- Capitolo 1 -
2
utilità pubblica ed è stata pertanto definita
1
eutanasia “collettivistica”, in
relazione all’obiettivo della quale si usa distinguere
2
tra:
Eutanasia “eugenica”
3
, finalizzata alla “purificazione” della razza attraverso
la soppressione indolore degli individui fisicamente o psicologicamente
deformi o tarati, le cui origini risalgono probabilmente nell’antica Roma,
ove si praticava l’uccisione degli infanti mutilati o mostruosi
4
.
Nel V sec. tale pratica era ancora diffusa, come testimonia Platone:
“Coloro che non sono sani di corpo saranno lasciati morire dai medici..”.
Nella storia più recente l’esempio più eclatante di eutanasia eugenica può
invece rinvenirsi nella Germania nazista, ove dal 1939 al 1941 fu attuata
una politica di selezione della specie che portò all’eliminazione di oltre
70.000 infermi di mente
5
;
Eutanasia “economica”, strettamente collegata all’eutanasia eugenica, con
l’obiettivo di alleggerire la società dal peso dei soggetti economicamente
inutili.
1
F.Mantovani, “Aspetti giuridici dell’eutanasia”, Arch. Giur., 1988, p. 67
2
Distinzione operata in “G. Iadecola, “Eutanasia. Problematiche giuridiche e medico legali”,
Liviana, 1991, p. 2 e segg.
3
Flachi, “Diritto penale romano. I singoli reati”, Cedam, Padova, 1932, p. 157.
4
Cicerone, “De legibus”, 3, 8, 19.
5
Tale programma si inseriva in quel Paese in un contesto in cui già la scienza giuridica e quella
medica si erano espresse a favore di una “autorizzazione all’estinzione delle vite prive di valore
vitale”. E’ questo il titolo Dell’opera di C.Binding e A. Hoche, “ Die freigabe der Vernichtung
lebensunwerten Lebens”, Ihr Mass und ihre Form – Miner, Leipzig, 1920
- Capitolo 1 -
3
Tale forma di eutanasia, già conosciuta nell’antica Grecia, rifletteva la
concezione dell’uomo come soggetto politico, membro di una collettività
alle esigenze della quale era sottoposto e per la quale alla vita dello stesso
era riconosciuto un senso solo ove utile alla polis.
Tale concezione perse credito con l’avvento della civiltà cristiana
6
, per la
quale la vita ha valore in quanto dono di Dio e dunque a prescindere dal
contributo del cittadino allo sviluppo della società;
Eutanasia “criminale”, finalizzata alla sicurezza della collettività, praticata
attraverso l’eliminazione indolore dei soggetti socialmente pericolosi;
Eutanasia “sperimentale” intesa come sacrificio umano necessario a
favorire la sperimentazione e dunque il progresso medico - scientifico;
Eutanasia “profilattica”, praticata su soggetti colpiti da malattie
epidemiche;
Eutanasia “solidaristica”
7
, riscontrabile in tutte le ipotesi precedenti e
consistente nel sacrificio della vita di alcuni soggetti a vantaggio di altri.
Come anticipato, l’eutanasia collettivistica, dettata dalla ragion di Stato, è
stata praticata in epoche non lontane, ed ancora oggi molti Autori, tra cui il
6
Così F. D’Agostino, “Eutanasia, diritto e ideologia”, in Iustitia, 1977, p. 207.
7
Per queste accezioni del termine, F. Mantovani, op. cit, p. 68
- Capitolo 1 -
4
Mantovani, tendono a ricollegare i più recenti tentativi di legalizzare
l’eutanasia a pericolose tendenze utilitaristiche che, mistificando il
consenso con diversi argomenti, mirano a legittimare sia l’eutanasia
sperimentale che l’eutanasia economica.
