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INTRODUZIONE
La trattazione che segue ha ad oggetto l’istituto del silenzio-assenso,analizzato
alla luce della legge sul procedimento amministrativo n. 241/1990 e delle sue
successive modifiche.
L’evoluzione legislativa ha ampliato l’applicazione di quest istituto,non più
limitata ai soli casi determinati con regolamento come previsto nel testo originario
dell’art. 20,l. n. 241/1990,che ne detta la disciplina,ma generalizzata a tutti i
procedimenti ad istanza di parte(salvo per le ipotesi espressamente escluse)come
previsto dallo stesso articolo riscritto dalla l. n. 80/2005,e come confermato dalla
recente riforma ad opera della l. n. 69/2009.
Quest’ultima riforma non incide sul testo dell’art. 20 se non in minima parte,ma
contribuisce a riscrivere la disciplina dei termini di conclusione del procedimento
ex art. 2,l. n. 241/1990-di cui si dovrà necessariamente tener conto anche
nell’applicazione del silenzio-assenso-oltre che alla riscrittura dell’art. 29,l. n.
241/1990,che definisce l’ambito di applicazione della legge sul procedimento
amministrativo.
Ed è su tale ultima disposizione citata che si ritiene utile soffermarsi prima di
addentrarsi nell’analisi dell’isituto in oggetto.
L’art. 29,l. n. 241/1990,nella versione originaria stabiliva che le regioni a statuto
ordinario avrebbero regolato le materie disciplinate nella legge sul procedimento
nel rispetto dei principi in essa desumibili,costituenti principi generali
dell’ordinamento giuridico,mentre regioni a statuto speciale e province autonome
avrebbero provveduto ad adeguare i rispettivi ordinamenti alle norme
fondamentali in essa contenute,entro un anno dalla sua entrata in vigore.
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Da questa versione dell’articolo balzano all’occhio due aspetti:il primo è che la
241 si poneva come legge di principio,cui le regioni dovevano conformare le loro
rispettive discipline sul procedimento amministrativo.Ciò rispondeva ad
un’esigenza di omogenità nella disciplina della materia tenuto conto che,vigente
l’originaria versione dell’art. 117 Cost,l’ordinamento degli uffici e degli enti
amministrativi dipendenti dalle regioni rientrava tra le materie di competenza
esclusiva delle stesse.Il secondo aspetto è che il testo originario dell’art. 29 non
citava le amministrazioni statali e gli enti pubblici nazionali,per cui era attraverso
un’attività deduttiva che si poteva affermare per esse l’applicazione integrale della
legge 241,essendo invece precisato che per le regioni rappresentava legge di
principio.
Successivamente,la l. n. 15/2005 di modifica della l. n. 241/1990 riscrisse anche
l’art. 29,pervenendo ad un linguaggio più chiaro.
Nella nuova versione esso prevedeva che le disposizioni della legge 241 si
applicassero ai procedimenti amministrativi che si svolgevano nell’ambito delle
amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali,e in tema di giustizia
amministrativa a tutte le p.a..Inoltre,regioni ed enti locali nell’ambito delle
rispettive competenze,avrebbero regolato le materie disciplinate dalla legge sul
procedimento,nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino
nei riguardi dell’azione amministrativa,come definite dai principi stabiliti dalla
stessa l. n. 241/1990.
Dunque,venne esplicitata l’applicabilità della 241 alle amministrazioni statali e
agli enti pubblici nazionali,mentre in tema di giustizia amministrativa venne
affermato che la relativa disciplina era applicabile a tutte le p.a.,conformemente
alla previsione del nuovo art. 117 Cost.,come sostituito dalla l. Cost. n. 3/2001,che
nel disciplinare al c. 2 le materie di esclusiva competenza statale,ha incluso alla
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lett. l),la giustizia amministrativa,per evidenti esigenze di uniformità nella
disciplina di tale materia a livello nazionale.
