INTRODUZIONE
“L’innovazione aiuta a tenere il prodotto al
centro della conversazione tra azienda e
consumatore, e questo è il motivo per cui in
Heineken si lavora sull’innovazione dall’alba
al tramonto, ed è per questo che essa è
diventata una priorità a livello globale”,
“L’innovazione è un tema che riguarda tutti e
non solo l’impresa. Heineken è profondamente
convinta che le grandi idee e le migliori
soluzioni possono arrivare da qualsiasi parte,
dall’interno dell’organizzazione così come
dall’esterno, ecco perché invitiamo tutti i
nostri clienti a partecipare alla
competizione”
1
.
All’interno del tema generale dell’innovazione strategica, un fenomeno interessante e assai
dibattuto sia in letteratura sia all’interno delle aziende, è rappresentato dal tentativo di
individuare ad oggi, quali sono le principali fonti di innovazione dalle quali la stessa
impresa può attingere con successo. L’evoluzione storica dell’approccio all’innovazione
negli ultimi cinquanta anni, sia in chiave letteraria che empirica, ha portato probabilmente
ad abituarsi all’idea che la fonte di innovazione principale per un’azienda sia l’apparato di
ricerca costituito dall’azienda stessa al suo interno.
L’idea che un’impresa investa ingenti risorse per allestire un’organizzazione interna
composta da tecnici e ingegneri tra i più preparati tra quelli disponibili, è un’idea radicata
nel passato. Ai tempi in cui queste convinzioni si sono affermate, le imprese erano l’unico
motore dell’innovazione, e le competenze dei loro dipendenti erano le uniche fonti di
conoscenza che il mercato metteva a disposizione. Ma negli ultimi anni (in particolare
1
Alexis Nasard, Head Project Manager Heineken Ideas Brewery
l’accelerazione del processo si è avuta negli ultimi 6-7 anni) l’innovazione non viene più
considerata da tutti come di proprietà esclusiva dell’impresa. Le fonti dalle quali attingere
la conoscenza necessaria ad articolare una nuova value proposition oggi sono anche (e
forse soprattutto) esterne all’impresa. L’azienda che intende innovare è dunque chiamata a
prepararsi ad assorbire queste nuove fonti, e quindi a modulare il proprio modello di
business in modo da capitalizzare la capacità innovativa diffusa nell’ambiente esterno ai
suoi confini.
Al giorno d’oggi in letteratura il dibattito non è più incentrato sulla necessità o meno di
produrre innovazione, in quanto la competizione sempre più accesa tra le imprese ha
portato queste ultime a convincersi che innovare ed innovarsi è fondamentale se non vitale.
Senza innovazione infatti, viene pregiudicata la sopravvivenza stessa non solo
dell’impresa, ma dell’intero settore al quale essa stessa appartiene. Oggi quindi, le imprese
non sono più di fronte alla scelta di innovare o meno la propria offerta, ma piuttosto si
chiedono “in che modo bisogna produrre innovazione”, ovvero da quali fonti di
conoscenza attingere e quali soggetti coinvolgere per massimizzare il rendimento del
proprio sforzo. E proprio a queste domande che si cerca di dare una risposta all’interno del
presente lavoro.
In letteratura le teorie alla base dell’Open Innovation nascono praticamente in risposta al
nuovo atteggiamento delle imprese nei confronti dell’innovazione. L’obiettivo degli autori
che per primi hanno trattato l’argomento, è stato proprio quello di fornire alle imprese
degli schemi di riferimento, affinché i risultati di questo nuovo processo di innovazione
siano tangibili e soprattutto positivi. E’ molto importante, infatti, fare in modo che la
governance del processo resti sempre nelle mani dell’impresa, e in questo senso le teorie
fornite da Chesbrough, von Hippel e tutti gli autori citati all’interno dei seguenti paragrafi,
emergono direttamente dall’analisi empirica e dunque dalle esperienze dirette delle
imprese che per prime hanno adottato il nuovo paradigma.
