CAPITOLO PRIMO
UNO SGUARDO SUL FESTIV AL
In questo capitolo si cercherà di fornire un brevissimo quadro d’insieme sul
Festival di Sanremo: tipica manifestazione canora della nostra nazione.
L’attenzione del seguente lavoro sarà puntata non sull’aspetto musicale dei
testi; ma sugli aspetti culturali, sociali e politici che vengono trattati nelle
canzoni stesse. Il Festival è, infatti, inteso come “specchio di un’Italia che
cambia” in grado di riprodurre un’immagine vicina a quella della stessa
società.
1.1 IL FESTIV AL DI SANREMO, DA SESSANT’ANNI SPECCHIO DI
UN ITALIA CHE CAMBIA
Figura 1.1. Immagine esemplificativa del Festival di Sanremo
Fonte: unduetreblog.wordpress.com
Da ormai sessant’anni il Festival di Sanremo non è solo un palco sul quale
si misurano tra loro canzoni e cantanti, ma è anche un vero e proprio micro-
cosmo che riproduce su scala ridotta vizi e virtù del nostro Paese. Si tratta,
9
infatti, di una manifestazione che, grazie alla musica, riflette un’immagine
che la società vuol dare di sé, riassumendo e illustrando le trasformazioni
culturali, sociali e politiche del Paese stesso. Canzoni e cantanti con le loro
note cantano l’Italia sotto tutti i punti di vista: sociale, economico e politico.
Dal suo esordio, nel ’51, il Festival è visto come un termometro dell’Italia
che cambia e dove ogni anno si riscoprono i temi più attuali del periodo.
1.1.1. Anni Cinquanta: gli inizi
“Signori e signore, benvenuti al casinò di Sanremo per un’eccezionale serata
organizzata dalla Rai, una serata della canzone con l’orchestra di Cinico
Angelini. Premieremo, tra le 240 composizioni inviate da altrettanti autori
italiani, la più bella canzone dell’anno. Le venti canzoni prescelte vi saranno
presentate in due serate e saranno cantate da Nilla Pizzi, Achille Tognani
con il duo vocale Fasano” (Borgna, 1998, pag. 4). È così che si apre il
Festival di Sanremo, con le parole di Nunzio Filogamo, rivolte al pubblico
radiofonico alle 22.00 del 29 gennaio 1951.
Ci troviamo nei primi anni Cinquanta, in un Paese che cerca di rialzarsi
dalla guerra, dove la canzone vive uno dei suoi momenti più difficili: la
maggior parte della popolazione che ancora parla il dialetto e che non
comprende sino in fondo i significati dei testi delle canzoni stesse, le
emissioni radiofoniche non captate dalla maggior parte del territorio e un
reddito familiare esiguo per la maggior parte dei cittadini, che sicuramente
non si poteva permettere il lusso di “piaceri superflui” quali la musica.
Quella del ’51 era, dunque, un’Italia povera, prevalentemente agricola, a
basso livello di consumi e che ancora risentiva degli strascichi della guerra.
Nonostante ciò Sanremo apre le porte, la trasmissione va in onda e solo tre
cantanti cantano tutte e 20 le canzoni selezionate. Iniziava dunque quello
che, di lì a poco, sarebbe diventato l’avvenimento più importante del mondo
della musica leggera.
Già da allora i temi sociali erano il fulcro dei testi cantati: dall’infelicità
10
della donna al classico vittimismo dell’innamorato, la nostalgia e il
rimpianto per i vecchi costumi popolari, ma senza dubbio è “Grazie dei
fiori”, la canzone più apprezzata del Festival, classica canzone d’amore che
affronta anche il tema dell’incomunicabilità e del “male di vivere”.
Il primo Festival, nato nell’indifferenza e nel disinteresse generale, riscuote
un così ampio successo che si replica l’anno successivo e come l’anno
precedente anche stavolta si canta il sociale: la canzone “V ola colomba” si
trasforma in canzone simbolo tra gli emigranti che vanno a cercare fortuna
oltre oceano.
Così che di anno in anno la manifestazione cresce e diventa ormai un
appuntamento per migliaia di radioascoltatori italiani: il Festival comincia
ad essere anche un “fatto di costume”. Nel primo anno si registra già il
primo scandalo con la canzone “Papaveri e papere” valutato offensivo verso
la classe politica, considerata troppo alta e intoccabile dalla gente comune, i
“papaveri” sarebbero i notabili della Democrazia Cristiana di allora, la
cosiddetta “legge della truffa” era alle porte e cominciavano così ad
esplodere i primi scandali del regime democristiano. La canzone ebbe un
gran favore popolare in quanto rispecchiava fedelmente il clima dell’epoca e
gli ascoltatori se ne rendevano conto.
