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La novella Ci-gît ma passion è stata premiata con il primo
premio al concorso della biennale Tchicaya U’Tansi nel 1996, in
seguito è stata ripresa e inserita nella raccolta L’homme dit fou et
la mauvaise foi des hommes.
Questa tesi presenta due parti: nella prima, si incontra
un’introduzione alla storia e alla letteratura del Bénin e una
scheda biografica dell’autore; nella seconda parte, si entra nel
merito delle quattro opere già elencate inizialmente, secondo il
seguente schema: sintesi delle opere, analisi delle macrostrutture
narrative: personaggi, temi, spazio e, infine, tempo.
La prima parte presenta la storia e la letteratura del Bénin, dato
che la conoscenza del tipo di cultura e di storia che il Bénin ha
alle spalle permette al lettore di poter comprendere meglio il
back-ground sociale e culturale dell’autore e dà la possibilità di
comprendere meglio le sue opere.
La seconda parte della tesi entra nel merito della sua opera e
analizza in primo luogo i personaggi che popolano le opere: nel
primo capitolo, vengono presi in esame gli aspetti fisici e
psicologici dei protagonisti, in seguito vengono analizzati il loro
ruolo all’interno della storia e il rapporto con gli altri
personaggi.
Il secondo capitolo analizza i temi che le opere affrontano:
varie volte i temi principali si ritrovano negli scritti di Florent
Couao Zotti; per questo motivo, l’analisi verrà condotta prima
sui temi comuni a tutte le opere, in seguito, si procederà con
l’analisi degli aspetti che caratterizzano ogni singolo romanzo o
novella.
Il terzo capitolo è dedicato allo studio delle strutture temporali
che si trovano all’interno delle opere: le categorie applicate sono
quelle dell’ordine, della durata e della frequenza. I romanzi e le
novelle vengono analizzati singolarmente per permettere al
lettore di entrare in ognuno di essi e comprendere nello specifico
come l’autore abbia trattato i fatti in ognuno di essi.
6
Nell’ultimo capitolo vengono analizzate le strutture spaziali
utilizzate dall’autore: l’analisi si fonda sullo studio degli spazi e
dei luoghi in cui si svolgono le storie e il loro valore simbolico
rispetto ai personaggi e alla stessa storia.
In tutti i capitoli, l’analisi è condotta opera per opera per poter
cogliere in maniera più approfondita ogni aspetto presente nelle
stesse.
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PARTE PRIMA:
1. LA STORIA DEL BENIN
La storia dell’odierno Bénin comincia nel XVI secolo, periodo
in cui inizia l’unificazione di vari principati che daranno vita al
regno del Danhomé o Dahomey.
All’inizio del XVI secolo, nella regione esistevano due regni
semi indipendenti: il regno di Jakin, con capitale l’attuale Porto-
Novo, e quello di Dan-Homé. La popolazione del Dan-Homé era
composta per la maggior parte dall’etnia Fon, che aveva fondato
le città di Allada, Porto-Novo e Abomey.
La fondazione della città di Abomey risale circa all’anno 1625
e viene attribuita al principe Do-Akin, a quei tempi in lotta con i
fratelli per la successione al trono. Il Figlio di Do-Akin,
Dakodonoun, fedele al giuramento fatto da un antenato e
rispettato da ogni re di impegnarsi per ingrandire il regno,
cominciò una politica di espansione.
A Dakodonoun succede suo fratello Houegbaja che, nel
tentativo di rendere il regno più forte e potente, invase il vicino
regno del re Dan e fonde i due principati chiamando il nuovo
paese Dan-Homé, che significa “sul ventre di Dan”, riprendendo
una battuta del re sconfitto che aveva chiesto al suo rivale se
avesse intenzione di stabilirsi sul suo ventre.
Uno dei figli di Dakodonoun, Agadja, continuò l’opera di
espansione del padre e conquista anche Allada e Ouidah e,
quindi, anche uno sbocco sul mare. La conquista di queste due
città segnò una svolta nella storia del paese perché mise in
contatto la popolazione del Dahomey con gli europei, in
prevalenza portoghesi e inglesi, che in quel periodo si trovavano
sulla costa del Golfo della Guinea.
