4
nel 1913 collaborò a “Il Resto del Carlino” dapprima come inviato
all’estero (andò a Vienna, Berlino e Berna), in seguito come
corrispondente politico da Roma: in questo periodo lavorò con Dino
Grandi, allora giovane redattore.
Nel 1913, a 23 anni, pubblicò il suo primo libro Introduzione alla vita
beata di G.A. Fichte. L’11 dicembre 1914 discusse la tesi, in
letteratura francese, su Honoré De Balzac intitolata Preparazione e
Genesi de “La Comédie Humaine.
Meno di un anno dopo il giovane Nello Quilici fu chiamato alle armi;
venne arruolato con il grado di sottotenente di artiglieria e fu subito
destinato nella zona del Carso, ma non vi rimase a lungo: pochi mesi
più tardi, nel 1916, ebbe un lungo periodo di licenza a causa della
nascita del primogenito Vanni, avuto dal matrimonio con Virginia
Cucchi. Fra la fine del 1916 e l’inizio del 1917 fu richiamato alle
armi: lo provano, nell’archivio di famiglia, le cartoline di guerra che
ricevette dalla moglie e dagli amici indirizzate prima a Mantova e poi
a Messina.
Finita la guerra, Quilici ritornò al mestiere di giornalista e dal 1919
fino al 1920 (anno in cui perse la moglie colpita dalla letale febbre
“spagnola”) fu a Zurigo, come corrispondente del “Resto del Carlino”
e del “Tempo”.
Nel 1921 fu chiamato alla direzione del “Resto del Carlino”, che era
già entrato nell’orbita fascista; a quanto pare
1
, lo fu pure Quilici che
1
Questo afferma il volume Quilici (Ferrara 1941, p.254), uscito per celebrare lo studioso
morto con Balbo l’anno precedente.
5
ricevette la tessera del partito nazionale fascista nel 1921 dalla
Federazione dei fasci di Bologna, anche se l’iscrizione fu formalizzata
a Ferrara solo l’11 ottobre 1925.
L’incarico di direttore fu ricoperto per due anni, fino a quando fu
costretto alle dimissioni in seguito ad un imbarazzante duello con il
commissario politico di Bologna Gino Baroncini. Alla fine dello
stesso anno si trasferì a Roma per ricoprire l’incarico di caporedattore
del “Corriere Italiano”, ma il giornale ebbe vita breve a causa del
coinvolgimento del suo direttore, Filippelli, nell’omicidio Matteotti, e
dello stesso Nello Quilici, che ospitò la macchina del delitto nel suo
garage. In seguito, al processo, fu giudicato estraneo ai fatti.
Nel 1925, in conseguenza di un incontro con Balbo, il ras di Ferrara
che Quilici aveva già avuto modo di conoscere nell’assedio di
Bologna del 1921 ad opera dei fascisti, partecipò all’avventura del
“Corriere Padano”, quotidiano fondato dallo stesso Balbo nel quale
Quilici ricoprì inizialmente l’incarico di caporedattore, per
diventarne, poi, nell’ottobre dello stesso anno il direttore fino al 1940.
Il periodo ferrarese fu quello più fecondo, in cui raggiunse l’apice
della carriera come giornalista, ma anche come scrittore, storico e
insegnante.
Inoltre, nel 1928, aveva sposato Emma Buzzacchi, una giovane artista
originaria di Mantova (era nata a Bedole il 28 agosto 1903); nel 1930
la coppia ebbe un figlio: Folco; cinque anni dopo nacque Vieri.
Quanto alla vena letteraria di Nello Quilici, i primi dieci anni della sua
permanenza a Ferrara furono ricchi di soddisfazioni: nel 1928 scrisse
l’introduzione dell’opera firmata da Umberto Klinger, segretario del
6
P.N.F. di Ferrara, intitolata L’altra sponda - Note d’una crociera
adriatica.
