5
me” per potersi allontanare dalla madre e conquistare
l’indipendenza che lo porterà a sopportare la sua assenza. Tutto
questo è possibile grazie all’area transizionale in cui si inserisce lo
stesso, ovvero una zona intermedia fra la realtà interna e quella
esterna di ogni individuo. In questo stesso capitolo vengono quindi
inseriti la distinzione fra il rapporto e l’uso dell’oggetto.
I peluche e le bambole sono spesso riconosciuti come oggetti
transizionali, anche se Tilde Giani Gallino, nel testo In principio
era l’orsacchiotto, precisa che, in realtà, sono “partner
metacognitivi” successivi ad esso. L’autrice si sofferma anche
sull’attività creativa del bambino dopo l’oggetto transizionale: il
rapporto con la propria Ombra e il Compagno Immaginario, come
illustrato nella seconda parte di questo capitolo.
Nel terzo capitolo viene delineata l’evoluzione storica del concetto
di oggetto transizionale tramite i precursori, a cui è dedicata la
prima parte e i successori di Winnicott, a cui è dedicata la seconda.
Nel 1971 Winnicott, nel testo Gioco e realtà, definisce l’oggetto
transizionale “simbolo della madre”. La simbolizzazione, infatti,
accosta un elemento della realtà interna del bambino, il seno della
madre, ad uno della realtà esterna, per esempio un lembo di una
6
coperta, di un lenzuolo, o altro. Come precursori, perciò, sono stati
scelti autori che prima di lui abbiano riscontrato un’attività
simbolica nel bambino, come suggerito da Riva Crugnola, Giaconia
e Racalbuto.
Il fondatore della psicoanalisi, Sigmund Freud, è stato il primo a
evidenziare la presenza di attività proto-simboliche in bambini di
pochi anni, creando così i presupposti per ulteriori approfondimenti
riguardanti tali attività.
Il seno della madre è il primo “oggetto” con il quale il bambino si
relaziona. Proprio per questo è fra gli autori del modello strutturale
delle relazioni che si ritrovano i precursori di Winnicott: Sàndor
Ferenczi che scopre l’animismo infantile e Melanie Klein che, oltre
ad aver posto l’attenzione sui cosiddetti “oggetti interni”,
rappresentazioni mentali del bambino, è la prima ad analizzare
bambini tramite sedute di gioco. Anna Freud si mostrerà, invece,
più cauta nei confronti dell’analisi infantile. Roland Fairbarn che
per primo parla di area transizionale, ma senza approfondirne la
trattazione e Renè Spitz, che suddivide il primo anno di vita del
bambino in tre stadi che scandiscono il progressivo riconoscimento
7
del mondo esterno attraverso i cosiddetti “organizzatori psichici”,
concludono questa prima parte.
Masud Khan, allievo di Winnicott e Margaret Mahler introducono
la seconda parte del capitolo, quella che raggruppa i successori di
Winnicott. Fra questi si ritrovano anche Renata Gaddini,
fondamentale per la conoscenza di Winnicott in Italia e Tilde Giani
Gallino che si è soffermata sull’attività creativa del bambino,
partendo dall’oggetto transizionale arrivando fino alla creazione del
Compagno Immaginario.
Infine il quarto capitolo analizza come il concetto di oggetto
transizionale sia attuale anche in un’epoca virtuale. Quest’epoca,
caratterizzata dall’introduzione dei nuovi media digitali, è dominata
soprattutto dall’uso del computer, con il quale il bambino si
relaziona fin dall’età scolare. Pur inserendosi in un’età successiva a
bambole e orsacchiotti, anche il computer si pone come ponte tra
due realtà: quella fisica e quella virtuale. Nella prima parte del
capitolo, perciò, viene analizzato il modo in cui il bambino si
relaziona con questo nuovo tipo di realtà e in particolare con il
computer, che viene considerato una “macchina psicologica”, come
evidenziato dalla “ricerca sul vivo-non vivo” della psicologa
8
americana Sherry Turkle. Attualmente impegnata in un’altra ricerca
sui virtual pets, cuccioli virtuali di cui ne sono esempi Furby e
Aibo, ha sempre concentrato la sua attività sui nuovi media e in
particolare sull’interazione bambino-computer. Questo rapporto è
stato anche alla base del progetto Lego-Logo, che associava dei
sensori ai classici mattoncini per le costruzioni in modo da
permettere ai bambini la costruzione di robot. Il risultato era un
esempio di vita artificiale, parallela a quella reale, fenomeno
analizzabile anche nei videogiochi in cui l’avatar del bambino è
una proiezione di una parte di se stesso sullo schermo. Nell’epoca
virtuale è possibile trasporre il concetto di oggetto transizionale
anche al mondo degli adulti, a cui è dedicata la seconda parte del
capitolo.