In realtà sia da un punto di vista letterario che della pratica aziendale, molti passi avanti
sono stati fatti negli ultimi anni, da quando il tema dell’Open Innovation è stato per la
prima volta introdotto all’interno del panorama letterario. Da allora le aziende hanno
sperimentato più o meno con successo numerosi strumenti per mettere in pratica l’insieme
delle regole dettate dal nuovo paradigma. In particolare il riferimento è a tutte le strategie
di Customer Engagement, alle piattaforme di Crowdsourcing, e più in generale a qualsiasi
forma di collaborazione attuata con i propri fornitori o i propri clienti, con il fine ultimo di
rinnovare la propria offerta e guadagnare competitività. E durante questa prima fase di
sperimentazione che studiosi e manager hanno avuto la possibilità di apprezzare i benefici
e soprattutto le potenzialità dell’apertura dei confini aziendali all’innovazione esterno.
Potenzialità non solo dal punto di vista dell’innovazione ma anche, e forse soprattutto, del
marketing e della comunicazione.
L’oggetto di studio del presente lavoro, da cui il titolo “L’Open Innovation nella
prospettiva del Marketing”, rappresenta proprio la convergenza degli obiettivi delle due
funzioni aziendali di supporto, ovvero marketing e innovazione, all’interno di un’unica
strategia. Attraverso la descrizione degli obiettivi che hanno guidato i manager di
Heineken nella progettazione della piattaforma di Crowdsourcing “Heineken Ideas
Brewery”, sarà possibile rappresentare la suddetta convergenza tra le due funzioni. Ma al
fine di facilitare la piena comprensione dello stato dell’arte è stato necessario affrontare
tutto il percorso evolutivo che ha caratterizzato la teoria economico aziendale dall’origine
dell’Open Innovation al giorno d’oggi.
Proprio a tale scopo il primo Capitolo è stato dedicato alla definizione del concetto di
innovazione, e quindi alla descrizione del nuovo paradigma dell’innovazione aperta, in
contrapposizione alla vecchia prospettiva. Ampio spazio è stato riservato alla descrizione
del cambiamento di approccio che prima di tutto ha caratterizzato le aziende dell’epoca.
Sono stati evidenziati i limiti del vecchio approccio all’innovazione, il cui modello era
basato sulla chiusura dei confini aziendali, sullo sviluppo interno delle idee e sulla
protezione legale dei risultati. Sono state spiegate le ragioni del fallimento di questo
modello, sottolineando l’anacronismo dello stesso con l’evoluzione delle condizioni
dell’ambiente esterno. Ed infine è stata fornita una descrizione delle diverse tipologie di
approccio all’innovazione aperta, fornendo per ciascuna degli esempi pratici di aziende che
l’hanno sperimentata con successo.
Successivamente, in linea con il percorso storico evolutivo di cui sopra, l’attenzione si è
spostata sull’ambito soggettivo dell’innovazione, in risposta all’esigenza di individuare e
descrivere le nuove fonti di conoscenza e innovazione ad oggi disponibili alle imprese.
Pertanto il secondo Capitolo è stato dedicato all’analisi delle modalità di coinvolgimento
del consumatore all’interno del processo innovativo, in quanto proprio l’utilizzatore finale
è stato identificato dalla letteratura prevalente come la fonte di conoscenza con le maggiori
potenzialità per l’innovazione. Il primo passo è stato quello di dimostrare l’esistenza del
fenomeno dell’innovazione da parte degli utilizzatori finali. Una volta attestata l’esistenza
del fenomeno, soprattutto grazie al ricorso ai principali contributi letterali sul tema, il
percorso di ricerca è proseguito verso l’individuazione delle tecniche principalmente
utilizzate dalle imprese per favorire l’azione di Customer engagement. Sempre all’interno
del secondo Capitolo sono stati forniti alcuni esempi di imprese multinazionali che hanno
saputo sfruttare l’innovazione collaborativa. L’elemento comune a tutte le strategie
analizzate è stato il concetto di working consumer, che porta con se l’idea del consumatore
che collabora attivamente e volontariamente all’innovazione sotto la guida diretta
dell’impresa. Si è quindi indagato sull’oggetto della collaborazione, sulle motivazioni che
spingono l’utilizzatore finale a partecipare e sulla natura e sull’ammontare dei benefici che
gli sono garantiti dall’impresa.
