II
austro-ungarico, passò al Regno d'Italia, che la tenne sino alla fine
della Seconda Guerra Mondiale, quando la città di Fiume e gran parte
dell'Istria passarono alla Jugoslavia, mentre la parte nord-occidentale
della penisola costituì il Territorio Libero di Trieste, diviso in zona A
e zona B.
Con il Memorandum di Londra nel '54, la zona A passò sotto
amministrazione italiana e la zona B sotto quella jugoslava.
Il contenzioso tra la Jugoslavia e l'Italia sarà chiuso
definitivamente solo nel 1975 con il Trattato di Osimo e con il
rispettivo riconoscimento della linea di demarcazione del '54.
Attraverso le differenti dominazioni che si susseguirono nel
corso dei secoli si delineò nella regione una particolare cultura che
racchiudeva elementi di tutte le influenze culturali che vi si
alternarono, senza identificarsi compiutamente con nessuna in
particolare, mentre infiniti legami si intrecciarono tra le diverse
componenti etnico-linguistiche autoctone, quella italiana, quella
slovena (a nord) e quella croata.
L'equilibrio e la convivenza tra queste componenti subirono nel
corso della storia profondi cambiamenti: all'indiscusso primato
culturale italiano, che si accompagnò ad un lento ed inconsapevole
processo di acculturazione e assimilazione dell'élite della componente
slava, durante la dominazione veneziana, seguì, nell'epoca
risorgimentale, l'affermazione di identità nazionale su base etnica che
portò alla contrapposizione di italiani a croati e sloveni.
III
Il tentativo fascista di risolvere la questione istriana con la
repressione violenta di tutto ciò che nella regione ricordasse il suo
carattere anche slavo, compromise maggiormente la posizione italiana
dopo la Seconda Guerra Mondiale e fu all'origine della diffidenza e
dell'emarginazione nei confronti del gruppo nazionale italiano che
veniva, (e spesso è tuttora), considerato la quinta colonna
dell'irredentismo italiano.
La revisione del confine orientale italiano con il Trattato di pace
e con l'Accordo di Londra, determinò l'abbandono dell'Istria, Fiume e
Dalmazia di circa 300-350 mila italiani, secondo le cifre fornite dalla
Unione degli Italiani, di circa 200 mila secondo altri. Un esodo,
comunque, massiccio che sconvolse totalmente la penisola istriana,
dove la componente italiana si trovò a costituire solamente una piccola
percentuale della popolazione e una delle tante minoranze all'interno
della federazione jugoslava.
È, dunque, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale che
iniziano i problemi della componente italiana in questa regione: la sua
assimilazione progressiva, l'emarginazione della vita sociale e politica,
il suo senso di sradicamento, quel sentirsi stranieri in patria.
La crisi jugoslava e poi la guerra hanno rischiato di aggravare
ulteriormente una situazione già precaria, mettendo a repentaglio la
sopravvivenza e l'esistenza di questa minoranza.
Proprio in una fase così delicata dell'evoluzione della minoranza
abbiamo deciso di occuparcene, in un momento in cui attraverso le
polemiche collegate ad Osimo e alla guerra nell'ex-Jugoslavia anche in
IV
Italia si è riscoperta l'esistenza della minoranza italiana. In rapporto
alla revisione del Trattato di Osimo, tuttavia, il nostro lavoro non
intende portare argomentazioni a favore dell'una o dell'altra parte, ma
vogliamo solamente descrivere la situazione generale della minoranza
per vedere quali sono i suoi problemi, i suoi progetti e le sue
prospettive, i suoi sogni e le sue paure e, soprattutto, per non
dimenticare la nostra storia e quella di tanta gente che ha sofferto nel
lasciare le proprie case o nel rimanervi.
Non pretendiamo, quindi, di aver fatto un'analisi esauriente e
completa sono tutti i punti di vista, ma l'impegno è stato rivolto
soprattutto a mettere in rilievo le problematiche della minoranza e
dell'Istria tutta, cercando per quanto possibile di chiarire quanto sia
complessa la situazione di questa terra sulla quale, come emerge dalla
letteratura istriana, l'incubo dell'esodo pesa ancora come un macigno
sul presente.