In quello stesso anno fu tra i fondatori del “Comitato dell’Ottava
d’oro”, una associazione che si prefiggeva di riscoprire e divulgare le
opere di Ariosto attraverso un programma di letture pubbliche che
furono tenute in presenza del Re Vittorio Emanuele III; Quilici stesso
partecipò al ciclo di letture tenendone una sulle figure di “Fiordiligi e
Brandimarte” (tutti gli interventi furono pubblicati nel libro L’Ottava
d’oro nel 1930).
Nel 1928 Quilici fu tra gli autori dell’opera Cor Cordium, in memoria
di Enrico Vanni, in cui furono raccolte le testimonianze, i telegrammi
di cordoglio e quant’altro potesse contribuire al ricordo di Enrico
Vanni, un collega e amico di vecchia data del direttore del “Corriere
Padano”.
Nel 1929 fu nominato professore ordinario della cattedra di “Storia
politica moderna” nell’Università di Ferrara, un ruolo che ricoprì per
dieci anni (nell’anno accademico 1938 - 1939 fu anche professore di
“Storia e dottrina del fascismo” nell’Università di Padova); nel 1930
fu stampato il suo primo studio sul Risorgimento pubblicato sulla
rivista “Cultura”: un saggio sui Reazionari italiani del 1830 - 1840,
prima prova del crescente interesse di Quilici per le problematiche
legate alle origini storiche e sociali dell’Italia fascista.
Nello stesso anno pubblicò i suoi saggi su Machiavelli e Guicciardini,
considerati intesi come pionieri intellettuali dell’Italia borghese.
L’impegno nello studio del Risorgimento si fece più forte in Quilici a
partire dalla fondazione, nello stesso anno, della rivista “Nuovi
7
Problemi di Politica, Storia ed Economia”, nella quale lo studioso
pubblicò a puntate gran parte delle sue opere più celebri.
Infatti, proprio a partire dal 1930 fu dato alle stampe, in tre parti, il
saggio Borghesia italiana, pubblicato integralmente nel 1932.
Nello stesso anno Quilici tenne un discorso come prolusione all’anno
accademico 1932 - 1933 intitolato L’Enigma di Adua, che divenne un
libro nello stesso anno.
Nel 1933 lo scrittore continuò i suoi saggi sul periodo postunitario:
fra il 1933 e il 1934 apparvero i saggi del ciclo Fine di secolo. Quattro
dei quali riguardarono lo scandalo della Banca Romana (riuniti
nell’opera, edita nel 1935, Fine di secolo - Banca Romana).
Nel 1933 fondò, inoltre, la “Rivista di Ferrara”, una pubblicazione,
stampata con carta di lusso, dedicata all’arte e alla storia di Ferrara;
l’esperimento editoriale ebbe però vita breve a causa dei
provvedimenti autarchici del regime per il risparmio delle materie
prime, come appunto la carta.
Il 1934 fu sicuramente l’anno più proficuo per lo scrittore che ebbe
anche la sua consacrazione come insegnante: fu infatti giudicato
maturo in un concorso universitario di storia moderna e
contemporanea presso l’Università di Perugia
2
, la cui giuria era
composta dagli storici più noti di allora, in primis Gioacchino Volpe.
2
“Fervido ingegno, poligrafo brillante, colto, fecondo, il Quilici ha fondato quei “Nuovi
Problemi” che agitano idee e nobiltà di propositi degni di maggiori riviste”
(Cfr. AA.VV., Quilici,cit.,p.256)
8
Risalgono a quell’anno Giornale, un’opera che conteneva gli articoli
scritti sul “Corriere Padano” da Nello Quilici dal 1925 al 1934,
Aviatoria, un tributo all’aviazione e ai suoi eroi e Otto saggi, una
raccolta di studi su alcune figure storiche fra le quali Verri e Alfieri.
Sempre nel 1934 furono date alle stampe l’opera America 1934, frutto
del viaggio di Quilici negli Stati Uniti a seguito di Balbo per la
Crociera del Decennale (partecipò alle quattro crociere dell’aviazione
organizzate da Italo Balbo: Mediterraneo occidentale e orientale del
1928 e del 1929 e la prima e seconda Crociera Atlantica nel 1930 e nel
1933) e Spirito e forme del giornalismo fascista, una difesa dei valori
della stampa fascista che Quilici aveva già esposto in un discorso
tenuto all’Università di Colonia.
