INTRODUZIONE Nell'anno 2011 verrà festeggiato il centocinquantesimo
anniversario dell'Unità d'Italia, l'evento che sancì definitivamente la nascita
del paese gettando le basi per la fine della stagione risorgimentale e il
dibattito storico e politico ad essa annesso. Diventato un'entità territoriale
ben definita, il popolo del neonato paese era però ben lungi dal sentirsi unito
nelle sue diversità antropologiche e sociali.
In centocinquanta anni l'italiano ha avuto modo di vivere sulla
propria pelle uno straordinario percorso storico che ha compreso un
particolarissimo rapporto con la spiritualità incarnata dalla Santa Sede, due
guerre, una dittatura e un periodo di forte contrapposizione ideologica, dove
si è trovato al centro della Guerra fredda. È stato testimone degli eventi di
un'oscura storia repubblicana, ha osservato come può crollare un'intera fetta
dell'élite al governo del paese e ha dovuto fare i conti con tragiche stagioni
di violenza aperte ora dal terrorismo, ora dal crimine organizzato. Questo
studio si occuperà nella sua prima parte di tratteggiare e riassumere i
caratteri e le peculiarità degli italiani.
In corso d'opera verranno infatti affrontate le particolarità storico-
geografiche del paese (La Penisola Che Non C'è) e quelle antropologiche
dell'italiano (Homo Italicus). Successivamente ci si occuperà del complesso
rapporto fra nord e sud con attenzione ai rispettivi tratti caratteristici (Due
strade diverse), che sarà a sua volta seguito da un capitolo in cui si tratterà la
questione del rapporto fra l'italiano e la spiritualità (All'ombra del
Cupolone). Dopo aver descritto il funzionamento della logica elitario-
oligarchica che da sempre si pone come fattore endemico della nostra
società (Tengo Famiglia), saranno descritte in dettaglio tutte quelle vicende
storiche e sociali che hanno plasmato il complesso rapporto degli italiani
con il potere (Il Grande Assente).
Preso atto dell'eccezionalità del quadro storico-sociale italiano
2
(L'Approdo), la seconda parte di questa ricerca si porrà alcune domande, fra
le quali se e come sia possibile essere in grado di mettersi allo specchio, di
esorcizzare i propri demoni, di narrare e descrivere importanti aspetti del
nostro paese in modi e forme qualitativamente validi (Nel Nome dello
Schermo). Si vaglierà l'ipotesi se le arti e la cultura possano essere capaci di
esercitare questa funzione descrittiva e critica. È un fatto storicamente
conclamato che per esempio fece molto più discutere un romanzo sull'Unità
d'Italia, Il gattopardo (1958) di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che una
moltitudine di libri di storia sullo stesso argomento. Si proverà a rispondere
a tale interrogativo presentando l'offerta culturale della settima arte. In Italia
un certo tipo di cinema d'indagine ebbe molto successo fra gli anni Sessanta
e Settanta, creando i prodromi per il successo di questo genere e per la
maturazione artistica di altre generazioni di registi, con opere che sono state
capaci di raggiungere e appassionare il pubblico e gli esperti del settore.
In tempi recenti si è quindi assistito ad un nuovo slancio del
cinema sociopolitico, e al suo desiderio di raccontare eventi del recente
passato, portando con sé riflessioni e scatenando dibattiti intorno a temi che
solitamente non godono di eccessiva visibilità. È successo anche in
Germania una dozzina di anni dopo la Riunificazione con i film Le vite
degli altri (Das Leben der Anderen , Florian Henckel von Donnersmarck,
2006) e Goodbye Lenin ! (id., Wolfgang Becker, 2003), opere che hanno
goduto di un grande successo di pubblico e critica, che hanno messo i
tedeschi di fronte ai loro recentissimi trascorsi storici e alle relative
problematiche.
