II
disagio del corpo, che si esperisce in un senso di inappagamento, in
rapporto a delle peculiarità fisiche avvertite come estranee e
inaccettabili: dal sé, dagli altri e dalla società.
Ad un livello più superficiale, il problema risulta di natura estetica,
parafrasabile come l’aspirazione diffusa, ad incarnare un concetto
ideale di bellezza corporea, che depreca gli accumuli adiposi
tipicamente femminili a favore di un fisico longilineo e asciutto.
Una riflessione più approfondita condotta nel I capitolo, tuttavia,
rileva quanto tale atteggiamento sia divenuto, di fatto, fenomenico
della massa, assumendo i toni estremi della ossessione per la dieta,
della fobia per il cibo e della cura maniacale del corpo (al punto che
la maggior parte delle donne occidentali si considera grassa e ha
seguito almeno una volta un programma di controllo alimentare o
un corso di fitness
∗
); in questo caso è lecito parlare di psicosi. Di
conseguenza si è creato un comportamento sospettoso e
ghettizzante, verso gli individui corpulenti che ostentano la
passione per il cibo, assurti ad emblema della inaffidabilità e del
disprezzo per la salute fisica, oltre che della totale assenza di
attrattiva estetica.
Vi sono degli elementi che influiscono sulla percezione della
bellezza, radicalmente modificata rispetto ai canoni del passato;
∗
Per le statistiche precise, cfr. CAP. I, par. 1.1, p. 15;
III
l’ideale comune, attualmente, converge su un modello estetico
standardizzato, in quanto accettato come unicamente valido. Ciò ha
determinato un inevitabile appiattimento del gusto e un
livellamento delle diversità etniche e culturali. Le cause del
fenomeno sono da ricercare nei meccanismi culturali della
comunicazione di massa.
La prima parte, a tale proposito, evidenzia quali sono le
caratteristiche del modello culturale di bellezza, importato dalla
moda, e dimostra attraverso l’analisi delle rappresentazioni
mediatiche (in particolare la pubblicità) il grado di influenzabilità
che la società opera sull’individuo, al punto da condizionarne
l’esistenza. I disturbi della percezione, infatti, portati alle estreme
conseguenze, generano malattie comportamentali autolesionistiche,
psicopatologie alimentari come l’anoressia e la bulimia, specifiche
della cultura occidentale e riscontrabili quasi esclusivamente nelle
giovani donne.
Il tentativo è inoltre quello di stimolare la riflessione nel lettore,
attraverso la condivisione di un percorso di crescita personale,
iniziato nell’ambito dell’Accademia, nel biennio di Pedagogia e
Didattica dell’arte, che trova nella tesi una soluzione di causa.
Uno degli obiettivi a cui lo studio e la formazione accademica mira,
contempla la conoscenza approfondita del rapporto tra uomo e
IV
contesto storico-sociale, funzionale per acquisire un atteggiamento
reattivo verso gli stimoli esterni. Operare una scelta in base ai
propri gusti piuttosto che in relazione alle aspettative esterne è
indice di consapevolezza delle proprie specificità e diversità, cioè dei
tratti distintivi che slegano l’individuo dalla massa. La coscienza
critica è una conquista cognitiva, una facoltà necessaria per chi
intende operare nei vari settori della cultura.
I capitoli II, III, IV evidenziano come l’arte figurativa abbia concesso
ampio spazio alla figure femminili opulente, quali simboli della
bellezza e del fascino; una serie cospicua di Veneri, a partire dal
Paleolitico, sono “grasse”. Anche l’arte contemporanea, a dispetto
della moda e del gusto ufficiale, presenta diversi casi di “bellezza
prosperosa”.
Riguardo alla problematica sollevata inizialmente, relativa al grado
di influenzabilità che le immagini mass-mediatiche esercitano sulla
percezione e sul gusto estetico con la diffusione massiccia di una
costruzione artificiale della “bellezza magra”, l’arte, il cinema e
alcuni personaggi televisivi, si pongono come testimoni di un
modello alternativo. Diversi artisti del panorama contemporaneo
continuano a rappresentare la donna opulenta quale oggetto del
desiderio sessuale (Picasso, Fellini) o emblema del fascino e della
sensualità (Moore, Botero, Lachapelle, ecc.) spesso opponendosi
V
dichiaratamente all’assunto secondo cui il grasso è esteticamente
sgradevole (Waters), oltre che attributo su cui erroneamente, si
valuta il livello intellettuale (Cardoso).
