1
INDICE
Introduzione
I : L’Italia e la “Prima Globalizzazione”
1. Dall’Unità alla tariffa doganale del 1878
2. Dal protezionismo alla depressione (1878-1896)
3. L’età giolittiana (1896-1914)
4. Il flusso migratorio: l’emigrazione degli italiani
II: L’Italia e il mondo moderno
1. Dal 1983 al 1992
2. Dal Trattato di Maastricht ad oggi
3. Il flusso migratorio: l’immigrazione in Italia
III: Uno sguardo d’insieme
1. L’Italia e le due Globalizzazioni
Bibliografia e Fonti
NOTA REDAZIONALE
La presente tesi si compone di 180 pagine
2
Introduzione
“La Globalizzazione non è particolarmente nuova né, in generale
una follia”
1
. Infatti, anche se il fenomeno della Globalizzazione è
indubbiamente una delle caratteristiche salienti del periodo contemporaneo,
esso ha caratterizzato diverse epoche della storia dell’uomo. “Per migliaia di
anni, viaggi o migrazioni, scambi di merci o di conoscenze acquisite, hanno
rappresentato una forma di globalizzazione che ha contribuito al progresso
dell’umanità.”
2
La peculiarità di questo fenomeno negli anni recenti è la sua poliedricità.
L’economia, l’informazione, la cultura, la società e il linguaggio di una
nazione sono oggi profondamente influenzati da tale fenomeno. Per questo
motivo la Globalizzazione sembra essere una peculiarità degli ultimi lustri.
In realtà, se analizziamo con attenzione la storia, ci accorgiamo che dal
punto di vista commerciale ed economico vi è stato un altro periodo durante
il quale l’interazione delle economie a livello mondiale è stata paragonabile
a quella degli ultimi decenni. Questo periodo comincia negli anni settanta
del secolo diciannovesimo per arrivare sino alla Prima Guerra Mondiale.
Anche se distanti un secolo, i due periodi mostrano molte affinità.
1
Sen (2002), pag. 15.
2
Ibidem.
3
John Maynard Keynes scriveva:
“Che straordinario episodio nel progresso dell’uomo è stata
quell’età che si è chiusa nell’agosto del 1914. Un abitante di
Londra poteva ordinare per telefono, sorseggiando a letto il
suo tè del mattino, i più vari prodotti dell’intero pianeta. Allo
stesso tempo, e con lo stesso mezzo, egli poteva avventurarsi ad
investire le sue sostanze in risorse naturali o in nuove iniziative
imprenditoriali di ogni angolo del mondo. Poteva anche, se lo
desiderava, cambiare prontamente paesaggio o clima, con
mezzi di trasporto confortevoli e a buon mercato, senza
passaporto o altre formalità.”
3
Il periodo che precedette la Prima Guerra Mondiale continua a rappresentare
un momento storico unico se analizziamo alcune variabili economiche. Ad
esempio “i flussi finanziari internazionali […] erano a quel tempo
addirittura più intensi di oggi!”
4
La quantità di prodotti scambiati in rapporto
alla produzione totale in nazioni quali Giappone, Francia, Germania,
Inghilterra, Italia e Canada raggiunse percentuali elevatissime.
Tant’è che “novant’anni dopo, nonostante una facilità e capacità di trasporto
delle merci enormemente superiori […] il volume di commercio
internazionale è aumentato solo marginalmente.”
5
3
citato in Rossi (2000), pag. 144.
4
Rossi (2000), pag. 145.
5
Ibidem.
4
Altro aspetto peculiare della Globalizzazione storica è quello
delle migrazioni. Alla fine del secolo diciannovesimo i flussi migratori
raggiunsero livelli molto elevati.
Questi movimenti erano sia intra che intercontinentali. Il continente
americano fu meta privilegiata di chi, in quegli anni, voleva trovare
condizioni di vita migliori emigrando dall’Europa.