Nel 1935, infine, Nello Quilici scrisse una monografia sul ruolo di
Ferrara in guerra: L’Interventismo ferrarese.
A partire dal 1936 diminuirono le opere del giornalista che si dedicò
maggiormente al suo lavoro di direttore e all’insegnamento, a questi
impegni aggiunse interventi alla radio. L’anno seguente scrisse
Spagna, uno studio sulle origini e le cause della guerra civile
spagnola.
L’opera fu pubblicata prima su “Nuovi Problemi” poi, l’anno
seguente, sui quaderni dell’Istituto di cultura fascista.
Nel 1938 fu la volta di Pareto nella quale tentava una sintesi fra i
concetti di monopolio e libertà, ma il 1938 fu anche l’anno dello
scritto più discusso di Nello Quilici: La difesa della razza apparso
sulla rivista “Nuova Antologia” nel mese di settembre; egli difese ed
interpretò il problema del razzismo e dell’antisemitismo mettendolo in
9
relazione alle esigenze del fascismo e alla realtà sociale italiana. A La
difesa della razza, seguirono un paio di articoli sul “Corriere Padano”
in cui Quilici volle mettere in rilievo i motivi politici dei
provvedimenti del Gran Consiglio Fascista sulla questione razziale.
Nel 1939 Quilici affiancò alle tematiche storiche e politiche quelle
artistiche: uscirono in quell’anno il volume Mito di Ferrara, dedicato
agli affreschi di Achille Funi, e l’opera Prospettive ideali e storiche
della guerra.
Il suo ultimo lavoro risale al 1940: Itinerario della Libia classica, uno
studio sulle bellezze archeologiche della Tripolitania, che Quilici
visitò ininterrottamente dal 1933, per il suo lavoro di giornalista, e di
collaboratore del governatore della Libia, Italo Balbo.
Nel corso dei quindici anni passati alla direzione del “Corriere
Padano” Nello Quilici dimostrò di essere un giornalista incisivo: quasi
quotidianamente, il giornale ferrarese ospitò i suoi fondi talvolta di
piena adesione al regime, altre volte più critici verso i provvedimenti
di natura economica e politica.
Più di una volta (di certo nel 1934 e nel 1939) il giornale fu
sequestrato, e ricevette moniti, “diplomatici” ma anche minacciosi,
dalle autorità di Roma.
E’ sufficiente ricordare la polemica sull’ebraismo, nel 1934, fra il
giornale di Quilici e il “Tevere”, diretto dall’estremista Telesio
Interlandi che accusò il direttore del “Corriere Padano” di essere
filosemita e, ancora, l’attacco pesantissimo di Quilici, nel 1939, alla
politica filotedesca del regime di Mussolini.
10
Nel 1940, due giorni dopo l’ingresso in guerra dell’Italia, Nello
Quilici si recò sul fronte libico come capitano di complemento
dell’Aeronautica. Il 28 giugno 1940 l’aereo sul quale il giornalista si
trovava insieme con Italo Balbo e con altri collaboratori del
governatore
3
, fu abbattuto, per sbaglio, dalla contraerea italiana nel
cielo di Tobruk
4
: nell’incidente morirono tutti.
3
L’ S 79 aveva un equipaggio di cinque persone; il Maresciallo dell’aria fece salire ben nove
persone, fra questi il nipote di Balbo, Lino, il cognato Cino Florio, Caretti, federale di Tripoli,
il maggiore Brunelli e Nello Quilici. Facevano invece parte dell’equipaggio lo stesso Italo
Balbo, al posto di pilotaggio, il maggiore pilota Frailich, il suo aiutante di volo, il capitano
motorista Capannini e il maresciallo marconista Berti
4
Si è scritto molto sulla morte di Balbo e sembra ormai assodato che l’S79 fu abbattuto per
sbaglio.