Nel ’54 nasce la televisione; ora il Festival oltre che ascoltare lo si può
anche guardare, esso è ormai diventato un culto, un appuntamento
addirittura Europeo ( tant’è che la finalissima del ’55 viene trasmessa in
Eurovisione in cinque paesi europei: Francia, Belgio, Olanda, Germania e
Svizzera). Al primo ascolto le varie “Papaveri e papere” già citata, “Casetta
in Canadà” del ’57, “Nel blu dipinto di blu” del ’58, non sembrano che delle
favolette innocue e spensierate e invece anche loro contenevano un chiaro
messaggio sociale e politico. In “Casetta in Canadà” vi è il principio del
lavorare sodo e senza discutere tollerando illimitatamente il sopruso. In “Nel
blu dipinto di blu” Modugno, canta la sessualità, una sessualità felice, libera,
vissuta senza traumi, senza complessi di colpa e con naturalezza, si fa
interprete dei mutamenti generali, di un’Italia che sta cambiando e del
benessere che sta per arrivare. Il ’58 fu, infatti, l’anno che anticipò
11
l’esplodere della più grande espansione economica che l’Italia avesse mai
conosciuto (Borgna, 1998).
1.1.2. Anni Sessanta: il boom
Il boom della canzone italiana coincide con quello economico: il volto
dell’Italia è decisamente cambiato e di conseguenza cambia anche il volto
della manifestazione. Cambia la giuria, cambia il modo di vestire dei
cantanti, cambia l’organizzazione, cambiano i presentatori: insomma il
Festival sta al passo coi tempi e attorno ad esso vi è un velo di modernità.
Sanremo diventa evasione: deve servire a far dimenticare agli italiani i gravi
problemi della loro vita quotidiana. Nel ’61 Celentano con “24mila baci”
porta un nuovo rock, un rock violento, aggressivo molto diverso dalla
canzone melodica che per dieci anni era stata la protagonista del Festival.
Nel ’64 Sanremo diventa poliglotta, vengono abbattute le barriere e vengono
invitati al Festival sedici fra cantanti e complessi stranieri, c’è molta attesa,
soprattutto fra i giovani, per le esibizioni degli artisti finora conosciuti solo
attraverso i dischi. Il Festival si ravviva e va al passo coi tempi. Ma
nonostante ciò è la Cinquetti con “Non ho l’età” a vincere il Festival. La
cantante interpreta la brava ragazza di buona famiglia, la quale, come è
noto, non doveva avere troppi grilli per la testa, doveva rincasare prima di
cena e soprattutto doveva arrivare vergine al matrimonio, valori ancora saldi
nella cultura italiana dei benpensanti. Intanto nel ’65 esplode in tutto il
mondo il fenomeno dei Beatles, a Roma apre il “Piper” e in radio nasce la
trasmissione “Bandiera gialla”. Questi ultimi costituiscono i primi punti di
riferimento per una nuova gioventù, che si allontanava dal contesto
familiare per ritrovarsi a celebrare un nuovo rito collettivo, con nuovi abiti,
un nuovo comportamento, un nuovo modo di fare e di godere la musica in
una nuova atmosfera. L’Equipe84, i Nomadi, i Camaleonti furono i primi
veri complessi italiani di rock. Spuntavano i primi capelloni e le prime
minigonne anche al Festival, segno di un qualcosa che cambia, di una
12
ventata di innovazione. È Celentano che nel ’66 introduce ancora una volta
temi di carattere sociale, con “Il ragazzo della via Gluck” non fa mistero di
volersi scagliare contro la speculazione edilizia e l’urbanesimo selvaggio,
sottile polemica contro i miti facili del consumismo e
dell’industrializzazione. Canzone che gli costò l’eliminazione dal Festival,
infatti, nonostante il clima stesse cambiando, nonostante si parlasse di
un’Italia diversa, a vincere il Festival erano sempre le solite canzoni
d’amore; tant’è che nel ’67 dopo l’eliminazione della sua “Ciao amore ciao”
Tenco si suicida nella sua camera d’albergo (Borgna, 1998). Con Tenco la
canzone d’autore si faceva più esplicitamente politica, si era ormai nel pieno
degli anni sessanta, l’Italia era in piena rivoluzione industriale, le condizioni
di vita della maggior parte della popolazione erano migliorate, ma c’erano
ancora regioni, soprattutto nel mezzogiorno, che vivevano in assoluta
arretratezza: al sud di Roma i redditi erano inferiori a quelli delle regioni
sviluppate, le somme spese per gli investimenti industriali nel Mezzogiorno
tendevano a diminuire, l’emigrazione dei giovani in cerca di lavoro non si
era fermata; e Tenco cantava i problemi di questa Italia.
