due articoli potrebbero ritenersi parte di un unico precetto complessivo; II)
l’art.5 potrebbe ritenersi come principio generale, che trova poi
un’applicazione particolare nell’art.4; III) i due articoli regolerebbero
fattispecie diverse. Sebbene il dato testuale (“In questo, come in ogni altro
caso...”, riferentesi, la prima parte, all’art.4) sembrerebbe dovere fare
propendere per altre tesi, l’autore manifesta la sua adesione alla terza delle
ipotesi prospettate: l’art.5 e l’art.4 disciplinerebbero, quindi, due fattispecie
diverse
2
.
Su questa conclusione (la diversità delle due fattispecie) si trova oggi
ormai concorde la maggioranza della dottrina, anche se i percorsi
argomentativi e le premesse da cui partono risultano alquanto diversi, il più
delle volte.
Per il NIGRO
3
l’art.4 prende in considerazione l’atto amministrativo in
quanto direttamente lesivo del diritto soggettivo ed in tal modo l’atto entra a
fare parte anch’esso dell’oggetto principale del giudizio
4
. Proprio perché la
cognizione del giudice ordinario cade in via principale sull’atto, qualora
questo venga dichiarato illegittimo, l’amministrazione avrà l’obbligo di
conformarsi al giudicato ed il giudice amministrativo potrà, eventualmente,
assicurare tale adempimento in sede di giudizio di ottemperanza. Stando così
le cose, l’art.5 riguarderebbe allora tutt’altra vicenda; sarebbe inerente ai soli
2
NIGRO M., “La giustizia”, op. cit., 229. Anche per l’ALESSI (ALESSI R., “Rilievi in
tema di diniego di applicazione degli atti amministrativi non conformi alle leggi da parte del
giudice ordinario”, in STUDI in onore di ENRICO GUICCIARDI, Padova, 1975, 121-122) il
tenore letterale dell’art.5 potrebbe farlo ritenere norma strumentale rispetto al precedente
art.2 e quindi rientrante nell’ambito da esso definito(diritti civili o politici); ma in tal modo
si verrebbe a negare il fenomeno dell’affievolimento, ormai consolidatosi anche in
giurisprudenza, e sussisterebbe contrasto con un principio fondamentale del nostro
ordinamento, per cui il pubblico interesse prevale su quelli privati con esso contrastanti.
3
NIGRO M., “La giustizia”, op. cit., 230.
4
Si ha qui un primo punto di divergenza da altra parte della dottrina che, come si vedrà,
ritiene che l’oggetto principale della controversia sia il solo diritto soggettivo (e la sua
lesione) e non anche l’atto amministrativo, avendo il giudice ordinario cognizione dei soli
effetti di quest’ultimo.
casi nei quali, tra tutte le questioni che spetta al giudice di risolvere al fine di
decidere la controversia, vi sia anche la questione di legittimità di un atto
amministrativo. La conoscenza dell’atto ad opera del giudice avverrebbe
perciò incidenter tantum, come per qualsiasi questione incidentale o
pregiudiziale; riconoscendo l’illegittimità dell’atto, il giudice stesso lo
disapplicherà, cioè non lo applicherà al caso di specie. L’esatto contrario
avverrebbe nei casi disciplinati dall’art.4: l’atto non viene disapplicato, anzi,
proprio perché applicato si riconosce lesivo di un diritto soggettivo.
Sostanzialmente concordi risultano le posizioni del GUICCIARDI
5
e del
VIRGA
6
; anche il primo autore, nel delineare il campo di applicazione
dell’art.5, si riferisce a situazioni tutt’affatto differenti da quelle rientranti
nella previsione dell’articolo precedente, trattandosi di casi nei quali, “in un
giudizio instaurato per attuare le conseguenze giuridiche derivanti dalla
lesione di un diritto, sorga contestazione sull’esistenza di tale diritto in quanto
esso dipende da un atto amministrativo o da un regolamento di cui venga
contestata la legittimità”. Trattandosi di questioni non principali, ma
meramente incidentali o pregiudiziali, secondo l’autore risulterebbe evidente il
parallelo tra la normativa in questione e ciò che dispone l’art.28 del T.U. sul
Consiglio di Stato: mentre questo consente al giudice amministrativo, giudice
delle validità degli atti amministrativi, di decidere in via pregiudiziale o
incidentale questioni inerenti a diritti soggettivi, con perfetta simmetria l’art.5
consentirebbe ai tribunali ordinari, giudici dell’illiceità di tali atti, di decidere
allo stesso modo in merito alla legittimità degli stessi. Soluzione, questa, di
rilevante importanza, dato che, diversamente, il giudice ordinario si
ritroverebbe nella necessità di sospendere il giudizio, in attesa dell’esito di un
giudizio amministrativo sull’atto, giudizio che, il più delle volte, non
5
GUICCIARDI E., “La giustizia amministrativa”, Padova, 1957, 341ss.
6
VIRGA P., “La tutela giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione”,
Milano, 1982, 109ss.
risulterebbe neppure possibile, visto che, a cagione del più breve termine
previsto per il giudizio amministrativo, sarebbe ormai impossibile la
proposizione del ricorso
7
.
