Prefazione
6
avuto - soprattutto negli ultimi anni - un forte impulso ed evoluzione sistematica:
partendo dalle teorie di Fabris e Minestroni sulla marca e la sua fisionomia, agli
studi di S.Anholt sul branding di città e nazioni, a quelli sul brand ―design
oriented‖3. Gli studiosi di branding identificano come marca non solo quella
―apposta‖ su prodotti o servizi, inglobando in tale macroconcetto altre categorie
di senso, come ad esempio le figure dello star system (e, per rimanere in tema,
dello sport).
Le Olimpiadi, viste da questo punto di vista, non sono interpretabili più soltanto
come delle manifestazioni spettacolari con una propria cadenza ―rituale‖, ma
concepibili come delle vere e proprie marche le quali creano i propri discorsi, la
propria caratterizzazione e legame con il pubblico (alla stregua di una marca che
vuole mantenere intatto nel tempo il proprio appeal ed equity). Le Olimpiadi
rappresentano inoltre, per un paese, un particolare momento di espressione di
magnificenza e modernità, spostando sempre di più la loro significazione
complessiva da ―eventi sportivi ― a ―brand della modernità‖.
Il presente lavoro è stato affrontato nell'intento di avvalersi di un'analisi critica e
multidisciplinare, che possa apportare un contributo rilevante, considerando allo
stesso tempo primario – nell'ambito di questo sguardo valutativo – l'architettura
dell'identità visiva per la comunicazione olimpica e la creazione del brand.
Identità composta da elementi grafici ed architettonici, alcuni dei quali sono
riusciti persino a diventare nel tempo delle icone del design, collocandosi come
elementi indelebili nel vissuto della storia moderna: sono un esempio gli emblemi
olimpici di grandi designer come Lance Wyman e Otl Aicher,4 fino ad arrivare a
grandi costruzioni pensate appositamente in occasione delle Olimpiadi, in grado
di arricchire il tessuto urbano della città: e tra queste il recente stadio a Nido di
Pechino, l'Opera House di Sidney.
L'identità visiva rappresenta il volto tangibile di ogni marca, e lo è anche per il
brand olimpico, dalle caratteristiche più complesse rispetto a una qualsiasi marca
―globalizzata‖; esso si pone un gradino al di sopra dei suoi sponsor ed esibisce se
stesso ogni volta in modo diverso, caratterizzandosi anche grazie all'identità del
3 Per un approfondimento in merito, si consulti la bibliografia finale.
4 Responsabili del visual design di Città del Messico 1968 e Monaco 1972.
Prefazione
7
paese ospitante.
Il motivo per cui credo che tali argomenti possano essere potenziali, interessanti
spunti di analisi è il fatto che il branding, per essere riconosciuto ed operare
come disciplina, abbia sempre bisogno di nuove prospettive, spunti, campi in cui
operare ed evolversi. Non trattando solo di comunicazione o marketing in senso
ristretto, ma rispecchiando la complessità dell'agire di marca.
Il lavoro è stato così suddiviso: innanzitutto un'introduzione su cosa rappresenti
in generale un'Olimpiade, cosa si intende per identità visiva e come verranno
affrontate le analisi comparate delle varie edizioni scelte (in tutto nove, partendo
da Tokyo 1964 ed arrivando ad accennare a Londra 2012). Verrà inoltre
affrontato un capitolo riguardante la sponsorizzazione olimpica e il licensing, e il
rapporto tra città e Olimpiade che non sia necessariamente legato a una
comunicazione di natura turistica. Non mi soffermerò ulteriormente sulla
scansione del lavoro, rimandando tutti gli approfondimenti ai successivi capitoli.