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Gli europei fruttavano il Golfo per commerciare soprattutto
schiavi e avevano creato un “triangolo” commerciale che
toccava tre continenti: le navi partivano dall’Europa cariche di
fucili, alcool, tabacco, barre di ferro e oggetti di vetro che, in
Africa, venivano scambiati con gli schiavi. Questo carico umano
veniva portato verso il centro america e le isole dei caraibi dove
veniva impiegato nell’agricoltura. Le navi, a questo punto,
ripartivano verso l’Europa con zucchero di canna, spezie e legno
pregiato da commerciare sui mercati del vecchio continente.
Gli schiavi africani che venivano venduti agli europei erano, di
solito, prigionieri catturati durante le guerre locali o vittime di
razzie.
A questo scopo, Agadja costituì un corpo di amazzoni armate
con un equipaggiamento leggero e incaricate di catturare i
nemici in silenzio per fare più prigionieri possibile da rivendere
ai bianchi. A causa di questo traffico, il Golfo della Guinea si
guadagnò il triste appellativo di “Route des esclaves”.
Nel 1852, gli inglesi bloccano la costa per impedire il
commercio di schiavi, scatenando le proteste della Francia e del
Portogallo fortemente colpite nei loro interessi. Il re Ghézo
continuò comunque la tratta clandestinamente verso Cuba e il
Brasile.
Il successore di Ghézo, Glèlè, continua a provocare gli europei
perseguitando i cristiani, attaccando i vicini e favorendo la tratta
clandestina degli schiavi.
Il figlio di Glèlè, Gbéhanzin, continua la politica del padre e
nel 1889 attacca Cotonou e Porto-Novo. In seguito a questo
atteggiamento, viene sottoscritto un trattato che impone alle due
città il protettorato francese e una “pensione” per il re.
Gbéhanzin, nonostante tutto, continuò la sua campagna
militare e nel 1894 viene definitivamente sconfitto e costretto
all’esilio prima alla Martinica e poi ad Algeri. Oggi, il re
Gbéhanzin è ritenuto un eroe nazionale grazie al suo atto di sfida
nei confronti dei colonizzatori bianchi
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I tre regni di Abomey, di Allada e di Porto-Novo furono
annessi alla colonia francese del Dahomey ed entrano a far parte
della Federazione dell’Africa Occidentale Francese.
L’unificazione definitiva del paese si ebbe tra il 1914 e il 1916
con la conquista delle regioni settentrionali.
Da questo momento, il destino del Dahomey fu simile e quello
delle altre colonie francesi: le regole della società tradizionale
furono modificate e lo stato centralizzato costruito dalla
monarchia venne smantellato per favorire un sistematico
sfruttamento della mano d’opera agricola. La particolarità del
paese rispetto alle altre colonie francesi era la formazione di un’
élite di impiegati e consulenti istruiti e colti.
L’istruzione di questa élite agevolò la presa di coscienza della
propria dignità nazionale: ben presto si diffuse la protesta contro
l’assimilazione e la richiesta di uguaglianza. Questa protesta
diede vita anche a giornali di denuncia sociale.
Una figura molto importante durante gli anni 40’ e ’50, fu
Louis Hunkarin, che diede vita ad un gruppo di nazionalisti che
denunciò per più di vent’anni il regime dei lavori forzati
imposto dai francesi.
In quegli anni, Hunkarin fondò anche la Lega dei Diritti
Umani che si batteva contro il divieto da parte della Francia di
formare Partiti politici nelle colonie; quest’associazione subì una
durissima repressione da parte delle autorità coloniali, che
giunse a bruciare interi villaggi. Hunkarin dovette anche
scontare un periodo di esilio in Mauritania.
Negli anni venti, l’impero coloniale francese conobbe il
momento della sua massima espansione. Questa situazione durò
fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, quando i
primi possedimenti furono persi a causa dell’affermarsi di nuove
potenze, come il Giappone, che premevano per avere il controllo
sugli stessi territori.
Nel 1946, la Francia costituì l’Unione Francese, analoga al
Commonwealth inglese, per mantenere i contatti con le sue
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colonie, ma dovette fronteggiare i movimenti indipendentisti
armati.
