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Sono quindi cambiati i ruoli sia del contribuente che dell’Amministrazione finanziaria.
Il primo potrà partecipare maggiormente alla definizione del suo rapporto con l’ufficio,
in quanto non è più tenuto ad effettuare semplicemente il pagamento delle somme
dovute ma dovrà cercare di esprimere le proprie opinioni ed i propri interessi per
definire l’accordo; la seconda assumerà un ruolo, in un certo senso, più “manageriale”,
non potendo prescindere dalla valutazione dei costi e dei benefici dell’accordo.
Proprio in quest’ottica si muove la conciliazione giudiziale, volta a cercare di favorire
l’accordo tra l’Amministrazione finanziaria ed il contribuente; tale istituto rappresenta
quindi il mezzo, attraverso il quale è possibile chiudere una lite con il fisco, in tempi
brevi ed evitando i rischi derivanti dalla sua prosecuzione; può essere applicato a tutte le
controversie (garantendo un ambito di applicazione tendenzialmente più vasto
dell’accertamento con adesione) e garantisce innumerevoli vantaggi per entrambe la
parti. Per esempio, il contribuente potrà:
o chiudere la lite, nel caso di conciliazione totale;
o ridurre le sanzioni amministrative ad un terzo delle somme irrogabili;
o ridurre le sanzioni penali e ottenere la mancata applicabilità di quelle accessorie poiché
la conciliazione ha valore di circostanza attenuante;
o ottenere la compensazione delle spese del giudizio.
Mentre, i vantaggi per l’Amministrazione finanziaria riguardano:
o la sicurezza circa il pagamento del contribuente;
o la certezza di poter evitare lunghe e costose liti.
La conciliazione giudiziale, che rappresenta la parte centrale dell’elaborato, è trattata al
terzo capitolo, dove è analizzato il suo campo di applicazione e le varie procedure,
ponendo anche particolare attenzione ha tutti i vari problemi interpretativi (dell’articolo
48 del d. lgs. 546 del 1992) ed applicativi che nel corso del tempo sono emersi.
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Nel primo capitolo, invece, è analizzato il contenzioso tributario che rappresenta la
premessa all’intero elaborato, poiché è proprio in questo momento che le parti potranno
valutare la convenienza di risolvere la lite tramite la conciliazione giudiziale; infine, il
secondo capitolo espone brevemente l’evoluzione storica degli strumenti di accordo tra
le parti, che nel corso del tempo sono stati disciplinati dal legislatore (prestando
ovviamente particolare attenzione alla conciliazione giudiziale), il quale ha spesso
mutato opinione circa la convenienza dell’introduzione di tali istituti, fino a
riconoscerne l’assoluta ineliminabilità, poiché necessari al fine di garantire il buon
funzionamento del processo tributario e la tutela degli interessi del fisco.
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1. Il contenzioso tributario
1.1. Introduzione
Questo capitolo si propone di illustrare gli elementi fondamentali del contenzioso
tributario, premessa necessaria al fine di poter inquadrare correttamente l’ambito di
operatività della conciliazione giudiziale, che rappresenta la parte centrale
dell’elaborato.
1.2. Gli articoli 24 e 113 della Costituzione come introduzione al
contenzioso tributario
L’articolo 24 della Costituzione enuncia: “ Tutti possono agire in giudizio per la tutela
dei propri diritti ed interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e
grado del procedimento”.
L’articolo 113 a sua volta afferma: ”Contro gli atti della pubblica amministrazione è
sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi (…). Tale
tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di
impugnazione o per determinate categorie di atti”.
In virtù degli articoli sopra citati, è necessario che il cittadino abbia a sua disposizione
una serie di strumenti di tutela contro gli atti lesivi dei suoi diritti ed interessi legittimi
emessi dalla pubblica amministrazione, la quale, per motivi di semplicità, di
economicità oppure perché lo impone la legislazione in vigore, emette atti per quanto
risulta dalle dichiarazioni, dai verbali della guardia di finanza o perfino da archivi
elettronici (anagrafe tributaria); è quindi chiaro che tali atti possono essere soggetti ad
errore. In tale situazione è importante tutelare il contribuente da atti viziati o
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palesemente infondati, dandogli la possibilità di ricorrere davanti ad un giudice che
risolva la controversia sollevata.
1.3. Brevi cenni storici sull’evoluzione delle Commissioni tributarie
Le attuali Commissioni tributarie sono il risultato di un lungo processo di evoluzione.