Vorrei concludere questa prefazione con un'emblematica frase tratta dall'articolo
precedentemente citato:
―Roma nel '97 (…) perse contro Atene che a sua volta aveva perso i Giochi del
Centenario a favore di Atlanta. Per il Cio meglio la Coca-Cola e la Cnn rispetto alle
rovine del Partenone.‖
Senza indugiare in critiche ufficiose sulla trasparenza o meno delle scelte finali
relative alle ―hosting cities‖, quest'affermazione vuole essere un pretesto per far
comprendere come dietro a un'Olimpiade vi possano essere diversi aspetti
spesso sconosciuti, nascosti dalla patina luminosa dello sport e della solidarietà
tra atleti e nazioni.
Prefazione
8
Capitolo 1 – Olimpiadi, brand, identità visiva
9
Capitolo 1 – Olimpiadi, brand, identità visiva
1.1 - Introduzione: cosa si intende per “Olimpiadi”
“Olimpiadi: oggi, manifestazione sportiva che riguarda quasi tutti gli sport praticati
ed è aperta ad atleti dilettanti di tutte le nazioni; si svolge ogni quattro anni in un
paese diverso” 5
La definizione generica di Olimpiade in quanto ―manifestazione sportiva‖
dovrebbe essere un collegamento mentale praticamente automatico. Ma è
altrettanto intuibile che le Olimpiadi non siano più soltanto un momento di
celebrazione dello sport con atleti provenienti da ogni parte del mondo.
Esse si sono trasformate in un grande business, assumendo nel tempo un vero e
proprio statuto di ―brand‖. Ciò presuppone l’elaborazione di strategie ad hoc che
ne definiscano un'identità precisa in relazione ai propri stakeholder di
riferimento6, e che in parte sia rappresentativa del paese ospitante; ma oltre a
un’identità coerente, vi è da considerare una miriade di aspetti organizzativi,
come la gestione di budget estremamente elevati e complessi per la
pianificazione di ogni minimo dettaglio, la progettazione di strutture (come il
Villaggio Olimpico e le strutture per le gare) fino alla nuova pianificazione urbana
della città ad hoc per i Giochi.
Questi stakeholder, ad esempio, possono essere:
Organi sportivi e atleti
Sponsor
Media
Pubblico fisico (e mediatico)
Paesi esteri (nella costruzione della propria identità da comunicare durante
l'Olimpiade, si deve tener conto delle percezioni o stereotipi presenti in
altri paesi)
5 Definizione estratta da AA.VV. (2009), Dizionario Italiano, Forlì, Garzanti Linguistica.
6 Un modello sugli stakeholder di riferimento relativi a un'Olimpiade verrà proposto in seguito.
Capitolo 1 – Olimpiadi, brand, identità visiva
10
Cittadini del territorio ospitante (come vedono l'evento olimpico? Quali
cambiamenti urbani rientrerebbero nelle loro aspettative?)
Società e valori di riferimento (come è visto, ad esempio, lo sport?)
Comunità dei designer (che possono potenzialmente disapprovare
un'identità visiva olimpica).
Possiamo persino visualizzare graficamente i soggetti appena elencati (di seguito
in figura 1), anche se in realtà sarà molto più chiaro in seguito comprenderne i
ruoli e la logica che li lega a un'organizzazione olimpica:
1.2 - Olimpiadi, brand, branding
Una delle teorie che vorrei dimostrare in questa tesi è che non basta parlare di
Olimpiadi come eventi sportivi organizzati quadriennalmente, ma connotarli come
veri e propri brand.7 La prospettiva adottata all’interno di questo lavoro sarà in
tal senso totalmente multidisciplinare: semiotica dei testi visivi, analisi degli
7 D'altronde questa è un'opinione condivisa, negli ultimi anni, proprio dagli organizzatori stessi
delle Olimpiadi.
Figura 1: gli stakeholder di un'Olimpiade
Capitolo 1 – Olimpiadi, brand, identità visiva
11
aspetti organizzativi (in parte economici), parallelismi tra identità di marca,
graphic design ed eventi storici. Ma non potrebbe essere altrimenti: trattare le
Olimpiadi banalizzandone l’intera complessità o adottando solo una prospettiva di
marketing fine a se stessa che analizzi, ad esempio, le leve da utilizzare per
raggiungere il target di riferimento, può essere legittima ma non l’unica da
adottare in questa sede.