L’intero percorso di ricerca compiuto all’interno del presente lavoro è stato accompagnato
da un’idea di fondo, che si è deciso di sviluppare in maniera approfondita all’interno del
terzo Capitolo. È chiaro che non tutti i consumatori di un prodotto hanno le competenze e
conoscenze necessarie per partecipare attivamente ed in maniera proficua al processo di
innovazione. In letteratura questa intuizione corrisponde alle basi della Lead User Theory
proposta per la prima volta dal Prof. Eric von Hippel nel 1988, e quindi ben prima
dell’affermazione del concetto di Open Innovation. L’identificazione e la classificazione
del Lead User, o più semplicemente “consumatore esperto” e la concomitante
affermazione delle Comunità di Innovazione, rappresentano un passo fondamentale
all’interno del percorso evolutivo che viene raccontato. Per la prima volta infatti il
consumatore diviene protagonista all’interno del processo d’innovazione, e per la prima
volta in letteratura si avverte la necessità di indagare sulle opportunità ma anche sui rischi
insiti nel suo diretto coinvolgimento all’interno delle attività dell’impresa. In realtà, pur
rappresentando il primo passo verso la definitiva apertura dei confini da parte dell’impresa,
la definizione di Lead User fa riferimento ad una forma di innovazione particolare, ancora
limitata ad un mercato di nicchia, che non implica il coinvolgimento della massa dei
consumatori ma solo di una minima parte, ovvero di quelli che dimostrano di possedere le
capacità e soprattutto l’interesse ad aggiungere caratteristiche nuovo ad un prodotto già
esistente.
Pertanto nel quarto Capitolo, proseguendo lungo il percorso evolutivo dell’approccio
all’innovazione, si affronta in maniera definitiva il passaggio dall’innovazione generata
attraverso la collaborazione con un ristretto numero di consumatori esperti al
coinvolgimento di massa vero e proprio. Innanzitutto vengono descritte le ragioni grazie
alle quali questo cambiamento è stato possibile, con particolare riferimento all’innovazione
tecnologica, alla conoscenza maggiormente diffusa all’interno del mercato rispetto alle
epoche passate, e soprattutto ai nuovi canali di comunicazione come il web 2.0 e i social
network. Proprio grazie a questi ultimi è stato possibile giungere a quella che può essere
definita “l’ultima frontiera dell’innovazione”, rappresentata dalle piattaforme di
Crowdsourcing e co-creazione del valore. Tra i diversi modelli utili per sfruttare la
conoscenza diffusa, molto probabilmente il Crowdsourcing è quello più efficace e per
questo più utilizzato ad oggi dalle imprese. Per questo motivo all’interno del suddetto
Capitolo una attenzione particolare è stata dedicata all’analisi delle regole che
necessariamente devono essere rispettate per realizzare un Crowdsourcing di successo. In
particolare sono stati analizzati i principali benefici che questo tipo di piattaforma può
apportare non solo all’impresa, ma anche agli utenti che hanno scelto di partecipare al
progetto. E ancora è stato dedicato spazio ad un questione fondamentale legata allo
sfruttamento della conoscenza diffusa da parte delle imprese e dunque all’appropriazione
dei risultati, ed in particolare del loro valore economico. Il riferimento è chiaramente alle
criticità legate alla gestione della proprietà intellettuale delle idee che vengono fornite
durante a fase di partecipazione alla piattaforma. Pertanto sono stati forniti degli esempi di
come le imprese affrontano il problema in sede di progettazione delle piattaforme, con
particolare attenzione alla costruzione della piattaforma oggetto del caso studio esaminato
nell’ultimo capitolo del lavoro.
Tra le potenzialità dal Crowdsourcing come nuova forma di innovazione aperta, vi è
sicuramente la possibilità di osservare l’Open Innovation da un nuovo punto di vista,
ovvero quello del Marketing. Si tratta infatti di uno dei pochi modelli di innovazione, se
non l’unico, che ammette la convergenza di obiettivi tra la funzione R&S e la funzione
Marketing che più sopra è già stata accennata. Dunque osservare l’innovazione aperta dal
punto di vista del Marketing significa inserire all’interno dell’innovazione strategica nuove
finalità ed obiettivi. Tra questi sicuramente una maggiore e più radicata diffusione del
brand all’interno della Comunità, l’attribuzione allo stesso di valori positivi quali appunto
la tensione costante al miglioramento e la capacità di ascoltare i propri consumatori e
restare in continuo contatto con essi, e ancora l’importanza del “valore partecipativo” e dei
suoi effetti positivi sul consumo dei prodotti oggetto di innovazione.