Nel 1960, anche a causa del bilancio passivo e della debolezza
della Francia dopo la Seconda Guerra mondiale, la colonia del
Dahomey ottenne l’indipendenza. Nell’Africa Nera, tale
processo fu meno traumatico rispetto alle vicende che portarono
all’indipendenza i paesi del Magreb e dell’Asia: dodici stati
africani sorsero al posto delle colonie, entrando quasi tutti a far
parte della Comunità francese, un organismo di cooperazione
economica e politica costituito nel 1958.
Con l’indipendenza, iniziò, però, un periodo di grande
instabilità politica dovuta anche all’eredità coloniale. Nel
Dahomey, l’economia era rovinata e la società era lacerata dalla
corruzione dilagante. Una delle conseguenze fu l’espulsione dal
paese di tutti i funzionari originari del Dahomey che avevano
collaborato con le amministrazioni dei paesi vicini sottoposti a
regime coloniale.
Nel momento in cui fu annullata questa misura e i funzionari
poterono rientrare, ci furono forti tensioni che sfociarono nel
colpo di stato nel 1963.
Il decennio tra il 1963 e il 1972 fu il decennio più instabile e
confuso della storia del Dahomey: la rapida successione di
governi militari e civili ebbe come risultato 5 colpi di stato, 9
governi e 5 Costituzioni.
Il 26 ottobre del 1972, il colonnello Mathieu Kérékou, con
l’ennesimo colpo di Stato, prese il potere e impose un regime
marxista fomentando l’odio per i bianchi.
Il 30 novembre 1975, il colonnello impose il nome di
Repubblica Popolare del Bénin al paese e applicò una politica di
tipo sovietico: il Bénin diventò definitivamente una repubblica
marxista-leninista governata da un partito unico. La seconda
metà degli anni 70 fu caratterizzata, però, da una serie di rivolte
e scioperi.
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Nel 1977 ci fu l’ultimo tentativo di colpo di Stato per
rovesciare Kérékou. Il commando incaricato di spodestare il
dittatore, formato da alcuni esuli e un mercenario francese e
appoggiato dal Gabon e dal Marocco, arrivò all’aeroporto di
Cotonou ma, dopo qualche ora di combattimento, abbandonò
l’impresa e ripartì.
Kérékou applicò una politica di centralizzazione
dell’economia e dell’agricoltura, ammonì le Chiese e cercò di
inculcare nella popolazione lo spirito militante, ma spesso i
proclami rimasero tali e l’industria privata continuò a
svilupparsi.
Nel 1980 la politica estera cominciò a cambiare e si fece più
pragmatica; in modo graduale furono ristabiliti anche i rapporti
diplomatici con la Francia.
L’inizio degli anni 80’ furono segnati anche dalla speranza di
autosufficienza energetica grazie alla scoperta di giacimenti
petroliferi e una grande riserva di fosfati. L’ottimismo, però, fu
frustrato da una grande siccità che colpì il paese e la
conseguente crisi economica e aumento della disoccupazione. In
questa situazione, la ben più importante autosufficienza
alimentare rimase un obiettivo irraggiungibile.
Le misure adottate dal governo militare di Kérékou portarono
ad un periodo di grossi tagli alle spese statali e all’introduzione
di una tassa sui salari fortemente voluta dal Fondo Monetario
Internazionale. Il malcontento ebbe ripercussioni anche a livello
politico e durante la seconda metà degli anni 80’ ci furono molti
tentativi di colpo di Stato, di cui ben sei nel giro di un solo anno,
che, però, fallirono tutti.
Le conseguenze sociali furono rivolte, repressioni e
sciacallaggio, ma non ebbero molto risalto in Europa a causa dei
cambiamenti che stavano avvenendo nell’Europa orientale che
catalizzavano quasi completamente l’attenzione dell’Occidente.
A conclusione di un decennio così difficile, nel 1990 il
colonnello Kérékou ammise il fallimento dell’ideologia che fino
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a quel momento aveva guidato la sua politica: abbandonò il
modello marxista-leninista e convocò una nuova Assemblea
Costituente per riformare lo Stato.
Nonostante l’ iniziativa di rinnovamento, Kérékou non aveva
intenzione di lasciare il potere e, con l’appoggio dei delegati,
organizzò un nuovo colpo di Stato che gli rese il controllo del
paese.
L’anno successivo furono comunque convocate le prime
elezioni libere e finì l’era del partito unico. Le elezioni si
svolsero il 23 marzo 1991 e fu eletto l’avversario di Kérékou,
Nicephore Soglo.