Nonostante ciò concentreremo la nostra trattazione sulla categoria
dell’eutanasia c.d. “pietosa” o “individualistica”, contrapposta all’eutanasia
collettivistica e consistente in una pratica eutanasica dettata un sentimento
di compassione per la condizione umana di particolare sofferenza in cui
versa la vittima, che può essere consensuale o non a seconda che il soggetto
abbia espresso o meno specifica richiesta in merito e che costituisce ad oggi
l’accezione più comune dell’eutanasia, intorno alla quale è venuta
storicamente formandosi l’autentica ed effettiva problematica
dell’eutanasia.
È nell’epoca precristiana che si può assistere ad una affermazione della c.d.
euthanasion, ossia alla accezione altruistica dell’eutanasia nel suo pieno
valore etimologico di “dolce morte”, “praticata al fine di procurare una
morte rapida per evitare il perpetuarsi delle sofferenze e del dolore”
8
.
8
Tacito, “Annali”, 18, 19.
- Capitolo 1 -
5
In merito all’eutanasia pietosa emerge
9
l’autorevole contributo del filosofo
Bacone
10
che, nel XVII sec., legò la tematica dell’eutanasia al contesto
della deontologia medica, delineando i contorni del concetto di eutanasia
“terapeutica ”
11
.
In particolare, Bacone esortava espressamente i medici ad alleviare le
sofferenze ed i dolori non solo quando questo sollievo può condurre alla
guarigione ma anche quando questo può servire a procurare una morte
dolce e calma.
L’eutanasia pietatis causa si arricchiva così di una nuova componente
legata all’etica medica e nell’ambito della quale si può procedere ad alcune
distinzioni: anzitutto, con riferimento alle modalità del gesto eutanasico,
possiamo distinguere l’eutanasia “commissiva” o “attiva” che consiste
appunto nel cagionare la morte con un comportamento attivo, dall’eutanasia
9
A introdurre questa notazione è Demetrio Neri, che, in “Eutanasia. Valori, scelte morali, dignità
delle persone”, Bari, 1995, p.11, riporta un passo di F. Balcone, che “dice alcune cose importanti
per aiutarci a segnare dei limiti plausibili all’uso del termine eutanasia”; il passo recita “Io penso
che l’ufficio del medico non è soltanto di ristabilire la salute , ma anche quello di mitigare i dolori
e le sofferenze causate dalla malattia; e non solo quando ciò, come eliminazione di un sintomo
pericoloso, può giovare a condurre alla guarigione, ma anche quando, perdutasi ogni speranza di
guarigione, tale mitigazione serve soltanto per rendere la morte facile e serena”.
10
Bacone, “La dignità del sapere divino e umano”.
11
F. Mantovani, op. cit., p. 83.
- Capitolo 1 -
6
“omissiva”o “passiva” con cui si procura la morte del sofferente
astenendosi dal somministrargli le cure di cui abbisogna
12
.
Con riferimento all’intenzione del soggetto agente possiamo invece
distinguere la pratica dell’eutanasia “diretta”, che ricorre solo laddove tra la
morte del sofferente e la condotta del reo vi sia un nesso di causalità diretta,
dall’eutanasia “indiretta” configurabile in ogni caso in cui la morte del
malato sopraggiunga in seguito ad una condotta (attiva o passiva) del reo
ma ne rimanga solo una conseguenza secondaria.
Altra classica definizione dell’eutanasia individualistica, che qualifica la
stessa dal punto di vista della volontà dell’ucciso, fu quella elaborata da
Peter Singer
13
, il quale operò una distinzione tra:
Eutanasia “involontaria”, che ricorre laddove il sofferente sia ucciso senza
aver espresso il suo consenso;
Eutanasia “non volontaria”, se praticata su un soggetto che non è in grado
di esprimere il proprio consenso perché incapace di intendere o di volere,
12
F. Stella, “Il problema giuridico dell’eutanasia: l’interruzione e l’abbandono delle cure
mediche”, Riv. It. Med. Leg., 1984, p. 1016; G. Giusti, “L’eutanasia, diritto di vivere, diritto di
morire”, Padova, 1982.