In definitiva al fine di rappresentare concretamente i caratteri salienti del nuovo approccio
letterario al tema dell’innovazione, si è scelto di ricorrere ad un esempio concreto di
azienda che nella propria piattaforma di Crowdsourcing ha sintetizzato le proprie strategie
di marketing ed innovazione. Il quinto ed ultimo capitolo del presente lavoro è stato
oggetto di approfondimento del caso Heineken Ideas Brewery, piattaforma di
Crowdsourcing istituita dalla multinazionale olandese Heineken International, come
progetto sperimentale per individuare nuove e remunerative fonti di innovazione. A parere
di chi scrive, il progetto realizzato da Heineken rappresenta in pieno il nuovo modo di
concepire insieme marketing ed innovazione, ed infatti in letteratura nonostante la giovane
età del progetto già sono numerosi i riferimenti al caso.
Dunque in seguito ad una doverosa seppur breve descrizione delle caratteristiche generali
dell’impresa, e quindi del suo posizionamento competitivo all’interno del mercato globale
e nazionale, un ampio spazio è stato dedicato all’approfondimento dei meccanismi alla
base del funzionamento della piattaforma. In particolare il necessario risalto è stato dato
alla descrizione degli obiettivi che l’impresa si è prefissata in sede di programmazione e
all’analisi dei primi i risultati grazie ai quali si è potuto verificare il corretto
raggiungimento degli stessi. Un passo molto importante all’interno dell’intero lavoro di
ricerca, è stato quello di collegare tali singoli obiettivi ed dunque ogni aspetto della
strategia posta in essere da Heineken, alle numerose nozioni di teoria che sono state fornite
nella prima parte della Tesi. Molto interessante si è rivelata la possibilità di constatare
l’estrema fondatezza delle Teorie citate nei capitoli introduttivi, ed il collegamento
concreto tra le stesse e la pratica aziendale.
Il risultato di questa ultima fase del percorso di studio ha permesso di apprezzare la scelta
del caso studio Heineken, soprattutto nell’ottica della continuazione del progetto di ricerca.
Heineken Ideas Brewery è infatti una piattaforma giovane ma indubbiamente oggetto di
ulteriori investimenti in futuro, grazie soprattutto alla bontà dei primi risultati che hanno
spinto l’azienda olandese a credere nel progetto. Questo ci permette di lasciare una porta
aperta per un ulteriore sviluppo della trattazione, in linea con la prosecuzione del percorso
evolutivo della teoria, inaugurato con l’affermazione del concetto di Open Innovation, ma
indubbiamente destinato ad ulteriori sviluppi e a nuovi spunti di riflessione negli anni a
venire.
P a g . | 13
CAPITOLO 1
INNOVAZIONE E CONCETTO DI OPEN INNOVATION
1.1 Definizione e dimensioni dell’innovazione
Le analisi e le conseguenti definizioni fornite dalla letteratura economica sul tema
dell’innovazione sono molteplici. Tuttavia ancora oggi si riconosce, sia nella teoria che
nella pratica aziendale, la mancanza di una definizione precisa e generalmente accettata del
concetto di innovazione. Già dai primi del Novecento, Joseph Shumpeter definiva
l’imprenditore innovatore
1
come “colui che apporta trasformazioni nei mercati attraverso
l’implementazione di nuove combinazioni”, che possono riguardare:
l’introduzione di nuovi prodotti;
l’introduzione di nuovi metodi di produzione;
l’apertura di nuovi mercati;
la conquista di nuove fonti di approvvigionamento di materiali o parti;
la realizzazione di nuove modalità organizzative all’interno dell’industria.
Più recentemente gli studiosi Hauschildt e Salomo, nel tentativo
2
di sintetizzare i principali
contributi letterari sull’approccio della dottrina al tema dell’innovazione, riconoscono che
le definizioni esistenti del termine innovazione condividono i seguenti aspetti. Le
innovazioni consistono in “nuovi prodotti o processi che da un punto di vista qualitativo si
distinguono nettamente dallo stato precedente”; e ancora in linea con Shumpeter
affermano: “un’innovazione è tale se può essere sfruttata commercialmente, attraverso
nuovi o preesistenti mercati”, distinguendo così il concetto di innovazione da quello di
mera invenzione.