Purtroppo, in assenza di conoscenze di sloveno o croato, la mia
analisi si è basata su testi, riviste, periodici in lingua inglese, francese
oltreché, ovviamente, in italiano, ma soprattutto ho cercato di
ripercorrere e ricostruire le vicende del gruppo etnico italiano nella
fase di crisi della federazione jugoslava attraverso la lettura
sistematica de "La Voce del Popolo", che è il quotidiano della
minoranza stampato a Fiume e che costituisce il mezzo di
collegamento culturale e ideale di tutta la componente italiana in
Jugoslavia.
V
Attraverso "La Voce del Popolo" e i condizionamenti che questa
ha subito nel corso degli anni si è potuto anche ricostruire l'evoluzione
della minoranza: dai bui anni '70, fino al riemergere della componente
italiana alla fine degli anni '80 e alle nuove battaglie e problematiche
degli anni '90.
In questo ambito la nostra attenzione e preoccupazione non è
stata solo quella di analizzare lo sviluppo della minoranza italiana, ma
anche di mettere in evidenza lo spirito regionalistico che emerge alla
fine degli anni '80 in seno alla popolazione istriana, ivi compresa la
sua componente italiana, e che affonda le sue radici in quell'intreccio
secolare di popoli e culture, che ha fatto dell'Istria il simbolo di una
regione di frontiera esposta, pertanto, a molteplici influenze.
Alfiere di questo spirito regionalistico sarà la Dieta Democratica
Istriana emersa dal contesto di preoccupazioni e di aperture
pluralistiche della società jugoslava. Ma non solo questo partito
parlerà di regionalismo e di cultura istriana, lo faranno un po' tutte le
nuove forze che si affermeranno soprattutto dopo la vittoria di
Tudjman.
L'Istria diventerà, così, la roccaforte di difesa contro tutti i
nazionalismi e, in particolare, di lotta contro il rinato nazionalismo
croato.
Questa regione diventerà anche il simbolo di una cultura di pace
e convivenza all'interno della Jugoslavia in preda ai più feroci
contrasti etnici. Una terra che si eleverà al di sopra della Jugoslavia
per inserirsi nel contesto europeo.
1
Capitolo I
DAGLI ANNI BUI ALLA "PRIMAVERA ISTRIANA"
(1974-1989)
2
1.1. La Costituzione del '74 ed il problema delle
minoranze nazionali.
La Costituzione della Repubblica Socialista Federativa Jugoslava,
approvata il 21 Febbraio 1974, è una delle più lunghe e complesse del
mondo: dopo un preambolo di 10 articoli fondamentali, si snoda in più
di quattrocento articoli, regolando spesso materie che esulano dai
limiti generalmente assegnati ai testi costituzionali
1
.
La legge costituzionale si impernia su due principi che hanno
reso la Jugoslavia un fenomeno particolare nel mondo socialista: la
"proprietà sociale" e l' "autogestione"
2
.
Il principio della proprietà sociale implicava che i mezzi di
produzione appartenessero alla collettività e non al privato o allo
Stato.
Il sistema dell'autogestione era, invece, stato introdotto con
varie leggi a partire dal 1950, ma era stato inserito nell'ambito di una
pianificazione fortemente centralizzata
3
.
Attenuando il centralismo democratico, la Costituzione del '74
conferì una maggiore autonomia alle singole Comunità socio-
politiche, in particolari ai Comuni, e alle varie repubbliche federate a
svantaggio della Federazione.
Sul piano economico la Costituzione consacrò il trasferimento
di ampi poteri ai governi delle singole repubbliche: dalla politica
1
P. BISCARETTI di RUFFIA, Introduzione al diritto costituzionale comparato, Milano, Giuffrè
ed., 1988, p. 505.
2
J. PIRJEVEC, Il giorno di San Vito, Torino, Nuova Eri, novembre 1993, p. 438.
3
creditizia e fiscale, a quella dei prezzi e del commercio estero
4
. Alle
repubbliche venne altresì concessa la facoltà di indebitamento
svincolato dal controllo federale
5
.
