3
Presentazione
La presente tesi ha come oggetto di studio un periodo cruciale
non solo per il costituzionalismo inglese ma anche per la moderna
nozione della sovranità parlamentare.
La trattazione di questo argomento si è valsa dei contributi di
storia costituzionale reperiti prevalentemente nella l etteratura di
matrice anglosassone cercando di puntualizzarne le tappe, i più
recenti sviluppi ed anche le frequenti e vivaci contrapposizioni
teoriche.
Una disamina preventiva ed essenziale dei presupposti
medievali : l‟evolversi del Consilium o Curia Regis costituito dai
pari del Sovrano in organismo più complesso, rappresentativo delle
città e della piccola nobiltà ; il successivo affinarsi delle
competenze dall‟originaria confusione tra compiti giudiziari,
legislativi e di governo in un lento processo, sedimentato e non
privo di contraddizioni, caratterizzato da improvvise accelerazioni
come da altrettanto repentini, ritorni al passato.
La successiva comparsa di una classe mercantile sempre più
esigente rappresentata in Parlamento che approfitta della
cancellazione “fisica” della grande aristocrazia annientata nelle
guerre dinastiche del quindicesimo secolo coincide con la
formidabile entrata in scena di una nuova dinastia, quella Tudor, la
cui missione principale è la programmatica costruzione di un
governo accentrato. Questa alleanza tra Parlamento e Monarca
contro un nemico esterno, il Papato, costituirà una irripetibile
occasione per lo stesso Parlamento di porsi come elemento
principale ed imprescindibile del governo monarchico, la cui
magnificenza acquisterà la sua più visibile e spettacolare
dimensione nella complessa e dibattuta forma del “King in
Parliament”.
Il progressivo apprendimento da parte del Parlamento del la
difficile e spesso pericolosa arte di “chiedere” prima di “elargire” a
fronte un Monarca i cui sempre più complessi compiti di governo
richiedono crescenti mezzi finanziari. Nasce proprio in questo
contesto, in questa complessa dialettica il “balance”, l‟equilibrio,
che ad un certo punto, in presenza di dinastie più impazienti ed
avide di risorse non basterà più.
Un Parlamento che ha nel frattempo imparato a strutturare i
propri interni meccanismi secondo procedure condivise, comincerà,
approfittando delle ricorrenti e contingenti debolezze del Sovrano a
pretendere voce in capitolo nelle questioni di governo, gelosamente
fino ad allora considerate parte della prerogativa reale .
Le tensioni e le drammatiche rotture dell‟ ”equilibrio” che
dall‟epoca Tudor si susseguiranno nel corso di un secolo
diciassettesimo dominato dalla scozzese dinastia Stuart avranno il
4
loro epilogo nella “Gloriosa Rivoluzione” il cui impegnativo
aggettivo è stato dalla più recente storiografia più o meno messo in
discussione ma la cui più evidente conquista è generalmente
individuata nel definitivo consolidamento della “Sovranità”
parlamentare sull‟”absolute power”.
Il trionfo da ultimo, della legge del Parlamento, dello statuto
parlamentare come moderna ed effettiva garanzia che
quell‟equilibrio, già in buona parte moderno equilibrio di poteri,
non sarebbe stato posto ancora in pericolosa discussione.
La democrazia nel moderno senso, il cui fulcro è rappresentato
da un‟assemblea rappresentativa e dall‟efficace bilanciamento dei
poteri nasce da questa forte affermazione frutto di un iter complesso
e a tratti drammatico. Le Rivoluzioni che sulla scena mondiale nei
successivi secoli di susseguiranno non possono essere ben comprese
senza considerare la vittoriosa lotta dei Comuni in Inghilterra e la
definitiva affermazione della sovranità parlamentare.
Una aspirazione che sembra ancora oggi ed in questi stessi
mesi capace di incarnarsi alle più diverse latitudini e di costituire
ancora oggi anelito insopprimibile, dell‟uomo.
Firenze, 16/02/2011
5
Capitolo primo
L’EREDITA’ MEDIEVALE ALL’ALBA DEL REGNO TUDOR.