L’incipit dell’art.5 (“in questo” (caso), riferentesi all’art.4), in
quest’ottica, va dunque inteso come riguardante i casi di controversia tra la
pubblica amministrazione ed il privato cittadino e non, come si ritiene da parte
di altra dottrina, i casi di cognizione principaliter del giudice. Gli “altri casi”
starebbero invece ad indicare le controversie sorte tra privati, nelle quali la
fondatezza delle rispettive pretese dipenda dalla valutazione, in termini di
legittimità, di un atto amministrativo. Per ciò che concerne, infine, le
controversie promosse dalla stessa amministrazione (assai rare, ma pur
possibili, in quanto, pur essendo dotato l’atto amministrativo dei caratteri
dell’imperatività e dell’esecutorietà, che consentono pienamente alla p.a. di
fare valere immediatamente le proprie ragioni sul privato, non può escludersi a
priori che l’amministrazione stessa possa avere interesse ad agire in giudizio),
dovrebbero farsi rientrare nella previsione della prima parte dell’art.5, in
quanto l’art.4 non fa riferimento alla controversie giudiziarie promosse dal
privato, ma più genericamente ad una “contestazione ... sopra un diritto che si
pretenda leso”
8
. Ulteriore conferma a tale tesi può poi rinvenirsi nel dato
7
GUICCIARDI E., “La giustizia”, op. cit., 342. L’autore sottolinea poi (pag.343) come
l’art.4 riguardi la competenza propria del g.o., in quanto giudice in via principale della liceità
degli atti amministrativi (e non della legittimità, per la quale esiste il g.a.); l’art.5 si riferisce
quindi ad una competenza del g.o. che gli è sottratta in via principale. In senso
sostanzialmente analogo il VIRGA (VIRGA P., “La tutela giurisdizionale”, op. cit., 109), il
quale riferisce però, a differenza del NIGRO, la conoscenza principale del giudice ordinario
alla sola illiceità del comportamento (cioè degli effetti dell’atto) e non anche direttamente
all’atto stesso. Si tratta comunque di differenze minime, che in effetti non portano gli autori a
conclusioni diverse sul piano sostanziale.
8
CASSARINO S., “Problemi della disapplicazione degli atti amministrativi nel giudizio
civile”, in Riv. Trim. Dir. e Proc. Civ., 1985, 868. Sul punto concorda anche il CANNADA-
BARTOLI (CANNADA-BARTOLI E., “L’inapplicabilità degli atti amministrativi”, Milano,
1950, 123ss), il cui pensiero, per gli altri aspetti, si inserisce in quel filone dottrinale che
ritiene, invece, di configurare (pag.127ss) due possibili tipi di disapplicazione: una “nella
competenza principale” (cioè in merito ad atti direttamente lesivi del diritto) e un’altra “nella
competenza occasionale” (inerente ai casi di valutazione dell’atto a fini pregiudiziali o
incidentali).
testuale dell’art.5
9
, il quale, nel riferirsi agli atti amministrativi, usa
l’espressione al plurale (a differenza dell’art.4, nel cui ambito non potrebbe
quindi dirsi ricompreso); ma ancor più, esso enuncia espressamente anche i
regolamenti, di cui certo non vi è traccia nell’art.4, essendo assai improbabile
(almeno nella maggior parte dei casi) che questi possano dirsi direttamente
lesivi della posizione di diritto soggettivo
10
.
Di disapplicazione in senso proprio si parlerà, dunque, nel solo caso
dell’art.5 e non anche ex art.4; si tratta di fenomeni diversi, tra i quali va
assolutamente evitata la confusione, in quanto aventi effetti differenziati: non
si vede come potrebbe utilizzarsi la disapplicazione nel secondo caso, stante
l’obbligo della pubblica amministrazione di uniformarsi al giudicato, esistendo
già, quindi, un vincolo imposto dalla legge all’amministrazione, seppure
dotato di caratteristiche particolari
11
. Così configurato l’istituto della
disapplicazione manterrebbe una sua precisa funzione all’interno del sistema
delineato dagli artt.2, 4 e 5 della legge sul contenzioso. Di ben diverso avviso
è però il VILLATA
12
: per l’autore, l’istituto in questione, così come
configurato dalla dottrina dominante (e dalla giurisprudenza maggioritaria),
non esisterebbe, trattandosi non solo di “un’ipotesi rarissima e scritta solo sui
9
Si noti, peraltro, che la lettera della legge viene richiamata a suffragio ora dell’una, ora
dell’altra tesi, segno evidente che il dato testuale non si presenta di tutta chiarezza.
10
CASSARINO S., “Problemi della disapplicazione”, op. cit., 870.
11
CASSARINO S., “Problemi della disapplicazione”, op. cit., 872. Concorda anche il
NIGRO (NIGRO M., “La giustizia”, op. cit., 229).
12
VILLATA R., “Disapplicazione dei provvedimenti amministrativi e processo penale”,
Milano, 1980, 90ss. Estremamente critico anche il VERDE (VERDE G., “Rimozione degli
atti amministrativi ed effettività della tutela (art.5 legge 20 marzo 1865, n°2248, All.E)”, in
Riv. Dir. Proc., 1984, 46), secondo il quale, ridotta la giurisdizione ai soli casi di carenza di
potere, in tali evenienze non si disapplicherebbe alcunché, in quanto l’atto emanato senza
potere è in realtà un non-atto, comunque insuscettibile di qualsiasi applicazione. La
situazione sarebbe così addirittura antitetica rispetto a quella prevista dalla norma, che aveva
inteso riferirsi alla disapplicazione di atti pienamente validi. In senso sostanzialmente
conforme, ROSELLI (ROSELLI F., “La disapplicazione dell’atto amministrativo nella
giurisprudenza della Cassazione Civile”, in Giur. It., 1986, I, 1, 706).
manuali”, ma addirittura di “un istituto fantasma”, creato su presupposti
erronei
13
. Il vero significato degli articoli citati sarebbe invece questo: l’art.2
stabilirebbe i casi in cui il giudice ordinario è fornito di giurisdizione, l’art.4
disciplinerebbe il contenuto delle sentenze, stabilendo il divieto di
annullamento di atti amministrativi, l’art.5, infine, costituirebbe la regola per
decidere le controversie (si respingerà l’azione proposta o la si accoglierà a
seconda che l’atto risulti illegittimo o meno)
14
.