Ecco perché si cercherà di capire se il cinema può essere in grado
di guardare nel ventre della nostra storia e società e di raccontarlo secondo
le sue modalità. Verranno dunque presi ad esempio due opere
cinematografiche dell'anno 2008, Gomorra di Matteo Garrone e Il divo di
Paolo Sorrentino, entrambi vincitori al Festival del Cinema di Cannes dello
stesso anno, rispettivamente del Grand Prix della Giuria e del Premio della
Giuria. Con le due parti di questo lavoro dedicate a questi film (Campania
Dreamin' e L'Insostenibile Leggerezza della Ragion di Stato) e attraverso la
3
conclusione (Eppur si Muove), verranno fornite risposte al precedente
interrogativo. Possono due opere che trattano i delicati temi del crimine
organizzato e del potere deviato esorcizzare i nostri demoni ?
4
CAPITOLO 1
1.1 Parlare degli italiani La prima parte di questo lavoro avrà lo scopo di fare il punto sullo
stato attuale degli studi sui caratteri degli italiani. Il dilemma dell'italianità
ha sempre affascinato storici, sociologi, antropologi e giornalisti. Si tratta
infatti di un oggetto di analisi che guadagna un fascino crescente presso gli
addetti ai lavori col passare del tempo. Per una serie di circostanze
contingenti il nostro paese è sempre visto, sia da osservatori italiani sia
stranieri, come qualcosa di cui vale la pena scrivere. La singolarità del suo
processo di nascita, le tortuose vicissitudini della sua storia repubblicana,
l'immagine che la sua classe dirigente dà di sé all'estero e in ultima istanza
le peculiarità degli abitanti del Bel Paese, che inevitabilmente definiscono
tutto il resto, trovano e troveranno sempre spazio presso giornali, saggi e
libri.
L'intelaiatura teoretica che fa riferimento a questo capitolo
comprende appunto nomi che hanno dedicato parti più o meno consistenti
dei loro studi a definire i caratteri degli italiani. Nel corso di questo studio,
le loro osservazioni e conclusioni verranno menzionate nell'ambito di quello
che sarà un lungo excursus sulle peculiarità della Penisola e dei suoi
abitanti. Il volume di partenza, ovvero quello che ha dato l'idea all'intero
lavoro è il tema n.6 di Marino Sinibaldi “Gli italiani” contenuto in Percorsi
di storia contemporanea 1
curato da Alberto Preti e Fiorenza Tarozzi, ovvero
un compendio su come è cambiata la nostra mentalità dal Risorgimento,
passando per il regno ed il fascismo fino ad arrivare all'odierna repubblica.
Per cominciare mi sono servito degli studi dell'editore ed intellettuale Giulio
1 Marino Sinibaldi, Gli italiani in Alberto Preti e Fiorenza Tarozzi, “Percorsi di storia
contemporanea”, Zanichelli, Bologna, 1998.
5
Bollati e soprattutto del suo volume L'italiano – il carattere nazionale come
storia ed invenzione ,
2
un'interessante indagine sulla nascita della mentalità
italiana che l'autore fa risalire all'epoca pre-risorgimentale. Altri volumi che
sono risultati centrali e funzionali all'indagine sono stati L'identità italiana 3
di Ernesto Galli della Loggia e Se cessiamo di essere una nazione 4
di Gian
Enrico Rusconi. I due storici, pur seguendo percorsi diversi, analizzano il
sentimento perduto (e forse mai esistito) di patria e appartenenza nazionale,
suggerendo soluzioni per ritrovare la vicinanza emotiva col proprio paese.
Su posizioni quasi opposte rispetto a quelle dei due autori appena citati è
Guido Crainz con Autobiografia di una repubblica – le radici dell'Italia
attuale ,
5
uno studio che in merito allo stesso tema si pone in maniera più
scettica e rassegnata a fronte delle travagliate vicende della Repubblica da
Tangentopoli in poi.
Un altro libro di storia contemporanea che ho utilizzato è Storia
d'Italia dal dopoguerra ad oggi 6
di Paul Ginsborg. Si tratta di uno dei saggi
più citati dagli altri autori, poiché alla ricostruzione diacronica degli eventi
unisce descrizioni della società e dei modi di vita oltre a riflessioni personali
dell'autore. L'altro volume di riferimento è invece di Aurelio Lepre e
Claudia Petraccone, Storia d'Italia dall'Unità ad oggi 7
seguito dal volume di
Aldo G. Ricci La Repubblica .