La prova consiste in una relazione, scritta per Mussolini, dal generale di brigata aerea Egisto
Perino, il 1° luglio 1940:
“Il 28 giugno, dopo aver conferito col Maresciallo Balbo, in Derna, circa le esigenze dei
reparti e delle basi, fui invitato a colazione alla sua mensa. Erano presenti: il generale Tellera,
il generale Porro, il generale Silvestri, il console Garetti, il tenente colonnello Sorrentino, il
maggiore Frailich, il capitano Brunelli, il capitano Quilici, il tenente Lino Balbo.
Pervenuta comunicazione dal comando delle truppe del settore Est della rioccupazione di
alcuni terreni prossimi al confine, tra i quali quello dell’aereoporto di manovra di Sidi Azeis,
il Maresciallo Balbo, che già da alcuni giorni aveva dimostrato desiderio di recarsi in quella
località, decise immediatamente di portarcisi in volo, con l’intenzione principale di passare
in rivista la Divisione Libica - che aveva effettuato la rioccupazione - e tenere a rapporto agli
ufficiali di quei reparti.
I presenti - tutti - interpellati, manifestarono il desiderio di far parte della spedizione al
seguito del Maresciallo. Seduta stante, S.E. Balbo impartì questi ordini:
“Il generale Silvestri si rechi subito a Sidi Azeis con scorta di cinque apparecchi da caccia per
avverttire i reparti libici dell’ispezione che fra qualche ora sarebbe stata loro passata dal
Governatore. Lo stesso generale Silvestri, partendo con un apparecchio Ghibli dall’aeroporto
di Tobruk, dia ordine ad altri cinque caccia di restare pronti a decollare dalle 17.15 in poi, per
11
fare scorta a due apparecchi S 79 che, transitando su Tobruk, si sarebbero recati a Sidi
Azeis”.
I due S 79 erano quelli rispettivamente asseganati alle persone del Maresciallo Balbo e del
Generale Porro.
Il Maresciallo, prima di lasciare la mensa, dette appuntamento per le 16,45 all’aereoporto di
Derna dal quale sarebbe partito alle 17. Egli stesso stabilì la suddivisione dei presenti tra i due
S 79 e decise che isul suo velivolo, oltre al maggiore Frailich e agli specialisti, avrebbero
dovuto prendere posto: il console Garetti, il Capitano Brunelli, il capitano Quilici, il tenente
Lino Balbo e il tenente Gino Florio, mentre i rimanenti vennero destinati all’S79 del generale
porro, sul quale, oltre al sottoscritto, al capitano Leardi e agli specialisti, salirono il generale
Tellera, il tenente colonnello Sorrentino e il capitano Goldoni.
Partiti dall’aeroporto di Derna alle 17, gli apparecchi diressero in sezione, ravvicinati,
sull’aeroporto di Tobruk per rilevare i cinque caccia che dovevano scortarli.
Appena giunti in prossimità di detto aeroporto (a quota poco superiore ai 1000 metri ) ci
accorgemmo che sull’aeroporto stesso stavano cadendo delle bombe i cui effetti già si
dimostravano palesi, risultando che due degli apparecchi a terra erano in fiamme.
L’aereo del Maresciallo non deviò dalla rotta e transitò alla stessa quota sul campo che, in
quell’istante, era bersaglio dell’offensiva nemica. Due o tre bombe caddero ancora.
Nessuno di noi, pur sforzandosi di farlo, riuscì a scorgere gli apparecchi inglesi che
bombardavano. Essi dovevano essere ad altissima a quota, in numero non grande a calcolare
dal non rilevante numero di bombe da essi sganciate (circa 50). Quasi sulla verticale
dell’aeroporto, fummo investiti da una centralissima salva di artiglieria - sparavano le batterie
costiere e quelle di una R. Nave della baia di Tobruk - e da proiettili traccianti da mitragliera
da 20 millimetri.
Istintivamente gli apparecchi, disunendosi dalla formazione, scapparono in direzione opposta:
noi verso il mare, l’apparecchio di Balbo, alla nostra destra, verso terra. Intanto, il tiro già
aggiustato delle batterie continuava.