Al di là di tale posizione per così dire “estremista”, in dottrina vi è invece
chi si colloca anch’esso in una posizione possibilista, a riguardo dell’esistenza
dell’istituto della disapplicazione, ma assume atteggiamenti esattamente
opposti all’opinione maggioritaria in merito all’estensione ed all’ambito di
applicazione della stessa.
I fautori di una lettura degli artt.4 e 5 nel senso originario (cioè
conformemente a quelle che dovettero essere le intenzioni del legislatore), non
sono mai mancati e nuove voci in tal senso si levano anche nella dottrina
odierna
15
.
Lo stretto collegamento, anche testuale, tra la norma dell’art.5 e quella
dell’art.4 comporterebbe che il potere previsto dal’art.5 citato varrebbe, in
13
VILLATA R., “Disapplicazione”, op. cit., 92. Al contrario, si deve però rilevare che sono
proprio tali presupposti (non si può negare infatti che l’istituto della degradazione influisca
sull’intera vicenda, non consentendo al g.o. la cognizione diretta di atti lesivi di diritti
soggettivi), ormai unanimemente accettati in giurisprudenza, a rendere quasi obbligata la
soluzione adottata.
14
VILLATA R., “Disapplicazione”, op. cit., 93.
15
Si vedano, tra gli altri, CANNADA-BARTOLI E., “L’inapplicabilità”, op. cit., 127ss;
SANDULLI A.M., “Manuale”, op. cit., 1257ss; SCHREIBER A., “E’ mai esistita la
degradazione dei diritti? Osservazioni sull’art.2 della legge abolitiva del contenzioso
amministrativo”, in Foro Amm., 1985, 669ss; ma, per una critica particolarmente serrata
della tesi dominante, VERRIENTI L., Commento all’art.5 della legge 20 marzo 1865,
n°2248, All.E, in ROMANO A., “Commentario breve”, op. cit., 88ss e VERRIENTI L.,
“Giurisdizione ordinaria e pubblica amministrazione”, voce del DIGESTO delle
DISCIPLINE PUBBLICISTICHE, vol. VII, Torino, 1991, 473ss. Critico sull’impostazione,
ormai tradizionale, della disapplicazione come istituto ridotto ai soli casi in cui il giudice
ordinario conosca dell’atto amministrativo perché emesso in carenza di potere, anche
STELLA RICHTER P., “L’inoppugnabilità”, Milano, 1970, 143ss.
primo luogo, per l’ipotesi prevista di violazione dei diritti soggettivi; e da
questo punto di vista non troverebbe quindi giustificazione il riferimento ai
soli vizi di legittimità, in sede di valutazione dell’atto ai fini della sua
disapplicazione, in quanto non risulterebbe alcuna connessione tra essi e la
violazione in questione. Apparirebbe pertanto necessaria, al fine della
riscoperta del valore originario della norma, un’indagine sul significato e sul
valore dell’art.5 all’interno dell’intero sistema delineato dalla legge sul
contenzioso amministrativo
16
.
Collocata immediatamente dopo l’art.4, la norma contenuta nell’art.5 vi
si ricollega anche da un punto di vista testuale (“in questo” caso); entrambi
sono inerenti, pertanto, ai poteri del giudice ordinario nei confronti della
pubblica amministrazione, ma una prima differenza tra di essi può rinvenirsi
nel fatto che, mentre l’art.5 è sempre (“in questo, come in ogni altro caso”)
intimamente collegato all’esistenza di un atto amministrativo, l’art.4 ben può
prescindere da tale esistenza tutte le volte che la contestazione sul diritto
soggettivo derivi da una mera condotta materiale dell’amministrazione. La
disapplicazione potrà quindi avere luogo sia nel caso di lesione di un diritto
soggettivo (il caso dell’art.4), sia nel caso in cui non sussista lesione alcuna
(“in ogni altro caso”)
17
.
Le ragioni vanno ricercate tra le esigenze e le motivazioni che mossero il
legislatore del 1865. Abolendo i tribunali del contenzioso amministrativo, la
giurisdizione sui diritti soggettivi (diritti civili e politici) rimaneva attribuita
esclusivamente al giudice ordinario, stante appunto il principio di
giurisdizione unica allora vigente. E si trattava di una giurisdizione completa
visto il disposto dell’art.2 che recitava: “comunque vi possa essere interessata
la pubblica amministrazione ed ancorché siano emanati provvedimenti del
potere esecutivo o dell’autorità amministrativa”. Da questo sistema, stante
16
VERRIENTI L., “Giurisdizione ordinaria”, op. cit., 474.
