a configurare i due modelli come
fortemente differenti tra loro: quindi, come si avrà modo di
sottolineare in seguito, alla fine del lavoro risulterà una
sostanziale omogeneità di fondo nel trattamento
dell’istruzione tra Italia e Spagna.
8
CAPITOLO I
L’ISTRUZIONE NELL’ORDINAMENTO SPAGNOLO
1 Profili organizzativi dello Stato spagnolo
Il problema del riparto di competenze tra Stato e Comunità
Autonome in materia di istruzione, e i conflitti di attribuzioni
che da questo derivano, non possono essere compresi se non
si conosce la realtà che da’ loro vita, e cioè quella del processo
di regionalizzazione dello Stato spagnolo.
Appare, dunque, necessario tracciare brevemente le linee
fondamentali dell’organizzazione territoriale spagnola al fine
di una migliore comprensione dell’argomento che ci
accingiamo ad affrontare.
In linea di massima tralasceremo il tema della configurazione
dei vari poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) per
dedicarci a ciò che più qui interessa: il rapporto tra Stato
centrale ed autonomie territoriali.
Ma prima occorre dire brevemente delle fonti normative,
soprattutto per introdurre il concetto di Ley Orgánica.
Al vertice del sistema delle fonti troviamo la Costituzione,
scritta e rigida, che assume, quindi, nella gerarchia delle fonti,
un grado superiore a quello delle leggi ordinarie. Da ciò
9
consegue sia che una legge ordinaria in contrasto con la
Costituzione è illegittima, e sottoponibile ad un controllo di
costituzionalità da parte di un organo a ciò preposto (il
Tribunal Constitucional); sia che occorre una procedura
aggravata per l’approvazione di norme di revisione volte a
modificarla.
Al di sotto della Costituzione e delle norme di revisione
costituzionale si collocano vari tipi di atti legislativi, e, in
primis, le Leyes Orgánicas (L.O.), che potremmo definire come
atti a competenza delimitata, i quali, ai sensi dell’art. 81 CE,
possono riguardare l’approvazione degli Statuti di
autonomia, il regime elettorale generale, il referendum,
l’organizzazione del potere giudiziario e le libertà pubbliche.
Ma soprattutto le LO, ed è per questo che per quanto ci
riguarda sono così importanti, hanno ad oggetto i diritti
fondamentali, quale, ad esempio, il diritto all’istruzione.
Inoltre, bisogna ricordare che le LO possono essere approvate,
modificate o derogate solo a maggioranza assoluta dei
componenti del Congreso de los Diputados (l’equivalente della
“nostra” Camera)
2
.
Seguono le leyes de bases, che sono le leggi di delega al
Governo, che precedono le leggi quantitativamente più
rilevanti, quelle ordinarie, a cui sono equiparate quelle delle
Comunità Autonome (CCAA) nelle materie di loro spettanza
3
,
e gli atti aventi forza di legge (decreti legislativi e decreti
legge) del Governo e delle CCAA.
2
CHIMENTI, C., Noi e gli altri, Vol II, Giappichelli, Torino, 2001. Pag. 3.
3
Sul riparto di competenze vedi artt. 148 e 149 CE.
10
Infine, all’ultimo gradino della scala, troviamo i regolamenti
governativi e quelli degli esecutivi delle CCAA.
2 Le origini dell’autonomismo spagnolo e le proposte di
organizzazione territoriale anteriori alla Costituzione
del 1978
La storia delle rivendicazioni autonomistiche delle Province
spagnole ha origini molto lontane nel tempo.
Già nel Medioevo la Spagna si presentava come una “unione
dinastica di territori autonomi dotati di propri organi
legislativi e di propri esecutivi”
4
, nonché di ordinamenti
giudiziari, amministrativi e fiscali. E nonostante i diversi
regimi abbiano posto in essere tentativi di ridurre il
pluralismo territoriale delle varie Province, tenendole legate
al potere centrale mediante patti e privilegi, le tendenze
centrifughe non si sono assottigliate fino ai giorni nostri.
Chiaramente, i tentativi di trovare una soluzione a questo
problema sono stati molti e diversi tra loro. Per restare in un
ambito temporale relativamente recente si può fare
riferimento alla Costituzione di Cadice del 1812, che
assicurava alle Province uno status particolare, oppure al
progetto di Costituzione del 1876, che prevedeva la
sostituzione di una forma territoriale di stato centralistico con
4
TRUINI, A., Federalismo e regionalismo in Italia e in Europa. Centro e periferie a confronto.
(Volume I) CEDAM, 2003, pag. 385.