8
A questi vanno aggiunte due firme del
panorama giornalistico molto popolari fra il grande pubblico, ovvero
Antonio Caprarica con Gli italiani la sanno lunga...o no!?
9
e Beppe
Severgnini con La testa degli italiani .
10
Si tratta di due viaggi fra tutto ciò
che caratterizza il popolo italiano, da abitudini quotidiane a modi di vedere
2 Giulio Bollati, L'italiano – il carattere nazionale come storia ed invenzione , Einaudi,
Torino, 1996.
3 Ernesto Galli della Loggia, L'identità italiana , il Mulino, Bologna, 1998.
4 Gian Enrico Rusconi, Se cessiamo di essere una nazione , Il Mulino, Bologna, 1993.
5 Guido Crainz, Autobiografia di una Repubblica – le radici dell'Italia attuale , Donzelli,
Roma, 2009.
6 Paul Ginsborg, Storia d'Italia dal dopoguerra ad oggi , Einaudi, Torino, 1989.
7 Aurelio Lepre e Claudia Petraccone, Storia d'Italia dall'Unità ad oggi , Il Mulino,
Bologna, 2008.
8 Aldo G. Ricci, La Repubblica , Il Mulino, Bologna, 2001.
9 Antonio Caprarica, Gli italiani la sanno lunga...o no!?, Sperling & Kupfer, Milano,
2009.
10 Beppe Severgnini, La testa degli italiani , RCS, Milano, 2005.
6
la politica e le istituzioni, non tralasciando episodi e aspetti scomodi della
nostra storia.
Allo stesso ambito giornalistico appartiene anche Il cuore oscuro
dell'Italia ,
11
cioè il singolare punto di vista del giornalista britannico Tobias
Jones in un lungo viaggio fra i difetti (molti) e i pregi (pochi) degli italiani.
In ultima istanza ho trovato molto utile il libro dell'antropologo
Marco Aime Eccessi di culture ,
12
che rispetto agli altri volumi devia dal
sentiero storico-politico per concentrarsi maggiormente sul tentativo di
ridefinizione dell'identità italiana a fronte del mutato contesto socio-
culturale degli ultimi vent'anni. Un contesto diventato multiculturale che
inevitabilmente genera tensioni non solo per quanto riguarda le
grammatiche sociali ma, ed è quello che maggiormente ci interessa, produce
cambiamenti nella stessa mentalità degli italiani.
Come è evidente, il contributo bibliografico a questa prima parte
comprende scrittori, storici, giornalisti ed intellettuali che si differenziano
molto gli uni dagli altri non solo per metodi, interessi, aree d'indagine e
pensieri ma anche per quanto riguarda il fine che può essere più o meno
pedagogico. Eppure tutte queste firme, nelle loro rispettive carriere, ad un
certo punto nel loro percorso professionale, hanno deciso di speculare
sull'Italia e sui suoi abitanti, cercando di risalire al quid che rende questo
paese e chi lo popola così singolare, particolareggiato, eccessivo, geniale e
cinico al tempo stesso.
11 Tobias Jones, Il cuore oscuro dell'Italia – un viaggio fra odio e amore , Rizzoli, Milano,
2003.
12 Marco Aime, Eccessi di culture , Einaudi, Torino, 2004.
7
1.2 La Penisola Che Non C'è “L'Italia è un'espressione geografica.” “ Italien ist ein geographischer Begriff. ” Klemens von Metternich , Lettere 19/11/1849.