Sir John Fortescue, poco tempo prima dell‟avvento del Regno
Tudor, spiegava che l‟Inghilterra, diversamente dalla sua secola re
nemica Francia che definiva dominium regale, costituiva un
dominium politicum et regale: “a king of England cannot at his
pleasure make any alterations in the laws of the land, for the nature
of his government is not only regal, but political”
1
. In Inghilterra
infatti, il processo di formazione del consenso era stato affrontato
molto più seriamente che in Francia, tanto che si era cominciato ad
accettare, già dalla fine del tredicesimo secolo, che le nuove leggi
non solo necessitavano del supporto del Re e dell‟assenso dei suoi
Pari, ma anche del consenso dei Comuni. Il dominium politicum et
regale di Fortescue, pertanto, era il prodotto non tanto di una teoria
quanto di un‟osservazione
2
.
Il Monarca era quindi soggetto alla legge che egli stesso
approvava con il Parlamento, in particolare per quanto riguarda
l‟imposizione delle tasse per le quali il consens o delle due camere
era necessario. Il Re doveva ottenere il consiglio e l‟assenso di
quelli che Chrimes chiama i “tree estates of the Realm”, cioè dei
Lords spirituali e temporali e dei Comuni
3
.
Da questa constatazione Fortescue sembrava dedurre quindi
uno stretto legame tra “the rule of Law” e la supremazia legislativa
del Parlamento, mentre la Monarchia veniva ad essere basata su un
1
Fortescue, John On the Laws and Governance of England, “Cambridge Texts in the History of Political
Thought”, Cambridge, Cambridge University Press, 1997, pp.LIV-156
2
Loades, David Michael Tudor Government :Structures of Authority in the Sixteenth Century, Oxford,
Blackwell, 1997, p. 2.
3
Chrimes, S.B. English Constitutional History, fourth edition, Oxford, Oxford University Press, 1967, p.
86.
6
binomio Re/Regno, quest‟ultimo rappresentato dalla Camera dei
Lords e dai Comuni
4
.
Tutto questo costituiva evidentemente il risultato di un
peculiare processo durato alcune centinaia di anni.
Anche se alcuni fanno risalire la convocazione del primo
Parlamento alla data del 1265, quando i rappresentanti delle città
vennero chiamati per la prima volta a far parte della Curia Regis
5
,
la parola “parlamento” designava, dalla sua prima apparizione nel
linguaggio ufficiale del tredicesimo secolo, le conferenze che
venivano formalmente convocate fra il re, i suoi ufficiali ed un
numero di magnati chiamati personalmente a farne parte. Si trattava
di assemblee non-rappresentative che avrebbero continuato ad
essere tenute di quando in quando anche molto tempo dopo che i
parlamenti, propriamente costituiti anche dai rappresentanti delle
contee e delle città del regno, avevano cominciato ad essere
convocati con più o meno regolare frequenza
6
.
Assemblee di prelati e magnati potevano infatti essere
convocate e consultate sulle questioni di politica estera, interna e
finanziaria, sulle questioni amministrative, sulle riforme legislat ive
e per amministrare giustizia. Si trattava comunque, nel complesso,
di assemblee che non si discostavano di molto dal vecchio consiglio
feudale. Infatti, come abbiamo detto, quando più tardi divenne
inusuale usare il termine parlamento senza far riferi mento anche ai
Comuni, assemblee di questo tipo vennero comunemente e
definitivamente chiamate Gran Consigli. Esse continuarono ad
essere convocate, di quando in quando, durante il quattordicesimo e
quindicesimo secolo. L‟ultima convocazione di questo tipo di
assemblea avvenne nel 1640 da parte di Carlo I, nell‟ambito del suo
scontro con i Comuni. Quel tentativo, secondo Chrimes, costituì non
4
Varela Suanzes, Joaquin, “Sovereignty in British Legal Doctrine”, Murdoch University Electronic
Journal of law 6(3), 1999, p.3.
5
Varela Suanzes, ibidem.
6
Chrimes, op. cit., p. 76.
7
solo la fine del Gran Consiglio, ma anche la fine della monarchia
medievale
7
.