Osserviamo inoltre che nel riscrivere l’art. 29,l. n. 241/1990,la l. n. 15/2005
conferma che rispetto a regioni ed enti locali la legge sul procedimento
amministrativo si atteggia a legge di principio.Esse nel porre la disciplina di
procedimenti e provvedimenti amministrativi,devono rispettare il sistema
costituzionale e le garanzie poste a tutela del cittadino dall’azione
amministrativa,così come definite dai principi posti dalla 241.Se il rinvio al
rispetto del sistema costituzionale poteva apparire una previsione superflua in
quanto ovvia,non lo è quello ai principi posti dalla 241,potendosi attraverso esso
far riferimento a tutti quei principi di derivazione costituzionale e comunitaria che
vincolano anche il legislatore regionale,così come confermato dall’art. 117,c. 1
Cost.,come sostituito dalla l. Cost. n. 3/2001,e come esplicitato dalla l. n.
241/1990.
Nel complesso quindi,la versione dell’art. 29,l. n. 241/1990,posta dal legislatore
nel 2005,poteva considerarsi soddisfacente,rispettando al tempo stesso
l’autonomia legislativa delle regioni e le esigenze di uniformità nella disciplina di
procedimento e provvedimento amministrativo.
Nel 2009 però,interviene una nuova riforma,ad opera della legge n. 69,la quale
modifica consistentemente l’art. 29.
L’art. 29,c. 1,l. n. 241/1990,come sostituito dall’art. 10,c. 1,lett. b),l. n.
69/2009,stabilisce che:
“Le disposizioni della presente legge si applicano alle amministrazioni statali
e agli enti pubblici nazionali.Le disposizioni della presente legge si
applicano,altresì,alle società con totale o prevalente capitale
pubblico,limitatamente all’esercizio delle funzioni amministrative.Le
disposizioni di cui agli articoli 2-bis,11,15 e 25,commi 5,5-bis e 6,nonché
quelle del capo IV-bis si applicano a tutte le amministrazioni pubbliche.”
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Il c. 1 conferma l’applicabilità della legge 241 alle amministrazioni di stato ed enti
pubblici nazionali,ed include inoltre le società a totale o prevalente partecipazione
pubblica,limitatamente alle funzioni amministrative da queste svolte.Non fa più
riferimento invece,alla generale applicabilità della disciplina sulla giustizia
amministrativa alle p.a. complessivamente considerate,ma procede ad una sorta di
elencazione-richiamando gli articoli 2-bis(conseguenze per il ritardo
dell’amministrazione nella conclusione del procedimento);11(accordi integrativi o
sostitutivi del provvedimento);15(accordi fra pubbliche
amministrazioni);25,cc.5,5-bis e 6(tutela giurisdizionale del diritto di
accesso);capo IV-bis(efficacia ed invalidità del provvedimento amministrativo)-ed
affermando l’applicabilità delle disposizioni richiamate a tutte le p.a..
Si tratta in sostanza di disposizioni richiamanti materie di potestà legislativa
esclusiva dello stato-ex art. 117,c. 2,lett. l),Cost.-quali la giustizia amministrativa
e l’ordinamento civile:dunque,se il legislatore attraverso quest’elencazione si
proponeva maggior chiarezza,in realtà non aggiunge nulla di nuovo.
L’art. 29 prosegue facendo salvo il c. 2,introdotto dalla l. n. 15/2005,e che come
precedentemente visto stabilisce che:
“Le regioni e gli enti locali,nell’ambito delle rispettive competenze,regolano
le materie disciplinate dalla presente legge nel rispetto del sistema
costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell’azione
amministrativa,così come definite dai principi stabiliti dalla presente legge.”
Dopo il c. 2,art. 29,l. n. 241/1990,l’art. 10,c. 1,lett. b),l. n. 69/2009,ne aggiunge
altri quattro.
Per la precisione i cc. 2-bis,2-ter e 2-quater,individuano non come nel c. 1
attraverso l’elencazione di articoli,bensì identificando i vari oggetti di
disciplina,gli aspetti per i quali deve essere garantita agli amministrati la tutela dei
livelli essenziali delle prestazioni citate ai commi suddetti.Il c. 2-quinquies
invece,precisa semplicemente che le regioni a statuto speciale e le province
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autonome adeguano la loro legislazione alle disposizioni dell’art. 29,secondo i
rispettivi statuti e le relative norme di attuazione.