13
P. Singer, “Pratical ethics”, Cambridge University Press, 1979; “Etica pratica”, trad. It, Liguori
Ed. Napoli, 1989, p. 132 e segg.
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anche laddove avesse espresso il consenso prima della malattia ma sia
impossibilitato a riconfermare la sua scelta al momento dell’uccisione;
Eutanasia “volontaria”, se eseguita in seguito alla richiesta del sofferente;
Nella sintesi sulle più comuni definizioni dell’eutanasia, non possiamo non
citare quella elaborata dal Giusti
14
il quale, rifacendosi alla distinzione
operata nella letteratura anglosassone tra “mercy killing” e “letting die”,
definiva l’eutanasia “uccisione indolore” o “mancata prevenzione della
morte per cause naturali nel corso di malattie terminali”, in corrispondenza
ai concetti di eutanasia commissiva ed omissiva.
Come può osservarsi, tutte queste definizioni, non sempre tra esse
collimanti, talora tendono a concentrarsi su aspetti particolari del fenomeno,
talora peccano di genericità di contenuti, talora sono influenzate da approcci
di tipo moralistico.
La difficoltà nell’individuazione dell’esatto significato del termine è
sicuramente da attribuirsi alla mancanza, nel nostro Ordinamento, di una
definizione giuridica del termine, tipica, rigorosa e tassativa, applicabile in
qualsiasi settore dell’Ordinamento.
14
F. Giusti, op. cit.
- Capitolo 1 -
8
L’eutanasia è dunque priva di una nozione giuridica, per cui possiamo
disporre unicamente di definizioni, spesso limitate, a carattere empirico o
socio-programmatico.
Proprio a tale lacuna dell’Ordinamento è addebitabile la progressiva
dilatazione del concetto di eutanasia pietosa, che ha comportato
l’ampliamento delle situazioni ad essa riconducibili, con il rischio di
trasformare l’eutanasia da fenomeno individuale ed isolato in un fenomeno
su larga scala e collettivo
A tal proposito citiamo il Mantovani
15
: “Il concetto di eutanasia ha subito
una continua dilatazione che ha finito con lo snaturarne l’originario
significato. Dalle originarie ipotesi della morte naturale resa indolore per
effetto di sostanze antidolorifiche che leniscono le sofferenze del morente
senza provocarne o anticiparne la morte, e della eutanasia passiva nei casi
estremi in cui si constati l’importanza delle cure rispetto ad un paziente
incurabile.., si è passati alle diverse ipotesi di eutanasia attiva:
dell’uccisione indolore di una persona affetta da malattia incurabile,
allorché la morte sia incombente..; fino all’uccisione indolore per troncare
15
Mantovani, “Aspetti giuridici dell’eutanasia”, in Rivista Trimestrale di Diritto e Procedura
Penale, 1998, p.449.
- Capitolo 1 -
9
le sofferenze di persona colpita da malattia mortale o anche soltanto
inguaribile, pur non presentandosi la morte a breve scadenza, e
dell’uccisione indolore di esseri “mostruosi” o di individui deformi o
menomati fisicamente o mentalmente, come tali non ritenuti idonei ad una
vita sociale integrale”.
Da questo passo risulta evidente il graduale passaggio dai casi di eutanasia
individualistica a quelli di eutanasia collettivistica: la preoccupazione
incalzante è che, se si dovesse legalizzare l’eutanasia nella sua accezione
più ampia, si rischierebbe di legittimare l’eutanasia collettivistica.
In conclusione, in mancanza di un criterio sicuro ed affidabile, idoneo a
fissare i veri ed esclusivi referenti per l’uso appropriato della nozione di
eutanasia, appare opportuno, o forse necessario, rinunciare ad una
definizione predeterminata di eutanasia, limitandosi ad esaminare sotto il
profilo della loro rilevanza giuridica le varie situazioni ed i vari tipi di
comportamento che hanno finito per essere contrassegnati con questo
nome
16
.