Sarebbe pertanto a lungo esistita, almeno all‟inizio, una certa
intercambiabilità tra i termini Parlamento e Gran Consiglio inteso
appunto, come assemblea del re con i suoi magnati,
intercambiabilità spesso dipendente dal tipo di convocazione che
veniva effettuata dal Re. Si trattava comunque di assemblee, le une
e le altre, che erano sempre convocate per finalità particolari ed in
base alla stretta convenienza del Monarca
8
.
Nell‟ambito della predetta incerta distinzione, potevano quindi
essere convocati in Parlamento anche i rappresentanti del le
comunità del regno se per qualche ragione al re sembrava
desiderabile avere un più stretto contatto con le comunità locali. Se
invece il governo del re si sentiva sufficientemente sicuro nella sua
azione politica ne faceva tranquillamente a meno. Qualun que fosse
la scelta del monarca non veniva certo in questione alcun principio
costituzionale
9
.
Sembra tuttavia che, le funzioni richieste dal sovrano ed
esercitate dai magnati e dai rappresentanti delle città nell‟ambito
dell‟assemblea parlamentare fossero , almeno all‟inizio, fra loro
diverse.
Plucknett infatti osserva che mentre al centro del Parlamento
stava sempre il re con il suo consiglio, composto dai lords spirituali
e temporali che venivano convocati per essere consultati sulle più
difficili questioni, ai rappresentanti delle comunità locali era più
frequentemente richiesto, non tanto di esprimere il loro consiglio al
monarca, ma di manifestare semplicemente il loro proprio assenso a
qualsiasi decisione venisse adottata, e di fare ciò che sarebb e stato
loro chiesto di fare
10
.
7
Chrimes, ibidem.
8
Loades, op. cit., p.37.
9
Plucknett, Theodore T. F., Taswell-Lamngmesd‟s English Constitutional History , Boston, Houghton
Mifflin, 1960, p. 150.
10
Plucknett,op. cit. p. 151.
8
Tra le possibili questioni poste dal monarca all‟ordine del
giorno di queste convocazioni parlamentari, oggetto originariamente
preminente era la trattazione delle difficili questioni giudiziali che,
per una qualsiasi ragione, non potevano trovare soluzione negli
ambiti delle corti giudiziarie ordinarie, e che necessitavano che il re
esercitasse, certo, il suo potere discrezionale, ma con l‟assenso di
coloro che erano stati convocati. Solo successivamente vennero
progressivamente in considerazione questioni diverse da quelle
puramente giudiziali. Qualsiasi altra questione infatti, per la quale
il re desiderava il supporto o soltanto il punto di vista dei suoi
magnati poteva essere infatti, là, discussa
11
.
Il consenso dei conti e baroni del regno aveva infatti, da
questo punto di vista, importanza cruciale
12
.
Loades sostiene che i re medievali, anche se erano ufficiali
che derivavano la loro autorità da Dio e responsabili verso di lui
soltanto, esercitavano pur sempre un ufficio che era stato creato per
uno scopo riguardo al quale altri avevano un interesse legittimo alle
modalità del suo stesso esercizio e ad esprimere il loro consenso. A
questo consenso era stata data tradizionalmente sostanza attraverso
due modalità.
Una prima modalità deve essere ricondotta al contratto
feudale che legava i re ed i loro vassalli in un sistema mutuamente
riconosciuto di diritti ed obbligazioni. La seconda modalità era
costituita da quelle norme della legge consuetudinaria che non erano
considerate come il prodotto di una ben identificabile volontà
legislativa.
Dire che il Sovrano era quindi, come scriveva Bracton nel
tredicesimo secolo, “under God and the law” significava che egli
era obbligato ad agire nella precisa cornice disegnata dalle
consuetudini del suo regno, ed il consenso dei magnati era
subordinato al rispetto di esse.