La donna che si identifica nei modelli culturali mass-mediatici è
inevitabilmente frustrata e conduce la sua esistenza nel tentativo di
assomigliare ad una ideale, che risponde alla omologazione del
gusto.
L’esigenza è quella di riscoprire dei modelli, quanto più possibile,
eterogenei piuttosto che assimilare passivamente delle imposizioni
rigide che limitano lo spazio fisico e comportamentale della donna,
tralasciando le peculiarità individuali.
42
Capitolo II
STORIA DI UN BELLO IDEALE
1.2 Corpulenza tra identità di genere e metafora del piacere
Il capitolo precedente mostra come attualmente nell’ambito
Occidentale, la percezione del corpo snello come fondamentale
prerogativa della bellezza femminile, attribuisca all’opulenza fisica
valori umani, caratteriali ed estetici, totalmente negativi. L’aspirazione
alla magrezza insieme a gravi disturbi del comportamento alimentare,
risultano tra gli effetti più presenti di questo modello culturale e
costituiscono la sintomatologia di un forte disagio del corpo, oramai
radicato in una cospicua parte della popolazione. Il conflitto tra il sé e
l’ideale del sé, da un punto di vista estetico, condiziona l’intera
esistenza; è talmente presenta da costituire parte integrante della
cultura. Da un punto di vista antropologico, infatti, “il termine cultura si
riferisce allo stile di vita di una società considerato interamente. […] è l’insieme di
regole o di principi che determinano i comportamenti umani. La maggior parte di
essi vi include le credenze, gli atteggiamenti, i valori e gli ideali che caratterizzano
una particolare popolazione o società. Affinché un comportamento possa definirsi
culturale, esso deve essere appreso e condiviso.”(Ember & Ember)
16
.
16
Carol R. & Melvin Ember, Antropologia Culturale, Il Mulino, Bologna 1998;
43
Anche l’arte, in ogni sua forma, è universalmente riconosciuta come
espressione di una cultura. Lo stile, i linguaggi e i contenuti
diversamente espressi dalle singole personalità, assumono valore in
questo senso, in quanto legati ad un determinato contesto storico-
sociale. L’artista esprime il suo gusto e la sua sensibilità nell’opera,
ma essa diviene affascinante nel momento in cui permette al fruitore
di condividere, immedesimandosi, le sensazioni che la hanno ispirata.
Alla luce di tale affermazione è interessante riscontrare come
paradossalmente, in passato l’opulenza femminile, sia stata spesso
oggetto di attenzione artistica, quale simbolo di bellezza, nonchè
rappresentato come attributo di estremo fascino in quanto legato alla
particolare istintività di un indole dedita all’appagamento dei piaceri.
Una delle associazioni simboliche più direttamente legate alla
esuberanza delle forme femminili, rimanda alla fertilità. Per ragioni
biologiche infatti, la donna è destinata alla gravidanza e presenta una
struttura del corpo particolare, identificativa del genere sessuale.
Innanzitutto un bacino particolarmente ampio, da cui la caratteristica
forma dei fianchi, più larghi in rapporto alla vita rispetto all’uomo; in
questa zona il pannicolo adiposo, lungi dall’essere un inestetismo,
costituisce riserva energetica per il feto. Inoltre il corpo femminile si
distingue per la presenza di organi destinati all’allattamento,
essenziali nella definizione del profilo estetico: i seni. L’insieme di
44
queste forme, unitamente a molte altre particolarità che si
differenziano nei due sessi, conferisce alla donna una sua specificità
fisiologica. Secondo la scienza, la conservazione della specie è il
fattore determinante nella evoluzione di tutti gli esseri viventi, dunque
anche il corpo umano si è sviluppato secondo tale criterio.
Attualmente invece, i mass-media presentano gli accumuli sui
fianchi o sui glutei come “grasso
superfluo”; la funzionalità è divenuta una
imperfezione da debellare. Eppure il
rapporto vita-fianchi tipicamente
femminile, è stato per secoli esaltato in
arte, più spesso divenendo canone
irrinunciabile di fascino e sensualità,
nella rappresentazione della donna. È il
caso, ad esempio, delle statue greche di
Venere, dea della bellezza (fig.16), le cui
forme sviluppano un andamento sinuoso
proprio attraverso le curve del corpo: “La
bellezza particolarmente mobile delle statue
greche è in parte dovuta al modo Fig.16 Prassitele, Busto di Afrodite, (copia)
in cui la posa greca rompe la simmetria del corpo per trasformarlo in una
45
architettura in movimento fatta di spinte e controspinte, concavità e convessità che
moltiplicano le curve che partono dalla vita.”