1.1.3 Anni Settanta: il declino
Gli anni di piombo, la controcultura, la contestazione giovanile si fanno
sentire anche a Sanremo, che per quasi tutto il decennio non riesce più a
suscitare un grande interesse da parte del pubblico, dei media e persino della
tv. In piazza insieme agli studenti ci sono anche gli operai. Infatti,
nell’autunno del ’69 il rinnovo dei contratti delle principali categorie
dell’industria diventò il pretesto per un attacco contro l’organizzazione
capitalistica del lavoro e contro la sua struttura gerarchica. L’ “autunno
caldo” fu caratterizzato da una serie di lotte operaie, con protagonista
quell’“operaio-massa” giovane e meridionale, immigrato, che pativa in
fabbrica lo sfruttamento, il lavoro ripetitivo da catena di montaggio, i ritmi
selvaggi e una organizzazione del lavoro sempre più rigida. Insomma una
13
nuova classe operaia che chiede non più solo salario ma anche potere,
reclamando riforme ma anche giustizia sociale. Al Festival si rispose in due
modi a ciò che stava succedendo al di fuori: da una parte cantanti che si
schieravano con gli operai e che cantavano dunque la lotta e la rivoluzione,
dall’altra artisti come Celentano che, smessi i panni del ribelle protestatario,
si fa interprete di quella maggioranza silenziosa cantando “Chi non lavora
non fa l’amore!” dove gli operai sono descritti come assenteisti e
scioperanti, suscitando le ire delle proprie consorti. L’esibizione alquanto
grintosa e seppur controcorrente gli fa vincere il Festival. Infatti, come già
detto, sulla via di Celentano si avventurano in pochi, i più preferiscono
cantare versi pro-contestazione, sperando di accattivarsi il pubblico. L’anno
successivo viene trattato il tema dell’emigrazione con la canzone di Josè
Feliciano che con i Ricchi e poveri si aggiudicano il secondo posto cantando
“Che sarà”. Ma questo decennio sarà caratterizzato dalla crisi del Festival.
Infatti, già con l’edizione del ’73 la manifestazione inizia la sua fase
discendente, la Rai non vuole più interessarsi all’evento, infatti, le prime
due serate vengono trasmesse solo in radio e solo quella finale in
televisione. Gli anni successivi vengono trascorsi ugualmente sottotono,
fino all’edizione del ’78, che annuncia la rivelazione dell’anno Anna Oxa.
Con lei fa la sua apparizione a Sanremo il “punk”, uno stile di vita nato in
Inghilterra, ancora non conosciuto in Italia. I “punk” esprimevano le
emozioni di una gioventù traumatizzata dalla disoccupazione, che viveva
nello squallore urbano e industriale di una società che non credeva più alle
promesse di una riscossa economica. Ci troviamo negli anni in cui le
domande di lavoro, soprattutto da parte dei giovani, superavano le offerte. Si
erano ridotte le basi economico-produttive del Paese e il mercato del lavoro
non prendeva in considerazione le domande da parte di quelle quote
tradizionalmente marginali della popolazione, quali gli uomini oltre i
quarantanove anni, le donne di ogni età e i giovani di entrambi i sessi. Si
notò, infatti, un riduzione della presenza dei giovani nel mercato del lavoro,
giustificata, in un certo senso, dalla necessità che questi avevano di
adempiere agli obblighi scolastici, mentre negli altri due casi vi era proprio
14
una chiusura totale da parte del mercato del lavoro stesso. Nonostante ciò
Sanremo rimase in vita e nonostante la crisi che in quegli anni lo aveva
caratterizzato, restò comunque un “avvenimento nazionale”, tant’è che lo
stesso Pasolini scrisse: “ Le città… deserte; tutti gli italiani… raccolti
intorno ai loro televisori. Il Festival di Sanremo e le sue canzonette sono
qualcosa che deturpa irrimediabilmente una società. … Non ci si rende
conto che tutti i 60 milioni di italiani, ormai, se potessero godere di questo
famoso privilegio, pagherebbero il prezzo di quel biglietto e andrebbero ad
assistere in carne ed ossa allo spettacolo di Sanremo… tutti se potessero
pagherebbero. Tutti, operai, studenti, ricchi, poveri, industriali,
braccianti…” (Borgna, 1998) . Durante le tre serate del Festival le città si
spopolavano e tutta la popolazione si riuniva in casa a seguire le note dei
propri beniamini.