L’importanza del risultato commerciale al termine del processo di ricerca e sviluppo, è
sottolineata anche da altri autori come ad esempio Roberts (1998) e Cooper (2001). Tra le
elaborazioni concettuali del processo innovativo, molto interessante appare proprio quella
eseguita da quest’ultimo. Il riferimento è in particolare al modello “Stage-Gate” elaborato
nel 1986 e successivamente rivisto proprio nel 2001. In tale modello l’autore suddivide il
1
Shumpeter, J.A., (2001), Teoria dello sviluppo economico, ETAS, Milano, pp. 32 ss.
2
Hauschildt & Salomo, (2011), Enabling innovation, Springer, Berlin, pp. 233 ss.
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processo innovativo in cinque fasi (successivamente sei): 1) Pianificazione (fissare gli
obiettivi); 2) Progettazione concettuale (identificazione dei bisogni da soddisfare); 3)
Progettazione di sistema (definizione dei processi e dei componenti); 4)
Sperimentazione e miglioramento (sia interna che di mercato); 5) Avvio della
produzione; 6) Lancio del prodotto e dunque commercializzazione. Più in generale,
secondo la tesi condivisa dall’autore, il processo di innovazione include tutte le attività che
conducono all’innovazione intesa come risultato finale: dalla percezione della necessità
irrisolta, alla generazione di un’idea, alla R&S per risolvere il problema, alla definizione
dei processi produttivi fino all’introduzione e diffusione sul mercato.
Nel tentativo di ricavare dalla letteratura economica una definizione compiuta del concetto
di innovazione, appare altresì interessante il lavoro di classificazione delle diverse
tipologie di innovazione eseguito dagli studiosi Henderson e Clark
1
, e basato su due
dimensioni: livello di rinnovamento del core-concept (affinato o rivoluzionario a seconda
che si utilizzino o meno nuovi componenti), e legame fra gli elementi che lo compongono
(conservato o ripensato). Incrociando le suddette dimensioni si ottiene la matrice riportata
in Figura 1.1.
Figura 1.1 Core concept e legame fra elementi: differenti tipologie di innovazione
L’innovazione “radicale” rappresenta un’idea completamente nuova per l’azienda e per il
contesto a cui essa stessa fa riferimento. Si tratta di una tipologia di innovazione che, non
di rado, riesce a generare nuove opportunità di profitto, alterando le strutture e le
1
Denicolai, S. (2010), Economia e management dell’innovazione, Franco Angeli ed., Milano, pag. 34.
Fonte: adattamento da Henderson & Clark, 1990.
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dinamiche competitive dei settori preesistenti. In particolare, maggiormente soggetti a
questo tipo di innovazione sono i settori merceologici più “turbolenti”, ovvero
maggiormente stimolati dal progresso tecnologico (biotecnologia, elettronica, informatica
ecc.). L’innovazione “incrementale” rappresenta invece il miglioramento di un
prodotto/processo già esistente, senza che sia alterato l’equilibrio tra le componenti del
settore di riferimento. Per quanto concerne l’innovazione “architetturale” invece, essa
rivoluziona il modo, ovvero l’architettura con cui i componenti di un prodotto/processo
sono collegati tra loro, mentre elementi come design, tecnologia e core-concept, di base
rimangono invariati. Questo tipo di innovazione è assai interessante dal punto di vista
strategico, poiché permette di condividere i rischi insiti nel processo di innovazione con
altri attori della catena del valore (es. fornitori). Può quindi rappresentare una rilevante
fonte di vantaggio competitivo, a condizione però che il consumatore percepisca il valore
aggiunto. L’innovazione “modulare” infine, è quella dove i componenti principali del
sistema vengono cambiati, ad esempio introducendo tecnologie più performanti. Ciò
consente di proporre un prodotto “nuovo” senza però alterare l’architettura generale,
ovvero i legami con cui gli elementi principali oggetto di innovazione vengono combinati
tra loro.
