2
del titolo di soggiorno3. Occorre aggiungere che la maggior parte di coloro che
riescono a sbarcare sfuggendo ai controlli, non si trattiene in Italia, ma prosegue
verso altri Paesi europei, cosicchØ l incidenza degli arrivi in rapporto al territorio e
alla popolazione gi presente si riduce in modo sig nificativo. Ci nonostante, il
controllo delle frontiere marittime non solo continua ad occupare un posto
preminente nei discorsi pubblici sul contrasto all immigrazione illegale, ma Ł
anche una delle voci di spesa maggiori tra le risorse destinate all immigrazione
nel bilancio approvato a fine 2006 dal Parlamento Europeo4.
Se poi guardiamo alla zona di massima concentrazione degli sbarchi di
migranti sulle coste siciliane, ossia la provincia di Agrigento, del cui territorio fa
parte l isola di Lampedusa, meta principale di approdo, anche qui i dati relativi
non possono far pensare a quella invasione tanto paventata dai mezzi di
informazione e dall opinione pubblica.
L istituto simbolo di queste politiche, cioŁ il trattenimento degli stranieri nei
CPTA, contribuisce a rafforzare le fondamenta di questa logica, poichØ, definendo
gli immigrati, agli occhi dell opinione pubblica, come un pericolo reale e vicino,
indipendentemente dai comportamenti concreti di ciascun soggetto, criminalizza e
stigmatizza il fatto stesso di migrare. I CPTA rappresentano l elemento piø
importante e decisivo tra gli istituti giuridici preposti alla produzione di
clandestini , nonostante l apparenza possa indurre a pensare il contrario. La
3
Cfr. Ministero dell interno, Lo stato della Sicurezza in Italia, Roma 2005, p. 41, in Nicoletta,
Dentico e Maurizio, Gressi, (a cura di), Libro bianco: I Centri di Permanenza Temporanea e
Assistenza in Italia. Una indagine promossa dal gruppo di lavoro sui CPTA in Italia, 2006, cit.. Il
rapporto ministeriale, pubblicato nell agosto del 2005, aggiunge: «La stessa analisi condotta su
tutti i clandestini rintracciati in Italia nel 2004 ha portato ad una stima del 67% dei cosiddetti
overstayers, del 29% di coloro che hanno attraversato fraudolentemente i valichi di frontiera e del
solo 4% di sbarcati. Lo stesso esame, condotto sui primi sei mesi dell anno in corso, vede una
stima del 61% degli overstayers, del 27% di coloro che hanno attraversato fraudolentemente i
valichi di frontiera e del 12% di sbarcati». Successivamente, nel dicembre 2005, il direttore del
Servizio Immigrazione della Polizia di Stato, Giovanni Pinto, ha indicato nel 14% la quota di
ingressi illegali via mare, nel 26% quella degli ingressi illegali attraverso le frontiere terrestri, nel
60% quella degli overstayers (ANSA, 12.12.2005).
4
Nel bilancio rientra anche lo stanziamento di 34 milioni di euro a Frontex, l agenzia europea
per il controllo delle frontiere. L obiettivo da conseguire nel 2007 consiste nel creare un sistema
permanente di pattugliamento della costa Sud dell Europa.
3
detenzione amministrativa dei migranti, disposta indipendentemente dalla
commissione di specifici reati, serve in realt a razionalizzare e a normalizzare
l intero processo di clandestinizzazione della man odopera internazionale di
riserva .
Partendo da questi presupposti teorici, la nostra ricerca si pone come uno
strumento d analisi utile ad una prima conoscenza del fenomeno del controllo
dell immigrazione e dei Centri per immigrati presenti in Sicilia, per poi
concludere con un approfondimento riguardante il CSPA di Lampedusa.
Il primo capitolo, L evoluzione storica del fenomeno migratorio , dopo un
breve excursus sulle migrazioni internazionali in et moderna, si sofferma
sull attuale fase delle migrazioni globali, analizzando poi la risposta dell Europa
a tale fenomeno e passando successivamente alla descrizione del contesto
migratorio in Italia ed in Sicilia.
