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CAPITOLO I
LA STRUTTURA DEL ROMANZO
1.1 La suddivisione dei capitoli
L’Isola di Arturo presenta una struttura compatta, dalla precisa suddivisione in
capitoli e paragrafi, in cui risulta evidente lo sforzo di raggiungere la perfezione del
disegno romanzesco, cui si piegano sia il lessico sia l’ordine generale.
Il testo si suddivide in otto sezioni, diseguali per la lunghezza e per il numero dei
capitoli, di cui si compongono: Re e stella del cielo, Un pomeriggio d’inverno, Vita in
famiglia, Regina delle donne, Tragedie, Il bacio fatale, La Terra Murata, Addio.
Nel primo capitolo, il protagonista Arturo Gerace, orfano di madre, racconta, in
prima persona e in forma di ricordo, la propria spensierata fanciullezza nell’isola di
Procida, dove trascorre le giornate in compagnia (solo) della sua cagna
Immacolatella, perché il padre, un uomo enigmatico e assente, è quasi sempre
lontano per i suoi viaggi misteriosi, che il ragazzo immagina importantissimi ed
eroici. La descrizione dell’isola è il primo importante ricordo del narratore, che non
vi ha mai più messo piede, e che la descrive come stesse girando un documentario:
Le isole del nostro arcipelago, laggiù, sul mare napoletano, sono tutte belle. Le loro terre
sono per grande parte di origine vulcanica; e, specialmente in vicinanza degli antichi
crateri, vi nascono migliaia di fiori spontanei, di cui non rividi mai più i simili sul
continente. In primavera le colline si coprono di ginestre: riconosci il loro odore selvatico
e carezzevole, appena ti avvicini ai nostri porti, viaggiando sul mare nel mese di giugno.
2
(pag. 12).
Come in un documentario degli anni Cinquanta, nella descrizione emerge
2
ELSA MORANTE, L’Isola di Arturo, Einaudi, Torino, 1995, pag. 12. Farò sempre riferimento a questa edizione
(= E95).
5
chiaramente un insieme di dati “reali”
3
: si ha la netta sensazione che l’occhio della
telecamera stia scorgendo dall’alto il panorama; mentre la voce fuori campo sta
spiegando in modo oggettivo, quasi cronachistico, ciò che la telecamera inquadra
scorrendo. Una delle prime, e peculiari, tecniche adottate dal documentario è,
infatti, proprio la “Panoramica”:
La panoramica è un movimento della macchina da presa su un asse orizzontale, in modo
da rendere visibile, con uno spostamento piuttosto lento, quanto non può essere
contenuto in un’unica inquadratura.
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Così come, la tecnica del “Campo lunghissimo”, si ricollega alla precedente, e
completa il discorso, giacché è:
Un’inquadratura aperta: lo zoom è al minimo della sua lunghezza focale, la telecamera
riprende la scena o il panorama da una distanza considerevole. Solitamente sono
immagini di tipo panoramico usate come elementi evocativi o introduttivi di una scena.
5
E delle connessioni con il genere documentaristico possono esserci, se si pensa
al fatto che, gli anni in cui Elsa Morante sta scrivendo L’isola di Arturo, sono,
appunto, gli anni in cui il cinema e il documentario assistono ad una decisa
espansione; in particolare per il cinema questo rappresenta “il periodo di massima
ripresa per le tematiche del realismo, in nome delle quali si propugnano l’antitesi e il
rinnovamento rispetto al recente passato. Il documentario ne è inevitabilmente uno
dei destinatari principali”
6
; tanto che, quello che si vorrebbe ottenere, è “un cinema
spontaneo, improvvisato, rubato alla realtà come condizione della sua assoluta
3
Sul realismo nel documentario degli anni Cinquanta, si vedano: ALESSANDRO CECCHI PAONE, Immagini dal
mondo. Storia, teoria e tecnica del documentario, UTET, Torino, 2004. E ROBERTO NEPOTI, Storia del
documentario, Pàtron Editore, Bologna 1988.
4
ALESSANDRO CECCHI PAONE, Immagini dal mondo. Storia, teoria e tecnica del documentario, cit., p. 198-199.
5
Ivi, p. 197.
6
ROBERTO NEPOTI, Storia del documentario, cit., p. 75.
6
aderenza a essa”. Un cinema, che se, da una parte, deve abolire la categoria della
fiction, il ricorso al personaggio e il lavoro di enunciazione, dall’altra, deve trovare la
capacità di guardare la realtà nel modo giusto per farla emergere, “per far sì che la
realtà si racconti da sé, che le cose come sono acquistino potere significante”
7
.
Tornando al romanzo, un giorno, il padre Wilhelm, di ritorno da uno dei suoi
viaggi, porta con sé una sposa bambina, originaria di Napoli, la popolana Nunziata,
che avrà un effetto dirompente per Arturo e che ne innesterà il processo di
maturazione (Cap. II).