16
Il rilievo è del M. Porzio, “Eutanasia”, Enc. Del dir., Giuffrè, Milano, 1967, p.103, e del
Mantovani, op. cit., p. 67.
- Capitolo 1 -
10
In accordo col Giusti, sarebbe opportuno attenersi alla terminologia di uso
corrente, senza pretese definitorie, specificando di volta in volta quale
significato attribuire alla parola.
Nel nostro Ordinamento giuridico l’eutanasia pietosa manca di una
normativa specifica riferita espressamente al fenomeno, che tenga conto
delle circostanze e dei moventi eutanasici: di conseguenza nella sua forma
attiva, che è quella in cui più propriamente si traduce il fenomeno,
l’eutanasia pietosa ricade nella previsione di norme generali.
Possiamo dunque prendere atto della inadeguatezza della legislazione
vigente sul tema, della estrema povertà di una disciplina imperniata in fin
dei conti sulla sola previsione del delitto di omicidio del consenziente.
Tale “lacuna” del nostro Ordinamento è stata oggetto di numerosi dibattiti,
non ancora approdati, nonostante la predisposizione nel tempo dei tanti
disegni di legge miranti alla depenalizzazione dell’eutanasia, ad una riforma
del nostro Codice penale, che continua a considerare l’eutanasia alla stregua
di un omicidio comune ed a punirlo pertanto con la pena della reclusione
non inferiore agli anni 21 (art. 575 c.p.).
In relazione a questa fattispecie inoltre, non opera alcuna causa di
esclusione della punibilità, in quanto, anche laddove sussista il consenso
- Capitolo 1 -
11
della vittima, non sarebbe ad esso riconosciuto valore scriminante, avendo
esso ad oggetto un bene indisponibile: la vita;
In tal caso, tuttavia, laddove si accerti che il consenso sia stato espresso
validamente, ossia in modo consapevole e privo di vizi, si potrà procedere
all’applicazione dell’art. 579 c.p. che prevede una pena attenuata rispetto a
quella prevista per l’omicidio comune, compresa tra i 6 ed i 15 anni di
reclusione.
In questo contesto, il motivo di pietà che anima il gesto di chi uccide, potrà
solo essere apprezzato ai fini della concessione di eventuali circostanze
attenuanti
17
, tra l’altro spesso non riconosciute per la compresenza
dell’aggravante della premeditazione
18
, che impedisce l’applicazione delle
diminuzioni di pena previste.
In conclusione, l’introduzione nel nostro Ordinamento dell’art. 579 ha
risolto solo parzialmente la lacuna relativa alla mancanza di una disciplina
esaustiva del fenomeno dell’eutanasia, limitandosi a disciplinare
esclusivamente l’ipotesi in cui l’eutanasia sia praticata con il consenso della
vittima.
17
Art.62, n.1 c. p. che prevede l’attenuante per aver agito per motivi di particolare valore morale o
sociale.
18
Art.576 c.p., comma1 e 577 c.p., comma1, n.3 .
- Capitolo 1 -
12
In materia sarebbe dunque auspicabile l’introduzione di una riforma
coerente e rispondente, quanto a valori, regole e misure repressive, alla
necessità di una autonoma ed esauriente disciplina del fenomeno, che, nel
rispetto del principio dell’indisponibilità e dell’inviolabilità della vita
umana preveda per l’eutanasia pietosa un regime sanzionatorio meno
rigoroso ed una previsione punitiva meno severa.
- Capitolo 1 -
13
Par. 2 - I lavori preparatori per l’introduzione dell’art. 579 nel
codice Rocco
Il Codice penale precedente quello attuale fu promulgato il 30 giugno 1889
e fu detto “Codice Zanardelli” dal nome del ministro proponente.