17
VERRIENTI L., “Giurisdizione ordinaria”, op. cit., 475.
l’impossibilità per il giudice di annullare i provvedimenti amministrativi
(art.4), discendeva la possibilità di un sindacato sull’atto, almeno per valutarne
il rispetto del diritto soggettivo, che, ai sensi dell’art.5 poteva comportare la
disapplicazione dello stesso.
Nell’ambito dell’allora giurisdizione unica, il giudice provvedeva quindi
non solo alla tutela della lesione, ma anche al controllo della rilevanza della
non conformità del provvedimento amministrativo alle leggi, ai sensi
dell’art.5. Quest’ultimo risultava quindi il completamento del sistema, così
come delineato dagli artt.2 e 4
18
. Non potrebbe quindi concordarsi con quella
giurisprudenza e quella dottrina che ritengono l’art.5 non applicabile
nell’ambito considerato dall’art.4. In tal modo, infatti, si avrebbero
conseguenze obbligate in aperto contrasto con la sistematicità e
omnicomprensività delineata dalla legge sul contenzioso: il giudice potrebbe
solamente disapplicare un atto diverso da quello lesivo del diritto, nel caso di
richiesta tutela contro la lesione del diritto stesso, oppure, nel caso di altre
controversie, disapplicherebbe l’atto amministrativo illegittimo sul quale si
basi la pretesa di uno dei privati ricorrenti (controversie tra privati); si
aggiungerebbero poi i casi di disapplicazione da parte del giudice penale (ad
es. art.650 c.p.)
19
. Ma una tale cognizione incidentale, vista l’impossibilità di
pervenire ad un accertamento avente forza di giudicato, sarebbe in piena
disarmonia, se non addirittura in contrasto, con il dato della norma dell’art.5.
Più esattamente, l’art.5 afferma invece la possibilità della disapplicazione
dell’atto all’interno di tutta l’area di giurisdizione del giudice ordinario (“In
questo, come in ogni altro caso”) così come risultante dall’art.2.
Si tratta, comunque, di una teoria interpretativa che non ha mai raggiunto
un’adesione particolarmente consistente, tanto che anche la giurisprudenza
civile, pur a volte altalenante nelle sue affermazioni di principio, risulta
18
VERRIENTI L., “Giurisdizione ordinaria”, op. cit., 477.
19
VERRIENTI L., “Giurisdizione ordinaria”, op. cit., 478.
relativamente consolidatasi sulla linea di una disapplicazione ricondotta
nell’ambito della sola cognizione incidentale. Anche da parte del giudice
civile si ritiene quindi che la disapplicazione prevista dall’art.5 sia da riferire
ai soli casi di cognizione incidenter tantum sull’atto
20
. D’altra parte è lo stesso
20
Si vedano, ad esempio, Cass., Sez. Un., 20 gennaio 1989, n°296, in Giur. It., 1990, I, 1,
1316; Cass., Sez. Un., 25 marzo 1988, n°2569, in Giur. It., 1989, I, 1, 106 (“In tema di
avviamento obbligatorio al lavoro presso la Pubblica Amministrazione e le aziende private (a
norma della legge 2 aprile 1968, n°482), una volta emesso l’atto di avviamento, le pretese
giuridiche del lavoratore e del datore di lavoro si configurano come diritti soggettivi e perciò
rientrano nella cognizione del giudice ordinario che, se rileva l’illegittimità del
provvedimento amministrativo, lo disapplica, con cognizione incidenter tantum, ex art.5 l.
20 marzo 1865, n°2248, All.E”. Al fine ad esempio di una pronuncia sul rifiuto di
assunzione da parte del datore di lavoro, si necessiterà quindi un esame in via incidentale
dell’atto amministrativo di avviamento.); Cass., Sez. Un., 20 dicembre 1985, n°6520, in
Giur. It., 1986, I, 1, 1303; Cass., Sez. Un., 17 novembre 1984, n°5844, in Giur. It., 1985, I,
1, 733 (riferentesi alla disapplicazione incidenter tantum dell’atto di accatastamento nel caso
in cui, ritenendo il conduttore che la categoria catastale non corrisponda allo stato effettivo
dell’immobile, questi chieda l’esatto calcolo del canone di locazione, che ex art. 16 della
legge 27 luglio 1978, n°392 deve computarsi in base alla suddetta categoria); Cass., Sez.III,
13 dicembre 1984, n°6534, in Giur. It., 1985, I, 1, 931; Cass., Sez. III, 29 agosto 1984,
n°4721, in Giur. It., 1985, I, 1, 961 (riferentesi alla disapplicazione dell’atto amministrativo
che determini le zone di particolare degrado, rilevante ai fini della determinazione dell’equo
canone); ma, soprattutto, Cass., Sez. Lavoro, 16 ottobre 1985, n°5093, in Giur. It., 1986, I, 1,
704, la quale contiene un’affermazione di principio. Sempre in una causa vertente in materia
di avviamento obbligatorio al lavoro, la Corte enuncia quella che essa stessa definisce “punti
fermi della giurisprudenza”; l’art.5 si applica alle controversie appartenenti alla giurisdizione
del giudice ordinario, cioè quando sia fatto valere un diritto soggettivo, e pertanto: a) nelle
controversie tra privati per la decisione delle quali sia necessario accertare le legittimità (o
meno) di un atto amministrativo su cui il diritto affermato da una delle parti si fonda; b)
nelle controversie tra pubblica amministrazione e privato, quando il diritto soggettivo non sia
affievolito o degradato da un atto autoritativo, cioè da un provvedimento. La cognizione
sulla legittimità dovrà avvenire solamente incidenter tantum, essendo l’oggetto vero e
proprio della tutela il diritto soggettivo fatto valere (e la sua violazione). La sentenza
richiama poi espressamente la decisione n°6592 del 1981 (Cass., Sez. Un., 14 dicembre
1981, n°6592, in Giust. Civ., 1982, I, 632: “La mera disapplicazione dell’atto ha giuridica
ragion d’essere soltanto rispetto a controversie nelle quali, denunciandosi la lesione di un
diritto soggettivo causata da un atto amministrativo, se ne chieda la reintegrazione, mercè
provvedimenti che, seppur senza implicare l’annullamento dell’atto, incidano, entro certi
limiti, sulla portata effettuale di esso ... Il campo della disapplicazione non riguarda ... la
questione principale dedotta in giudizio, che concerne solo e sempre la sussistenza e la
lesione del diritto, bensì profili che vengono in rilievo incidenter tantum”. Dopo avere fatto
riferimento alla dottrina che rileva come, in questo modo, si realizzi un parallelo tra il potere
in questione spettante al giudice ordinario ed il potere che, ex art.28 del T.U. sul Consiglio di
Stato, spetta al giudice amministrativo in merito alle questioni vertenti su diritti soggettivi, la
Corte conclude affermando che “la disapplicazione si presenta, pertanto, con un’essenziale
caratterizzazione strumentale, essendo finalizzata alla reintegrazione del diritto soggettivo
sul quale è fondata la domanda principale proposta davanti al giudice ordinario”), dalla quale
mutua il riferimento esplicito alla disapplicazione incidentale.