Il secondo capitolo, La normativa italiana in materia di immigrazione,
esamina, senza avere la pretesa di essere esaustivo, le principali leggi italiane in
materia, partendo dalla legge n 943 del 1986, cont inuando poi con la c.d. Legge
Martelli , e passando successivamente alle normativ e piø recenti, quali la Legge
Turco-Napolitano del 1998 e la Legge Bossi-Fini , approvata nel 2002;
vengono infine analizzati i punti principali previsti dal recente Disegno di legge
Delega Amato-Ferrero .
Il capitolo terzo, I Centri di Permanenza Temporanea e Assistenza,
approfondisce la trattazione dei CPTA e degli altri Centri per immigrati, cercando
di delinearne un origine e riportando dei cenni sulla nascita di questo istituto nel
nostro Paese. Viene poi presentato un breve excursus sui vari Centri per immigrati
presenti in Sicilia (isola dotata in assoluto del maggior numero di Centri di
detenzione amministrativa per migranti, rispetto a tutte le altre regioni italiane) e
si cercano di analizzare le criticit del sistema, tra le quali l eccessiva onerosit
dei Centri, il mancato raggiungimento degli scopi prefissati, il trattenimento dei
richiedenti asilo, la chiusura dei CPTA al mondo esterno.
Infine, nell ultimo capitolo, Il CSPA di Lampedusa, si prende in
considerazione proprio il suddetto Centro, in quanto, da un lato, data la posizione
4
geografica dell isola al centro del bacino del Mediterraneo e, pertanto, punto di
approdo della maggior parte di migranti che giunge in Italia via mare, e punto di
confine della Fortezza Europa pu essere conside rato l istituto simbolo delle
attuali politiche migratorie poste in essere dall Italia e dall Europa; dall altro lato,
sin dalla sua apertura, nel 1998, il CSPA di Lampedusa Ł sempre stato
protagonista di numerose polemiche. Se ne descrivono pertanto la struttura ed il
funzionamento, accennando poi ai vari nodi problematici emersi negli ultimi anni.
La nostra ricerca si Ł poi avvalsa di alcune interviste effettuate agli stessi
rappresentanti delle Istituzioni che, a vario titolo, sono coinvolte nella gestione del
CSPA di Lampedusa, le quali vengono integralmente riportate in appendice II.
5
1. L evoluzione storica del fenomeno migratorio
La specie umana Ł una «specie migratoria»5. La mobilit geografica di uomini
e donne, infatti, non rappresenta un fenomeno eccezionale nella storia, semmai
costituisce da sempre una strategia sia per garantirsi la sopravvivenza, sia per
avere la possibilit di esercitare attivit e profe ssioni diverse.
Tuttavia «le migrazioni internazionali cos come oggi le conosciamo sono un
fenomeno relativamente recente, che si pu fare ris alire all epoca in cui l idea di
Stato-nazione ha preso corpo nel continente europeo e da l si Ł poi diffusa nel
resto del mondo»6.
L inizio delle migrazioni in et moderna si fa di s olito risalire al XV secolo,
l epoca delle grandi esplorazioni geografiche, quando gli europei iniziarono ad
inoltrarsi in terre fino a quel momento sconosciute, al fine di espandere le proprie
attivit commerciali e di sottomettere i popoli nat ivi. Si possono distinguere nello
specifico alcune fasi delle migrazioni internazionali:
- La prima fase delle migrazioni in et moderna, de finita mercantilista a
motivo dell ideologia allora dominante che vedeva nella crescita dei capitali e
della popolazione una fonte di potere, si pu collo care tra il 1500 ed il 1800.