Con l’avvento di Internet, che offre infinite possibilità di contatti, si
è verificata una continua “rimodellazione” dell’Io sullo schermo del
computer. L’avatar dell’adulto non è più semplicemente un oggetto
determinato dall’immaginazione del programmatore di un gioco,
ma da quella del “giocatore” stesso che interagisce con altri
individui appartenenti alle comunità virtuali. Le più famose sono i
cosiddetti MUD, giochi di ruolo virtuali che simulano dei
9
micromondi in cui i partecipanti si creano varie identità che servono
da “zattera” per il mondo reale. In questo modo i partecipanti
possono esprimere parti del sé, che già secondo Winnicott era
formato da un vero sé, che esprime la creatività di un individuo e un
falso sé che cerca di proteggerlo, integrati, però in un unico Io, che
nell’epoca virtuale è diventato multiforme.
In appendice 1 sono stati riportati alcuni disegni che Winnicott
stesso ha presentato come aiuto a comprendere l’area transizionale
e l’integrazione dell’Io. In appendice 2 sono state scelte le vignette
che hanno meglio rappresentato l’oggetto transizionale nei fumetti:
Linus e la sua coperta, Calvin e il suo tigrotto Hobbes. La patologia
del feticismo è spesso accostata al concetto di oggetto transizionale,
perciò è stata analizzata in appendice 3. In appendice 4 è, invece,
riportata la pagina web che presenta il questionario a cui rispondere
per “partecipare” all’attuale ricerca di Sherry Turkle
sull’interazione dei bambini con i virtual pets.
10
Capitolo primo
DONALD WOODS WINNICOTT
I.1. Dalla pediatria alla psicoanalisi
1
Donald Woods Winnicott, nato nel 1896 a Plymouth, in Inghilterra,
è il pediatra e psicoanalista inglese che ha teorizzato l’oggetto
transizionale. Laureatosi in medicina e specializzatosi in pediatria,
nel 1923 ottenne il posto di consulente pediatrico presso il Green
Children’s Hospital che diresse per quarant’anni; nel 1934 la
qualifica di psicoanalista, nel 1935 quella di psicoanalista infantile.
Successivamente, dal 1956, divenne direttore della Società
psicoanalitica inglese per due volte (1956-59; 1965-68). Appartenne
al Middle Group, un gruppo di posizione neutra nei confronti della
controversia fra Melanie Klein e Anna Freud.
2
Il titolo di un suo libro, Dalla pediatria alla psicoanalisi, ben
sintetizza il suo percorso professionale. Proprio in questo testo, in
1
Donald W.Winnicott, Dalla pediatria alla psicoanalisi, Firenze, Martinelli, 1975.
2
Per le controversial discussions, v. nota 80, p. 56.
11
particolare in un saggio letto alla Società Britannica di Psicoanalisi
il 30 maggio 1951, compare per la prima volta la definizione di
oggetto transizionale:
E’ ben noto come i bambini appena nati tendano ad usare il pugno, il
pollice e le altre dita per stimolare la zona erogena orale e soddisfare gli
istinti ad essa collegati, od anche in tranquilla unione con essa.
Sappiamo pure che, trascorsi alcuni mesi, ai bambini di entrambi i sessi
piace giocare con le bambole, e che la maggior parte delle madri
permettono ai loro figli di usare degli oggetti speciali e di attaccarsi a
questi in modo da non poterne più fare a meno…Ho introdotto i termini
“oggetto transizionale” e “fenomeno transizionale” per designare l’area
intermedia di esperienza tra il pollice e l’orsacchiotto, l’erotismo orale e
la vera relazione d’oggetto, l’attività primaria creativa e la proiezione di
ciò che è già stato introiettato…
3
La sua stravagante personalità era destinata a emergere nella scuola
psicoanalitica inglese, soprattutto per il particolare metodo analitico
da lui inventato (squiggle game) e per le teorie da lui elaborate,
illustrate con un linguaggio tanto comune “che ognuno si illudeva
3
Donald W.Winnicott, Dalla pediatria alla psicoanalisi, op. cit., pp. 275-276.