giudice che, accettando la teoria della degradazione e dell’equiparazione, ha
ridotto a soli pochi casi la conoscibilità (seppur incidenter tantum) dell’atto ad
opera dell’a.g.o., essendo normalmente la competenza di spettanza del giudice
amministrativo in quanto l’atto amministrativo, pur se invalido, affievolirebbe
comunque il diritto ad interesse, con conseguente necessità di adire la
giurisdizione amministrativa
21
.
Per ciò che concerne, invece, l’ambito d’indagine che al giudice
ordinario è consentito svolgere, in merito agli eventuali vizi che colpiscano
l’atto, sia giurisprudenza sia dottrina sono concordi nel ritenere che non sia
possibile, né logico, porre limitazione alcuna a tale conoscibilità. L’indagine
andrà pertanto effettuata sia in riferimento ad eventuali vizi di incompetenza
(al fine di verificare se l’amministrazione aveva il potere di emettere il
provvedimento), sia in riferimento a vizi di violazione di legge (atto in
contrasto con una norma imperativa di legge) o vizi di eccesso di potere
(seppur solo sotto l’aspetto dello sviamento di potere, in quanto gli ulteriori
aspetti della figura dell’eccesso di potere sono più strettamente collegati alla
discrezionalità amministrativa, assolutamente insindacabile ad opera del
giudice)
22
. Unico limite invalicabile rimarrà dunque l’esame del merito
amministrativo, restando questa una materia la cui valutazione rimane
21
VERDE G., “Rimozione degli atti amministrativi”, op. cit., 45.
22
Vedere CASSARINO S., “Problemi della disapplicazione”, op. cit., 874-876; NIGRO M.,
“La giustizia amministrativa”, op. cit., 231, il quale afferma che un diverso orientamento
risulterebbe contrario all’art.113 Cost., che vieta pur sempre l’ammissibilità di limitazioni
qualsiasi nella tutelabilità dei diritti (e degli interessi) e, di conseguenza, nei poteri valutativi
del giudice ordinario; SANDULLI A.M., “Manuale”, op. cit., 1260 (con motivazioni
analoghe al NIGRO); VIRGA P., “La tutela giurisdizionale”, op. cit., 116-117; DAL PIAZ
C., “Osservazioni sui limiti del sindacato di legittimità dell’autorità giurisdizionale ordinaria
sugli atti amministrativi, con particolare riferimento al vizio di eccesso di potere”, in Giur.
It., 1957, II, 17 (dove si rileva che, se in via tendenziale il concetto di “conformità alla
legge” deve ritenersi coincidere con la formula “incompetenza, violazione di legge, eccesso
di potere”, questo non impedisce che, in casi concreti l’accertamento sull’eccesso di potere
non sia possibile; la qual cosa non può però portare alla negazione di un potere che sia
conferito al giudice in via generale ed astratta); ID., “Osservazioni sulla configurabilità di
limiti alla competenza del giudice ordinario in tema di atto amministrativo viziato da eccesso
di potere”, in Giur. It., 1959, II, 223.