Vedemmo l’aereo del Maresciallo scivolare repentinamente su un’ala e quindi precipitare
verso il suolo dove, dopo l’urto, si incendiava. Anche il nostro velivolo era stato in varie parti
colpito da schegge e da proiettili di mitragliatrice. Consigliammo perciò al generale Porro a
dirigersi per l’atterraggio verso il più prossimo aeroporto onde toglierci da una posizione
sempre più pericolosa. Poco dopo atterrammo nel campo di El Gazala da dove subito, in
automobile raggiungemmo Tobruk.
12
Della sua esperienza libica, Quilici lasciò una testimonianza nel
Diario di guerra tenuto dal 12 al 21 giugno 1940. Il giorno dopo gli fu
conferita alla memoria, dal regime fascista, la medaglia d'argento al
valore militare e l’Accademia d’Italia, nella quale, da qualche mese,
Quilici aspirava ad entrare con l’aiuto di Balbo e Federzoni, gli
conferì l’encomio solenne.
Sul posto fu constatato che l’apparecchio del Maresciallo Balbo, colpito in pieno da un
proiettile di artiglieria, era caduto in scivolata incendiandosi all’urto. Tutti i componenti
dell’equipaggio erano deceduti all’istante.
La sera stessa, il generale Porro partì per partecipare la notizia ai familiari del Maresciallo
Balbo che si trovavano a Cirene. Lo scrivente, rientrato nella notte a El Gazala, proseguì il
mattino seguente la missione di cui era stato incaricato”
(A.C.S., segreteria particolare del Duce, carteggio riservato, .
13
CAPITOLO II
LA FORMAZIONE GIOVANILE
Quilici e Balzac: il risveglio della borghesia
Tre sono i momenti caratterizzanti la formazione giovanile di Nello
Quilici: la passione per il giornalismo, che lo portò a giungere
rapidamente alla direzione di un quotidiano, la propensione per gli
studi di carattere sociologico e politico, e, infine, il sorgere di una
radicata convinzione politica che, negli anni a ridosso del primo
conflitto mondiale si riconobbe nel nazionalismo che voleva creare la
nuova Italia e la nuova borghesia.
La sua tesi di laurea, per esempio, discussa nel dicembre del 1914
1
,
analizzò la Preparazione e genesi della Comédie Humaine di Honoré
De Balzac, uno scrittore che, attraverso le sue opere si presentava
anche nelle vesti di sociologo, sia per le razionali esigenze del periodo
in cui lo stesso scrisse La Comédie Humaine sia per una vocazione
personale dello scrittore verso lo studio scientifico del “gruppo”
2
.
Per Nello Quilici, Balzac fu probabilmente un maestro: nello scrittore
francese il giovane studente e giornalista trovò lo spunto per lo studio
della società e, in particolare, della borghesia.
1
N. Quilici, Preparazione e genesi della Comédie Humaine, tesi di laurea discussa
all’Università di Bologna nel dicembre 1914.
2
Balzac visse e sviluppò la sua letteratura quando, durante la “monarchia borghese” di Luigi
Filippo (1830 - 1848), la borghesia francese stava attraversando il suo momento d’oro.
14
Balzac si rivelò addirittura determinante per la formazione di Quilici,
il quale non esitò a dedicare nell’introduzione della sua tesi, parole di
elogio all’opera e, soprattutto, allo scrittore d’oltralpe:
Questo saggio si limita alla preparazione e genesi della Comédie
Humaine in Balzac, cioè è un primo capitolo di uno studio completo
sull’opera letteraria e umana del grande romanziere.
Ha l’intento di contribuire ad una documentazione possibilmente
esatta e dettagliata della particolarità storiche che contribuirono a
rendere alla Comédie Humaine la sua complessa concretezza di
epopea della borghesia moderna (...) Balzac è la coscienza riflessa
della borghesia
3
.