Tanto più che, essendo i prossimi Giochi Olimpici di Londra attualmente "work in
progress", qualsiasi analisi o critica può diventare un momento di riflessione su
modalità comunicative e progettuali assolutamente in divenire, che coinvolgono
brand (e branding) nella maggior parte dei loro aspetti. Una delle definizioni più
recenti che sintetizzano il concetto di brand (la quale riprende in parte idee già
proposte da altri autori e che riporto per rigore teorico) è contenuta nel testo
“Branding – una visione Design Oriented”, in cui gli autori Carmi e Wegher così si
esprimono:
―insieme di attributi tangibili e intangibili, sintetizzati in un marchio registrato che, se
gestito opportunamente, crea valore ed influenza. Una brand ha lo scopo di creare
relazioni che determinano e garantiscono entrate future attraverso la creazione di
preferenza e fedeltà da parte dei consumatori, Le brand semplificano i processi
decisionali e rappresentano sia una garanzia di qualità sia un'alternativa differente,
distintiva, rilevante e credibile rispetto a offerte concorrenti.‖
Probabilmente il termine ―consumatore‖ è ormai da considerarsi obsoleto; inoltre
aggiungerei che per essere tale un brand deve costantemente dialogare con il
pubblico e la società ed essere – e ciò è particolarmente calzante per le Olimpiadi
– un vero e proprio condensato di ―modernità‖.
1.3 - Identità visiva e Giochi Olimpici
Identità visiva di un brand: chi di noi, cercando di riportare alla memoria le
caratteristiche di una marca, non visualizza nella propria mente almeno le forme
basiche del suo logo, un personaggio caratterizzante della sua comunicazione, o
dei colori che la contraddistinguono? L’immagine coordinata di una marca è
costituita infatti da questi elementi (ed altri, come ad esempio la struttura del
packaging: pensiamo all'inconfondibilità della bottiglia Coca-Cola) sintomatici di
un carattere, uno stile, un’identità. ―Identità‖ il cui significato assume spesso
Capitolo 1 – Olimpiadi, brand, identità visiva
12
tratti confusi. La radice etimologica della parola deriva dal latino identita¯te(m),
la quale trae origine a sua volta da i°dem ('la medesima cosa'). Un essere ―uguali
a se stessi‖ che non implica un principio di staticità ma l'idea che ciò escluda
l’uguaglianza con altri soggetti e le loro identità proprie.
Come la voce ―identità‖del Dizionario riporta, infatti:8
1l'essere identico; assoluta uguaglianza: accertare l'identità di due firme | principio
d'identità, (filos.) principio logico che afferma che ogni cosa è identica a sé stessa,
escludendone l'identicità con altre.
2 l'insieme dei caratteri fisici e psicologici che rendono una persona quella che è,
diversa da ogni altra: difendere la propria identità; crisi di identità, (psicol.) nozione
contraddittoria che il soggetto ha di sé stesso; può costituire uno stato patologico |
(burocr.) i dati anagrafici e somatici che consentono di riconoscere una
persona:stabilire l'identità di qualcuno, accertare chi egli sia;
3 riferito a cosa, ciò che essa è, le sue caratteristiche peculiari: l'identità di un
fenomeno, di una malattia
A un livello base di ―brand analysis‖ il concetto di identità di marca può
identificare quelle caratteristiche peculiari che differenziano un brand dall'altro
rendendo ognuno ―uguale a se stesso‖; ma è necessario aggiungere un altro
aspetto a questa concettualizzazione di base, ovvero il concetto di identità
pensato come unione di ―idem‖ e ―ipse‖. Ritroviamo questa dualità nel pensiero
del filosofo P. Ricoeur; egli afferma infatti che un esempio di identità "ipse" è
quella posta in essere quando si mantiene una promessa: essa si dovrebbe
mantenere nonostante i cambiamenti di umore, e rispecchiare un'identità ―di
mantenimento‖, che persiste ai mutamenti che possono intercorrere sulla
personalità e gli atteggiamenti.