L immigrazione in questa fase non solo era libera, ma addirittura incoraggiata,
mentre l emigrazione era ostacolata. I movimenti piø massicci di popolazione in
questo periodo furono due: quello delle decine di milioni di europei che
occuparono le terre di conquista, e quello degli schiavi, trasportati coattivamente
dall Africa alle Americhe. Proprio lo schiavismo, secondo numerosi studiosi,
rappresenta il precursore dei moderni meccanismi di reclutamento di forza lavoro
immigrata da impiegare per lo svolgimento di lavori piø gravosi.7
- Nella seconda fase, detta liberale, si afferma l ideologia del libero mercato
nel quale gli attori economici decidono senza vincoli come allocare le proprie
risorse. Tale periodo include gli anni compresi tra il 1840 e l inizio della prima
5
Laura, Zanfrini, Sociologia delle migrazioni, Editori Laterza, Bari 2004.
6
Ivi, pag. 39.
7
Yann, Moulier-Boutang, Dalla schiavitø al lavoro salariato, Manifestolibri, Roma 2002.
6
guerra mondiale, anni in cui vennero aboliti i divieti precedentemente in vigore e
si instaur un regime di libera circolazione. In qu esta fase il lavoro degli
immigrati era considerato indispensabile per la crescita dell economia, tanto che,
oltre ad essere libera, l immigrazione era addirittura incentivata mediante
campagne di reclutamento organizzate da imprese e compagnie navali.
Proprio per l imponente volume dei flussi migratori, questa fase Ł conosciuta
anche come quella della Grande Emigrazione .
Lo scoppio della Grande guerra diede inizio ad un periodo di limitate
migrazioni a causa dell introduzione di controlli sui movimenti sia in ingresso che
in uscita. Pochi anni piø tardi, a motivo della grave depressione del 1929, i flussi
migratori intercontinentali si arrestarono del tutto. Da questo momento in poi,
l immigrazione non sar piø libera, ma sottoposta a diversi vincoli ed al rispetto di
quote annuali assegnate a ciascun Paese di origine e ad una selezione basata sulle
qualifiche professionali dei candidati.
In seguito allo scoppio della seconda guerra mondiale, la mobilit umana
divenne per lo piø indipendente dagli andamenti economici e fu determinata per la
maggior parte dai movimenti dei rifugiati e delle displaced persons.
- Nel secondo dopoguerra il continente Europeo subir una trasformazione da
area di emigrazione ed area di immigrazione, affermandosi come una delle
principali regioni di attrazione dei flussi migratori internazionali.
I lavoratori stranieri in Europa occidentale nel 1963 erano circa tre milioni: nel
1974 raggiungeranno i 7,5 milioni, laddove la popolazione straniera complessiva
aveva superato i 13 milioni. Solitamente i meccanismi di reclutamento, spesso
sanciti da appositi accordi con i Paesi di origine, prevedevano una permanenza
temporanea, il rilascio di un permesso di soggiorno connesso al lavoro ed un
accesso ridotto ai diritti civili e sociali. Dal momento che in Europa, contrariamente
a ci che avveniva nel nuovo continente, non vi era no nazioni con ampi spazi liberi
da popolare, «prevalse una concezione funzionalistica dell immigrazione,
strettamente connessa ai bisogni congiunturali di manodopera».8
Questa fase della storia delle migrazioni viene definita fordista, in quanto
coincise con il consolidamento in Europa di un modello produttivo basato sulla
8
Ivi, pag. 49.
7
grande impresa e il ricorso a vaste schiere di manodopera poco qualificate,
composte per lo piø da immigrati. Tale fase viene altres definita neo- liberale, per
la convinzione allora diffusa che la crescita economica non potesse essere
arrestata a causa dell insufficienza di forza lavoro.
- La crisi petrolifera del 1973 segna la fine della fase precedente: da questo
momento le migrazioni assumeranno la connotazione di presenze non volute ,
tollerate o respinte a seconda dei casi, sempre meno legittimate da ragioni
economiche.