17
Al di là dell’appagamento visivo dovuto alla forma esteriore, il grasso
si lega spesso anche col piacere sensoriale. Il tatto,
ad esempio è un senso che viene notevolmente stimolato dalla
consistenza malleabile delle masse adipose, piuttosto che dalle
spigolosità di un corpo magro. Klein afferma che
“strizzare il grasso […] è per molti, uomini e donne, fonte del piacere erotico più
intenso”. Personalmente questa
affermazione mi riporta al
particolare del gruppo scultoreo
di Bernini, Il ratto di Proserpina
in cui l’intensità e il pathos dei
corpi nudi, acquisisce intensità
e erotismo anche attraverso il
gesto della mano maschile che
stringe il gluteo (fig.17). Fig.17 G.L. Bernini Il Ratto di Proserpina (particolare)
Il desiderio sessuale è probabilmente il più primordiale degli istinti,
quello che maggiormente accomuna l’essere umano all’animale. Infatti
viene condannato dalle correnti culturali che promuovo l’uomo nella
sua essenza raziocinante, intento al controllo assoluto degli impulsi
17
Richard Klein, op. cit.;
46
fisici; come ad esempio il Cristianesimo. Ciò non toglie che
l’appagamento dei sensi, il tatto, il gusto, ecc., sia spesso presente in
arte come precisa metafora sessuale.
La odierna fobia alimentare, effetto del retaggio culturale relativo
all’ideale di bellezza snello, scalza bruscamente il ruolo
tradizionalmente positivo che il cibo e l’atto del mangiare hanno
assunto nella storia e nell’arte. L’opulenza infatti, presuppone un
territorio ricco di risorse economiche e alimentari. Una condizione
privilegiata, dato che oggi come in passato, la denutrizione costituisca
nei paesi poveri (ovvero l’ottanta per cento della popolazione
mondiale), il fattore principale di mortalità; proprio in queste
comunità non è un caso che si adorino divinità grasse: “anche Buddha è
Grasso”(Klein).
18
La motivazione religiosa, ha spinto in diverse epoche gli
uomini a conferire sembianze corpulente ai propri idoli, dipinti o
scolpiti, sebbene più come augurio di prosperità e benessere che per il
gusto del tessuto adiposo fine a sé stesso. In questo non c’è nulla in
effetti che riporti all’erotismo o all’appagamento del piacere.
L’associazione tra grasso e istinto sessuale, invece, è legata all’atto
del mangiare. La fame è un bisogno fisiologico, e può essere esperito
da qualunque alimento. Ma quando l’assunzione di un cibo avviene
per soddisfare il gusto più che la necessità, si è di fronte ad una
18
Figura di Sfondo: Statua di Buddha;
47
natura che ricerca l’emozione attraverso il cibo. Per il cattolicesimo
questo costituisce un peccato capitale, come ogni atto svolto per il
puro piacere. Il Dir definisce la gola come “Forte, smodato desiderio di
mangiare e bere; […] goloso: aggettivo; che eccita la golosità.”
19
. L’eccitazione è
una condizione che allude inevitabilmente alla sessualità. A questo
proposito cito una pellicola del regista Adrian Lyne, Nove settimane e
½, un film del 1989, che ha creato scalpore per la veridicità delle
scene erotiche . Una di queste, peraltro la più nota, si svolge proprio
in cucina davanti ad un frigorifero e vede il protagonista maschile
ingozzare di cibo la propria amante, come preludio dell’atto sessuale
che seguirà (fig.18). La metafora è piuttosto evidente. Eros e cibo si
incontrano persino in una pellicola per bambini, precisamente nel
cartoon Disney Lilly e il vagabondo, dove l’unione amorosa (più ideale
che effettiva) avviene mangiando un piatto di spaghetti, preparati
peraltro da uno chef italiano (fig.19); questa immagine è divenuta a
tutti gli effetti l’emblema del film.
19
DIR: Dizionario Italiano Ragionato, G.D’anna-Sintesi, Firenze 1998;