nell’esclusiva disponibilità dell’amministrazione
23
. Dalla formulazione
dell’art.5, diversa da quella dell’art.4 (in quanto quest’ultimo fa riferimento
all’oggetto dedotto in giudizio e quindi, indirettamente, alla volontà
23
Si vedano Cass., Sez. Un., 9 giugno 1989, n°2773, in Giur. It., 1990, I, 1, 1303 (“... il
giudice ordinario può disapplicare un provvedimento ... e può a tal fine sindacare la
legittimità sotto ogni profilo, ivi compreso l’eccesso di potere, con esclusione delle sole
valutazioni concernenti il merito dell’azione amministrativa ...”. “... Il vizio dell’eccesso di
potere per sviamento sussiste nell’ipotesi di contrasto tra le finalità perseguite in concreto
dall’autorità amministrativa e le finalità pubbliche ad essa istituzionalmente affidate, e non
anche nell’ipotesi di non coincidenza tra i fini della norma di legge ed il provvedimento che
per l’attuazione di essa viene adottato: in quest’ultima ipotesi, investendo il sindacato la
scelta di uno strumento giuridico-amministrativo che l’amministrazione ha ritenuto idoneo al
fine che si è inteso perseguire, la censura non è riconducibile ad un vizio di legittimità, bensì
ad un vizio di merito”); Cass., Sez. Un., 11 luglio 1994, n°6532, in Foro It., 1995, I, 183 (in
merito alla valutazione di una commissione masale sull’idoneità dell’azienda da costituire in
“maso chiuso” a produrre reddito sufficiente al mantenimento di almeno cinque persone,
valutazione ritenuta rientrante in quelle di merito spettanti esclusivamente alla pubblica
amministrazione); Cass., Sez. Un., 22 aprile 1985, n°2645, in Foro It., 1985, I, 1294 (“...
secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale, il giudice ordinario può ben conoscere in
via incidentale della conformità alla legge del provvedimento presupposto, cioè integrativo
della norma la cui violazione è stata posta a fondamento delle sanzioni inflitte; con
l’avvertimento, però, che il sindacato, finalizzato all’eventuale disapplicazione, deve
limitarsi alla sola legittimità e non può perciò riguardare il merito ...”); Cass., Sez. Un., 13
maggio 1987, n°4410, in Foro It., 1988, I, 1215 (“... il sindacato del giudice sull’atto
amministrativo ... potendosi estendere anche all’accertamento del vizio di eccesso di potere
... (in quanto) tale controllo non importa l’esame delle ragioni di opportunità e merito, la cui
valutazione rientra tra i poteri della pubblica amministrazione incensurabili dall’autorità
giudiziaria ordinaria ...”); e, prime espressioni del mutato atteggiamento giurisprudenziale,
Cass., Sez. Un., 22 aprile 1976, n°1441, in Giur. It., 1977, I, 1, 623 e Cass., Sez. I, 16 giugno
1977, n°2499, in Giur. It., 1978, I, 1, 1098 (“Sul problema dei limiti entro i quali deve
ritenersi consentita la rilevazione dei vizi di legittimità degli atti amministrativi (anche se
emessi nell’esercizio di un potere discrezionale), ai fini della loro eventuale disapplicazione,
la dottrina è decisamente orientata nel senso che il sindacato del giudice ordinario deve
esplicarsi con riferimento sia alla conformità formale dell’atto alla norma legislativa, sia alla
sua conformità all’ordine sostanziale, per cui accanto alle categorie di vizi rientranti nelle
nozioni di incompetenza e di violazione di legge in senso stretto, il tema dell’indagine si
estende necessariamente anche ai vizi derivanti da eccesso di potere ... A tale orientamento si
è in definitiva uniformata questa Suprema Corte ... L’esigenza (infatti) di un completo
controllo della legittimità, anche in senso sostanziale, dell’atto amministrativo trova, tra
l’altro, fondamento negli artt.24 e 113 della Costituzione, che hanno chiaramente inteso
assicurare una maggiore e più energica tutela, nelle rispettive sedi, dei diritti e degli interessi
... Nello stabilire se il vizio di eccesso potere sia un vizio di legittimità o un vizio di merito,
il problema non può ottenere una soluzione in astratto, ma deve risolversi dall’interprete caso
per caso. Il sindacato del giudice ordinario sarà senza dubbio possibile sullo sviamento di
potere, cioè tipica manifestazione di illegittimità dell’atto, risolvendosi tale vizio in un
contrasto o in una divergenza tra le finalità considerate dalla norma attributiva del potere e le
finalità per le quali risulta concretamente predisposto l’atto emesso nell’esercizio di tale
potere”).
dispositiva delle parti, mentre tale riferimento manca nell’art.5 che anzi si
riferisce alla totalità dei casi possibili) discende poi la possibilità che la
disapplicazione avvenga anche d’ufficio ad opera del giudice stesso; meglio
ancora, vi sarebbe l’obbligo per lo stesso di compierla ogni qual volta risulti
l’illegittimità dell’atto, indipendentemente da un’esplicita richiesta delle parti
in causa
24
.
Per quanto concerne la giurisprudenza penale, anch’essa si muove lungo
i binari della disapplicazione come istituto di applicazione in via incidentale;
numerose sono le pronunce nelle quali si evidenzia come il controllo sulla
legittimità dell’atto amministrativo sia stato rigorosamente limitato dal
legislatore ai soli atti incidenti negativamente su diritti soggettivi ed “alla
specifica condizione che si tratti di accertamento incidentale, che lasci
persistere gli effetti che l’atto medesimo è capace di produrre all’esterno del
giudizio”
25
. L’indirizzo, passato al vaglio dalla dottrina, se da alcuni è stato
24
Si vedano CASSARINO S., “Problemi della disapplicazione”, op. cit., 876-877; NIGRO
M., “La giustizia amministrativa”, op. cit., 231. CASSARINO evidenzia inoltre come si
debba riconoscere la possibilità di una disapplicazione incidentale anche per gli atti divenuti
ormai inoppugnabili in sede di giurisdizione amministrativa. Con l’esclusione della loro
disapplicabilità, verrebbe infatti a restringersi enormemente il campo di applicazione
dell’istituto, svolgendosi i giudizi ordinari ben al di là dei ristretti limiti di tempo per
l’impugnativa degli atti amministrativi. Potendo poi chiedersi la disapplicazione anche da
parte di soggetti non abilitati all’impugnazione diretta dell’atto, risulterebbe iniquo escludere
per loro tale possibilità e opporre loro un effetto preclusivo (mancata impugnazione nei
termini) frutto di un altrui comportamento. Certo che qualora la domanda di disapplicazione
nasconda in realtà l’impugnativa di un provvedimento oltre i termini, il giudice non potrà
procedere alla stessa, ma non tanto per l’evidente elusione della norma ad opera del
ricorrente, quanto piuttosto perché, nel caso, si dovrà ritenere privo di giurisdizione.