Milioni di lavoratori italiani, inglesi, spagnoli e portoghesi decisero di andar
via dalle rispettive nazioni per cercare di costruire una esistenza più
dignitosa in America dando vita a “migrazioni bibliche”
6
.
La grandezza di questi fenomeni economici e sociali ha indotto alcuni
studiosi contemporanei a chiamare quel periodo “prima globalizzazione”
7
per evidenziarne in primo luogo la complessità e l’internazionalità dei
fenomeni, ma anche per sottolineare le affinità con il periodo moderno.
Se si analizzano la crescita delle esportazioni e le quote delle esportazioni
sul Pil, si nota subito che solo a partire dagli anni settanta del XX secolo
(dopo l’istituzione della CEE, dopo diversi accordi commerciali e l’entrata
in vigore del Kennedy Round) si è riusciti a superare i picchi del periodo
precedente alla Prima Guerra Mondiale (tabella 1). I due periodi, quindi, dal
punto di vista commerciale rivelano rilevanti affinità.
Il periodo contemporaneo ha però caratteristiche peculiari che lo
contraddistinguono.
6
Ibidem.
7
Toniolo (2004), pag. 8.
5
È noto che durante la prima Globalizzazione “pochi paesi industrializzati
monopolizzavano di fatto con le loro colonie gran parte degli scambi”
8
,
mentre oggi “gli scambi internazionali coinvolgono in misura minoritaria,
ma rapidamente crescente, anche molti paesi emergenti.”
9
Si è assistito anche ad una crescita degli scambi finanziari e degli
investimenti diretti esteri che sono diventati assai più ingenti e pervasivi.
Inoltre vi è oggi una manifestazione sociale ulteriore di questo fenomeno.
Essa risiede nella facilità di circolazione di informazioni e idee. “Non è mai
capitato nella storia umana che vi fosse una tale contestualità di vita
percepita e nota potenzialmente a tutti.”
10
Questa maggior facilità di
comunicazione è il risultato della “caduta verticale dei costi di trasmissione
delle informazioni.”
11
Infatti, se durante la prima Globalizzazione “i costi di trasporto erano
diminuiti più rapidamente di quelli della comunicazione”
12
oggi anche questi
ultimi si sono notevolmente ridotti. Basti pensare ai nuovi mezzi di
comunicazione, primo fra tutti Internet, che danno la possibilità di interagire
con il resto del mondo in tempo reale e ad un costo estremamente basso.
Quest’ultima caratteristica ha esteso la conoscenza di tale fenomeno ad un
numero molto più elevato di persone.
8
Valli (2002), pag. 60.
9
Ibidem.
10
Amato (2002), pag. 79.
11
Rossi (2000), pag. 146.
12
Ibidem.
6
Si può quindi affermare che la prima Globalizzazione era un fenomeno
diffuso, ma percepibile a livello globale da pochi. Al contrario, oggi la
consapevolezza dell’esistenza di crescenti interrelazioni economiche, sociali
e culturali fra le nazioni è fenomeno conosciuto e studiato da milioni di
persone.
Si deve però evidenziare che “gli aspetti della Globalizzazione
oggetto di controversia sono quelli più strettamente economici.”
13
Diventa, quindi, di primaria importanza esaminare i rapporti intercorrenti fra
l’economia di un Paese e le altre economie. Solo in questo modo si può
comprendere quali possano essere le prospettive future di crescita di una
economia o i suoi possibili difetti strutturali.
Tutti i Governi sono ormai consapevoli che la Globalizzazione sta erodendo
gli spazi di manovra delle politiche economiche nazionali le quali, sempre
più frequentemente, si rivelano inefficaci. Infatti, “con la globalizzazione
mutano le regole del gioco e […] i giocatori non potranno conseguire gli
stessi risultati se continueranno ad adottare le vecchie strategie.”
14
I Governi devono mutare radicalmente il metodo di risoluzione dei problemi
economici se vogliono costruire un sentiero di crescita per le nazioni.