Brevemente:
c. 2-bis:”Attengono ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’art.
117,secondo comma,lett. m),della Costituzione le disposizioni della presente
legge concernenti gli obblighi per la pubblica amministrazione di garantire la
partecipazione dell’interessato al procedimento,di individuarne un
responsabile,di concluderlo entro il termine prefissato e di assicurare
l’accesso alla documentazione amministrativa,nonché quelle relative alla
durata massima dei procedimenti.”
Come si può osservare,il legislatore individua una serie di istituti la cui portata è
trasversale alle amministrazioni,trattandosi di mezzi di tutela del privato
dall’azione amministrativa.E’ evidente che in quanto corrispondenti a diritti dei
cittadini derivanti dai principi costituzionali e comunitari,il rispetto di tali istituti
si impone non solo alle amministrazioni statali ma anche a quelle regionali,ed
ecco spiegato il richiamo del c. 2-bis all’art. 117,c. 2,lett. m),Cost.:esso include tra
le materie di esclusiva competenza statale”la determinazione dei livelli essenziali
delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su
tutto il territorio nazionale”.
In questo caso,il livello minimo delle prestazioni che deve essere garantito attiene
a quelle amministrative,e attraverso il richiamo alla relativa disposizione
costituzionale è consentito al legislatore statale intervenire anche su materie
appartenenti alla potestà legislativa regionale,al fine di garantirne una disciplina il
più possibile omogenea sull’intero territorio nazionale.Ciò ovviamente non
significa precludere al legislatore regionale di continuare a disciplinare quelle
materie,ma che esso deve rispettare dei parametri minimi di tutela posti dal
legislatore statale.
Il richiamo al livello minimo delle prestazioni si ripete al c. 2- ter,art. 29,l. n.
241/1990,come introdotto dalla l. n. 69/2009,e include anche l’istituto del
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silenzio-assenso che qui ci interessa:
2-ter:“Attengono altresì ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’art.
117,secondo comma,lett. m),della Costituzione le disposizioni della presente
legge concernenti la dichiarazione di inizio attività e il silenzio assenso,salva
la possibilità di individuare,con intese in sede di Conferenza unificata di cui
all’art. 8 del d.lgs 28 agosto 1997,n. 281,e successive modificazioni,casi
ulteriori in cui tali disposizioni non si applicano.”
Come precedentemente osservato,il riferimento ai livelli essenziali delle
prestazioni ha lo scopo di garantire una disciplina uniforme di una materia sul
territorio nazionale.Ciò che potrebbe creare perplessità è la riconduzione di istituti
di semplificazione,tipiche espressioni della discrezionalità amministrativa,quali la
d.i.a. ed il silenzio-assenso,alla potestà legislativa esclusiva dello stato per la
fissazione dei livelli essenziali delle prestazioni,cosa che potrebbe essere percepita
come una compressione dell’autonomia legislativa regionale.Ma ciò può essere
spiegato tenendo presente che trattandosi di istituti di semplificazione
amministrativa volti a consentire ai privati l’esercizio semplificato di certe
attività,si renderà necessario assicurare loro la tutela di standard minimi di
garanzia che può ben stabilire il legislatore statale,senza tuttavia precludere a
quello regionale di stabilire ulteriori livelli di tutela,come confermato dal
successivo comma 2-quater:
“Le regioni e gli enti locali,nel disciplinare i procedimenti amministrativi di
loro competenza,non possono stabilire garanzie inferiori a quelle assicurate
ai privati dalle disposizioni attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni di
cui ai commi 2-bis e 2-ter,ma possono prevedere livelli ulteriori di tutela.”
Il richiamo all’art. 117,c. 2,lett. m),Cost. quindi,vale come livello minimo di tutela
degli amministrati nei riguardi dell’azione amministrativa,da garantire sull’intero
territorio nazionale fermo restando che ulteriori livelli di tutela possono sempre
essere predisposti.