Circondata dal mare su tre lati e protetta dalle alte Alpi a nord, la
forma dell'Italia è già di per sé indicativa di una travagliata storia che ha
sempre visto la penisola assoggettata a differenti popoli conquistatori dalla
caduta dell'Impero Romano in poi. Essa si staglia nel centro del “mare
nostrum”, con un parte settentrionale decisamente proiettata verso la
mitteleuropa a nord, la propaggine franco-iberica a ovest e il mondo
balcanico a est. L'inclinazione longitudinale della penisola in realtà
definisce il sud come un sud-est, a sottolineare il fatto che la Puglia è molto
più prossima al mondo greco-balcanico di quanto una cartina geografica
potrebbe suggerire. Inoltre non si può tralasciare l'importanza storico-
geografica del sud e delle isole: porzioni di terra che guardano direttamente
al mondo mediterraneo e punti d'accesso all'Italia stessa ed al continente
africano nello stesso tempo. In questi termini la penisola si configura come
un vero e proprio trait d'union fra l'Europa continentale, il mondo ellenico-
danubiano, il vicino oriente e lo sterminato continente africano. Il
background storico e culturale è, per forza di cose, talmente eterogeneo e
variopinto in una misura che nessun altro paese nel nostro continente ha
conosciuto. A fronte di queste considerazioni, come fa notare Galli della
Loggia:
si capisce bene fino a qual punto l'Italia sia stata per ragioni naturali
predisposta a divenire terreno d'incontro elettivo di correnti migratorie e
di esperienze culturali, il luogo dove influssi di ogni tipo provenienti
dalle diverse aree europee e mediterranee (quindi anche extra-europee)
hanno avuto modo di combinarsi producendo una stupefacente e
ricchissima gamma di esiti.
8
[…] Se dunque è fin troppo ovvio dire che ogni paese è (anche) la
sua geografia, nel caso dell'Italia questa constatazione ha però un
carattere specialmente vero, principalmente a motivo di una non comune
centralità spaziale all'origine di una potenziale latitudine di contatti
esterni e di una conseguente molteplicità di apporti, distesi sull'arco di
secoli, che non hanno eguali.
13
Eppure la penisola è sempre stato un territorio estremamente
difficile da gestire e da difendere, soprattutto da quando la potenza
unificatrice dell'impero romano è venuta meno. In questo modo, caduta
Roma (che comunque guardava molto di più ad un'egemonia nel
Mediterraneo piuttosto che sul continente) ha inizio quel lungo processo
storico che porta alla divisione delle varie popolazioni della penisola e alla
perdita di una coscienza collettiva. Se al nord ai Longobardi sono succeduti
i Franchi e a questi la dinastia degli Ottoni, la Sicilia ha conosciuto nel IX
secolo l'invasione araba per poi venire assoggettata duecento anni più tardi
addirittura dai Normanni.
Tuttavia Roma rimarrà un elemento importante per quanto
riguarda la storia della penisola. Lo Stato della Chiesa per secoli sarà l'unica
vera ed immutabile entità territoriale in un contesto politico che vedrà regni
cadere, signorie locali formarsi sulle loro ceneri per poi cadere di nuovo
sotto i colpi dell'invasore straniero di turno. Ad ogni modo l'importanza
storica e culturale del potere temporale dei Papi verrà approfondita più
avanti. In questo momento ci limiteremo a dire che, per quanto potente e
longeva, e sebbene abbia esercitato una forte influenza territoriale per quasi
milleduecento anni, lo Stato Pontificio non riuscì a instillare un sentimento
di appartenenza politica nei suoi territori tale da fronteggiare o perlomeno
arginare gli sforzi unificatori di Casa Savoia. Ciononostante, la Chiesa ha
influenzato largamente le genti della penisola grazie al suo enorme potere
spirituale e si può dire sia uno dei principali artefici della creazione di una
identità italiana.
13 Ernesto Galli della Loggia, L'identità italiana , cit. pagg. 8-9.
9
In definitiva, la storia italiana per quello che intercorre fra la
caduta di Roma e la nascita del Regno d'Italia manca di un vero e proprio
potere unificatore a livello politico. Di più: manca di un'entità in grado di
plasmare in senso laico la coscienza collettiva e di creare i presupposti per la
nascita di un comune sentire, una vicinanza emotiva fra gli abitanti del
paese.
Al cuore di tali problemi vi è una contraddizione di natura storico-
geografica che potrebbe essere compendiata così: l'Italia non ha mai
avuto la fortuna di essere occupata per intero da un medesimo invasore.
[…] L'Italia ha vissuto l'esperienza della permeabilità e ne ha
risentito gli effetti in una misura che può essere considerata intermedia
fra quella minima della penisola iberica – dove il duro centralismo
castigliano con la sua intolleranza religiosa e razziale funzionò da
potente fattore di riequilibrio – e la misura massima della Balcania, che
invece si trova ancora oggi alle prese con una complessa
frammentazione etnica e confessionale.