¨ in questa fase delle migrazioni internazionali, c aratterizzata da politiche
restrittive e da flussi spontanei, che i Paesi dell Europa meridionale, tra cui
l Italia, hanno conosciuto la transizione definitiva in aree di destinazione di flussi
eterogenei, giunti al di fuori di politiche di reclutamento attivo diretto, ma spinti
da una serie di meccanismi di reclutamento attivo indiretto, con il conseguente
inserimento della manodopera immigrata all interno del mercato del lavoro
sommerso.
1.1 Migrazioni globali
Secondo A. Giddens:
«[...] il mondo Ł diventato un unico sistema sociale, in virtø di crescenti vincoli
di interdipendenza che coinvolgono ormai tutti noi. Il sistema globale non Ł
semplicemente un ambiente nell’ambito del quale singole societ si sviluppano e
cambiano. Le connessioni sociali, politiche ed economiche che attraversano i
confini tra i diversi Paesi condizionano in modo decisivo la sorte degli abitanti di
ogni singolo Paese. La nozione generale di globalizzazione si riferisce a questa
crescente interdipendenza della societ mondiale» 9.
Nell epoca della globalizzazione anche le migrazioni hanno assunto un
carattere globale, coinvolgendo in linea di massima tutti i Paesi del mondo e
muovendo di pari passo con le trasformazioni delle economie capitalistiche dei
Paesi avanzati, come si evince dal fabbisogno di manodopera d importazione,
riguardante da un lato figure altamente qualificate dal punto di vista professionale,
9
Antony, Giddens, Fondamenti di sociologia, il Mulino, Bologna 2000, pagg. 69-70, in
Marco Antonio, Pirrone, Migrazioni internazionali, globalizzazione e lavoro, ICEI Milano, Roma
2003, pagg. 7-8.
8
e dall altro lato lavoratori e lavoratrici sempre piø flessibili e adattabili alle
mansioni produttive e a quelle di cura e servizio.
Riguardo le cause delle migrazioni internazionali, si possono individuare, oltre
alla propensione per la mobilit che da sempre ha c aratterizzato la storia dell’uomo:
- le disuguaglianze economiche e sociali tra le diverse aree del mondo ed il
conseguente diverso accesso al reddito;
- le guerre, i conflitti politici e religiosi, le catastrofi naturali che spingono le
persone a fuggire dal proprio Paese natale;
- la ricerca di una emancipazione politica, sociale e culturale di cui non si
gode nel proprio Paese.
L attuale fase delle migrazioni internazionali cela per una profonda
contraddizione: da un lato una serie di fattori di attrazione e di repulsione
mantengono costante il volume delle migrazioni internazionali, infondendovi anzi
un ulteriore accelerazione; dall altro lato nei Pae si di destinazione matura una
crescente preoccupazione al fine di contenere la pressione migratoria, pertanto le
politiche di reclutamento attivo riguardano solo categorie specifiche di lavoratori,
consentendo l ingresso di una quota di migranti minima rispetto al numero degli
individui che desidererebbero migrare.
Come dimostrano i dati sulla crescente divaricazione di ricchezza che divide il
Nord dal Sud del mondo, la globalizzazione produce sempre piø nuove
disuguaglianze, risultato del fatto che alcune regioni del pianeta partecipano,
senza avere nulla in cambio, all economia planetaria, soddisfacendo le esigenze
dei poli piø alti dello sviluppo globale. La globalizzazione procrastina in questo
modo la popolazione come una semplice risorsa fra le altre, facendone uso,
quando serve, per sfruttarla economicamente.
Secondo diversi studiosi, infatti, la globalizzazione rappresenta un processo di
esclusione sociale ed economica per buona parte della popolazione del pianeta:
aumentano le ineguaglianze economiche e sociali tra Nord e Sud del mondo, la
fame e la povert caratterizzano ancora molte regio ni del pianeta e si fa piø
profondo il divario culturale tra i Paesi piø avanzati e quelli meno sviluppati.