Ma oltre a possedere questi caratteri stabili, una marca deve saper aggiornarsi
nel tempo, in modo tale da essere sempre al passo con la società i valori ed il
mercato di riferimento, mantenendosi attuale e in costante dialogo con il suo
pubblico. Si può così rinnovare il tono della sua comunicazione, la grafica del suo
logo, il packaging, le linee di prodotto, la strategia di mercato.
Se un brand è definibile come tale deve quindi possedere una permanenza di
tratti, una serie di segni riconoscibili (dal pubblico degli utenti, ma in generale
8 Definizione estratta da AA.VV. (2009), Dizionario Italiano, voce ―identità‖.
Capitolo 1 – Olimpiadi, brand, identità visiva
13
dalla società) che ne costituiscano la sua singolarità rispetto alle altre marche
che la circondano. Tratti stabili nel tempo, che conservino la propria
riconoscibilità nonostante gli ―aggiornamenti‖ nella fisionomia e nel carattere
della marca a cui si riferiscono.
Un'identità, inoltre, pur possedendo una sua struttura di senso, è tale solo in
relazione a un'alterità, a un ―ciò che non è‖. Facciamo un esempio: evidenziando
le profonde differenze tra i due loghi delle aziende Apple e Ibm (es. forme dritte
vs forme curve, monocromatismo freddo vs policromatismo caldo), J.M. Floch
ricondusse in un suo studio le due identità a un ―fenomeno‖ osservato
dall'antropologo Lévi-Strauss ne ―La via delle maschere‖ a proposito delle
maschere di due popolazioni indiane.
Il significato di questi oggetti, notò Lévi-Strauss, non poteva essere compreso
guardando alla singolarità di ognuna, ma solo quando inserita ―nell'insieme delle
sue trasformazioni‖:9 gli aspetti visivi di alcune maschere, infatti, erano
indissociabili da quelli di altre, in quanto concepiti per contraddire il significato di
queste ultime. Lo stesso accade per i due loghi analizzati da Floch, il cui senso è
pensato in opposizione a quello del concorrente (Apple vs IBM) e si configura
come una ―complessità crescente che ne fa un oggetto di senso‖.10
Veniamo adesso all’identità visiva olimpica: essa possiede un ―idem‖ (appunto,
l’essere ―uguale a se stessa‖) che può essere ritrovato nella filosofia olimpica di
competizione, uguaglianza, partecipazione, così come nei valori dello sport
(successo, impegno e dedizione), nonché nella simbolicità dei cerchi olimpici che
rappresentano l’unione indissolubile dei cinque continenti (già secondo le idee
originarie di Pierre de Coubertin).11Tutto questo, sin dalla prima Olimpiade, ha
visto sovrapporsi di un’ulteriore strato di senso costituito dalle caratteristiche
della città ospitante, la quale ha cercato di comunicare – in maniera sempre più
9 Tratto da Floch, J. M., (1995), Identità visive, Milano, Franco Angeli. Cit. pg.78.
10 Floch, J.M., (1995), cit. pg. 54
11 ―The Olympic flag (…) includes the five interlaced rings, which represent the union of the five
continents and the meeting of athletes from throughout the world at the Olympic Games‖.
Fonte: ―The Olympic Charter‖ dal sito ufficiale del Movimento Olimpico Internazionale
(www.olympics.org). Cit. pg. 10.
Capitolo 1 – Olimpiadi, brand, identità visiva
14
evoluta – la ―propria‖ Olimpiade, contaminandola (in senso positivo) con
l’identità territoriale. E poiché un'identità olimpica dovrebbe possedere il suo quid
in relazione ad una sopraddetta ―alterità‖, non si può soltanto prendere in esame
una singola edizione, ma comprendere che tipo di relazione oppositiva e
dialettica essa instauri (o meno) con gli altri Giochi.
