2
Introduzione
Questo elaborato analizza il fenomeno dell’oggettivazione sessuale del corpo femminile e
l’influenza dei social media sulla percezione delle donne. Sono state esaminate inoltre le
conseguenze negative dell’oggettivazione sessuale sul benessere psicologico delle donne.
Si è scelto questo argomento per il grande interesse personale verso la psicologia sociale e
verso il tema dell’oggettivazione sessuale. Dopo alcune lezioni sull’argomento a cura della
professoressa Maria Giuseppina Pacilli, mi sono interessata all’approfondimento di questo
fenomeno assai diffuso nella società occidentale.
La tesi è articolata in due capitoli teorici. L’obiettivo del primo capitolo è indagare
l’oggettivazione sessuale del corpo femminile e la vasta influenza dei social media nella
presentazione mediatica delle donne. Nel secondo capitolo si analizzano le conseguenze
negative sul benessere psicologico e vengono illustrate alcune strategie di prevenzione
dell’oggettivazione sessuale.
L’oggettivazione si verifica quando una persona è percepita e trattata come se fosse un
oggetto da valutare e usare a proprio piacimento (Fredrickson & Roberts, 1997). Il corpo o
le parti sessuali vengono separate dal resto della persona stessa (Bartky, 1990). Quando si
interiorizza questo sguardo oggettivante altrui per guardare se stessi, si parla invece di
auto-oggettivazione. Dal momento che l’oggettivazione è una forma di negazione
dell’umanità, questo elaborato partirà dall’analisi delle varie forme di deumanizzazione
che si sono succedute nel corso della storia. In particolare saranno analizzate la
deumanizzazione esplicita, da cui derivano atti di violenza ai danni di persone o gruppi, e
la deumanizzazione implicita, più insidiosa poiché non chiaramente visibile ma sottesa nei
comportamenti della vita quotidiana.
Dopo aver messo in luce i meccanismi della deumanizzazione verrà presentato il fenomeno
dell’oggettivazione, analizzato sulla base della “Teoria dell’oggettivazione” sviluppata
dalle studiose femministe Barbara Fredrickson e Tomi-Ann Roberts nel 1997. Questa
teoria è ancora oggi un grande punto di riferimento delle ricerche sull’argomento, grazie al
suo spessore e alla sua attualità.
Saranno poi passati in rassegna i maggiori contributi alla comprensione
dell’oggettivazione, a cominciare dalla filosofia: da Kant e Martha Nussbaum che ha
teorizzato le sette dimensioni dell’oggettivazione, fino alla filosofa Evangelia Papadaki che
ha distinto la componente intenzionale dell’oggettivazione da quella non intenzionale.
Un ampio spazio verrà dedicato alla disciplina di riferimento, ovvero la psicologia sociale,
3
analizzando inoltre le caratteristiche di chi oggettiva e i fattori sociali che possono
innescare l’oggettivazione.
Di grande attualità è l’influenza dei social media, in particolare Instagram e Facebook,
sulla percezione del corpo femminile e delle donne in generale. Sarà analizzata inoltre
l’impatto dei social media sul modo in cui le persone presentano se stesse online. Di
grande interesse è lo studio del rapporto tra gli autoscatti, o selfie, e l’auto-oggettivazione.
Nei social infatti le persone selezionano accuratamente le fotografie che intendono
pubblicare e alcune di queste vengono modificate per fornire un’immagine idealizzata di
sé. Focalizzare l’attenzione soltanto sull’aspetto fisico esteriore è dannoso in quanto pone
in secondo piano le caratteristiche non visibili, come le abilità e le competenze (Sun,
2020). È stato approfondito inoltre come il ritocco della propria immagine online possa
contribuire alla volontà di ricorrere a interventi di chirurgia estetica, per soddisfare i rigidi
canoni di bellezza imposti dalla società.
Nel secondo capitolo della tesi saranno prese in esame le conseguenze psicologiche
dell’oggettivazione. Un grande corpo di ricerche ha infatti dimostrato che l’oggettivazione
è responsabile dell’insorgenza di disturbi alimentari, della depressione, di disfunzioni
sessuali e dell’abuso di sostanze. Non solo, l’auto-oggettivazione ha conseguenze negative
anche in ambito cognitivo, in particolare sui processi attentivi e sulle performance.
In ultima analisi, saranno dedicati dei paragrafi alla presentazione di alcune strategie di
prevenzione del fenomeno dell’oggettivazione sessuale. Ad esempio, si ritiene utile agire
attraverso programmi di alfabetizzazione mediatica, in modo tale da permettere agli
individui di analizzare in modo critico i contenuti presenti nei media. In secondo luogo, si
ritiene efficace la promozione dell’ascolto dei segnali corporei attraverso l’attività sportiva,
in particolare con la disciplina dello yoga. Quest’ultima infatti permette alle persone di
concentrarsi sulle sensazioni corporee, attraverso l’ascolto non giudicante. Verrà poi messo
a confronto lo yoga con l’ambiente delle palestre che contiene caratteristiche
intrinsecamente oggettivanti, a partire dai grandi specchi a figura intera che fanno rivolgere
l’attenzione all’apparenza del corpo, fino al particolare abbigliamento che mette in risalto
il fisico.
Un ulteriore aspetto che verrà approfondito è l’influenza delle parole e dei discorsi sul
corpo che avvengono nel quotidiano. Infatti, molto spesso si sentono gli altri parlare in
maniera auto-denigratoria del proprio corpo o del proprio peso. Questa pratica discorsiva
negativa è definita fat talk e sebbene sembri del tutto innocua, può invece contribuire
all’insorgenza di disturbi alimentari. Sarà inoltre analizzata l’influenza degli stereotipi di
4
genere nel perpetuare particolari forme di oppressione ai danni delle donne.