Devono comprendere che le nazioni oggi sono inserite in “un sistema
transnazionale, che va al di là ed ingloba i singoli Paesi”.
15
13
Stiglitz (2003), pag. 9.
14
Franzini e Milone (1999), pag. 17.
15
Gerelli (1998), pag. 16.
7
Per questo motivo, anche in Italia è opportuno esaminare i
cambiamenti dell’economia causati dal confronto-scontro con gli altri Stati
ed è altrettanto importante evidenziare le riforme da attuare affinché l’Italia
possa rimanere un attore primario nello scenario globale.
Diventa, quindi, fondamentale, esaminando l’economia italiana, la
possibilità di confrontare il diverso orientamento dei politici e degli
economisti a distanza di un secolo. Si può scoprire se gli errori del passato
sono stati utili per migliorare le politiche economiche dei nostri Governi.
Oggi è di primaria importanza migliorare l’interazione economica con altre
Nazioni perché “l’orizzonte delle attività economiche e dei mercati viene a
coincidere sempre più spesso con l’intero globo, riducendo di fatto la
sovranità dei singoli stati e generando una crescente interdipendenza”
16
.
Sarebbe quindi estremamente limitante focalizzare l’attenzione
esclusivamente su una economia, visto che “l’intensificazione dei rapporti
economici internazionali è in gran parte inevitabile e in certa parte anche
desiderabile”
17
.
Si deve capire che un esame attento della evoluzione economica dell’Italia
non può prescindere dalla individuazione delle relazioni che la nostra
economia intrattiene con il resto del mondo.
La Globalizzazione può infatti rivelarsi per la nostra nazione, così come per
ogni altra economia, un’arma a doppio taglio.
16
Gui (2001), pag. 31.
17
Ivi, pag. 41.
8
È certamente positiva la possibilità che nuovi mercati si aprano al
commercio internazionale dando, in tal maniera, l’opportunità di
incrementare le vendite dei prodotti nazionali, ma allo stesso tempo “il facile
trasferimento delle risorse e dei sistemi di produzione […] può aggravare la
disoccupazione in Paesi di antica tradizione industriale”
18
come il nostro se
tali fenomeni non sono opportunamente gestiti.
Si deve quindi studiare quali debbano essere le politiche economiche più
opportune per far sì che la Globalizzazione diventi per l’Italia una possibilità
di sviluppo e non un freno alla crescita.
Tutto ciò può essere fatto alla luce delle scelte, giuste ed errate, che nel
passato, sia remoto che più recente, hanno caratterizzato l’attività dei
Governi italiani intenti a regolare questo imponente fenomeno economico,
sociale e culturale.
Indubbiamente l’esame avrà ad oggetto un sistema nazione molto diverso,
ma sono evidenti anche alcune analogie fra i due periodi.
In primo luogo si deve ricordare che l’Italia della fine del XIX secolo era
una nazione prettamente agricola in cui il settore industriale era ancora allo
stadio embrionale, mentre oggi è in atto la crisi del settore secondario
tradizionale e l’economia è ampiamente fondata sul settore terziario.
Un’altra rilevante differenza è costituita dal fatto che oggi, a differenza di un
secolo fa, la concorrenza internazionale è più estesa e molti Paesi, che prima
18
Giovanni Paolo II (1997), pag. 321.
9
erano ai margini dei commerci e dello sviluppo, sono diventati protagonisti
della crescita economica globale.
Numerose, però, sono anche le somiglianze.
In entrambi i periodi storici l’Italia si trova in ritardo rispetto alle nazioni più
dinamiche dell’Europa. Questo gap si accrebbe nel primo quarantennio post
unitario e anche oggi la diffusa sensazione è che per alcuni anni l’Italia
continuerà a perdere competitività.