11
una spiccatamente federalista
5
, o anche alla creazione,
avvenuta con il Real Decreto del 25 Marzo del 1914, della
Mancomunidad de Cataluña, cioè il governo unificato delle
quattro deputazioni catalane, che restò un esperimento isolato
anche a causa della opposizione del regime dittatoriale di
Primo de Rivera nel 1923
6
.
Ma è opinione diffusa che, nonostante i tentativi, appena
ricordati, di dare voce alle esigenze autonomistiche locali, la
risposta più vicina a quella della CE del 1978 sia quella
delineata dalla Costituzione della seconda Repubblica, nel
1931. Caratteristiche principali dei nuovi enti avrebbero
dovuto essere la costituzione dal basso, per aggregazione di
province limitrofe con caratteristiche socio-culturali comuni
o, quantomeno, affini
7
e l’approvazione del progetto di
statuto a maggioranza della popolazione coinvolta, in seguito
alle delibere dei comuni interessati. Infine, occorreva anche
una delibera delle Cortes, che aveva valore di ratifica dello
statuto approvato a livello locale.
La Cataluña ebbe un’esperienza di autogoverno già nel 1932;
il País Vasco ottenne l’approvazione del Parlamento nazionale
nell’ottobre 1936; la Galicia non fece in tempo. Infatti, nel
1936, l’insurrezione franchista, che diede vita alla guerra
civile prima, e alla dittatura poi, chiuse questa parentesi,
cancellando ogni forma di pluralismo e di autonomia.
5
Ibidem. La proposta prevedeva la divisione dello Stato in 17 Stati regionali,
attribuendo loro i poteri pubblici, e la creazione di un Senato federale.
6
ECHAVARRIA, J., Las bases constitucionales del Estado autonomico, Madrid, 1998.
7
ECHAVARRIA, J., Las bases constitucionales..cit. Ma anche AJA, E., El Estado
autonomico. Federalismo y hechos diferenciales, Madrid, 2001.
12
3 L’organizzazione territoriale dello Stato nella
Costituzione del 1978
La Costituciòn Española del 1978 traccia dunque quelle che
sono le linee fondanti dell’organizzazione regionale del
territorio.
Abbiamo già detto che la richiesta di autonomia è da sempre
l’esigenza più immediata alla quale deve provvedere il potere
centrale in Spagna. Basti pensare che le manifestazioni
politiche contro il franchismo negli anni del regime,
vertevano quasi sempre sulla rivendicazione di un
autogoverno regionale, oltre che sulla richiesta di democrazia.
Le cose non sono differenti nel momento in cui, dopo la morte
di Franco, deve riunirsi l’Assemblea Costituente, col compito,
tra gli altri, di dare soddisfazione alle esigenze di pluralismo
manifestate specialmente dal Paese Basco e dalla Catalogna e,
in misura minore, anche dalla Galizia
8
. Ma la soluzione non
poteva riguardare solo quelle regioni, la cui volontà
autonomista era storicamente manifesta; si doveva permettere
a tutti i soggetti a ciò interessati di creare un ente territoriale
di area vasta, per tutelare e sviluppare la propria identità, o
anche solo per sfruttare i vantaggi dell’autogoverno; tutto ciò
senza mai, assolutamente, mettere in dubbio l’unità dello
Stato.
8
POGGESCHI, G., Le nazioni linguistiche della Spagna autonomica, CEDAM, 2002.
13
Uno dei punti di maggiore interesse concerne l’adozione del
principio di volontarietà
9
, che disciplina l’accesso a tali forme
di autonomia. La creazione di Comunità Autonome risulta
infatti subordinata alla volontà dei singoli soggetti titolari del
diritto, prevedendo quindi la possibilità di un federalismo
“zoppo”, con parte del territorio organizzata in forme di
autogoverno, e parte dipendente dal potere centrale. In realtà,
dopo il riconoscimento delle comunità africane di Ceuta e
Melilla come “città autonome”, il quadro delle autonomie è
completo, avendo scelto tutti i territori di dotarsi di organi di
autogoverno e di appartenere ad una CA
10
.
Coerentemente con quanto appena detto, la CE non contiene
un elenco degli enti di area vasta, di fatto non imponendo una
organizzazione territoriale dall’alto (come avviene in Italia).
Il riconoscimento effettuato, in un primo momento soddisfece
le rivendicazioni di País Vasco e Cataluña, ma poi, via via,
riguardò tutto il territorio spagnolo.
Tutte le CCAA, infatti, hanno progressivamente visto
aumentare il proprio potere decisionale, di volta in volta
sottratto allo Stato, insieme a competenze di vario genere. E
ciò in seguito a leggi, sentenze del TC interpretative della CE,
e ai due Patti Autonomici del 1981 e del 1992, stipulati sulla
base di larghe intese tra il partito di governo e il principale
partito all’opposizione.