12
di aver sempre saputo quello che lui stava dicendo”
4
(Masud Khan,
suo allievo). La sua formazione ha contribuito alla peculiarità del
suo metodo come lui stesso sottolinea:
...ho cominciato la mia attività da pediatra e successivamente sono
diventato psicoanalista e psichiatra infantile; il fatto che in origine fossi
un medico organico ha molto influenzato il mio lavoro. Mi è capitato
infatti di avere una grande quantità di esperienze grazie al fatto di essere
stato medico per quarantacinque anni: in tutto questo tempo si riescono
ad accumulare moltissimi dati.
5
I “moltissimi dati” provenivano da un particolare metodo di analisi
infantile: il cosiddetto squiggle game.
4
Anne Clancier e Jeannine Kalmanovitch, Il paradosso di Winnicott, a cura di Fulvio
Scaparro, Milano, Unicopoli, 1986, p. 8.
5
Donald W.Winnicott, Bambini, Milano, Raffaello Cortina Editore, 1997, p. 53.
13
I.2. Lo squiggle game e il setting analitico
Il termine squiggle è stato tradotto in italiano con scarabocchi, ma
molti hanno sottolineato l’imprecisione della traduzione, poiché,
assistendo alle sedute di Winnicott, non si percepiva affatto
confusione o precarietà, anzi. Egli era solito avere una stanza molto
grande in cui accogliere i pazienti e le loro madri:
…perché molto si può vedere e fare nel tempo necessario a madre e
bambino per raggiungermi entrando dalla porta che si trova al lato
opposto della mia scrivania
6
Successivamente diceva alla madre di far sedere il bambino sulle
sue ginocchia in modo che potesse raggiungere l’abbassalingua
presente sulla scrivania:
Ecco quindi, il bambino sulle ginocchia della madre ed una persona
nuova (un uomo, in questo caso) che siede di fronte a loro; ed ecco un
abbassalingua che luccica sul tavolo.
7
6
Donald W.Winnicott, Dalla pediatria alla psicoanalisi, op. cit., p. 66.
7
Donald W.Winnicott, Dalla pediatria alla psicoanalisi, op. cit., p. 67.
14
In poche righe viene delineata la cosiddetta “situazione prefissata”
in cui si trovavano i suoi pazienti bambini. L’analisi vera e propria
iniziava con l’osservare l’approccio del bambino nei confronti
dell’abbassalingua (attraverso il quale Winnicott capiva anche
l’atteggiamento della madre, nel momento in cui permetteva o
vietava tale gioco).
Tale approccio si sviluppava in tre fasi: nella prima il bambino era
incuriosito dall’oggetto luccicante, ma si guardava intorno per
capire cosa fare; nella seconda comparivano due momenti, un primo
“periodo di esitazione” in cui il bambino teneva rigido il proprio
corpo nell’attesa di cosa fare e un secondo momento in cui si
lasciava andare al desiderio e cominciava a giocarci; nella terza
fase, infine, lo lasciava cadere per terra e soltanto quando il
bambino lo riprendeva per continuare a giocarci o per sostituirlo
con un altro oggetto, Winnicott considerava conclusa la terza fase.
Nelle successive sedute compariva lo squiggle game, ovvero quel
particolare gioco costituito da un’alternanza di turni nel completare
degli scarabocchi iniziati da Winnicott. Questo metodo innovativo
può essere considerato il punto d’arrivo dei metodi di psicoanalisi
infantile precedenti.
15
In una linea teorica che parta dal rocchetto di Ernst analizzato da
Freud
8
e arrivi alle sedute di gioco osservate da Melanie Klein,
9
l’abbassalingua e lo squiggle game sono mezzi per osservare il
gioco in quanto tale e non come strumento sostitutivo delle libere
associazioni degli adulti.
I.3. La diade madre-bambino: l’holding, l’handling e il realising
Winnicott, in quanto esponente del modello strutturale delle
relazioni, si sofferma sulla prima di queste, quella che il bambino
instaura con la madre. Come affermato durante una delle riunioni
della Società psicoanalitica:
Un neonato è qualcosa che non esiste, intendendo, ovviamente, che
ogni qualvolta che si trova un neonato si trova la cura materna, e senza
la cura materna non ci sarebbe nessun neonato.