25
Cass. Pen., Sez. III, 21 marzo 1985, in Foro It., 1986, II, 84; in senso analogo Cass. Pen.,
Sez. III, 20 settembre 1988, in Giur. It., 1991, II, 358; Cass. Pen., Sez. VI, 18 dicembre
1989, in Giur. It., 1989, II, 66; però in senso contrario si veda Cass. Pen., Sez. III, 9 gennaio
1989, in Giur. It., 1989, II, 242, la quale riferisce l’applicabilità del potere ex art.5 non al
solo caso della conoscenza incidenter tantum dell’atto, ma più estesamente ad ogni caso di
cognizione del g.o. Pronuncia, questa, che evidenzia come, anche in giurisprudenza,
l’orientamento esposto nelle precedenti sentenze possa sì dirsi sufficientemente consolidato,
ma non possa ancora evitare singole pronunce da esso discordanti. Del resto in dottrina il
dibattito si presenta ancora più vivo.
pienamente condiviso
26
, ha invece subito pesanti critiche ad opera di altri
27
.
Critiche mirate ad evidenziare come le situazioni che giungono all’esame dei
giudici penali si presentino come assai diverse rispetto a quelle che spettano
alla cognizione dei giudici civili. Se infatti al giudice civile spetta la
cognizione incidentale di atti o provvedimenti lesivi (e degradatori) di diritti
soggettivi, al giudice penale verranno portati innanzi, invece, atti o
provvedimenti che ordinano (o vietano) al cittadino alcunché oppure lo
autorizzano a tenere un determinato comportamento. Il problema, in questi
casi, è quindi costituito dall’indagine sulla possibilità (o meno) che l’eventuale
illegittimità dell’atto possa inficiare la responsabilità penale del
contravventore che su di esso abbia basato la propria condotta
28
: non rileva in
alcun modo la problematica del riparto di giurisdizione
29
. Proprio in merito al
sindacato su tale legittimità i giudici penali ritengono possibile (ed anzi
doverosa) l’applicazione dell’art.5 della legge sul contenzioso. Ma si
tratterebbe di un’affermazione profondamente errata o quantomeno si
tratterebbe della definizione di un’attività sotto un concetto (disapplicazione)
che risulta ben altro dalla funzione effettivamente svolta. Non è che si intenda
disconoscere al giudice la facoltà di sindacare la legittimità o meno dei
provvedimenti amministrativi, ma si deve riconoscere che un tale sindacato va
svolto nell’ambito dell’attività che è propria di quel particolare giudice, cioè
l’accertamento della sussistenza di ipotesi di reato. La valutazione in termini
di legittimità o illegittimità dell’azione amministrativa avverrà dunque solo in
26
Concorde appare, tra gli altri, il NIGRO (NIGRO M., “La giustizia amministrativa”, op.
cit., 230) che rileva come l’applicazione della sanzione richieda spesso la valutazione della
legittimità di un atto amministrativo presupposto (ad esempio, nel caso regolato dall’art.650
c.p., l’inosservanza di un provvedimento costituirà reato qualora il provvedimento sia stato
legalmente dato).
27
VERDE G., “Rimozione degli atti amministrativi”, op. cit., 45ss; VILLATA R.,
“Disapplicazione dei provvedimenti amministrativi”, op. cit., 96ss.
28
VERDE G., “Rimozione di atti amministrativi”, op. cit., 47.
29
VILLATA R., “Disapplicazione dei provvedimenti amministrativi”, op. cit., 96
quanto rilevante ai fini della repressione delle condotte tipiche descritte dalle
norme incriminatrici
30
.
Al fine di evidenziare quale sia la funzione dell’atto all’interno della
fattispecie di reato e potere quindi individuare il tipo di sindacato spettante al
giudice sull’atto, il VILLATA distingue tre diversi possibili casi
31
:
I) fattispecie di reato nelle quali rileva la questione di legittimità dell’atto
amministrativo in quanto rientrante nella stessa descrizione normativa della
fattispecie penale. In tali casi, la legittimità del provvedimento costituisce
propriamente un elemento della fattispecie la verifica della cui esistenza
spetterà al giudice. Non si tratterà perciò di disapplicare un atto
amministrativo, ma più semplicemente di verificare se ricorrano tutte le
circostanze integratrici della fattispecie legale (ad es. per l’art.650 c.p.)
32
;
II) fattispecie di reato nelle quali rilevi l’esistenza del provvedimento
amministrativo (essendo dato l’illecito penale dallo svolgimento di una
determinata attività senza avere preventivamente ottenuto il consenso
dell’amministrazione, volta a volta qualificato “licenza” o “autorizzazione”).