Nei primi anni del ‘900 il ruolo della borghesia fu messo in pericolo
dal socialismo che sembrò a molti l’ancora di salvezza per creare una
alternativa alla classe politica al potere, "dedita all’inerzia ed ai
conflitti di potere"
4
, e per spogliarsi della "formazione umanitarista"
5
.
A seguito di un periodo in cui il socialismo e la crescita del
proletariato organizzato (insieme al clericalismo e alla mobilitazione
dei cattolici), “rimetteva in discussione l’egemonia della borghesia
laica e patriottica”
6
, nacquero alcuni movimenti, espressione degli
ambienti borghesi, tesi alla riscoperta della nazione
7
, e,
Dalle opere di Balzac emerge il progressivo ruolo della borghesia nella società francese
3
Ibidem, p. 6
4
Cfr. la prefazione di G. Titta Rosa all’opera di N. Quilici, La borghesia italiana, origine,
sviluppo e insufficienza, Milano 1942, p.5.
5
Cfr M. Missiroli, La Monarchia Socialista, Bologna, 1915, p. 85.
6
E. Gentile, La Grande Italia, Milano, 1997, p.. 88.
7
“Il progetto politico nazionalista si risolveva nella proposizione di un regime autoritario,
15
conseguentemente, alla lotta al socialismo, considerato essenzialmente
“antinazionale”.
Secondo Gioacchino Volpe, il periodo fu caratterizzato da un forte
sentimento di "nazionalismo liberale"
8
. Movimenti come “L’Alba” e
“L’Idea Liberale”
9
proponevano l’iniziativa delle libere forze
nazionali a scapito di quelle dello "Stato, irretito dai partiti"
10
. Era la
riscossa della nuova borghesia che riscopriva il suo ruolo chiave nella
storia italiana.
Araldi della “nuova” cultura borghese erano anche Gaetano Mosca e
Vilfredo Pareto, il primo con la teoria della classe politica, il secondo
con la teoria delle elites
11
.
che, come è stato osservato, si distaccava dall’autoritarismo dei liberali conservatori, ma che
al tempo stesso non voleva porsi come strumento di eversione dell’ordinamento esistente,
sibbene come suo potenziamento” F. Perfetti, Il movimento nazionalista in Italia (1903 -
1914), Roma,1990, p. 171.
8
Ibidem
9
Il primo numero del settimanale uscì a Roma il 1 marzo 1911 edito dalla “Casa Editrice
Nazionale”. L’articolo di presentazione, firmato da Francesco Coppola, Enrico Corradini,
Giulio de Frenzi, Roberto Forges Davanzati, Maurizio Maraviglia - sottolineava in apertura
come il movimento nazionalista “pur chiaritosi nel sentimento dei molti seguaci” risultasse
ancora “non tanto nei suoi principi, quanto nei suoi modi e nei suoi fini, cioè nell’azione,
incerto ed insicuro” (ibidem)
10
Ivi, p. 88.
11
“Con l’andare del tempo, infatti, l’antigiolittismo nazionalista assunse connotati ben precisi
differenziandosi notevolmente da quello per esempio dei vociani e dei salveminiani che
avversavano il “regime” giolittiano non tanto come avveniva per i nazionalisti - sulla base di
pregiudiziali antidemocratiche ed antiliberali quanto piuttosto sulla base di una critica di tipo
moralistico o virtuistico (per usare il linguaggio paretiano) alle modalità di gestione della
politica che lo facevano apparire un sistema di governo corrotto da una prassi antidemocratica
16
La diffusione del nuovo nazionalismo non sempre convergente con il
liberalismo
12
non fu solo dettato dalla politica, ma anche dalla
filosofia: il rinnovamento filosofico fu di matrice idealistica e
interpreti centrali furono Benedetto Croce e Giovanni Gentile che,
insieme ai gruppi culturali, artistici (si pensi ai futuristi) e alle riviste
come “la Voce”, vollero dare inizio alla “rivoluzione italiana
” 13
, vale a
dire alla creazione di un’Italia cosciente della propria forza e del
proprio ruolo in ambito europeo. Un nazionalismo “ispirato da una
rinnovata fede nel mito della Grande Italia. L’Italianismo era il credo
laico delle nuove generazioni, le quali si consideravano la nuova
aristocrazia dello spirito e del carattere, destinata a guidare l’Italia alla
conquista della modernità”
14
.