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CAPITOLO 1
OBBLIGO DI PROVVEDERE E INERZIA AMMINISTRATIVA
Premessa
L’azione amministrativa si estrinseca nell’esercizio di pubblici poteri,attribuiti
alla p.a. dall’ordinamento giuridico,con lo scopo di curare interessi pubblici
giudicati prevalenti rispetto al perseguimento di interessi privati,la cui
soddisfazione invece,passerà attraverso l’esercizio del potere medesimo.
Principale espressione dell’esercizio dei pubblici poteri è il provvedimento
amministrativo:atto culminante di una sequenza di atti,fatti e attività,attraverso
cui la p. a. manifesta la propria volontà,nell’esercizio dei suoi poteri.
Per mezzo dei provvedimenti amministrativi la p.a. è in grado di
costituire,modificare o estinguere situazioni giuridiche soggettive,allo scopo di
perseguire l’interesse pubblico affidato alla sua cura.
Proprio in considerazione di ciò,è necessario che sia il provvedimento
amministrativo che il procedimento di cui è momento culminante,rispondano ad
un criterio di tipicità:siano cioè espressamente previsti e disciplinati
dall’ordinamento giuridico.
Principale fonte normativa è in questo ambito la legge n.241/1990 e successive
modificazioni,recante”Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e
di diritto di accesso ai documenti amministrativi”.
Essa rappresenta uno dei momenti fondamentali nel proceso di riforma della p.a.
avviato negli anni’90 e volto a superare il modello gerarchico ed autoreferenziale
dell’organizzazione amministrativa,a favore di un’organizzazione partecipativa e
relazionale operante in termini di efficienza e produttività.
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Nei paragrafi seguenti mantenendo come punto di riferimento la legge
n.241/1990,sarà effettuato un confronto tra l’obbligo amministrativo di
provvedere e le ipotesi in cui la p.a. sia inerte,ossia non concluda il procedimento
amministrativo con un provvedimento espresso.
1. Obbligo di provvedere
L’art. 2,comma 1,della l. n. 241/1990
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,stabiliva che:
“Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad una istanza,ovvero
debba essere iniziato d’ufficio,la pubblica amministrazione ha il dovere di
concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso.”
Tale disposizione evidenzia la doverosità dell’azione amministrativa,volta a
soddisfare l’interesse del soggetto(pubblico o privato)autore dell’istanza,e
sottolinea altresì l’obbligo per la p.a. di procedere e concludere il procedimento
con un provvedimento espresso.
Attualmente,l’art.7,c. 1,lett. b),l. n. 69/2009,ha riscritto interamente l’art. 2 della l.
n. 241,lasciando comunque inalterato il generale obbligo di provvedere mediante
l’adozione di un provvedimento espresso entro termini prestabiliti,limitandosi a
specificare che l’obbligo si applica a tutte le pubbliche amministrazioni
2
.
Da un’interpretazione letterale della disposizione in esame però,l’obbligo in capo
alla p.a. di adottare un provvedimento espresso non sembrerebbe assoluto,dato
che il c. 1 sancisce questo dovere solo quando il procedimento consegua
obbligatoriamente ad un’istanza o debba essere iniziato d’ufficio.
Perciò sarà l’amministrazione interessata che con riferimento al caso concreto
1
L’art. così recitava sia nel testo originario,sia nel testo come sostituito,dall’art.
3,c. 6-bis,della l. n. 80/2005,di conversione del d. l. n. 35/2005.
2
Cfr:Art. 2,c. 1,l. n. 241/1990,come sostituito dall’art. 7,c. 1,lett. b),l. n.
69/2009:”Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza,ovvero
debba essere iniziato d’ufficio,le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di
concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso.”.
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valuterà se in base alle fonti legislative e regolamentari disciplinanti specifici
procedimenti,sussista il dovere di procedere e di provvedere.