Le restrizioni all’immigrazione e la subordinazione del permesso di soggiorno
al contratto di lavoro, togliendo a moltissimi individui la possibilit di potersi
9
muovere liberamente, si legano alle esigenze della divisione del lavoro
capitalistica e alla domanda di competitivit e fle ssibilit richieste dal processo di
globalizzazione, determinando attraverso l’inferiorizzazione del migrante, una
collocazione dello stesso ai gradini piø bassi del mercato del lavoro. I Paesi
sviluppati determinano perci , nel processo di glob alizzazione, una etnicizzazione
del mercato del lavoro per quanto riguarda i lavori meno qualificati.
Le origini di ci risalgono alla crisi economica e politica degli anni 1973/75,
la quale ebbe effetti negativi per molti dei Paesi del Sud del mondo, che
conobbero una forte destrutturazione dei mercati del lavoro e delle strutture
produttive.
In questo modo molte popolazioni del Sud del Mediterraneo si ritrovarono a
far parte del cosiddetto esercito industriale di riserva della forza lavoro [Marx],
che rispose alla forte domanda di immigrati nel mercato del lavoro delle maggiori
potenze industriali, anche se essi vennero, e vengono ancora oggi impiegati per lo
piø nei settori piø bassi e dequalificati.
La chiusura nei confronti dell emigrazione, in particolar modo dagli anni 90,
non ha fatto diminuire i movimenti migratori internazionali ma ha prodotto forme
massicce di emigrazione clandestina10.
Ci si chiede come mai, se le migrazioni hanno come obiettivo quello di
fuggire da una situazione politicamente, socialmente e culturalmente ingiusta, i
migranti scelgano comunque di passare all interno di un altro ordine ingiusto, che
li vede relegati nei gradini piø bassi del mercato del lavoro, senza diritti e, per
questo motivo, costantemente ricattabili. Quasi certamente operando tale scelta il
migrante pu garantirsi un livello di vita che in o gni caso nel proprio Paese non
potrebbe mai realizzare.
Probabilmente, come afferma Zanfrini,
«tradizionalmente considerata una questione sostanzialmente economica,
l immigrazione Ł divenuta oggetto, negli ultimi due decenni, di un inedita
politicizzazione, con l effetto di esasperare i toni del dibattito su questa materia e
farne oggetto di polemica elettorale: su di essa si scaricano le ansie e le
10
Marco Antonio, Pirrone, Approdi e scogli. Le migrazioni internazionali nel Mediterraneo,
Mimesis, Milano 2002, pag. 61.
10
preoccupazioni tipiche di una societ in rapida tra sformazione e alla ricerca di
capri espiatori ai quali attribuire la responsabilit dei propri disagi» 11.
Secondo una stima dell OIM, l Organizzazione Mondia le delle migrazioni, il
2,9% della popolazione mondiale, e cioŁ circa 175 milioni di persone, vive al di
fuori del Paese di cui possiede la cittadinanza.
Tuttavia, Ł opportuno sottolineare il fatto che, benchØ i movimenti migratori
oggi siano piø diversificati rispetto al passato, sia per composizione che per Paesi
di provenienza dei migranti, e benchØ siano apparsi nuovi Paesi di immigrazione
sia nell’Europa del Sud, sia in molti Paesi del Sud del mondo, il volume delle
migrazioni internazionali nel periodo che va dal 1965 ad oggi non Ł mutato in
maniera significativa, restando sotto il 3% sul totale della popolazione mondiale,
nonostante la popolazione del pianeta in questi decenni sia raddoppiata e
nonostante siano fortemente migliorate le possibilit fornite dai mezzi di trasporto
e di comunicazione.
Da ci si evince che le migrazioni internazionali o ggi, in epoca di
globalizzazione, non sono piø solo migrazioni povere, ma coinvolgono anche
lavoratori altamente qualificati (attirati dalla espansione delle compagnie
transnazionali), donne (le quali costituiscono oltre il 40% dei soggetti migranti) e
persone dotate di titoli di studio.
A questo proposito, secondo Yann Moulier Boutang, Ł sbagliato stabilire
esclusivamente una corrispondenza tra migrazioni internazionali e povert , in
quanto «l’emigrazione "economica" tocca tutti gli strati sociali [...]. L’emigrazione
tocca la parte piø attiva della popolazione urbana e rurale»12.