La legge 2248 del 1865 aboliva il contenzioso amministrativo, ma non il contenzioso
tributario, che era formato da tre gradi di giudizio. Con la legge delega 825/1971 ed il
successivo D.P.R 636/1972, si è formato il sistema che è rimasto in vigore fino al 1996,
secondo il quale, il contenzioso tributario si basava su tre gradi: il primo ed il secondo
si svolgevano davanti alle Commissioni tributarie, rispettivamente provinciali e
regionali; al termine dei primi due gradi di giudizio, il contribuente poteva impugnare la
sentenza di fronte alla Commissione tributaria centrale oppure davanti alla Corte di
Appello, trasferendo così il processo davanti al giudice ordinario.
Le sentenze emesse sia della Commissione tributaria centrale che dalla Corte di Appello
potevano essere impugnate di fronte alla Cassazione.
Tale procedura, nel corso degli anni, dimostrò la sua incapacità a garantire uno
svolgimento rapido delle controversie, inoltre mancavano importanti strumenti di tutela
del contribuente: non era presente un procedimento di esecuzione delle sentenze del
giudice tributario (giudizio di ottemperanza), non era obbligatoria l’assistenza tecnica al
contribuente e, in fine, i criteri di scelta dei membri della Commissione tributaria erano
criticabili, dato che spesso non garantivano l’effettiva competenza tecnica sulla materia,
poiché i membri erano scelti solo in base al possesso di titoli formali.
Con i decreti legislativi del 31 dicembre 1992 n. 545 e 546, in attuazione della delega
contenuta nell’articolo 30 della legge n. 413 del 1991, sono state riformate le
Commissioni ed il processo tributario. Con tale riforma è stata soppressa la
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Commissione centrale, di conseguenza alla Commissione regionale segue il giudizio di
fronte alla Corte di Cassazione, inoltre è stata estesa la giurisdizione delle Commissioni
a tutti i tributi di ogni genere e specie. La riforma ha infine introdotto l’assistenza
tecnica obbligatoria
1
, l’istituto della conciliazione giudiziale, il giudizio di ottemperanza
ed il rimborso delle spese del processo a carico del soccombente.
Tra le direttive date dal delegante, fondamentale risulta l’adeguamento del processo
tributario alle norme del processo civile. Il D.P.R n. 546 contiene infatti una norma di
rinvio al Codice di Procedura Civile; il rinvio può avvenire solamente qualora
all’interno del medesimo D.P.R manchi qualsiasi norma che disciplini tale fattispecie e
se la procedura civile è compatibile con il processo tributario.
1.4. La Commissione tributaria
Le Commissioni tributarie si articolano in Commissioni provinciali (hanno sostituito le
Commissioni di primo grado) e in Commissioni regionali. Nel diritto tributario la
competenza è per territorio; non esistono quindi altri criteri come quello per materia
oppure per funzione. La Commissione tributaria si occupa di tutti gli atti emessi
dall’Amministrazione finanziaria che si trova nella sua circoscrizione; la competenza è
inoltre inderogabile
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, ed è rilevabile, anche d’ufficio, solo nel grado a cui il giudizio si
riferisce. Il ricorso presso una Commissione incompetente non è però un errore
irrimediabile, che esclude la possibilità di tutela dell’individuo poiché, come già detto,
l’incompetenza può essere rilevata anche d’ufficio nel relativo grado del giudizio e, in
1
L’assistenza tecnica non è obbligatoria per controversie di valore inferiore ad euro 2582, se il
contribuente è abilitato alla difesa di terzi e per l’impugnazione di atti emessi dal centro servizi.
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Tale norma tende ad evitare che possa esserci qualsiasi accordo per ritenere competente una
Commissione diversa da quella stabilita per legge.
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tal caso, la Commissione incompetente indicherà anche quella a cui il contribuente
dovrà rivolgersi per impugnare l’atto.
L’articolo 2 del D.P.R 546 del 1992 individua l’oggetto della giurisdizione tributaria, la
quale attiene alla ripartizione delle liti tra giudici appartenenti ad ordini diversi, nelle
controversie riguardanti le seguenti imposte:
o imposta sui redditi;
o iva;
o invim (fino ad esaurimento);
o imposta di registro;
o imposta sulle successioni (fino ad esaurimento) e donazioni;
o imposta ipotecaria e catastale;
o imposta sulle assicurazioni;
o tributo per il deposito in discarica di rifiuti solidi;
o tributi comunali e locali;
o ogni altro tributo indicato dalla legge;
o controversie relative all’irap.
Sempre in base all’articolo 2, rientrano nella giurisdizione delle Commissioni anche:
o le controversie circa sovraimposte, addizionali, sanzioni amministrative ed interessi
relativi alle imposte di cui sopra;
o le controversie in materia catastale rientranti nel comma 2 dell’articolo 2.
Affinché la controversia rientri nella giurisdizione della Commissione tributaria non è
sufficiente che si riferisca ad una materia di cui sopra, ma devono essere rispettati altri
due presupposti:
a) la controversia deve essere introdotta dal contribuente (soggetto passivo), davanti alla
Commissione tributaria competente;