11
Chrimes, op. cit., p. 76
12
Loades, op.cit., pp. 1 e 2
9
In questo ambito la relazione feudale fra il re ed i magnati
comportava quindi reciproci diritti e responsabilità, comprese quelle
sia di cercare che di dare il consenso riguardante i fatti di reciproco
interesse. I sovrani richiamavano e confermavano spesso il ruolo
essenziale nell‟approvazione della legge da parte dell‟assemblea dei
magnati. Questo avveniva anche perché in Inghilterra la
rivendicazione dei propri diritti da parte della nobiltà si era spesso
accompagnata con l‟azione diretta a porre fine alle pretese
assolutiste dei sovrani, come nel caso di Giovanni, Edoardo II e
Riccardo II
13
.
Così accadeva che Enrico I, nella carta dell‟incoronazione
riconoscesse la necessità del consenso dei baroni prima di poter
cambiare la legge. Ed Edoardo III che, allo stesso modo, nel 1330,
affermava che “le questioni che riguardano lo stato del nostro regno
devono essere risolte con il consenso dei magnati del nostro reg no e
in nessuna altra maniera”. E ancora, nel 1399, Enrico IV che non si
limitava soltanto ad affermare l‟essenziale funzione consultiva dei
magnati, ma li richiamava ad una vera e propria funzione di
governo, sottolineando l‟importanza del loro consenso ed assenso
14
.
Dobbiamo però considerare che sia Enrico IV che Edoardo
III, erano pervenuti al trono dopo che i loro impopolari predecessori
erano stati deposti. Si trattava quindi di princìpi che non erano
applicati pacificamente e senza controversie : Riccardo II,
predecessore di Enrico IV, era stato accusato, al tempo della sua
deposizione, di aver espressamente detto che egli solo poteva
cambiare le leggi del suo regno
15
.
Goldsworthy tuttavia mette in evidenza il carattere più
propriamente politico, di questa azione di condizionamento espressa
dai membri dei primi parlamenti non riconoscendo, a differenza di
Loades, la sussistenza, in capo al monarca di un vero e proprio
13
Loades, ibidem.
14
Goldsworthy, Jeffrey, The Sovereignty of Parliament : History and Philosophy, New York, Oxford
University Press, 1999, p. 25.
15
Goldsworthy, ibidem.
10
obbligo giuridico di conformarsi alle consuetudini del regno.
Bracton, infatti, descrive spesso i conti ed i baroni della Curia come
“companions” o “partners” associati dal Re al governo, il cui
consiglio e forse il consenso era necessario perché nuove leggi
potessero essere fatte. Ma questo accadeva non perché questi
elementi costituissero indispensabili condizioni di legittimità
dell‟operato del monarca ma perché la combinata autorità, sua e
dei magnati, era superiore all‟autorità del re preso singolarmente e
di questo il sovrano ne aveva perfetta consapevolezza
16
.
E‟ vero che l‟affermazione di Bracton, secondo cui i magnati
erano partners del Monarca, aveva evidentemente origine nella
relazione, come dice Loades, di origine feudale tra signore e
vassallo. E che, se le violazioni del contratto feudale e della legge
consuetudinaria erano prontamente fatte rilevare dai signori feudali,
le modalità con le quali l‟adempimento di un obbligo da parte del re
poteva essere preteso o la sua negligenza rilevata erano spesso
oggetto di fiera controversia
17
.
Ma non sussistevano mezzi legali od istanze costituite da una
qualsiasi corte per ottenere l‟adempimento del patto feudale o
della legge consuetudinaria. E non sussisteva, del resto, una
costituzione che prevedesse il rispetto formale di certe modalità che
il sovrano avesse l‟obbligo di osservare. Infatti i magnati non
tentarono mai la via delle regolari procedure giudiziarie perché
erano consapevoli che la common law non poteva offrire rimedi in
quanto legge del re, e che gli stessi giudici nell‟ambito d elle corti
erano i giudici del re. Uniche vie per costringere il sovrano ad
accettare le loro richieste erano il confronto politico,la
disobbedienza, la rivolta armata e, come ultima risorsa, la
deposizione. Quindi non vi era affatto chiarezza riguardo alle
modalità che il re doveva seguire per ricercare il consenso dei
baroni nell‟ambito delle assemblee. Da questa incertezza sorgevano,
16
Goldsworthy, op. cit., p. 24.