9
TRUINI, A., Federalismo.,.cit. pag. 402.
10
Ad oggi l’elenco delle CCAA comprende: Andalucía, Aragón, Canarias, Cantabria,
Castilla-La Mancha, Castilla y León, Cataluña (Catalunya), Comunidad de Madrid,
Comunidad Valenciana, Extremadura, Galicia, Islas Baleares, La Rioja, Comunidad
Foral de Navarra, País Vasco (Euskadi), Principado de Asturias, Región de Murcia, e
le città autonome di Ceuta e Melilla.
14
Abbiamo detto che le CCAA non si costituirono tutte nello
stesso momento. A tal proposito, bisogna fissare il termine del
primo ciclo alla fine del 1983, che segna l’approvazione degli
ultimi statuti e la celebrazione delle prime elezioni
autonomiche.
Ma entriamo nello specifico con quelli che sono gli elementi
essenziali dell’organizzazione territoriale dello Stato
spagnolo:
a) innanzitutto, il postulato dell’esistenza della Nazione
spagnola, o della Spagna, identificata con la popolazione
spagnola, titolare della sovranità esclusiva ed indivisibile
(Preambolo, art.1 CE);
b) la garanzia costituzionale dell’identità di diversi popoli
compresi nella Nazione spagnola, e non differenti da questa,
ma dotati di proprie tradizioni, culture, lingue ed istituzioni;
c) lo Stato spagnolo, che in attuazione del principio di
autonomia, prevede al suo interno l’esistenza di Municipi,
Province e Comunità Autonome, con un governo democratico
e rappresentativo (artt. 140 e 141) e competenti nella gestione
dei propri interessi (art. 137);
d) l’art. 2 CE, tra le varie norme che detta (su cui infra 3.1),
stabilisce il principio di solidarietà fra Nazionalità e Regioni,
garantendone l’effettiva attuazione mediante l’instaurazione
di un equilibrio economico fra le diverse parti del territorio
(art. 138); inoltre, a tal fine, si prevede anche l’istituzione del
Fondo di Compensazione Interterritoriale (art. 158);
e) sempre in base al principio di solidarietà, si prevedono
l’uguaglianza giuridica dei cittadini spagnoli in qualunque
15
parte dello Stato (artt. 14 e 139), la libera circolazione di beni e
persone (art. 139), e la facoltà per lo Stato di “emanare leggi
che stabiliscano i principi necessari per armonizzare le
disposizioni normative delle CCAA...quando lo esiga
l’interesse generale”
11
(art. 139);
Inoltre, altri principi, prettamente politici, sono alla base dello
Stato delle autonomie spagnolo.
Il primo, come già riferito, è il principio di unità della
Nazione spagnola, che a sua volta comprende diversi tipi di
unità: quella costituente, quella riguardante l’ordine
internazionale, quella riguardante l’ordinamento giuridico,
quella fiscale e quella giurisdizionale
12
.
L’art. 137, che, come detto, divide il territorio spagnolo in
Municipi, Province e Comunità Autonome, fissa anche il
principio di territorialità, il quale implica che la competenza
della CA sia limitata, essendo esercitabile solo sul proprio
territorio, a fronte di quella dello Stato, che è invece generale
su tutto il territorio nazionale
13
.
Altri principi di riferimento sono quello di solidarietà (art. 2), a
cui abbiamo già accennato, e quello di sussidiarietà,
implicitamente contenuto nel titolo VIII, (dedicato
all’organizzazione territoriale dello Stato. In particolare, per
11
LOPEZ AGUILAR, J. F., Lo stato autonomico spagnolo, Padova, 1999.
12
AA. VV., Comentario a la Constitución, Madrid, 1980. Ma lo stesso elenco si trova
anche in ALZAGA, O., Comentarios a las leyes políticas, Constitución española de 1978.
Tomo I. Edersa, 1983. In particolare si ricorda che la Spagna all’esterno si presenta
come uno Stato con una sola forma di governo, una sola lingua ufficiale (art.3), una
sola bandiera (art.4) e una sola personalità giuridica internazionale (art.63), che tutti
gli spagnoli sono uguali di fronte alla legge (art.14) e sono sottoposti allo stesso
regime giuridico (art. 9). Ma anche che la competenza a stabilire tributi spetta solo allo
Stato (art. 133.1).
13
ALZAGA, O., La Consitución espanola de 1978, Madrid, 1978.
16
quanto riguarda il secondo, si può dire che consiste
nell’avvicinare il più possibile la fonte decisionale al cittadino
dell’ente decentrato, facendo sì che tutto ciò che il suddetto
ente possa fare da solo, non deve essere assunto come
competenza da una istituzione più grande. Questo, perché più
l’istituzione è territorialmente piccola, più sarà vicina e
presente ai problemi della comunità di riferimento
14
.