All’apparire del piroscafo, mi avviai con passo infingardo verso il molo. Cercai di
distrarmi osservando le manovre dell’attracco, ma i primi passeggeri che vidi furono loro
due, fermi sull’alto della scaletta, in attesa che si gettasse la passerella
8
.
Nei primi momenti della conoscenza, i due, quasi coetanei, instaurano un
rapporto di reciproca simpatia e complicità, ma, poco dopo, in Arturo si scatena una
grande gelosia, perché sente minacciato il suo rapporto con il padre e decide di non
rivolgere alla ragazza più nessuna attenzione, convincendosi che essa, in quanto
donna, sia un essere debole e inferiore.
Ma il sentimento contradditorio di Arturo per la matrigna, a volte di odio
apparente, a volte di fastidio, poi di attaccamento quasi viscerale (come quando
teme per la sua morte, durante il parto del fratellastro Carminiello) e d’affetto, si
chiarifica definitivamente come desiderio erotico, dopo che il ragazzo è stato iniziato
al sesso dalla vedova Assuntina:
Non so quante volte nella giornata, pur senza pensare a lei mi sorprendevo a ripetere a
voce bassa: Nunziata, Nunziatella; col gusto di una leggerezza deliziosa ma temeraria,
quasi confidassi un segreto a un compagno traditore. Oppure tracciavo col dito quel
7
Ivi, p. 77.
8
E95, p. 74.
7
nome su un vetro, o sulla rena; e subito poi lo scancellavo, come un malfattore fa con le
tracce che possono accusarlo.
9
Ma Nunziata, pur attratta da Arturo e dedita a lui con tenera sollecitudine, lo
respinge per non contravvenire ai doveri del proprio ruolo di sposa e madre (cap.VI).
E il processo di maturazione del protagonista si completerà solo con lo
smascheramento della figura paterna, quando, seguendo Wilhelm di nascosto in una
delle sue passeggiate solitarie, Arturo scopre che la sua meta è il Penitenziario
dell’isola, luogo di tresche omosessuali. Ulteriori conferme gli verranno dal
pregiudicato Stella, di cui il padre è innamorato, e che scioglie il mistero dei viaggi di
Wilhelm rivelandone gli squallidi scopi amorosi.
Stella alzò una palpebra: - Lontano… che? – fece, con un’aria tarda, - io, dici? Con tuo
padre? Ah, per il nostro viaggio, dici! Luntano assaie!... figurarsi!! Più o meno, si starà
qua in giro, per il solito circondario… - Egli arricciò appena i labbri, in un mezzo sorriso
annoiato, scettico e irrisorio: - Tuo padre, - aggiunse, come chi fa una constatazione
ormai risaputa, - non è tipo da spostarsi troppo. Si sturberebbe, dal crepacuore. Lui è
uno che viaggia sempre nelle medesime vicinanze. Sai le antiche mongolfiere frenate?
Beh, così è lui…
10
Si consuma, così, con la caduta del mito del padre, il definitivo svelamento delle
illusioni fanciullesche (cap. VIII): Arturo, dopo un ultimo tentativo di stringere a sé
Nunziata, finito in scontro, scappa e si rifugia in una grotta, dove viene ritrovato da
quello che era stato il suo balio, Silvestro, col quale lascia l’isola per arruolarsi come
soldato, nell’imminente seconda guerra mondiale.
La materia romanzesca è distribuita in modo irregolare, nonostante sia
possibile rintracciare qualche parallelismo: presentano maggiore ampiezza le sezioni
9
Ivi, p. 265.
10
Ivi, p. 337.
8
d’apertura e di chiusura, mentre le sezioni II, III, IV presentano maggiore estensione
rispetto alle sezioni V,VI, VII. “Il passaggio da capitolo a capitolo all’interno di ogni
sezione non coincide con gli snodi dello svolgimento narrativo, scandito invece dal
succedersi delle varie unità”
11
. Tutta la ripartizione per parti e capitoli è
contraddistinta in ogni suo elemento costitutivo da titoletti, che assolvono a diverse
funzioni: dalla didascalia puramente esplicativa (ad esempio, il realismo domestico
di Vita in famiglia), all’evidenziazione di un tema particolare, all’orientamento
interpretativo delle sequenze. Questi ultimi, di tonalità varia, sono impostati in
modo da rendere fiabeschi o maggiormente teatrali i contenuti, cui si riferiscono, ad
esempio, il crescendo di drammaticità che va imponendosi a partire dalla quarta
sezione, è preparato dall’esagerazione del titolo Assassinata? a metà del IV capitolo.