Tutto ci Ł confermato da due considerazioni:
- innanzitutto quelli che partono sono coloro che piø facilmente possono
accedere alle informazioni e permettersi un piø ingente investimento economico, e
non i poveri, i quali invece hanno difficolt ad ac cedere a queste risorse;
11
Laura Zanfrini, Sociologia delle migrazioni, cit. pag. 53.
12
Yann, Moulier Boutang, Razza operaia. Intervista a Y. Moulier Boutang a cura di Roberto
Ulargiø, Calusca Edizioni, Padova, 1994, in Marco Antonio, Pirrone, Migrazioni internazionali,
globalizzazione e lavoro, cit. pag.6.
11
- in secondo luogo i dati attuali sulle migrazioni internazionali ci dicono che
la maggior parte dei flussi migratori dalle aree piø povere si sviluppano
coinvolgendo movimenti di persone sull’asse Sud-Sud e non Sud-Nord.
1.2 La risposta dell Europa
Alla grande spinta emigratoria dai Paesi poveri corrisponde una tendenza
simmetrica, ormai comune a tutti i Paesi sviluppati, a mettere in atto politiche di
limitazione degli ingressi, che non sempre raggiungono l efficacia auspicata.
Il concetto di politiche migratorie si riferisce, secondo Zanfrini, alla
«capacit di uno Stato di esercitare il suo control lo sui flussi migratori importando
migranti quando vuole, dove vuole, con le qualit d a esso desiderate, nelle
quantit da esso specificate, alle condizioni da es so definite, e per la durata da
esso scelta»13.
Durante la fase espansiva che ha seguito la seconda guerra mondiale,
l immigrazione in Europa ricevette impulso dal mercato, grazie ad una domanda
di manodopera che prosegu per tutti gli anni 50 e 60, e grazie anche alle
politiche migratorie messe in atto dagli Stati, che assecondavano tale domanda,
organizzando il reclutamento d accordo con imprese e sindacati e mettendolo in
atto attraverso accordi bilaterali con i paesi d emigrazione: le migrazioni
internazionali rappresentavano dunque «un fenomeno rispondente agli interessi
dei paesi industrialmente avanzati, che si riservavano il diritto di rimpatriare i
migranti nelle fasi economiche depressive»14.
Tra la fine degli anni 60 e l inizio degli anni 7 0, alle politiche di
reclutamento attivo subentrarono le cosiddette pol itiche degli stop , le quali,
tuttavia, non produssero le conseguenze auspicate, in quanto centinaia di migliaia
di immigrati temporanei optarono per un insediame nto definitivo; inoltre la
chiusura delle frontiere alle migrazioni da lavoro, non comport la fine dei flussi,
ma la loro trasformazione, con la crescita di ingressi per ragioni familiari ed
umanitarie, oltre che delle migrazioni irregolari.
13
Laura, Zanfrini, Sociologia delle migrazioni, cit. pag. 103.
14
Ivi, pag. 109.
12
Tutto ci determin una nuova fase della storia eur opea, sia per ci che
concerne le normative che regolano l ingresso e la permanenza degli stranieri, sia
per quanto riguarda gli atteggiamenti di governi e opinione pubblica verso
l immigrazione. Zanfrini afferma che Ł «in tale fase che l immigrazione si
trasforma da questione economica in problema politico»15.
In questi stessi anni, inoltre, si tenta di raggiungere due obiettivi, per certi
aspetti contraddittori: da un lato la forte limitazione degli ingressi, dall altro
l integrazione degli immigrati gi presenti.
I Paesi dell Europa occidentale dovettero prendere atto, a questo punto, del
fatto di essere diventati meta di insediamenti stabili di lavoratori, famiglie e
comunit immigrate, con tutte le questioni a ci le gate, come la definizione dei
criteri di accesso ai diritti di cittadinanza e le regole che disciplinano la
convivenza interetnica.