Questa stratificazione risulta a mio parere di un'importanza tale che ne ho
elaborato la sua forma secondo il modello di una ―piramide‖, in cui i vari blocchi
che la compongono vanno a delineare, in ultima analisi, il brand olimpico. Questa
piramide è riportate in figura 1.1
In particolare (come si vedrà meglio in seguito) la caratterizzazione olimpica
legata alla città ospitante ha rappresentato negli anni un modo per lanciare in
maniera più o meno esplicita dei messaggi agli altri paesi partecipanti, non
necessariamente di natura promozionale o turistica. Si è inoltre sempre più
sfruttata la combinazione ―Olimpiade-città‖ trasformandola negli anni in un brand
capace di generare introiti dagli sponsor, dalla vendita dei biglietti, dal
merchandising, dalla cessione dei diritti per la copertura mediatica.
E questo è stato possibile anche grazie all'ideazione di un'identità visiva olimpica,
Figura 1.1 – la “piramide” del brand olimpico
(Grafico a cura dell'Autrice)
Capitolo 1 – Olimpiadi, brand, identità visiva
15
la quale ha delineato (e lo fa tutt'oggi) l'identificabilità e memorabilità dei singoli
Giochi.
Non a caso alcuni tra i più grandi designer moderni (Wyman e Aicher solo per
citarne alcuni) hanno progettato l'immagine coordinata di alcune edizioni con
risultati eccellenti (forse i più memorabili) con un concept che non aveva nulla da
invidiare a progetti come Lufthansa, Braun, Alitalia, i quali hanno rappresentato
dei veri e proprio ―capostipiti‖ nella progettazione delle visual identity moderne.
1.4 - Design e design strategy
Il termine ―design‖ è, oggi, banalizzato e spesso non compreso nel suo significato
originario: esso identifica l'insieme delle attività di ricerca, ideazione e
progettazione, finalizzate alla realizzazione di un prodotto finito per l'industria.
Il prodotto industriale è dotato inoltre della caratteristica della riproducibilità (di
solito opposta alla singolarità dell'opera d'arte) unendo in sé ―forma‖ e
―funzione‖. Quest'idea della riproducibilità è stata trattata dal filosofo Walter
Benjamin in una fondamentale riflessione (di carattere politico e non solo
filosofico) intitolata ―L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica‖.12
Benjamin parla di riproduzione tecnica delle opere d’arte ottenuta tramite
differenti tecniche, dalla litografia alla stampa, che riproduce ―in serie‖ la
scrittura affidata agli amanuensi. Questa riproducibilità toglie all'opera d'arte l'hic
et nunc, l'unicità che assume un ruolo di ―testimonianza storica‖ (infatti questo
valore viene ricordato e conservato nei musei) e che egli chiama ―aura‖, termine
ripreso dall'aureola dei santi.
Queste considerazioni non assumono però per Benjamin una valenza negativa
ma politica in quanto si prospetta, secondo il suo pensiero, di sostituire a una
valenza culturale (Kultwert) dell’opera il suo valore espositivo (Ausstellungswert).
Benjamin di certo si riferiva anche agli oggetti progettati industrialmente in cui
l'unicità e l'artigianalità della produzione venivano a mancare, pur garantendo
delle qualità estetiche che accompagnassero la nuda funzionalità dell'oggetto. In
12 Benjamin, W., (1966) L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Torino, Einaudi.
Capitolo 1 – Olimpiadi, brand, identità visiva
16
quest'ultimo, infatti, si cerca di unire un'estetica gradevole alla funzionalità, che
ne definisce il suo stesso ruolo nel mercato.13
Che poi l'oggetto in questione sia una sedia o un'automobile, un logo o (negli
ultimi anni) un sito web, non importa: il design non indica in realtà l'oggetto
finale bensì gli strumenti e metodologie che stanno alla base del suo
concepimento.14
Si potrebbe persino parlare di quella che Carmi e Wegher chiamano ―design
strategy‖, tematica in cui si evidenzia un orientamento ―alla dimensione
qualitativa della brand, alla sua dimensione stabile e, al contempo, aggiornabile
nel tempo, in quanto fondamento valoriale, spirituale dell'organismo vivente
brand‖.15 E proprio il progetto di design è la piattaforma di base su cui costruire e
gestire gli elementi della marca.