14
Come sostiene Galli della Loggia, è ovvio che in presenza di un
forte e longevo potere con radici storicamente rilevanti, le vicende della
penisola italica, soprattutto per quello che riguarda i rapporti fra nord e sud
e fra popolo e potere, si sarebbero definiti in un modo diverso. Per contro, il
Regno delle Due Sicilie fu il fattore più ostico sulla strada dell'unificazione
del sud. La traccia che la dinastia borbonica lasciò nel Mezzogiorno fu
talmente forte che persino oggi (2010) all'alba dei festeggiamenti per i
centocinquanta anni dell'Unità d'Italia, questo passato viene talvolta
rievocato con un po' di nostalgia (e forse qualcosa di più) da parte di alcuni
esponenti della classe politica siciliana attualmente al governo nella
regione.
15
Curioso risulta quindi notare che, centocinquanta anni dopo la
nascita del Regno, passando per il fascismo, due guerre e la rovina del paese
14 Idem, pagg. 18-19.
15 Si vedano le dichiarazioni del Presidente della Regione Sicilia Raffaele Lombardo in
data 25/10/2010.
10
ad esse successiva, vengano ancora registrati dubbi se non rancori riguardo
al processo di unificazione della penisola. Certo è che lo stesso tipo di
scetticismo verso lo Stato e la sua nascita è presente in maniera endemica,
talvolta eccessiva, anche nel nord del paese. Anche questo aspetto è
sintomatico di un particolare stato emotivo, cioè l'assenza di una coscienza
nazionale che ha impedito la creazione di una chimica di segno
antropologico fra i popoli della penisola. L'antitesi fra nord e sud verrà
anch'essa approfondita in seguito. È comunque storicamente rilevante il
fatto che il Risorgimento non abbia visto, se non in parte, una partecipazione
delle masse popolari e che si sia delineato invece come una rivoluzione
calata “dall'alto”. Le famose élites piemontesi e sabaude erano infatti
costituite da aristocratici illuminati e molti esponenti del ceto medio, in
particolare intellettuali. Da tutto ciò restano esclusi gli operai (comunque
rari nell'Italia preindustriale) e soprattutto la sterminata massa dei contadini.
Così mentre le élites dibattono sul futuro assetto dello stato monarchico o
repubblicano, unitario o federativo, milioni di contadini restano al di fuori
del processo, relegati nella non storia. Anzi entreranno nella storia proprio
battendosi contro l'unità ormai raggiunta: è il fenomeno del cosiddetto
brigantaggio meridionale, ovvero l'unica manifestazione visibile delle masse
popolari negli anni del Risorgimento.
1.3 Homo Italicus
“Si è fatta l'Italia, ma non si fanno gli italiani” Massimo d'Azeglio, i miei ricordi , 1866.
Il processo risorgimentale porta alla definizione di un'unità
territoriale finalmente raccolta sotto i colori di un'unica bandiera. Un'Italia
umile e contadina che sostanzialmente non si è accorta quasi di nulla mentre
la capitale del nuovo regno veniva spostata prima da Torino a Firenze, e poi
da questa a Roma dopo la breccia di Porta Pia. Il neonato paese si presenta
11
in condizioni difficili: alla scarsità di materie prime che da sempre ha
caratterizzato la penisola si uniscono le asperità delle terre, difficilmente
coltivabili ove il territorio non è pianeggiante, o addirittura paludose. In più
il paese non ha ancora vissuto un decollo industriale paragonabile a quello
degli altri stati-nazione. Il Regno vive ancora quasi esclusivamente di
agricoltura. Ecco il contesto in cui si inseriscono le masse ignorate del
Risorgimento, i nuovi italiani. La celebre frase di d'Azeglio pronunciata
durante suoi ultimi giorni è fortemente esplicativa della difficoltà della
nascita di una identità italiana. Secondo gli studi della moderna storiografia,
soprattutto ad opera di Giulio Bollati, il tentativo di costruire tale identità
cominciò ben prima della nascita del regno. Le élites intellettuali dell'epoca
pre-risorgimentali scrissero molto riguardo agli italiani e all'italianità, dando
vita a quello che oggi potremmo definire una sorta di tam tam volto a
definire un popolo dormiente, che stava per divenire protagonista della lotta
per la sua stessa libertà. Analizzando il Primato morale e civile degli
italiani (1846) di Vincenzo Gioberti, sacerdote e importante figura del
Risorgimento, Bollati fa notare come nel trattato si manifesta infatti in modo esemplare l'attitudine a considerare
astratti gli italiani reali, e reale un'idea astratta dell'Italia, culla della
civiltà universale, di cui sono depositari principi e prelati, nobili e
borghesi colti, cioè le classi dirigenti e proprietarie e gli intellettuali; il
che equivale a stabilire due gradi di italianità, quello unicamente
qualificato delle classi alte e quello soltanto oggettuale e vegetativo delle
classi popolari.