La suddetta classificazione si presta ad una migliore definizione di quella che è
l’innovazione tecnologica, che come abbiamo anticipato può essere sia di prodotto che di
processo. Nella realtà operativa, tuttavia, la dimensione dell’innovazione può essere riferita
non solamente alla tecnologia (nuovo prodotto o processo), bensì anche alla gestione
dell’impresa, e dunque all’organizzazione nel suo complesso. In particolare facciamo
riferimento all’innovazione del modello di business e più precisamente al concetto di
innovazione strategica
1
portato avanti da autori come Markides e Anderson. Probabilmente
l’innovazione BMI (Business Model Innovation) è qualcosa di ancor più complesso
rispetto all’innovazione tecnologica di prodotto o servizio, in quanto molto più vasto è il
numero di variabili da prendere in considerazione, così come maggiormente diversificate
sono le possibili azioni da intraprendere per realizzare l’innovazione
2
.
In definitiva è corretto affermare che il concetto di innovazione, all’interno del quadro
economico dell’impresa, si presta a molteplici interpretazioni. Nel presente lavoro il
1
Markides, C. (1997), “Strategic Innovation”, Sloan management Review, n. 38, pp. 123-145.
2
Nell’articolo sopracitato Markides parla di una possibile ridefinizione del business attraverso una revisione
del segmento di mercato (“chi?”), del sistema d’offerta (“cosa?”), oppure del modello di fatturato
(“come?”).
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riferimento esplicito è al concetto di “innovazione aperta” inteso come la capacità
dell’impresa di progettare il proprio modello di business al fine di sfruttare, all’interno del
processo di innovazione che la caratterizza, le risorse e le competenze che si trovano al di
là dei propri confini organizzativi, in modo da favorire lo sviluppo e la competizione, in un
contesto economico ipercompetitivo
1
come quello attuale.
1.1.1 L’evoluzione dell’approccio al processo innovativo negli ultimi 50 anni
L’idea centrale del concetto di “innovazione aperta” è che, in un mondo come quello
attuale dove la conoscenza viene largamente diffusa e distribuita, le aziende non possono
confidare esclusivamente sugli investimenti nella ricerca operata all’interno dei propri
laboratori, ma dovrebbero invece aprire il proprio processo di innovazione verso nuove
fonti di conoscenza rintracciabili all’esterno; e ancora le invenzioni sviluppate
internamente, ma per motivi diversi non utilizzate nel proprio business, dovrebbero essere
immesse all’esterno attraverso operazioni che ne consentano uno sfruttamento
commerciale. Tuttavia questo nuovo approccio al tema dell’innovazione, adottato per la
prima volta dal Prof. Henry Chesbrough
2
(2003), non rappresenta altro che la tappa più
recente dell’evoluzione della teoria sui processi innovativi degli ultimi 50 anni.
Già durante gli anni appena successivi alla Seconda Guerra Mondiale la rapida espansione
industriale basata sulle nuove opportunità offerte dalla tecnologia, fu caratterizzata dalla
fiducia verso le attività di ricerca e sviluppo, viste come la possibile soluzione ai bisogni
della società, tanto da spingere il mondo politico a incoraggiare il progresso scientifico
attraverso investimenti nell’istruzione (in particolare universitaria) e finanziamenti alle
imprese che intraprendevano programmi di Ricerca e Sviluppo. Inizialmente il processo di
innovazione industriale era visto, sia dalla dottrina che dagli operatori, come un processo
lineare dalla scoperta scientifica al mercato attraverso lo sviluppo tecnologico in azienda
3
,
così come rappresentato nella seguente Figura 1.2.
1
D’Aveni R. (1995), “Ipercompetizione”, Il Sole 24 Ore (Introduzione)
2
Chesbrough, H. (2003), Open Innovation: The New Imperative for Creating and Profiting from Technology,
HBRP, Boston, pp. 43 ss.
3
Rothwell, R. (1994), “Towards the Fifth-generation Innovation Process”, in: International Marketing
Review, Vol. 11 Iss: 1, pp.7-31.