3.1 Le Comunidades Autónomas
La parte che più qui interessa, e che del resto caratterizza
maggiormente il caso spagnolo, è quella riguardante gli enti
di area vasta che prendono il nome di Comunidades Autonomas
(CCAA). La loro disciplina è contenuta nel Titolo VIII della
CE, dedicato appunto all’ “organizzazione territoriale dello
Stato”. Ma questo complesso di norme (artt. 137 - 158) va letto
in correlazione al dettato dell’art. 2, che al primo comma così
recita: “La Costituzione si fonda sull'unità indissolubile della
Nazione spagnola, patria comune e indivisibile di tutti gli
spagnoli, riconosce e garantisce il diritto all'autonomia delle
nazionalità e delle regioni che la compongono, nonché la
solidarietà fra tutte queste”.
Della solidarietà abbiamo già parlato in precedenza, come
dell’unità indissolubile della Nazione spagnola (retro 3). Ora
bisogna soffermarsi sul significato dei termini nazionalità e
14
Ibidem.
17
regioni. Le regioni sono enti di area vasta, come quelli che si
riscontrano in molti altri Stati con esperienze di
decentramento territoriale, per cui nulla quaestio.
Più problematico il concetto di nazionalità. Se, infatti, si
ribadisce numerose volte, all’interno della Costituzione,
l’unità indissolubile della Nazione spagnola, non si capisce
come queste altre nazionalità possano coesistere, ed anzi
inscriversi nel concetto di Nazione spagnola
15
. Si rischierebbe,
infatti, costituzionalizzando l’esistenza delle altre nazionalità,
che queste avanzino pretese di autodeterminazione e di
creazione di uno Stato indipendente, e non solo, come invece
voluto dal Costituente, di autogoverno.
Ma al di là delle polemiche, per nazionalità possiamo
intendere la specificità storico-culturale che accomuna i
componenti di una determinata comunità, il cui intento è la
valorizzazione e la tutela delle proprie peculiarità da parte
dello Stato centrale
16
, e non un semplice sinonimo di nazione.
Passiamo ora ad analizzare, seppur sommariamente, le norme
strettamente riguardanti le CCAA, e cioè quelle contenute nel
Titolo VIII della CE.
Tra le prime in ordine di importanza annoveriamo
sicuramente l’art. 143, il quale prevede che “nell’esercizio del
diritto all’autonomia, di cui all’art. 2 della Costituzione, le
Province limitrofe con caratteristiche storiche, culturali ed
economiche comuni, i territori insulari e le Province
15
IMENES BLANCO, A., Comentarios a la Constitución, Madrid, 1993. Nel testo è
riportata anche una polemica parlamentare sull’etimologia del termine nazionalità,
che deriva dalla parola Nazione.
16
IGLESIA FERREIROS, A., Autonomía y soberanía, Madrid 1996.
18
d’importanza regionale storica potranno accedere
all’autogoverno e costituirsi in Comunità Autonome,
conformemente a quanto disposto in questo titolo e nei
rispettivi statuti”. Il secondo comma assegna “l’iniziativa del
processo regionalista… a tutte le Deputazioni interessate, o
all’organo interinsulare corrispondente, unitamente ai due
terzi del corpo elettorale di ogni Provincia o isola. Queste
condizioni dovranno essere soddisfatte nel termine di sei mesi
dalla prima decisione presa in merito da qualcuno degli
organi locali interessati.”
L’articolo in questione stabilisce la via ordinaria di accesso
all’autonomia. Ma c’è anche una via straordinaria, che
definiamo speciale o rinforzata, stabilita dall’art. 151 e riferita
in primo luogo alle nazionalità delle quali parla l’art. 2, che
godono di un accesso privilegiato al regime di autonomia. Ai
sensi della seconda disposizione transitoria , infatti, “i
territori che in passato abbiano sottoposto a referendum con
risultato affermativo progetti di statuto di autonomia e che al
momento della promulgazione di questa Costituzione abbiano
regimi provvisori di autonomia, potranno procedere
immediatamente nella forma prevista al comma 2 dell'art. 148,
se così decideranno a maggioranza assoluta i loro organi
preautonomistici collegiali superiori, comunicandolo al
Governo. Il progetto di statuto sarà elaborato in conformità
con quanto stabilito dall'art. 151, comma 2, dietro
convocazione dell'organo collegiale preautonomistico”.
Il riferimento è, chiaramente, agli enti dotati di un regime di
preautonomia, e cioè alla Catalunya, al País Vasco e alla