Il nuovo presidente fece del Bénin una Repubblica
Presidenziale di ispirazione liberale e liberò i prigionieri politici;
Kérékou fu invece processato e condannato per le attività
successive al colpo di stato e, nel 1992, fu amnistiato.
La presidenza di Soglo durò fino al 1996, nel corso di questi
anni il presidente assunse la guida del Partito della Rinascita del
Bénin, partito di sua moglie. La nuova crisi economica mondiale
fece sentire i suoi effetti anche nel paese, costringendo il
presidente a misure volte a limitare i danni come negare gli
aumenti salariali e proibire le esportazioni alimentari per
abbassare i prezzi locali e ridurre l’inflazione.
Soglo ottenne, però, un successo finanziario e diplomatico non
indifferente nel 1995: al Sesto Vertice dei Paesi Francofoni
furono accordati investimenti per più 40 milioni di dollari, di cui
oltre la metà provenienti dalla Francia.
Ciò non bastò a garantirgli la rielezione l’anno successivo,
forse anche per il suo modo di gestire il potere come all’interno
di un clan, cioè distribuendo le cariche tra i suoi familiari.
Nel 1996, fu battuto di poco dal colonnello Kérékou che, di
nuovo al potere, si prodigò per stabilire buoni rapporti con i
paesi confinanti con una serie di visite diplomatiche.
La crisi economica mondiale obbligò il colonnello a varare
una riforma economica che, però, non bastò a convincere la
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Banca Mondiale a rinegoziare un prestito di 98 milioni di dollari
rifiutato dall’Assemblea Nazionale l’anno precedente.
La popolazione cominciò a protestare per la mancanza di fondi
che non permetteva la ripresa delle attività economiche e il
pagamento degli stipendi. La gente, oltre ai tagli alla spesa
pubblica, non gradì la gestione del potere di Kérékou che si
basava sulla corruzione e sulle tangenti che erano diventate una
prassi normale nella pubblica amministrazione.
Nel 1998, il governo varò una legge che innalzava la spesa
pubblica di 10 milioni di dollari, ma i sindacati la giudicarono
insufficiente.
Nel marzo del 2001, il colonnello Kérékou è stato rieletto alla
giuda del paese e, tra il dicembre 2002 e il gennaio 2003, si sono
svolte anche le prime elezioni amministrative libere nella città di
Cotonou, dopo la fine del partito unico.
Il 31 marzo 2003, si sono tenute le nuove elezioni legislative
libere e si è affermata la coalizione “Unione per il Bénin del
Futuro”. La coalizione deteneva la maggioranza relativa ma,
durante la precedente legislatura non aveva raggiunto il 50%
delle preferenze, quindi non aveva mai avuto la possibilità di
governare; l’affluenza alle urne è stata, però, di poco superiore
al 50% degli aventi diritto.
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2. LA LETTERATURA DEL BENIN
In questo capitolo, verrà analizzata la storia della letteratura
del Bénin; attraverso la descrizione degli autori e dei temi
trattati nelle loro opere si cercherà di descrivere le fasi secondo
cui si è sviluppata la letteratura e il ruolo che hanno giocato gli
eventi storici in tale sviluppo.
2.1 Le origini e la formazione degli intellettuali
La letteratura del Bénin ha origini molto antiche, ma, a
differenza delle letterature europee, non ha mai avuto una forma
scritta. La cultura del popolo del Bénin, fino all’avvento
dell’epoca coloniale, ha sempre avuto una forma orale e si è
tramandata esclusivamente attraverso questo mezzo.
Nel 1861, le prime Missioni venute dall’Europa si insediarono
nella città di Ouidah: si trattava dei Padri delle Missioni
Africane di Lione che fondarono le prime scuole cattoliche del
paese e iniziarono ad impartire l’istruzione, intesa nel senso
occidentale del termine, ai giovani. Nel giro di qualche
decennio, queste scuole aumentarono con il moltiplicarsi degli
insediamenti apostolici.
Nel 1863, la situazione politica che si era creata tra le colonie
inglesi e francesi nella zona di Porto-Novo favorì la nascita della
prima scuola laica: gli inglesi premevano per conquistare la città
di Porto-Novo e i missionari francesi spinsero il re Sodji a
chiedere la protezione della Francia. Il trattato di Protettorato
portò un console francese nella città che, negli anni, avvertì la
necessità di rafforzare la dominazione culturale sulla
popolazione vietando l’insegnamento delle lingue che non
fossero il francese, come l’inglese e il portoghese, nelle scuole
missionarie.