La guerra italo-turca del 1912 fu l'occasione per prendere coscienza
della "forza dell’Italia e del patriottismo"
15
: dal 1910 fiorirono
ed illiberale” (F. Perfetti, op. cit, p. 16)
12
Si veda l’episodio, citato da Perfetti, che vede protagonista il nazionalista Corradini ed il
gruppo dei giovani liberali, che, per mano di un loro esponente, Aldemiro Campodonico
cercò una alleanza programmatica con la rivista di Corradini. Infatti Perfetti spiega che: “tra
nazionalisti e giovani liberali esistevano invero affinità e differenze ed il rapporto fra i due
gruppi rimase improntato ad una ambiguità di fondo sino al momento della scelta ufficiale
antiliberale ed antiliberista del nazionalismo... Il terreno unificante i due movimenti era da
rintracciarsi nel comune programma di riorganizzazione della borghesia italiana, che per
Borelli e per i suoi avrebbe dovuto essere realizzata sulle basi “di un liberalismo conservatore
più efficiente e moderno di quello che il “partito” dei moderati aveva in appannaggio al fine
di contrastare il passo al pericolo socialista” ( F. Perfetti, op, cit p. 35)
13
E. Gentile, op. cit., p. 92.
14
Ibidem, p.98.
15
P. Arcari, La Coscienza Nazionale in Italia, Milano, 1911, p.85
17
numerosi giornali patriottici, mentre decine di giovani intellettuali
decisero di associarsi per dare maggiore risalto alle loro ideologie
politiche, e diffonderle attraverso propri organi di informazione. A
questo filone si può far risalire il pensiero di molte riviste del periodo,
tra cui La “Critica” di Croce, Il “Leonardo”
16
di Papini (1903) , “Il
Regno”
17
di Corradini (1903), “L'Anima” di Amendola e “La Voce”
di Prezzolini, fondata nel 1908, dopo la chiusura del “Leonardo”.
Di tutte le riviste citate, la “Voce” fu quella che ebbe maggiore fama:
fu ideata da coloro che vedevano nel nuovo nazionalismo una diversa
fonte di retorica, sostituendo agli ideali politici quelli etici
18
.
16
“Nel Leonardo l’anticonformismo e l’antiaccademismo, frutto di ribellismo scapigliato, si
univano ad una curiosità intellettuale nei confronti di nuovi indirizzi speculativi, in
particolare il pragmatismo jamesoniano e l’intuizionismo bergsoniano, e si risolvevano in un
aristocraticismo estetizzante, in un idealismo magico ed in un tentativo di liricizzare la
filosofia: sul piano pratico tutto ciò si traduceva in posizioni che privilegiavano
l’individualismo ed il solipsismo e rifiutavano il socialismo riformatore e turatiano” (F.
Perfetti, Op. cit. , p.24.)
17
“In quelle pagine non è difficile rintracciare alcuni motivi ricorrenti nel nazionalismo
politico propriamente detto: certo classicismo e culto per il mito di Roma, certi temi di critica
al parlamentarismo che riprendevano e rinverdivano una tradizione autoctona della destra
nazionale liberale della fine dell’800, certa opposizione al socialismo e al materialismo, certe
inclinazioni verso l’espansionismo anche militare” (F. Perfetti, Op. cit., p.31.)
18
“La Voce può essere considerata il risultato del travaglio ideologico di Prezzolini e di
Papini, che da nazionalisti convinti quali che erano avvenne dopo la chiusura del Leonardo
un “profondo rivolgimento di idee che li spinse a considerare i valori etici ed ideali come
assai più importanti per la vita degli italiani del brutale successo della forza, il miglioramento
interno come più urgente di ogni ricerca di conquista esterna, il moto socialista e democratico
con un senso di maggiore ed equanime storicità” (F. Perfetti, Op. cit. , p.43.)