17
Loades, op. cit., pp. 1 e 2.
11
come già detto, innumerevoli contrasti che a volte sfociavano in
violenti conflitti
18
.
In questo quadro Goldsworthy collega l‟evolversi della Curia
in assemblea parlamentare al tradizionale consenso ed assenso dato
dai baroni al re nelle faccende di governo.
Sicuramente, come abbiamo già detto, vi era all‟origine un
concetto della rappresentanza dell‟intera comunità che anticamente
si esprimeva attraverso i rapporti vassallatici ai cui vertici stavano i
grandi magnati del regno, concetto spesso confermato dalle antiche
carte, come la Magna Charta o le Provisions of Oxford (1258).
Successivamente, l‟estensione della partecipazione all‟attività
legislativa ad altri settori della comunità che non rientravano nella
stretta cerchia dei magnati, tendenza iniziata già sul finire del
tredicesimo secolo, venne gradualmente a consolidarsi nel corso del
secolo quattordicesimo interessando anche i rappresentanti di città e
contee
19
.
Anche se non è facile determinare i motivi specifici per i quali
la Corona provvedeva a queste occasionali convocazioni dei
rappresentanti delle contee e delle città, l‟obbiettivo principale era
quello di rinforzare il potere del re e di migliorare l‟azione di
governo. Si trattava di ottenere da parte della Corona informazioni
di prima mano riguardanti il governo locale delle comunità, in modo
da orientare così l‟azione degli sceriffi e degli altri ufficiali reali.
Ma era anche importante, attraverso tali convocazioni, instillare nei
rappresentanti del regno il rispetto che si doveva al governo
centrale.Ma al di là di tutti i possibili motivi era del tutto chiaro che
la Corona attribuiva grande importanza al fatto di garantire che i
rappresentanti delle comunità locali, una volta convocati,
giungessero preparati a parlare e ad agire nell‟interesse delle loro
comunità
20
.
18
Goldsworthy, op. cit., p. 26.
19
Goldsworthy, op. cit., p. 28
20
Chrimes, op. cit., pp. 78 e 79
12
Lo sviluppo della sovranità parlamentare è scandito da
importanti provvedimenti che modificando gradualmente
l‟originaria funzione di supporto e consiglio al monarca, mettono
sempre di più in risalto l‟accresciuta autorità politica delle
assemblea rappresentative.
Goldsworthy riporta un primo esempio di come le assemblee
parlamentari, al di là della originaria funzione, riuscissero ad
ottenere dal sovrano una maggiore ed effettiva partecipazione
politica. Con le Ordinances del 1311 infatti, imposte al Re da nobili
riottosi, si dichiarava che il sovrano non poteva svolgere alcune
attività di governo senza il consenso dei magnati, prefigurando così
quelle che diventeranno tipiche attribuzioni della sovranità
parlamentare. In questo modo, a partire dai primi anni del
quattordicesimo secolo, il Parlamento diveniva, nelle aspettative di
molti baroni, il luogo principale per la trattazione delle questioni
riguardanti l‟alta politica : la nomina degli alti ufficiali, la
dichiarazione della guerra, specifiche imposizioni fiscali, i
cambiamenti nel conio delle monete
21
.
Questo avveniva perché ormai, aggiunge Goldsworthy,
sussisteva all‟epoca la piena consapevolezza che le decisioni in
certe materie di governo, prese insieme dal Re e dal Parlamento,
avevano molta più autorità delle decisioni prese dal Re in
solitudine.
Dalla metà del quattordicesimo secolo, comunque, la
partecipazione all‟attività legislativa del Parlamento e alla
trattazione delle più importanti questioni, era stata ormai abbastanza
stabilmente estesa ai rappresentanti delle contee e città. In questo
quadro e a seguito della formazione di due distinte camere,
venivano anche a svilupparsi dei tipici mezzi procedurali, come la
common petition nell‟ambito della stessa Camera dei Comuni che
veniva utilizzata dai proprietari terrieri per esprimere le lagnanze e
21
Goldsworthy, op. cit., p. 28.