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Figura 1.2 La prima generazione di processi innovativi
Questa prima generazione di processi innovativi, detta “technology push”, poneva scarsa
attenzione all’evoluzione del processo stesso, e al ruolo attribuito al mercato. Verso la
seconda metà degli anni ‘60, mentre la produttività crebbe notevolmente, in molti dei Paesi
industrializzati l’occupazione rimase pressoché statica, o crebbe con una velocità inferiore
rispetto alle attese. Il livello di concentrazione industriale si innalzò notevolmente e nuovi
prodotti, prevalentemente basati sulle tecnologie esistenti, continuarono ad essere introdotti
nel mercato mentre la domanda e l’offerta in molti settori raggiunse l’equilibrio. In questo
periodo storico, caratterizzato da una crescente competizione tra le imprese, le strategie
delle imprese e i relativi investimenti mutarono spostando l’attenzione dalla produzione
guidata dal progresso tecnologico diffuso, verso una importanza strategica sempre
maggiore attribuita al mercato e ai bisogni emergenti. Le percezioni sul tema
dell’innovazione iniziarono a mutare, e le analisi strategiche erano basate sempre più
spesso sui fattori più strettamente legati alla domanda, come per esempio il
posizionamento del prodotto nel mercato o la diversificazione. Questo cambiamento pose
le basi per la seconda generazione di processi innovativi, sempre concepita in maniera
sequenziale, detta “market-pull”, illustrata nella seguente Figura 1.3.
Figura 1.3 La seconda generazione di processi innovativi
Fonte: Roy Rothwell, (1994) "Towards the Fifth-generation Innovation Process", International
Marketing Review, Vol. 11 Iss: 1, pp.7 - 31
Fonte: Roy Rothwell, (1994) "Towards the Fifth-generation Innovation Process", International
Marketing Review, Vol. 11 Iss: 1, pp.7 - 31
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Secondo questo schema, il mercato è la fonte dei bisogni che guidano la funzione R&S.
Quest’ultima assume un ruolo prevalentemente “reattivo” nel processo innovativo,
trascurando i programmi di ricerca di lungo periodo e limitandosi ad adattare i prodotti
esistenti alle richieste dei clienti.
Il periodo che va dai primi anni ’70 fino all’inizio degli anni ’80 è segnato da due tra le più
grandi crisi petrolifere, dai tassi di inflazione elevati e dalla saturazione della domanda che
generalmente era inferiore all’offerta, con una conseguente crescita della disoccupazione.
Le imprese furono costrette ad adottare strategie di consolidamento e razionalizzazione dei
costi, concentrandosi sul controllo di gestione e sulla riduzione delle spese piuttosto che
sulla crescita. In questa decade divenne particolarmente necessario conoscere e
comprendere le chiavi del successo del processo innovativo, al fine di ridurre gli inutili
fallimenti dei nuovi prodotti proposti al mercato. È proprio dunque a questo periodo storico
che risalgono numerosi studi empirici sui driver di successo dei processi innovativi
(Cooper, 1980; Rothwell, 1976; Rubenstein, 1976).
Figura 1.4 Esempio di terza generazione di processi innovativi
Essenzialmente tali studi dimostrarono che gli approcci fino ad allora adottati avevano
portato a schemi troppo semplificativi, ed è per questo che la terza generazione di modelli,
detti “coupling”, illustrata in Figura 1.4, era stata generata con l’obiettivo di individuare il
complesso di relazioni che collegano le varie funzioni aziendali e lo stesso complesso
Fonte: Roy Rothwell, (1994) "Towards the Fifth-generation Innovation Process", International
Marketing Review, Vol. 11 Iss: 1, pp.7 - 31
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aziendale con l’esterno. Il processo di innovazione viene dunque definito come la
confluenza delle capacità tecnologiche e dei bisogni del mercato all’interno della struttura
aziendale
1
.
Il modello di terza generazione, essenzialmente ancora sequenziale, seppure con la
possibilità di apportare feedback correttivi all’interno del processo, è stato adottato dalla
maggior parte delle imprese occidentali fino alla metà degli anni ’80. Questi anni si
caratterizzarono per la comparsa e la successiva affermazione degli strumenti di
Information Technology, per cicli di vita dei prodotti sempre più brevi, e dunque per la
crescente attenzione delle imprese alla velocità dei processi di sviluppo di nuovi prodotti.