Un’altra analogia è ravvisabile nella paura nei confronti della concorrenza
estera. Sembra che lo spirito competitivo italiano si ritragga di fronte alle
nuove sfide. Alla fine del XIX secolo erano soprattutto i prodotti agricoli
della Russia e degli Stati Uniti a preoccupare gli imprenditori italiani. Oggi,
invece, le preoccupazioni provengono dal Sud-Est asiatico.
Per concludere, si può rammentare che in entrambi i periodi sembra mancare
una chiara e decisa guida politica. In molti casi la classe politica, invece di
incoraggiare uno sviluppo sostenibile nel lungo periodo, ha assecondato una
crescita basata su fragili fondamenta.
Nelle pagine che seguono si procederà all’esame di tutte queste tematiche
cercando di costruire, al termine dell’analisi, un confronto della situazione
economica italiana nei due periodi storici.
10
Tabella 1: tassi di crescita delle esportazioni di merci e percentuale delle esportazioni di
merci
sul Pil.
Aree Tassi di crescita % medi annui* Quote % dell’export sul Pil
1870-1913 1913-50 1950-73 1973-98 1870 1913 1950 1973 1998
Europa
occidentale
3,2 -0,1 8,4 4,8 8,8 14,1 8,7 18,7 35,8
Altri paesi
occidentali**
4,7 2,3 6,3 5,9 3,3 4,7 3,8 6,3 12,7
Asia 2,8 1,6 10,0 5,9 1,7 3,4 4,2 9,6 12,6
America Latina 3,3 2,3 4,3 6,0 9,7 9,0 6,0 4,7 9,7
Europa orientale
ed ex URSS
3,4 1,4 9,8 2,5 1,6 2,5 2,1 6,2 13,2
Africa 4,4 1,9 5,3 1,9 5,8 20,0 15,1 18,4 14,8
Mondo 3,4 0,9 7,9 5,0 4,6 7,9 5,5 10,5 17,2
*su dati a prezzi costanti; **Usa, Canada, Nuova Zelanda, Australia
Fonte: Valli (2002), pag. 244.
11
CAPITOLO I
L’Italia e la “Prima Globalizzazione”
Il periodo che racchiude i cinquant’anni che vanno dall’Unità
d’Italia alla Prima Guerra Mondiale è, ormai unanimemente, suddiviso in tre
grandi epoche: “l’epoca del libero scambio e della Destra liberale (1860-
78)”
19
; il periodo “dell’adozione del protezionismo e della depressione
(1878-96)”
20
; gli anni della “crescita rapida giolittiana (1896-1914)”
21
.
Nell’esaminare l’evoluzione dell’economia italiana, nel confronto
internazionale, si terrà presente questa suddivisione temporale, in modo tale
da esaminare i legami tra storia economica e storia politica. Si esamineranno
in dettaglio le differenze fra le politiche commerciali liberiste post unitarie,
quelle protezioniste che caratterizzarono l’economia dagli anni settanta fino
al Novecento, e infine si analizzerà la svolta giolittiana. Inoltre, si
metteranno in evidenza le diverse opinioni degli economisti e dei politici per
cercare di dare una spiegazione all’evoluzione delle idee avvenuta in quel
periodo.
19
Dewerpe (1991), pag. 13.
20
Ibidem.
21
Ibidem.
12
1. Dall’Unità alla tariffa doganale del 1878
In questo primo paragrafo esamineremo la situazione dell’Italia
al momento dell’unificazione e i cambiamenti economici dei primi vent’anni
post-unitari indotti dalla politica libero-scambista.
Quando in Italia nel 1861 si realizzò l’Unità politica nazionale,
nelle regioni del Nord Europa era in corso, già da decenni, l’evoluzione in
chiave industriale dell’economia. Si andava sempre più diffondendo il
progresso tecnico avviato nella Gran Bretagna sul finire del secolo XVIII.
L’Italia invece “arriva[va] all’unità nazionale in condizioni di arretratezza
economica rispetto ai paesi dell’Europa centro-settentrionale”
22
, sia per
quanto concerneva la resa delle produzioni agricole sia, soprattutto, per le
condizioni di sviluppo del settore industriale.