1.1.4. Anni Ottanta: la rinascita
L’Italia esce stremata dal “decennio di piombo” degli anni ’70 e comincia
con gli anni ’80 la voglia di cambiare. Sono gli anni della leggerezza, della
spensieratezza, del disimpegno, in netta contrapposizione alla pesantezza
del decennio precedente. Anche Sanremo esce dal buio, il “cantautore
impegnato” degli anni ’70 lascia il posto ad una musica meno politica e più
irriverente; fanno discutere, ma affascinano i giovani, artisti provocatori
come Renato Zero, Loredana Bertè, Mia Martini e Vasco Rossi, anche se la
musica melodica, tipica dell’Italia raccoglie comunque un vasto successo.
Ritornano dunque i big della canzone, che assieme ad ospiti stranieri di
grosso calibro fanno sì che la manifestazione rinasca e si riappropri della
sua popolarità. Il Festival dell’81 riscuote un enorme successo: la rassegna è
tornata ad alti livelli di professionalità, ha saputo rinnovarsi aprendosi alle
nuove tendenze ed entrando così in contatto con una nuova fetta di
pubblico: quello giovanile. Inizia anche la “femminilizzazione” del Festival:
molte sono le donne cantanti, per lo più sconosciute, a partecipare ed
15
ottenere un grande consenso da parte del pubblico. Ma il Festival, ha anche
il merito di lanciare nuovi brani destinati a durare nel tempo. Basti pensare a
“Vita spericolata” di Vasco Rossi che dà voce alla filosofia dei “dropouts”, a
chi ama vivere in situazione e rifiuta le regole del mondo corrente, cercando
appunto una vita spericolata. Ma il Festival canta anche la nostalgia, il
rimpianto di un qualcosa che non c’è più, come la giovinezza, con “1950” di
Amedeo Minghi. Toto Cutugno canta in modo un po’ ruffiano il
nazionalismo, nel clima ancora festoso della vittoria dell’Italia ai mondiali
di calcio: “L’italiano” è uno dei tanti esempi di umorismo involontario ma
che stimola gli ascoltatori. L’edizione dell’ ’84, più che per le canzoni
passerà alla storia per la clamorosa protesta degli operai metalmeccanici
dell’Italsider, recatisi davanti al Teatro Ariston, per denunciare la gravissima
situazione dell’economia della loro regione e per illustrare la pesante
situazione di molti di loro che si trovavano in cassa integrazione o senza
lavoro. Una piccola delegazione ottiene di poter entrare in teatro e
addirittura sale sul palcoscenico accolta da un chiassoso applauso. Tutto si
risolve per il meglio, tant’è che un giornalista del “Messaggero” scriverà
che “la società dello spettacolo riesce ormai a fagocitare anche la protesta
operaia, rendendola praticamente inoffensiva”. Nell’ ’87 con “Quello che le
donne non dicono” Fiorella Mannoia sviluppa una riflessione sulla
condizione femminile. Questo decennio porta alla luce numerosissime
trasformazioni, volti noti, cantanti big e nuove proposte anche con i cantati
stranieri, che permettono a Sanremo di rilanciare non solo se stesso ma
anche l’intera industria dello spettacolo.