16
Da ciò si evince l'attitudine a considerare gli italiani come facenti
parte di due categorie, quelli che contano e tutti gli altri, chi ha il potere e
chi non ce l'ha, signori e servi, aristocratici e plebei. Questo modo di
pensare pone le basi di un lungo percorso, forse non ancora concluso, che
traccia una netta linea di demarcazione fra il popolo ed il potere. Si tratta di
16 Giulio Bollati, L'italiano – il carattere nazionale come storia ed invenzione , cit. pag.
45.
12
un leit motiv dell'identità italiana, ed è interessante notare come le premesse
ideologiche di tale sentire fossero presenti ben prima della nascita della
nazione. Un altro intellettuale, Giuseppe Baretti scrisse un'opera sugli
italiani qualche tempo prima di Gioberti, e ne riportiamo un estratto. Egli
definisce gli abitanti della penisola “creduli”, ”ignoranti”, superstiziosi e
naturalmente docili al giogo che loro impone il governo,
soffrirebbero le più dure esazioni senza pensar a far tumulto: credo che
non vi sia nazione in Europa più sommessa, più pronta ad obbedire e più
soggetta ai suoi padroni. Non mi ricordo di avere mai inteso parlare di
sedizione popolare in Italia.
17
Facile riscontrare in nel concetto del “giogo” di Baretti qualcosa
che potremmo definire come “logica del controllo”. Un diktat sempreverde
della classe dirigente, un elemento che sembra essere costante nella storia
d'Italia. Una logica che ha dapprima escluso le masse dal processo di
formazione del nuovo Stato, in seguito ha negato loro il potere di decidere le
sorti della politica interna, riservando il diritto di voto solo ai cosiddetti
“notabili”.
18
In altre parole la logica del controllo pone le premesse per il
lungo dominio dei pochi sui molti e per la legittimazione di oligarchie al
potere. Viene da chiedersi da dove provenisse in origine il timore delle élites
intellettuali e politiche nei confronti delle masse. Parlando di uno scritto 19
del conte Giuseppe Greppi, Bollati fa notare come il nobile scopre gli italiani finora trascurati (le masse, i contadini), non solo,
ma li promuove a elemento decisivo secondo che essi si schierino coi
loro padroni o passino al nemico. L'intero discorso […] istituisce lo
schema strutturale dell'imminente Risorgimento moderato. La necessità
della difesa militare e della conservazione sociale è quella che mette in
moto l'ipotesi di una gestione autonoma, italiana, dei problemi nazionali,
17 Giuseppe Baretti, Gl'Italiani, o sia relazione degli usi e costumi d'Italia , Pirotta,
Milano, 1808, cit. pag. 11.
18 Cfr. Luigi Musella e Renato Camurri, Notabili e storia d’Italia. Caratteri e geografia
del notabilato italiano (1861-1922), Florence, Le Monnier, 2011.
19 La rivoluzione francese nel carteggio di un osservatore italiano , Milano, 1900-1904.
13
e l'ipotesi correlata delle riforme costituzionali e delle concessioni
politiche, senza le quali appare impensabile trasformare in cittadini-
soldati consenzienti i contadini plebei che la logica dei rapporti di classe
spingerebbe invece a una rivolta eversiva. Si tratta in pratica di volgere
una dinamica in se stessa rivoluzionaria a scopi di difesa
antirivoluzionaria […].