Se può suonare esagerato fondare l'architettura della marca sul suo progetto di
design,basti guardare al modello che Carmi e Wegher hanno progettato per
capire come ci si riferisca a qualcosa di molto più complesso della semplice
―estetica‖ di marca. Osserviamo la figura 1.1, tratta proprio dal testo dei due
autori:
13 Anche se su questo punto si potrebbero porre delle obiezioni a proposito di oggetti come il
famoso spremiagrumi progettato da Philippe Starck per Alessi.
14 Il termine, con gli anni, ha visto progressivamente ampliare il suo senso e l'accezione generale
di ―progettazione‖ a seconda del campo produttivo d'applicazione o gli strumenti utilizzati;
dall'―industrial design‖ (la progettazione di manufatti industriali) sono nati così termini come
―graphic design‖ (indicando nel mondo degli artefatti visuali, l'ideazione visiva). Nel mondo
dell'abbigliamento si parla di ―fashion design", nel campo dell'arredamento di "furniture design"
fino ad arrivare alle recenti applicazioni del ―web design‖.
Un testo fondamentale in merito è quello di Nikolaus Pevsner, il quale sottolineava, nel suo libro
Pioneers of Modern Design, il legame della progettazione (non ancora denominata ―design‖) con
la modernità, che si trattasse di grandi spazi urbani o piccoli utensili. Da Pevsner, N.(1936).
15 Da Carmi,E., Wegher, E., (2009), Branding. Una visione design oriented, Milano, Fausto Lupetti
Editore. Cit. pg. 84
Capitolo 1 – Olimpiadi, brand, identità visiva
17
Il riquadro che ho evidenziato con un contorno nero, è proprio quello che
riguarda la ―design strategy‖: essa comprende Analysis e Audit, Trend and
Insight, Brand and Positioning, Brand Equity, Vision e Mission, Brand
Architecture, Naming and Verbal exploratory consultancy (quest'ultimo punto
riguarda il campo delle indagini e ricerche del mercato/pubblico di utenti). Tutti i
punti evidenziati possono considerarsi pilastri fondamentali per l'esistenza di un
brand moderno.
Figura 1.1- Schema delle aree di progetto di un
brand - Da Carmi, E., Wegher, E. (2009)
Capitolo 1 – Olimpiadi, brand, identità visiva
18
1.5 - Le Olimpiadi e l’espressione della modernità
Le Olimpiadi rappresentano un momento fortemente simbolico di manifestazione
della modernità,16in cui il paese ospitante cerca di mostrare al mondo quanto
esso sia avanzato dal punto di vista urbano, architettonico, organizzativo e (non
meno importante) sportivo; così come le varie nazioni partecipanti si
preoccupano a loro volta di dar prova simbolicamente della loro ―forza‖ grazie al
numero di atleti in gara e di medaglie vinte: non sembra essere un caso che la
Cina abbia conquistato il più alto numero di medaglie (dopo gli USA) a Pechino
2008, mentre negli anni della guerra fredda erano USA e URSS a lottare per
dimostrare la propria supremazia.
La modernità va inoltre pensata anche rispetto all’evoluzione della società e del
design di un’epoca. In particolare, sarà di vitale importanza il ―graphic design‖,
ovvero le tendenze visive che trovano linfa vitale ed espressione nella grafica
editoriale, nella segnaletica, nella pubblicità, nella tipografia e in parte nella
moda (in quanto partecipe, nei tessuti e texture, del gusto grafico dell'epoca).17 E
spiegherò anche il perché di questa visione parallela su design, storia ed edizioni
olimpiche.