Tale dovere si manifesterà quando il soggetto che propone l’istanza è titolare di
una situazione giuridica soggettiva protetta dall’ordinamento,ossia di un interesse
qualificato:ciò significa che la norma attributiva del potere amministrativo o
l’ordinamento giuridico prendano in considerazione oltre l’interesse pubblico,alla
cui soddisfazione l’azione amministrativa è primariamente rivolta,anche
l’interesse particolare del privato su cui incide l’azione amministrativa.
L’attività giurisprudenziale ha avuto ruolo rilevante nell’individuazione dei
presupposti del dovere amministrativo di procedere e provvedere.Ad esempio,si è
rinvenuto tale obbligo anche quando,pur mancando espresse prescrizioni
normative,sussistessero ragioni di giustizia o esistessero rapporti tra privati ed
amministrazione tali da imporre l’adozione di un provvedimento,in base ai
principi di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione.
Le pronunce del giudice amministrativo hanno permesso di individuare anche
ipotesi in cui può essere escluso l’obbligo di procedere e provvedere.Ciò ad
esempio quando sia già stata adottata una formale risoluzione amministrativa
inoppugnata e non siano sopravvenuti mutamenti della situazione di fatto o di
diritto,o si tratti di domande manifestamente assurde o totalmente infondate o
illegali.
Altre ipotesi in cui è possibile escludere l’obbligo di conclusione del
procedimento riguardano l’adozione di atti normativi e a contenuto generale,tant’è
vero che l’art. 3,c. 2,l. 241/1990,esclude per essi l’obbligo di motivazione,mentre
l’art. 13,c. 1,della medesima legge, esclude l’applicazione delle disposizioni del
capo III disciplinanti la partecipazione al procedimento amministrativo.
Un’ultima osservazione può essere compuita con riguardo all’esercizio del potere
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amministrativo di autotutela:trattandosi di una manifestazione tipica di un potere
discrezionale della p.a. è da escludere si configuri un obbligo per
l’amministrazione ad agire a seguito di istanze volte a sollecitare l’esercizio di tale
potere,dal momento che è la stessa amministrazione e solo essa,che dopo aver
valutato la sussistenza o meno di un interesse che giustifichi un’azione di
autotutela a decidere se attivarla o meno
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.
2. Termine del procedimento
L’art. 2,commi 2 e 3,della l. n. 241/1990,nella versione originaria stabiliva che:
c. 2 “Le pubbliche amministrazioni determinano per ciascun tipo di
procedimento,in quanto non sia già direttamente disposto per legge o
regolamento,il termine entro cui esso deve concludersi.Tale termine decorre
dall’inizio di ufficio del procedimento o dal ricevimento della domanda se il
procedimento è ad iniziativa di parte.”
c. 3 “Qualora le pubbliche amministrazioni non provvedano ai sensi del
comma 2,il termine è di trenta giorni.”
Com’è possibile evincere dalla lettura di tali disposizioni,esse affermarono la
necessità di un’azione amministrativa rispondente a criteri di speditezza e
tempestività,nonché il principio del termine ragionevole del procedimento.Veniva
inoltre stabilito un termine breve di trenta giorni per la conclusione del
procedimento qualora non fosse già stabilito per legge o regolamento,allo scopo di
garantire agli amministrati termini certi dell’azione amministrativa.Come
confermato dalla giurisprudenza costituzionale,il termine breve di trenta giorni
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Cfr:Cons. Stato,sez. V,n. 808/2003,Riv. giur. edilizia,2003,I,p. 772:”L’obbligo
di provvedere,[…],non può essere esteso all’adozione di provvedimenti di
autotutela[…].”;Cons. Stato,sez. IV,n. 7136/2003,Foro amm.-Cons. Stato,2003,p.
3291:”I provvedimenti di autotutela sono espressione dell’esercizio di un potere
tipicamente discrezionale della p.a.,che non ha alcun obbligo di attivarlo e,qualora
intenda farlo,deve valutare la sussistenza o meno di un interesse che giustifichi la
rimozione dell’atto,valutazione della quale essa sola è titolare[…].”.