La ridefinizione dei rapporti economici tra centro e repubbliche
portò ad un rimodellamento dei rapporti politico-istituzionali in senso
semi-confederale.
La Costituzione realizzò, infatti, un sistema politico
decentralizzato che rispettava la composizione multietnica del Paese
nella selezione dell'élite politica, introduceva il principio
dell'unanimità per le riforme costituzionali e il diritto di veto nelle
questioni di interesse comune.
La partecipazione paritaria delle sei repubbliche e delle due
Regioni autonome della Serbia, (Kosovo e Vojvodina), alla gestione
del potere era, inoltre, assicurata dalla prassi della "rotazione annuale"
negli organismi dello Stato e della Lega dei Comunisti Jugoslavi
(LCJ).
Ma la parte più interessante della Costituzione è forse quella a
proposito dei diritti delle minoranze.
Sotto tale aspetto la carta fondamentale dello stato era altamente
garantista e costituiva un modello avanzato di protezione dei diritti dei
gruppi minoritari.
La Costituzione riconosce sei nazioni all'interno delle sei
repubbliche: sloveni, croati, mussulmani, serbi, montenegrini e
3
A. PITASSIO, Jugoslavia: perché?, "Non solo bianco", 3 febbraio 1992.
4
M. UVALIC, Alcuni contributi alla disintegrazione jugoslava, "Europa-Europe", 4, 1992, p.10.
5
A. PITASSIO op. cit.
4
macedoni. Le due consistenti minoranze, albanesi e ungheresi, sono
definite "nazionalità" insieme con gli altri 18 gruppi etnici classificati
nel censimento del 1981
6
.
Il termine "nazionalità" amplia e supera quello di minoranza
estendendo, virtualmente, ai gruppi minoritari tutti i diritti prima
garantiti solamente alle nazioni jugoslave.
Questo principio è confermato, altresì, dall'articolo 245 che
afferma l'uguaglianza dei diritti tra popoli e nazionalità. In tal senso, i
diritti e le libertà riconosciute agli appartenenti ai gruppi minoritari
sono ampi.
L'articolo 170 garantisce "la libertà di esternare la propria
appartenenza etnica; di esprimere la propria cultura nazionale; di far
uso della propria lingua nella forma parlata e scritta". A tale fine viene
garantito dall'articolo 171 l'uso della propria lingua di fronte agli
organi pubblici e l'istruzione nella madrelingua. Nel quadro di uno
sviluppo armonico delle minoranze è ribadito il diritto di ogni
nazionalità di sviluppare la propria cultura attraverso la costituzione di
proprie organizzazioni culturali (art. 247).
Leggendo e analizzando, pertanto, la Costituzione della RSFJ
non si può dire che sia stata una "prigione di popoli" in cui non erano
garantiti diritti e libertà fondamentali
7
. In effetti, le minoranze
avevano la possibilità di avere propri organi di stampa, televisione,
teatro, scuole.
6
S. BIANCHINI, Sarajevo e le radici dell'odio, Roma, Ed. Associate, giugno 1993, p. 38.
7
S. BIANCHINI, op. cit., p. 35.
5
La minoranza italiana, stanziata nelle repubbliche di Slovenia e
Croazia, poteva contare, per esempio, sul quotidiano "La Voce del
Popolo", sulle riviste "Panorama", la "Battana" e altri periodici minori.
L'informazione radiotelevisiva era assicurata da Telecapodistria e
Radio Koper-Capodistria. Il "Dramma Italiano" non si limitava a
rappresentare le proprie opere nel teatro di Fiume, ma addirittura
compiva tourneés regionali. Alla vivacità culturale della nostra
minoranza si aggiungeva l'impegno politico assicurato dall'Unione
degli Italiani dell'Istria e di Fiume, (UIIF).
Nonostante la situazione delle minoranze sembrasse, a prima
vista, rosea, la loro sopravvivenza era messa in pericolo dalla
mancanza di democrazia nella società jugoslava.
La Costituzione aveva, infatti, riaffermato il ruolo guida della
LCJ, del maresciallo Tito, l'autogestione come forma specifica della
"dittatura del proletariato".