Quando, nel 1894, la dominazione sul Dahomey fu completa,
il generale Dodds aprì la prima scuola per i principi e i figli dei
capi del paese. Fu la prima scuola laica e, anche se nata per
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l’élite del paese, dopo poco tempo accoglieva già alunni di tutte
le classi sociali.
Dopo le prime difficoltà, anche le scuole laiche si diffusero, e
insieme a quelle cattoliche formarono la prima élite intellettuale
del paese nel periodo coloniale.
Gli istituti cattolici e quelli laici favorirono l’aumento della
scolarizzazione e la formazione di una classe dirigente coloniale
di colore che, prendendo coscienza grazie all’istruzione, in
seguito avrebbe lottato per l’indipendenza.
Il bisogno di avere degli istitutori ben preparati per le scuole e
dei funzionari capaci fece in modo che nascessero le Scuole
Normali, destinate all’istruzione superiore. Il compito di queste
scuole era anche quello di creare una classe dirigente fedele alla
nazione colonizzatrice che, a sua volta, educasse le masse.
Le scuole avevano carattere federale e, come fa notare Adrien
Huannou
1
, non sempre chi vi si diplomava sceglieva di
esercitare la professione nel suo paese d’origine, dando a questa
classe dirigente un carattere “internazionale”. Ricordiamo l’
École Normale d’Instituteurs de l’AOF e l’ École Normale de
William-Ponty nate nel 1903; quest’ultima ebbe un ruolo
fondamentale nella diffusione e nell’evoluzione del teatro
tradizionale africano.
Le prime pubblicazioni del Dahomey, opera di scrittori e
intellettuali africani, furono giornali che poterono essere
stampati grazie alle tipografie installate nel paese a partire dagli
anni 20. Il diritto di pubblicare giornali era concesso solamente
ai cittadini francesi, ma la legge retroattiva sulla cittadinanza del
1912 la concedeva, a determinate condizioni, anche ai
colonizzati a partire dal 1881.
La stampa favorì lo sviluppo del dibattito politico e culturale: i
primi giornali cominciarono a diffondere idee critiche nei
confronti dei colonizzatori. Non si trattava di idee
1
Cf. Adrien Huannou, La littérature Béninoise de langue française, Paris, A.C.C.T., 1984, p. 39
16
rivoluzionarie, ma di attacchi alla cattiva amministrazione e alla
corruzione diffusa con lo scopo di richiamare la nazione
colonizzatrice al suo ruolo di guida morale e materiale. Le idee
di questi primi scrittori erano condizionate dall’assimilazione
che la dominazione aveva provocato: sentendosi parte della
cultura europea non desideravano distaccarsene, anzi,
criticandola nei suoi aspetti meno nobili per correggerla, la
legittimavano pienamente.
Anche la cultura del Dahomey, incontrandosi con quella
europea, ebbe, però, modo di farsi apprezzare: fin dai primi anni
della colonizzazione, gli europei, che per primi ne studiarono le
tradizioni, cercarono di documentarla e di portare alla luce la
maggior quantità possibile di testimonianze della tradizione.
Il missionario Francis Aupiais, etnologo, vissuto tra il 1877 e
il 1945, fu uno dei primi a prodigarsi perché la popolazione e la
cultura delle colonie fossero conosciute e apprezzate. Organizzò
un’esposizione in molte città della Francia per far conoscere la
bellezza dell’arte e delle manifatture del Dahomey e scrisse
degli articoli in cui cercava di sfatare gli errori e i luoghi comuni
sugli africani.
In Étude des proverbes (1926) il suo scopo fu quello di
dimostrare che la letteratura orale di questi paesi somigliava a
quella dei popoli più civilizzati e che, quindi, la “saggezza delle
nazioni” non aveva frontiere.
In Les Noirs. Leurs aspirations. Leur avenir, il religioso
rivalutò tutti i lati positivi del carattere della popolazione e mise
in evidenza tutte le loro qualità; la tendenza a nasconderne i
difetti e a considerarli tutti angeli è, però, un errore come
considerali inferiori ai colonizzatori.