La mancanza di autorizzazione costituisce un elemento costitutivo del fatto
tipico, per cui la presenza di essa esclude automaticamente la possibilità di
considerare oggettivamente realizzata la fattispecie descritta nella norma
incriminatrice, non ponendosi così neppure un problema di disapplicazione di
atti
33
. Diverso il caso in cui l’autorizzazione figuri presente, ma risulti
illegittima. Anche in un tal caso, però, l’illegittimità non verrà a rilevanza; il
legislatore assume infatti come elemento costitutivo della fattispecie di reato la
mancanza di autorizzazione ( o più in generale di un atto amministrativo), per
30
VILLATA R., “Disapplicazione dei provvedimenti amministrativi”, op. cit., 99.
31
VILLATA R., “Disapplicazione dei provvedimenti amministrativi”, op. cit., 101.
32
VILLATA R., “Disapplicazione dei provvedimenti amministrativi”, op. cit., 120.
33
VILLATA R., “Disapplicazione dei provvedimenti amministrativi”, op. cit., 139.
cui il rilascio della stessa escluderà automaticamente la configurabilità del
reato, indipendentemente dalla legittimità o meno dell’atto;
III) fattispecie di reato nelle quali non rileva direttamente il
provvedimento amministrativo. Si tratta di casi nei quali la fattispecie descritta
dalla norma penale è riconducibile ad un comportamento che sia facoltizzato
da un atto della pubblica amministrazione, atto però in essa non contemplato
34
.
Neanche in questo caso è dato parlare di disapplicazione. Almeno nella
descrizione tipica della norma incriminatrice, l’atto non gioca ruolo alcuno.
Sarà così irrilevante, ad esempio, ai fini dell’esclusione della configurabilità
del reato previsto all’art.734 c.p. (distruzione di bellezze naturali), la presenza
di un nulla-osta del sovraintendente che autorizzi i lavori ai sensi della legge
29 giugno 1939, n°1497. Tale articolo, nella descrizione della fattispecie di
reato, non fa riferimento alcuno alla presenza (o assenza) di provvedimenti
amministrativi, ma pone solo in rilievo il dato oggettivo-naturalistico della
distruzione o alterazione di bellezze naturali.
Da questa disamina risulta come il provvedimento amministrativo e la
sua legittimità, nel processo penale, siano questione da risolvere sul piano del
diritto sostanziale: al giudice spetterà verificare quale rilevanza la norma
incriminatrice abbia riservato all’atto amministrativo ed alla sua legittimità
35
.
Assai illogico appare allora parlare di accertamento incidentale per una
questione che investe la stessa struttura della norma. La legittimità dell’atto,
pertanto, dovrà essere esaminata insieme agli altri elementi che concorrono a
formare la fattispecie criminosa e l’efficacia di un tale accertamento si
estenderà al di fuori del processo nei limiti in cui ciò sia consentito dagli
artt.25ss c.p.p.
34
VILLATA R., “Disapplicazione di provvedimenti amministrativi”, op. cit., 162-163.
35
VILLATA R., “Disapplicazione di provvedimenti amministrativi”, op. cit., 167; VERDE
G., “Rimozione degli atti amministrativi”, op. cit., 69.
Se invece si ritiene, come fa erroneamente la giurisprudenza penale, che
in tali casi si abbia una vera e propria disapplicazione, l’art.5 verrebbe a
risultare una disposizione sostanziale che andrebbe ad integrare le diverse
fattispecie penali, in tutti i casi in cui in esse rientri un atto amministrativo. E
questo in singolare contrasto con quanto ritenuto dai giudici civili “i quali
hanno ricondotto la norma ad un flebile flatus vocis”
36
. L’errore in cui è
incorsa la giurisprudenza (e la dottrina che le aderisce
37
) non sarebbe però
senza conseguenze. Aderendo a tale opinione, infatti, si autorizzerebbe la
convinzione che, ove la fattispecie criminosa contempli un provvedimento
amministrativo tra gli elementi costitutivi, sarebbe sempre sottinteso che tale
provvedimento dovrebbe essere legittimo. Un tale problema si pone, ad
esempio, quando la legge preveda come reato l’esercizio di un’attività in
assenza di licenza o autorizzazione. Risultano assai diverse le conseguenze se,
in questo caso, a seguito della disapplicazione dell’atto illegittimo, si
equiparino la mancanza dell’atto all’illegittimità dello stesso. D’altro canto è
ben possibile che il legislatore abbia inteso, in una norma, reprimere la
condotta dell’agente per il sol fatto di essere contraria ad un atto dell’autorità,
non importa se illegittimo o meno. Ma sono possibilità che vanno vagliate
caso per caso, non essendo possibile (oltre che assai pericolosa e distorsiva
delle intenzioni del legislatore) una generalizzazione, quale quella operata in
giurisprudenza
38
.
36
VERDE G., “Rimozione degli atti amministrativi”, op. cit., 68.
37
Oltre a NIGRO (NIGRO M., “La giustizia amministrativa”, op. cit., 230, si vedano anche
GIANNINI M.S.-PIRAS A., “Giurisdizione amministrativa e giurisdizione ordinaria nei
confronti della pubblica amministrazione”, voce dell’ENC. del DIR., vol. XIX, Milano,
1962, 270ss; SANDULLI A.M., “Manuale di diritto amministrativo”, Napoli, 1982, 1309.
38
VERDE G., “Rimozione degli atti amministrativi”, op. cit., 69.