D'altra parte, il problema era che in un contesto privo di
democrazia, la percezione da parte delle minoranze della propria
condizione è falsata e viene percepita con più pericolo e intolleranza
di quella di un cittadino qualunque
8
.
La Costituzione del 1974 finì, così, per costituire un insieme di
principi e dichiarazioni utopiche che, di fatto, furono largamente
disattese.
8
S. BIANCHINI, op. cit., p. 41.
6
1.2. La minoranza italiana negli anni '80 e la sua
organizzazione tradizionale di tutela, l'UIIF.
Il censimento del 1981 rivelò un dato allarmante: soltanto 15.132
cittadini jugoslavi si erano dichiarati di nazionalità italiana con un
decremento del 30,6% rispetto al censimento del 1971.
Il notevole calo numerico della minoranza si registrò in questi
anni anche nelle iscrizioni alle istituzioni scolastiche. Negli anni 77-78
gli alunni iscritti nelle scuole italiane subirono una diminuzione del
16,4% rispetto agli anni 74-75.
Sembrò che ci si stesse muovendo verso l'assimilazione o,
peggio, la scomparsa del gruppo etnico italiano.
Sintomo, e allo stesso tempo, conseguenza di questa curva
decrescente era la condizione della lingua italiana. A causa dei
matrimoni misti, dell'affievolirsi della coscienza nazionale, dello
scarso finanziamento delle attività sociali e culturali e dei programmi
per l'insegnamento della lingua italiana, l'italiano era stato
progressivamente dimenticato anche dagli appartenenti al gruppo
nazionale italiano (GNI).
Nonostante l'ampia gamma dei diritti contenuti nella
Costituzione, i rappresentanti della minoranza italiana protestavano
che i diritti della nazionalità erano ignorati, particolarmente nell'area
della cultura e dell'educazione.
I finanziamenti, concessi dalle autorità jugoslave alle attività
sociali del GNI, erano insufficienti. Il Centro di Ricerche Storiche di
7
Rovigno, (CRS), non riusciva a sopravvivere solo con i finanziamenti
concessi dall'Italia.
Molti altri progetti, inoltre, o non erano stati avviati o dovevano
essere accantonati. Per esempio, il Teatro di Fiume, "Dramma
Italiano", riusciva a mettere in scena solo pochi spettacoli e con
enorme difficoltà.
Per non parlare del bilinguismo che in alcune cittadine non era
stato assolutamente attuato.
Del problema della lingua si occupò attivamente l'UIIF, la
massima istituzione del GNI, fondata con l'appoggio e per iniziativa
della LCJ il 12 luglio 1944 a Camparovica, nei pressi di Albona
9
.
Dopo la capitolazione dell'Italia, gli antifascisti italiani aderirono in
massa alla lotta dei partigiani jugoslavi, mirando al riconoscimento, da
parte degli slavi, del diritto degli italiani ad essere inclusi nella
Jugoslavia. La nascita dell'Unione si inserì, dunque, nel quadro della
reazione antifascista, che seguì alla fine della guerra. In questo
contesto, infatti, l'UIIF diede priorità al rafforzamento dell'unità e
della fratellanza con gli slavi sulla base dei valori dell'antifascismo,
piuttosto che alla salvaguardia dei valori degli italiani.
Solo nel periodo successivo alla fine della guerra, quando
l'annessione dell'Istria alla Jugoslavia sembrava definitiva, l'attività
dell'UIIF assunse una funzione prevalentemente culturale e di difesa
delle libertà democratiche.
9
N. MILANI-KRULJAC, La Comunità Italiana in Istria e a Fiume, fra diglossia e bilinguismo,
"Etnia", Trieste-Rovigno, Centro di Ricerche Storiche di Rovigno, I, 1990.
8
Negli anni 60-70, poi, gli sforzi dell'UIIF furono indirizzati al
conseguimento di un'autonomia - mai raggiunta - basata
sull'autogoverno.