Il prodotto lordo per abitante, nel periodo 1861-1869, era decisamente
scarso.
I dati indicano che il prodotto lordo per abitante del Regno Unito era
superiore del 130% rispetto a quello italiano, quello svizzero del 100%,
quello dei Paesi Bassi e del Belgio dell’80%, quello francese del 70 % e
quello tedesco del 15%.
23
22
Toniolo (1978), pag. 4.
23
Ibidem.
13
La bilancia commerciale italiana, quasi costantemente negativa, evidenziava
anch’essa l’arretratezza produttiva della penisola.
Le maggiori esportazioni erano l’olio d’oliva, gli agrumi, il vino, lo zolfo e
la seta. Mentre le importazioni più rilevanti erano il ferro e l’acciaio, la
ghisa, tessuti di cotone e di lana, caldaie, macchine e parti meccaniche e il
frumento.
24
È evidente che, con l’eccezione dei tessuti di seta, l’Italia
esportava solo prodotti naturali e, al contrario, importava soprattutto prodotti
manufatti.
L’economia era basata prevalentemente sull’agricoltura, basti pensare che
nel 1861 circa il 70% della popolazione attiva era occupata nel settore
primario (tabella 2) e questo settore forniva il 57,8% del prodotto lordo
complessivo
25
.
Si può quindi affermare, alla luce di questi dati, che l’Italia “serbava, per più
di un aspetto, i tratti tipici di un’economia povera e sottosviluppata.”
26
Questa situazione era la naturale conseguenza di una
“convinzione diffusa che lo sviluppo economico del paese avrebbe dovuto
seguire il suo corso <<naturale>>, fondato sull’agricoltura, e che
l’industrializzazione non dovesse essere promossa dall’alto.”
27
Infatti, in quegli anni era frequente ritrovare, fra politici ed economisti,
un’idea della evoluzione dell’Italia che, alla luce dello scenario del tempo, si
24
Per una analisi approfondita dei dati vedasi Romani (1982), Appendice statistica.
25
dato tratto da Castronovo (1975), pag. 8.
26
Ivi, pag. 5.
27
Ivi, pag. 90.
14
rivelava decisamente poco attenta alle realtà che si andavano affermando nel
Nord del continente europeo.
Si era convinti che lo sviluppo italiano dovesse basarsi prevalentemente
sull’agricoltura e sul commercio. Questa idea era supportata dalla
convinzione, rivelatasi errata, di possedere un vantaggio competitivo nelle
produzioni agricole. Infatti, “sebbene all’indomani dell’Unità, l’Italia si
potesse […] classificare Paese agricolo, ciò non significa tuttavia che essa
fosse un Paese in cui l’agricoltura presentasse una eccessiva facilità.”
28
È
vero che l’agricoltura assorbiva la maggior parte della manodopera e dei
capitoli, ma “la produttività del suolo e del lavoro era largamente inferiore a
quella di altri paesi del continente. Calcoli sia pur sommari indicano che nel
1861 la rendita per ettaro giungeva a malapena a 80 lire, contro le 170 in
media della Francia e le 213 dell’Inghilterra.”
29
Anche la presunta superiore fertilità del suolo viene smentita visto che “la
produzione di frumento per la stessa unità di superficie [l’ettaro] si aggirava
in media sui 9 ettolitri, rispetto ai 15 d’Oltralpe e ai 32 della Gran
Bretagna.”
30
Nonostante questa arretrata condizione delle produzioni agricole, gli stessi
uomini di Governo, in primis Camillo Benso Conte di Cavour, erano molto
legati a questa idea di sviluppo e non ebbero il coraggio di favorire
l’industrializzazione per promuovere la crescita dell’economia italiana.
28
Luraghi (1969), pag. 397.
29
Castronovo (1975), pag. 9.
30
Ibidem.