Per quei tempi fu un codice rivoluzionario, contenente grandi innovazioni
sostanziali ed apprezzato per la sua ottima redazione tecnica.
Tale Codice tuttavia, pur nella sua modernità, non conteneva alcuna
disposizione relativa all’omicidio del consenziente, e ciò per una scelta
esplicita del ministro Zanardelli, che, nella Relazione che accompagnava
l’introduzione al Codice
19
, spiegava che tale reato è da considerare un vero
e proprio omicidio, per cui sono applicabili ad esso le disposizioni relative
all’omicidio comune.
Il Ministro dunque negava la rilevanza giuridica del consenso e
considerava la condotta del soggetto passivo indipendente dalla volontà
dell’offeso.
19
Progetto definitivo di un nuovo codice penale con la relazione del guardasigilli On. Alfredo
Rocco, in “Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale”, Vol. V, Parte
II, Relazione sui libri II e III del Progetto, Roma, 1929, Par.661, p.373.
- Capitolo 1 -
14
Nella Relazione tale scelta veniva giustificata con l’affermazione,
sicuramente condivisibile e contenuta nell’art. 54 del Progetto (oggi art. 50
c.p.), che il consenso del soggetto passivo non vale ad escludere l’illiceità
della condotta del reo quando ricada su beni indisponibili, quale è la vita.
Secondo qualche autore, il legislatore orientandosi a configurare in modo
particolare ed autonomo la fattispecie di omicidio con consenso, avrebbe
avuto di mira proprio la disciplina dell’omicidio per pietà, ossia dell’atto
eutanasico
20
.
Certo, per quanto il termine eutanasia non ricorra in alcun punto dell’art.
579 c.p., non può dirsi che l’argomento sia stato dimenticato dal legislatore,
il quale ha semplicemente ritenuto che non fosse necessaria alcuna norma
particolare per tale ipotesi.
Nella Relazione Ministeriale al codice si afferma che “Quanto
all’eutanasia, non c’è motivo di distinguere. Se il giudice ritiene che
l’infermità, che affliggeva il sofferente, non ha determinato in lui una
deficienza psichica tale da doversi ritenere invalido il suo consenso
all’uccisione, sarà applicabile, nel concorso delle altre condizioni, la
20
Maggiore, “Diritto penale”, II, Bologna, 1950, p. 756 e segg.
- Capitolo 1 -
15
norma speciale sull’omicidio del consenziente; altrimenti l’uccisore dovrà
punirsi come un omicida comune”
21
D’altro canto, nemmeno è trascurabile il rilievo che è emerso dal dibattito
che ha preceduto l’introduzione del nuovo Codice, ossia l’osservazione che
il consenso, pur se nella fattispecie in esame giuridicamente irrilevante, in
realtà esercita una influenza notevole nella valutazione della gravità del
reato
22
: è innegabile, infatti, che il consenso dell’ucciso sia indicativo del
minor grado del dolo e della minore pericolosità del delinquente che
probabilmente, in assenza del consenso della vittima, non avrebbe
commesso il reato.
In conformità a tali conclusioni, e cioè al fine di attenuare la pena in
presenza del consenso, ed in mancanza di disposizioni meno rigide, si
diffuse nella pratica una tendenza dei giudici ad applicare a tale ipotesi di
reato, per analogia, norme affini, quale l’art. 589 del vecchio Codice,
relativo all’istigazione ed all’aiuto al suicidio (che, in realtà contempla una
ipotesi di reato diversa, ancora oggi distinta da quella di omicidio del
consenziente) o ad emettere sentenze di assoluzione ispirate al senso di
21
“Relazione Ministeriale sul Progetto del codice penale”, II, p. 374
22
“Progetto definitivo del nuovo codice penale..”, op. cit., Vol. IV, Parte I, Par. 463, p. 478.