Negli anni 80, invece, preso atto del fallimento della politica
precedente e per rimediare alla situazione di emarginazione in cui si
trovava ormai relegata la CNI, l'UIIF propose il passaggio dalla
semplice "tutela" della lingua e della cultura italiane, che
presupponeva da parte della maggioranza il riconoscimento di una
differenza che però non condivideva, alla "socializzazione" che,
invece, sottindeva la volontà di arricchirsi delle differenze presenti
nella società
10
.
Tra gli strumenti da utilizzare per frenare l'assimilazione in
corso, l'UIIF valutava importante non solo la difesa della lingua, ma
anche lo sviluppo di rapporti di collaborazione con la nazione
d'origine, del pluralismo culturale, del bilinguismo integrale.
Il bilinguismo, infatti, benché riconosciuto dalla Costituzione
Federale, da quelle repubblicane oltre che dagli Statuti Comunali, di
fatto era stato largamente disatteso.
Inoltre, non era stato esteso a tutto il territorio istriano, né a tutte
le zone dove era presente il GNI, ma solo alle zone giuridicamente
bilingui. Solo in queste zone, pertanto, l'italiano era insegnato nelle
scuole della maggioranza e si potevano trovare insegne e cartelli
bilingui.
10
N. MILANI-KRULJAC, op. cit., p.234.
9
Il problema era che la lingua non poteva essere considerata
semplicemente una questione di pertinenza dei linguisti e dei filologi.
Il Censimento del 1981, infatti, aveva dimostrato che, dove la
tutela linguistica non era stata rispettata, si era verificato, in pochi
anni, un calo notevole del numero degli appartenenti alla comunità
italiana: 40% ad Albona; 49% a Cherso e Lussino; 57% a Parenzo;
59% a Pisino
11
.
Nella parte dell'Istria appartenente alla repubblica di Slovenia,
(più attenta ai diritti delle minoranze), il calo complessivo era risultato
del 27%, mentre nel resto dell'Istria croata, aveva raggiunto il 33%.
Sulla difesa della lingua e sull'estensione di territori bilingui,
dunque, si svolgeva l'attività frenetica dell'UIIF negli anni '80, che
sarà riassunta e formalizzata nelle "10 Tesi di Pirano", (v. allegato),
dal nome della cittadina slovena dove si svolse, nel novembre 1985, la
terza sessione della Seconda Conferenza dell'UIIF.
Le conclusioni di Pirano costituiscono le linee direttive che
hanno guidato l'azione della minoranza italiana nella seconda metà
degli anni '80 e, per quanto vasta e ambiziosa, è sintomo della tenace
volontà della minoranza di resistere a quel "trend" negativo che
avrebbe portato alla scomparsa di un gruppo autoctono dell'Istria.
In tale situazione, l'accentuarsi degli elementi di
frammentazione all'interno della Federazione portarono una maggiore
vivacità nell'azione della minoranza. Sempre più frequenti diventarono
le sue battaglie per la conquista di un proprio spazio.
11
Italia aiuto, ci cancellano!, "Corriere della Sera", 23 gennaio 1988.
10
1.3. I problemi del bilinguismo e la nascita di "Gruppo
"88".
Dal censimento del 1981 la componente italiana era uscita decimata e
la preoccupazione per la nuova "conta" del '91 cominciò a crescere.
Alla fine degli anni '80, si fece sempre più ricorrente la richiesta e
riproposizione dei concetti del bilinguismo e biculturalismo integrali
da attuare nell'area istro-quarnerina.
Mai, prima d'ora, il problema di una politica bilingue era stato
posto con tale preoccupazione per le sorti della componente autoctona
italiana in fase di estinzione.
La conclusione del secondo conflitto mondiale e gli eventi che
lo seguirono, il cambiamento della sovranità territoriale e, soprattutto,
l'esodo della maggior parte della componente italiana avevano
cambiato i rapporti di forza evidenziando che l'unica ancora di
salvezza per il cittadino italiano, per mantenere la sua identità e
garantire la sopravvivenza del gruppo nazionale, sarebbero stati il
rispetto e la valorizzazione delle sue peculiarità, di cui la lingua
costituiva l'elemento più qualificante.
Il bilinguismo, per quanto sancito dal dettame costituzionale e
da documenti politici e amministrativi successivi, era stato, invece,
trascurato.