10
Ciò che, infatti, permette al bambino di crescere e svilupparsi è la
madre, la quale è la protagonista principale del suo primo anno di
vita. Winnicott introduce la formula “madre sufficientemente
8
V. III.1.1, p. 49.
9
V. III.1.3, p. 56.
10
AAVV, Il paradosso di Winnicott, op. cit., p. 36.
16
buona”
11
per indicare quella particolare empatia che attua nei
confronti del bambino, la “preoccupazione materna primaria”,
12
uno
stato psichico da lei raggiunto durante la gravidanza e fino a poco
dopo la nascita del bambino. Una madre sana, che paradossalmente
deve vivere questa particolare “malattia”, sente comunque
l’esigenza di presenze esterne che l’assistano in questo periodo,
poiché la sua sensibilità è notevolmente variata. Successivamente,
però, si deve verificare un progressivo distacco, soprattutto fra la
madre e l'ostetrica, per evitare un’interferenza nella relazione con il
bambino. Winnicott, infatti, ritiene fondamentale l’istinto e la
spontaneità della madre nelle tre funzioni che svolge in questo
periodo.
La prima, l’holding (contenere) è, infatti, l’insieme delle cure
materne finalizzate al soddisfacimento dei bisogni fisiologici del
bambino. Quest’ultimo, nelle primissime fasi della sua vita, è in
uno stato di dipendenza assoluta nei confronti della madre, la quale
ha la funzione di contenere le varie parti del sé del bambino, il
quale non riesce ancora a considerarsi un essere unitario. Winnicott
11
Donald W.Winnicott, I bambini e le loro madri, Milano, Raffaello Cortina Editore, passim.
12
Donald W.Winnicott, Dalla pediatria alla psicoanalisi, op. cit., passim.
17
afferma che in questa fase è fondamentale la capacità della madre di
fungere da specchio per il bambino. Il riferimento esplicito è allo
psicoanalista francese Jacques Lacan.
13
Nel suo saggio “Lo stadio
dello specchio come formatore della funzione dell’io”,
14
viene
affermata l’importanza dello specchio nella formazione dell’io del
bambino. “Il piccolo d’uomo”
15
è infatti in grado di riconoscersi
nello specchio già verso i sei mesi e, secondo Lacan, si tratta di una
”identificazione…trasformazione prodotta nel soggetto quando
assume un’immagine”,
16
che gli permette di raggiungere un suo
primo stadio di oggettivazione e quindi di relazione con la realtà
esterna che poi lo porterà alla sua ”determinazione sociale”.
Winnicott riconosce l’influenza di questo saggio quando vuole
dimostrare che “il precursore dello specchio è la faccia della
madre”.
17
Ciò che il bambino vede nel viso della madre è se stesso,
poiché i due protagonisti della diade si sentono uno parte dell’altro.
13
Jacques Lacan (1901-1981), psicoanalista francese, a capo della scuola freudiana di Parigi.
14
Jacques Lacan, Scritti, Torino, Einaudi, 1974, vol. I.
15
Jacques Lacan, Scritti, op. cit., p. 87.
16
Jacques Lacan, Scritti, op. cit., p. 88.
17
Donald W.Winnicott, Gioco e realtà, Roma, Armando Editore, 1974, p. 189.
18
Successivamente è tramite l’handling (manipolazione) che la madre
comincia a presentare il mondo esterno al bambino, il quale in una
prima fase è chiuso in se stesso, circondato da un mondo che non
conosce, poi comincia a muoversi e ad attraversare lo spazio
intorno a sé, infine un evento esterno può fare sobbalzare la madre e
di conseguenza è il bambino stesso che rimane sorpreso dal mondo
esterno:
Dapprima il bambino chiuso in se stesso sta nello spazio che viene
tenuto tra lui e il mondo, in seguito egli scopre il mondo e infine il
mondo scopre il bambino.
18
Si arriva così alla terza funzione, la “presentazione degli oggetti”
(realising, rendere reale), in cui la madre rende il bambino capace
di relazionarsi con gli oggetti della realtà esterna. L’aspetto
paradossale è che la realtà viene presentata tramite il processo
dell’illusione. Ciò che infatti il bambino crede essere creato dalla
sua onnipotenza magica, è invece presentato dalla madre. A questo
proposito Winnicott introduce la formula “madre sufficientemente
18
Donald W.Winnicott, I bambini e le loro madri, op. cit., p. 67.