Ma per le industrie occidentali furono soprattutto gli anni della concorrenza spietata delle
grandi aziende giapponesi, particolarmente efficaci, tra l’altro
2
, nell’innovazione di
prodotto e di processo, tanto da essere in grado di creare nuovi prodotti in modo più rapido
ed efficiente rispetto agli occidentali. Per ridurre il gap con l’industria nipponica, le
aziende occidentali concentrano i loro sforzi sul miglioramento dell’integrazione tra
progetto e produzione, attraverso piani d’azione in grado di accrescere la flessibilità,
l’adattabilità e lo sviluppo parallelo, al fine di enfatizzare la qualità e le performance. Allo
stesso tempo, cercarono di conciliare questo complesso insieme di strategie con
l’incertezza economica ed il livello di disoccupazione crescente, che ha seguito il periodo
di rapida crescita nella metà degli anni ’80.
Figura 1.5 Relazione tempo-costi di sviluppo del prodotto
1
Hauschildt & Salomo, (2011), Enabling innovation, Springer, Berlin, pp. 233 ss.
2
Negli anni Ottanta l’industria giapponese era ben nota per le relazioni just in time tra aziende e propri
fornitori, e per le strategie di produzione basate sul Total Quality Management .
Fonte: Gupta e Wileman, 1990
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La velocità dei processi di innovazione a quella epoca era considerata, sia dalla teoria che
dagli operatori, come uno dei fattori determinanti della competitività, tanto che molti autori
sostennero l’esistenza di un trade-off negativo tra tempi e costi di sviluppo di un nuovo
prodotto, come rappresentato in Figura 1.5.
Molte imprese adottarono diverse strategie nella direzione di un migliore posizionamento
riguardo al suddetto trade-off, come ad esempio una maggiore attenzione
all’organizzazione interna, una forte coordinazione sia verticale all’interno dell’azienda
che orizzontale all’esterno, e ancora l’utilizzo di strumenti elettronici avanzati per facilitare
la comunicazione. Proprio l’intensificazione dell’utilizzo di tali strumenti fu uno degli
aspetti su cui la dottrina pose maggiore attenzione durante gli anni ’80 e ’90. Già la quarta
generazione di modelli per l’innovazione prevedeva l’ausilio di tali tecnologie per favorire
lo sviluppo di relazioni strategiche con clienti
1
, fornitori e partner in generale. In un
mercato sempre più globale la collaborazione in R&S diviene essenziale per comprendere
e rispondere efficacemente ai cambiamenti dell’ambiente competitivo
2
.
Dunque comincia ad intravedersi una parziale apertura delle imprese verso l’esterno, sotto
forma di collaborazione con soggetti esterni ritenuti “strategicamente” rilevanti. Apertura
che diviene necessaria alla sopravvivenza dell’impresa stessa per il filone di ricerca che
emerge verso la fine degli anni ’90, e che è oggetto di trattazione nel presente lavoro,
ovvero il tema dell’Open Innovation
3
.
1.2 Il Paradigma dell’Innovazione “chiusa”
Il modello di innovazione “closed”, così come viene descritto dal Prof. Chesbrough, che
per la prima volta ne ha fornito una definizione, ha condotto a numerosi risultati,
estremamente positivi sia dal lato della ricerca, che da un punto di vista più strettamente
commerciale. Le imprese che nel periodo storico tra la fine della Seconda Guerra Mondiale
e gli anni ’80 lo hanno consapevolmente adottato
4
, hanno basato la loro attività di sviluppo
dell’innovazione sulle risorse e sulle capacità disponibili all’interno dei propri confini.
1
Lindegaard, S. (2010), The Open Innovation Revolution: Essentials, roadblocks, and leadership skills, John
Wiley, Hoboken, NJ.
2
Dodgson M. (2002), Il management dell’innovazione tecnologica, Isedi, Torino, pp. 43 ss.
3
Chesbrough, H. (2003), Open Innovation: The New Imperative for Creating and Profiting from Technology,
HBRP, Boston, pp. 21 ss.
4
Tra quelle citate dall’autore nel primo libro ricordiamo Xerox, Dupont, AT&T, General Electric, HP, IBM e
altre multinazionali, molte delle quali operanti nell’allora nascente settore dell’informatica.