Il design di un periodo, nelle sue varie espressioni, non rappresenta soltanto lo
specchio di un mutevole gusto estetico, ma è piena espressione del pensiero,
dello stile di vita, dello spirito con cui si interpreta un periodo, rispecchiandone
anche le sue componenti storiche e sociali. Negli anni ’50, i mobili, i vestiti e il
tono di molte pubblicità erano etichettate come sintomatiche dello ―space
design‖, ovvero la progettazione che rispecchiava l’aspirazione americana verso il
futuro e la conquista dello spazio extraterrestre. I colori e le linee
dell'arredamento e dell'interior design degli anni '70 erano legati in parte a una
propensione verso l'austerità, in parte memori del ―flower power‖.
O la visualità degli anni ’80 influenzata fortemente dalla prima grafica a
computer, il quale a sua volta non è stato uno strumento qualsiasi ma un vero e
16 In questo caso l'accezione di moderno si intende come ―contemporaneo, dei nostri giorni‖; non
si vuole infatti richiamare alla modernità come concetto filosofico-sociologico che ―rinnega‖ il
passato (e che oggi è contrapposto alla postmodernità).
17 I riferimenti all'interior design saranno, nel nostro caso, di minore importanza.
Capitolo 1 – Olimpiadi, brand, identità visiva
19
proprio simbolo di progresso, che nel tempo ha cambiato le nostre abitudini e
percezioni nei confronti del mondo.
Questo sguardo congiunto permetterà quindi di comprendere non solo l’identità
di ogni Olimpiade, ma in che termini essa si presenta come moderna rispetto al
pubblico e i media. Come sottolineato in precedenza, un emblematico sistema
d'espressione è quello dell'identità visiva, attraverso i linguaggi grafici e
architettonici: basti pensare alla grandiosità dello stadio di Pechino o quello di
Londra, la cui costruzione può essere persino osservata in diretta tramite una
webcam accessibile dal sito della BBC. L'identità visiva riesce così ad essere una
rappresentazione della storia prima ancora che dello sport.18
Ma si può compiere un discorso univoco in presenza di Olimpiadi tanto diverse fra
loro? Gli eventi di ―background‖ hanno certo contribuito a dare a ognuna uno
spirito diverso (eventi non previsti come quelli di Monaco 1972 o più
recentemente le contestazioni contro la dittatura cinese hanno lasciato profondi
segni, rappresentando queste edizioni alla stregua dei record e delle medaglie
vinte dagli atleti); gli stessi linguaggi visuali si sono succeduti moltiplicandosi in
maniera sempre più complessa, anche se si possono individuare degli elementi
che le accomunano dal punto di vista visivo,19 ovvero:
un logo rappresentativo
dei pittogrammi (a partire dall'edizione del '64)
dei poster con immagini significative (o costruzioni grafiche)
le fiaccole olimpiche create ad hoc
una o più mascotte (dal1972).
progettazioni architettoniche (stadi e villaggio olimpico)
18 Più complessa diventa l'organizzazione olimpica, più cresce parallelamente l'organizzazione
visiva. Esiste perfino un organismo nato dopo Atlanta 1996, l'OGIP (Olimpic Games
Identification Project) che si occupa di tutto ciò che concerne questo settore.
19 L'identità visiva di una marca: essa è costituita da una serie di elementi organizzati
coerentemente fra loro nel cosiddetto ―programma di identità‖, composto da:
ξ marchio distintivo
ξ codice del colore (o colori) per i vari utilizzi (web, stampa, etc.)
ξ norme di disciplina tipografica (sopratutto riguardo il lettering ufficiale)
ξ un manuale che stabilisce le norme di corretto utilizzo degli elementi dell'identità visiva
secondo i vari usi.