Francis Aupiais si adoperò per dimostrare che anche le usanze
più lontane dalla mentalità occidentale avevano un valore e una
dignità culturale e che erano espressione di una cultura antica; lo
studio di Aupiais serviva a dimostrare la vicinanza tra le culture
17
e a facilitare, quindi, i contatti, favorendo lo scambio ma anche
l’assimilazione dei popoli colonizzati.
Un altro religioso, prima di Aupiais, aveva pubblicato degli
studi sulla cultura africana, l’Abbé Pierre Bertrand Bouche.
Nato nel 1835, pubblicò Sept ans en Afrique Occidentale. La
Côte des Esclaves et le Dahomey (1885), in cui tentò di sfatare
le menzogne sui neri, ma lo fece con argomenti che, alla fine,
confermarono le falsità che volevano smascherare.
Secondo Bouche, i neri hanno certamente pari dignità dei
bianchi, ma sono come i pagani dell’antica Roma: non è loro
estraneo il concetto di divinità e il sentimento religioso, ma
hanno bisogno di qualcuno che mostri loro la giusta maniera di
esprimerlo.
Nonostante l’apprezzamento per la bellezza dei racconti
tradizionali e i proverbi del Dahomey, l’obiettivo di Bouche era
quello di cristianizzare gli africani. Il suo tentativo di difendere i
neri, comunque, finì per avvilirli.
L’ultimo studioso che si dedicò alla cultura del Dahomey in
epoca coloniale fu Maurice Delafosse che scrisse Manuel
Dahoméen. Grammaire, Chrestomathie. Dictionnaire français-
dahoméen, dahoméen-français (1894).
Si tratta di un’opera ad uso e consumo dei funzionari francesi
in Africa per facilitare il compito di diffusione della cultura
europea: la conoscenza della lingua e delle usanze doveva
aiutare i funzionari a comunicare con gli africani per soggiogarli
meglio.
Delafosse si interessò anche della letteratura orale e giudicò
alcuni racconti tradizionali paragonabili, per stile e bellezza, a
quelli degli autori francesi. La sua opera, però, continuava a
vedere i neri attraverso il pregiudizio che li voleva in grado di
sviluppare una cultura degna di attenzione, ma bisognosi di una
guida.
Gli abitanti del Dahomey, sotto la spinta di queste opere che
analizzavano le tradizioni e la letteratura del loro paese,
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cominciarono a produrre testi che, a loro volta, avevano lo scopo
di divulgare la loro cultura.
La già citata Scuola William-Ponty fu il mezzo con cui si
diffuse la conoscenza del teatro tradizionale: gli studenti della
scuola allestivano spesso spettacoli teatrali che, anche se con
modelli francesi, si rifacevano a temi storici e alla letteratura
orale del Dahomey, permettendo ad un pubblico più ampio di
quello dei saggi e dei romanzi di fruire della cultura tradizionale.
2.2 L’epoca coloniale
Paul Hazoumé fu il primo grande autore del Dahomey. Nato
nel 1890 a Porto-Novo, etnologo e scrittore, fu allievo di Francis
Aupiais e incarnò la figura del funzionario di colore in epoca
coloniale.
Cominciò i suoi studi a Porto-Novo nella scuola di “Saint-
Josef ” della Missione Cattolica della città con Francis Aupiais
e, dopo aver superato l’esame di ammissione alla Scuola
Normale “Saint-Louis” del Senegal, divenne insegnante e poi
direttore della Scuola Regionale di Ouidah e poi della Scuola
Regionale di Abomey.
Nel 1919, ottenne la cittadinanza francese e nel 1931 partì per
la prima volta per la Francia per l’Esposizione Coloniale. Nel
1937, fece il suo secondo soggiorno a Parigi grazie ad un
incarico presso il Museo dell’Uomo. Tornato in patria due anni
dopo, si dedicò alle conferenze con lo scopo di spiegare agli
africani che la Francia era stata ingiustamente attaccata da Hitler
e che tutti gli africani dovevano combattere contro questo
dittatore razzista e sanguinario.
Nel 1947, decise di entrare in politica e fondò il primo partito
politico del Dahomey, l’Unione Progressista del Dahomey, ma,
dopo la sconfitta alle elezioni del 1968, si ritirò dalla scena
politica. Morì a Cotonou nel 1980.