«La svolta in senso restrittivo delle politiche migratorie contribu a definire
socialmente l immigrazione come un pericolo , qual cosa da cui difendersi e da
contenere nelle sue dimensioni»16. Questa tendenza culminer nella creazione, tra
la fine degli anni 80 e l inizio degli anni 90, d ella cosiddetta «Fortezza Europa».
Dalla seconda met degli anni 80 la questione migr atoria inizi a far parte
delle priorit politiche di quasi tutti i Paesi eur opei, sia a causa della sua
strumentalizzazione da parte di alcuni esponenti della classe politica in cerca di
facili successi elettorali ottenibili portando avanti campagne xenofobe e razziste,
sia a causa del forte incremento del fenomeno degli ingressi clandestini
determinato dalla chiusura delle frontiere e dalla crescente pressione migratoria.
Da questo momento la situazione internazionale sar caratterizzata dal
moltiplicarsi «dei tentativi di arrestare l immigrazione irregolare e di
ridimensionare l immigrazione non voluta , sebbene regolare, composta dai
migranti per ragioni familiari e umanitarie»17.
Il problema centrale, a questo punto, Ł quello della riduzione degli ingressi.
L obiettivo della «Fortezza Europa», Ł di liberalizzare i movimenti, abolendo i
15
Ivi, pag. 112.
16
Ivi, pag. 114.
17
Ibidem.
13
controlli alle frontiere nazionali mediante la costruzione di uno spazio di libera
circolazione (il cosiddetto «Sistema Schengen»18), rafforzando nello stesso tempo
le frontiere esterne.
Alla fine degli anni 90, la questione migratoria, fino ad allora oggetto di
cooperazione internazionale, entrer a far parte de lle politiche comunitarie. La
strategia dell Unione Europea Ł quella di giungere ad una politica comune
europea in materia di immigrazione ed asilo, articolata in quattro punti essenziali:
1. Il principio del partenariato con i Paesi d origine, la cui cooperazione Ł
necessaria per contrastare le migrazioni irregolari e per contenere le conseguenze
negative delle migrazioni;
2. Stabilire un regime europeo comune in materia di asilo, mediante
un ulteriore comunitarizzazione della materia, che assicuri condizioni di
protezione uniformi;
3. Garantire un equo trattamento dei cittadini dei paesi terzi che soggiornano
legalmente sul territorio degli Stati membri, attraverso una politica di integrazione
che riconosca loro diritti e doveri equivalenti a quelli dei cittadini comunitari;
4. La gestione dei flussi migratori deve comprendere iniziative per contrastare
l immigrazione irregolare, combattere la tratta degli esseri umani, promuovere il
ritorno volontario in patria di coloro che non sono stati ammessi in uno Stato
membro o che hanno perso il diritto a soggiornarvi.19
Secondo alcuni studiosi20, le attuali politiche migratorie degli Stati europei
dell area Schengen, Italia compresa, hanno creato di fatto le condizioni per un
18
Il sistema Schengen fa riferimento all accordo siglato il 14 giugno 1985, con il quale la
Francia, la Germania ed i paesi del Benelux stabilirono l abolizione dei controlli alle frontiere. Nel
1997 i paesi aderenti alla convenzione salirono a 13, oltre ad Islanda e Norvegia, ammessi come
osservatori. L Italia Ł divenuta membro dell accordo solo nel 1998, quando gli altri membri hanno
valutato positivamente la sua capacit di adempiere agli obblighi previsti dal trattato.
19
Laura, Zanfrini, Sociologia delle migrazioni, cit. pagg. 116-117.
20
Iside, Gjergji, Espulsione, trattenimento, disciplinamento. Il ruolo dei CPT nella gestione
della forza lavoro clandestina, in Bianchi, Bruna e Scartabellati, Andrea, DEP- Deportate,
esuli, profughe. Rivista telematica di studi sulla memoria femminile, 2006, su
www.unive.it/media/allegato/dep/Ricerche/7_Gjergji.pdf.