20
Da queste parole appare in maniera molto chiara come il “giogo”
sia in realtà non uno strumento di repressione quanto una machiavellica
macchinazione delle classi dirigenti volta a manovrare le masse per i propri
fini e secondo i propri dettami. Il grande spauracchio per i padri della patria
è una possibile deriva democratico-socialista-rivoluzionaria che potrebbe
potenzialmente prendere corpo qualora il volgo, la plebe acquistasse
coscienza di sé e del proprio numero. Certo, le spinte ideologiche per la
creazione di uno stato in senso democratico e repubblicano (secondo Carlo
Cattaneo anche federalista) erano ben presenti in alcune figure chiave del
Risorgimento, come Mazzini, Saffi e Sirtori, ma alla fine è stata la linea di
Cavour a prevalere, portando all'Unità del 1861 nel modo che conosciamo.
La paura atavica di una trasformazione democratica del processo di
costruzione della nazione è un elemento determinante che segnerà
profondamente la storia del regno prima e della repubblica poi.
Per comprendere meglio la paura delle masse e il desiderio stesso
di controllarle sotto il “giogo”, basta osservare come per quasi cinquant'anni
dalla fondazione del Regno il diritto al voto sia rimasto appannaggio di una
ristretta cerchia di privilegiati. Agli albori del Regno, infatti, solo chi
versava una ben determinata quota di imposte nelle casse dello Stato poteva
votare. Una legge del 1882 concesse il diritto al voto a tutti i cittadini
alfabetizzati, ma essendo analfabeta gran parte della popolazione del Regno,
la percentuale di elettori sulla popolazione si alzò in maniera quasi
insignificante. È solo nel 1912 con una riforma del governo Giolitti, che
venne istituito un suffragio quasi universale che estende il diritto a tutti i
20 Giulio Bollati, L'italiano – il carattere nazionale come storia ed invenzione , cit. pag.
58.
14
cittadini maschi che avessero compiuto i ventun anni. In questo modo, e
anche grazie a complicate manovre politiche che diverranno celebri (o
famigerate) col nome di “trasformismo”,
21
il paese rimane saldamente in
mano sempre agli stessi notabili. Tutto ciò verrà approfondito nei successivi
capitoli.
L'imperativo categorico è quindi quello di tenere più a lungo
possibile le masse fuori dalla politica. Le spinte democratiche e
repubblicane che erano di Mazzini nel frattempo si erano raccolte in un
gruppo parlamentare noto come Estrema Radicale, che oltre a raccogliere
percentuali di voti piuttosto basse alle elezioni, rimane sistematicamente
fuori dai giochi di potere. La prima comparsa del Partito Socialista Italiano
alle elezioni è invece del 1895, dove raccoglierà il 2,95% dei consensi,
mentre l'esordio elettorale del Partito Repubblicano Italiano, che si
richiamava più di tutti alle idee di Mazzini, Pisacane, Cattaneo e Saffi, è alla
tornata del 1897 con un 4,92%.
Come mettere in pratica questo giogo? Gli intellettuali dell'epoca
forniscono spunti interessanti: Vincenzo Cuoco pubblica degli scritti, come
Platone in Italia , (1924) che esaltano i valori dell'antica civiltà contadina
italiana, “un'Italia antiintellettualista sdegnosa dei decadenti raffinamenti
culturali dell'età moderna”,
22
una bucolica visione del “contadino-filosofo”
che verrà ripresa nell'etica rurale del fascismo. Sempre secondo il Cuoco, i
metodi per controllare il popolo sarebbero le concessioni politiche e
l'educazione popolare, ovvero ottenerne il consenso tramite un'opera di
persuasione. Tempo prima Alessandro Manzoni, demonizzando il
giacobinismo e l'emergente socialismo, e ritenendo le “religioni civiche”
qualcosa di deviante, affermava invece che l'uomo non può pretendere di
essere sorgente della morale e artefice del proprio destino, ma deve invece
rispettare la legge di Dio. La morale cattolica deve essere quindi il principio
al quale l'uomo nuovo del Regno si dovrà adeguare. Le conseguenze del
radicarsi di questa consapevolezza relegano il singolo in una specie di apatia
21 Cfr. Luigi Musella, Il trasformismo , Il Mulino, Bologna, 2003
22 Idem, cit. pag. 62.
15