Infine, verrà esaminata l’importanza di una corretta educazione sessuale. Spesso, quella
affrontata nelle scuole si sofferma su alcuni temi: prevenzione delle malattie sessualmente
trasmissibili, contraccezione e anatomia umana. L’educazione sessuale però dovrebbe
abbracciare anche valori portanti come la lotta contro il sessismo, gli stereotipi di genere e
l’omofobia.
5
1. CAPITOLO 1: L’AUTO-OGGETTIVAZIONE NELLE GIOVANI
DONNE E L’INFLUENZA DEI SOCIAL MEDIA
1.1 Negare l’umanità: la deumanizzazione nel corso della storia
Deumanizzare l’altro - individuo o gruppo - significa sottrargli l’umanità. Significa
introdurre un divario tra chi possiede le qualità tipiche dell’essere umano e chi ne è
considerato sprovvisto (Volpato, 2011).
Le forme di deumanizzazione sono molteplici e sono state causa di gravi conflitti tra gli
uomini. Chiara Volpato (2011) ha indagato le varie forme di deumanizzazione che si sono
succedute nella storia: l’animalizzazione, la demonizzazione, la biologizzazione, la
meccanizzazione e infine l’oggettivazione.
L’animalizzazione consiste nel negare all’altro le qualità tipiche dell’essere umano, che
stabiliscono la sua superiorità sugli altri esseri viventi. Gli individui che la subiscono sono
considerati rozzi, in preda a impulsi primitivi e incapaci di autocontrollo. Chi subisce
questa forma di deumanizzazione prova umiliazione, mentre chi la mette in atto prova
sentimenti di disprezzo e disgusto. La metafora più utilizzata è quella animalistica, poiché
l’animale è storicamente considerato un punto di riferimento che sancisce la superiorità
dell’essere umano e il suo dominio sulle altre creature.
La demonizzazione consiste nel considerare l’altro come un demone, un diavolo, una
strega e ad attribuirgli poteri magici, per evidenziarne la pericolosità e spingere verso la
sua eliminazione. Il “mostro” è colui che devia dalle norme che regolano i rapporti tra gli
essere umani e gli animali, e questa deviazione può riguardare malformazioni, difetti,
eccessi. Con l’avvento del Cristianesimo il diavolo venne considerato l’essenza del male.
Ma la demonizzazione non costituisce soltanto un fatto del passato: in Iran vi sono ancora
accuse di utilizzo della magia mentre in alcune zone dell’Africa centrale sono ancora
presenti casi di persecuzione alle “streghe” (Volpato, 2012).
A partire dall’Illuminismo la demonizzazione è stata sostituita dalla biologizzazione, ossia
la tendenza a considerare l’altro come un virus, un morbo di cui avere paura, una minaccia
da allontanare e di conseguenza da eliminare.
La meccanizzazione consiste nel considerare l’altro un automa, un robot. Gli individui che
la subiscono sono considerati freddi, passivi, indifferenti, senza emozioni. Questa forma di
6
deumanizzazione trova le sue radici nel mondo industriale dell’Ottocento, legato alle
macchine e al taylorismo. Secondo questa teorizzazione del lavoro di Fredrick Taylor,
l’operaio viene considerato un soggetto alienato capace soltanto di compiere azioni
standardizzate in modo meccanico.
Infine l’oggettivazione, che consiste nel considerare un individuo come un oggetto, una
merce. La figura cardine che nella storia ha subito forme di oggettivazione è lo schiavo,
considerato inferiore e venduto, comprato, scambiato come un oggetto.
Il costrutto dell’oggettivazione è stato poi ripreso e ampliato dalle femministe che si sono
concentrate sull’oggettivazione sessuale, cioè la riduzione delle donne a mero strumento di
piacere altrui. Rispetto alle altre forme di deumanizzazione che di solito implicano
l’esclusione e l’allontanamento dell’individuo, l’oggettivazione porta all’avvicinamento
della persona che è oggettivata, solamente per l’utilità strumentale che gli è attribuita
(Volpato, 2011; 2012).
Le forme di deumanizzazione sono molteplici e diverse fra loro, ma il filo conduttore che
le lega è l’oppressione, l’umiliazione e la negazione dell’umanità di un altro individuo o
gruppo.
1.2 La deumanizzazione esplicita
La psicologia sociale ha indagato come la deumanizzazione possa provocare l’esclusione e
l’attuazione di atti di estrema violenza nei confronti di gruppi ritenuti nemici, e come essa
sia facilitata dalla negazione dell’umanità di questi individui. Quando le persone sono
considerate prive degli aspetti costitutivi dell’umanità, non suscitano moralità e pertanto
possono essere strumentalizzate, in modo tale da legittimare l’ingiustizia morale nei loro
confronti (Volpato, 2012).
Uno dei primi ad occuparsi della correlazione tra atti estremi e deumanizzazione è stato lo
psicologo Herbert Kelman (1973). Egli la considera, assieme alla routinizzazione dei
compiti e all’autorizzazione alla violenza da parte di autorità legittime, un processo che
porta gli individui a compiere atti di estrema violenza. Secondo Kelman (1973) attraverso
la deumanizzazione si sottraggono agli individui le due principali qualità che li rendono
umani:
- l’identità: attraverso la quale percepiamo un individuo come unico e distinto dagli altri,
capace di operare nel mondo e di compiere scelte basate sui propri valori;