1.1.5. Anni Novanta: la trasformazione
Con gli anni ’90 il Festival si affida totalmente alla tv, che finisce per
spodestarlo della sua natura canora per renderlo sempre più televisivo. Così
che ospiti stranieri, presentatori, sfoggi di vallette, tolgono sempre più
spazio alla musica e alle esibizioni canore. Numerosi sono i big che vi
16
partecipano solo per poter rilanciare una carriera ormai decaduta e si ritorna
anche alla tipica formula sanremese: cantare temi sociali. Lo fa, nel ’91
Umberto Tozzi, che non presenta la solita canzone d’amore, ma un vero e
proprio inno alla solidarietà, un grido sociale con “Gli altri siamo noi”, dove
parla di famiglie di operai licenziati dai robot e di zingari dell’est in riserve
di periferie, parla dunque delle persone in difficoltà, di chi non ce la fa a
sopravvivere e dei problemi della vita. Nel ’92 vince il madrigalismo
malinconico di Luca Barbarossa con “Portami a ballare” in cui ancora una
volta è la mamma la protagonista di un’Italia composta da “mammoni” e
dove “la mamma è sempre la mamma”. I tempi cambiano e anche le
proposte sembrano cambiare, si insinua, infatti, una proposta audace e
irridente, quella di Elio e le storie tese, con “La terra dei cachi”, il testo
racconta la vita e le abitudini dell’Italia travolta da scandali su scandali (il
pizzo ed episodi criminali mai puniti) e piena di comportamenti che
caratterizzano il cittadino italiano nel Mondo come la passione per il calcio,
la pizza e gli spaghetti. Nel ’97 un cantautore romano Niccolò Fabi canterà
“Capelli” con un brano ironico e leggero manifesta la filosofia del cantante,
utilizzando il termine “capelli rasta” come simbolo della disobbedienza
pacifica agli standard del Paese. Il Festival è cambiato e la musica non deve
far altro che adeguarsi.
1.1.6. Anni Duemila: Festival come trasmissione tv
Cambia secolo, ma non il meccanismo del Festival che resta sempre più
imprigionato nel meccanismo della televisione e soprattutto dai suoi ascolti.
La manifestazione si è trasformata da gara canora a trasmissione televisiva
dove la musica è solo un contorno. Si tentano tutte le novità possibili e
immaginabili per riportare Sanremo agli ascolti di un tempo, il Festival si
ringiovanisce, lo fa con i presentatori, con le vallette, con gli ospiti, ma le
critiche saranno tantissime. Così che la Rai ritorna sui suoi passi capendo di
essere andata troppo in là con la sperimentazione. A presentare il Festival
17
sarà richiamato il “vecchio Baudo”. Ma anche stavolta gli ascolti non
crescono. I cantanti devono farsi spazio tra i vari ospiti, tutti personaggi
ingaggiati in nome dello share: prevalgono così gli ascolti ma non la musica.
Nel 2001 Elisa vince Sanremo con “Luce”, la canzone, come si deduce dal
titolo, richiama il mito della Piccola Patria (“Heimat” parola tedesca che
significa appunto patria) a cui la cantante è politicamente vicina; per questo
motivo la canzone spesso è adoperata come inno dell’indipendentismo
triveneto. Ritornano i sentimentalismi di un tempo: Francesco Renga vince
l’edizione del 2005 con “Angelo” canzone dedicata alla figlia. Un tema
sociale molto toccante viene cantato da Simone Cristicchi con “Ti regalerò
una rosa” nel 2007; la canzone molto malinconica è una vera e propria
lettera che un paziente psichiatrico scrive alla sua amata, dalle celle buie e
lugubri di un manicomio, del quale anche lei è stata ospite per qualche
tempo. Orrore, disperazione, solitudine ma nonostante ciò l’amore è riuscito
a sbocciare. L’autore sintetizza in questo testo molte parole raccontategli dai
pazienti degli istituti psichiatrici da lui visitati. Così che la musica ancora
una volta si fa interprete di tematiche sociali e politiche. Nello stesso anno,
infatti, un giovane Fabrizio Moro con “Pensa” vince il Sanremo giovani. Il
brano ispirato ai giudici Falcone e Borsellino e a tutte le vittime della mafia,
cerca non di cambiare il mondo, ma nel suo piccolo di smuovere le
coscienze, cercando di esprimere coraggio, speranza ed amore per il
prossimo. Sempre nel 2007 Fabio Concato con la sua “Oltre il giardino” ha
interpretato il disagio di un cinquantenne licenziato e ormai fuori dal
mercato, evidenziando così anche i danni della nuova economia. Stesso
anno, Antonella Ruggiero, con “Canzone fra le guerre” canta il tema della
guerra e la preghiera di una madre che vuole preservare il figlio dal dolore.
Nel 2009 e nel 2010 è Povia a cantare il sociale rispettivamente con “Luca
era Gay” e con “La verità”. Il primo testo parla dell’omosessualità e
racconta la storia di un uomo che in seguito ad una situazione familiare
difficile diventa omosessuale. Il secondo testo affronta il tema
dell’eutanasia; lo stesso autore ha dichiarato che il testo era dedicato ad
Eluana Englaro, ragazza rimasta in uno stato vegetativo per oltre diciassette
18