Nell’Isola di Arturo i titoli, eccetto le due parti dedicate al protagonista e a Nunziata
(Re e stella del cielo e Regina delle donne), si incentrano non tanto sulle figure
quanto sulle situazioni, e, attraverso di essi, viene a chiarirsi il filo progressivo del
racconto: così, prima del ritratto che descrive Nunziata in Regina delle donne, si
evidenzia la sua funzione, determinante per lo svolgimento di tutto il romanzo, in Un
pomeriggio d’inverno, dove fa il suo ingresso come sposa di Wilhelm sull’isola e nella
Casa dei guaglioni.
Un’ultima cosa da annotare sulla struttura è l’inserimento di citazioni in epigrafe
al romanzo e ai capitoli I, VI, VII e VIII degli autori prediletti dell’autrice: Saba, Penna,
Mozart, Rimbaud
12
per segnalare i momenti più significativi della storia. In
particolare, la poesia iniziale “Dedica a Remo N.”, che, nell’ultimo verso “fuori del
limbo non v’è eliso”, anticipa il senso generale del romanzo, ha portato a far
considerare il testo, da una parte della critica, “la dimostrazione quasi didascalica,
11
ALBA ANDREINI, L'isola di Arturo di Elsa Morante in “Letteratura italiana. Le Opere. Vol. IV: Il Novecento. La ricerca
letteraria”, Torino, Einaudi, 1996.
12
MARCO BARDINI, nel suo saggio (Morante Elsa. Italiana. Di professione, poeta, Pisa, Nistri-Lischi, 1999), si è
accuratamente occupato dell’analisi delle citazioni disseminate dalla Morante nel romanzo.
9
preliminarmente preannunciata e schematicamente condotta, di una tesi”
13
. Si
tratta proprio di quel finale che, in realtà (come approfondirò in seguito), per la sua
irresolutezza di scioglimento, racchiude e suscita interrogativi.
1.2 Voce narrante e punto di vista
Nell’Isola di Arturo, a svolgere la duplice funzione di io narrante e di io narrato è
il protagonista Arturo, il quale, divenuto adulto e ormai da molti anni lontano da
Procida, rievoca la propria fanciullezza felice, fino al giorno del suo sedicesimo
compleanno. Si crea, quindi, nella narrazione degli eventi, “una rete di
interconnessioni”
14
tra il ricordo dell’Arturo narratore e il punto di vista dell’Arturo
personaggio. “Questo narratore che non ha abbastanza vissuto ha bisogno di
rivivere per riconoscere, di scrivere per rivivere la leggenda di Arturo”
15
.
Di Arturo maturo, non sappiamo nulla: “né dove viva, né che età abbia e
neppure se il suo sogno di diventare scrittore si sia avverato”
16
, come annunciato
alla fine del romanzo. Riusciamo a desumere solo il fatto che non sia più tornato
sull’isola e che non abbia più rivisto né il padre né Nunziata.
Da questa infinita distanza, adesso, ripenso a W.G. Me lo immagino, forse, più che mai
invecchiato, imbruttito dalle rughe, coi capelli grigi. Che va e torna, solo, scombinato,
adorando chi gli dice parodia…
Di lei, a suo tempo, ebbi qualche notizia, a Napoli, attraverso viaggiatori venuti da
Procida. Stava bene, di salute, per quanto dimagrata molto. E seguitava la sua solita vita
nella Casa dei Guaglioni, con Carmine che si faceva ogni giorno più simpatico. Essa, però,
non usava più chiamarlo Carmine, lo chiamava a preferenza col suo secondo nome di
13
Ivi, p. 693.
14
GIOVANNA ROSA, Cattedrali di carta: Elsa Morante romanziere, Il Saggiatore, Milano, 2006, p. 108.
15
GABRIELLA CONTINI, La scia sfavillante della nave Arturo, in “Università di Siena, annali della Facoltà di Lettere
e Filosofia”, a. 13, 1992, p. 162.
16
GIOVANNA ROSA, Cattedrali di carta, cit., p. 108.
10
Arturo. E per me, io sono contento che sull’isola vi sia un altro Arturo Gerace, biondino,
che a quest’ora, forse, corre libero e beato per le spiagge…
17
Non ci viene detto nulla nemmeno del motivo che spinge Arturo a scrivere le
sue memorie: pare non esservi più nessun rapporto tra la sua condizione attuale e il
suo passato. “Le ambizioni letterarie, vantate al balio Silvestro, poco prima della
partenza, (“Mi raccomando, eh: i fogli scritti prendili tutti, non lasciarne nessuno,
che quelli sono importanti, perché io sono uno scrittore”
18
)”
19
, forse, sono rimaste
solo un’aspirazione adolescenziale, spentasi con la chiamata alle armi.
Le due voci – quella di Arturo bambino, con la sua meraviglia di fronte a un
mondo, che vede per la prima volta e che traveste di illusioni e sogni, e quella di
Arturo uomo, protagonista testimone, che ricrea il passato con tono nostalgico –
sembrano a volte distinte e dialoganti l’una con l’altra, ma sono indivisibili,
compenetrate. Come spiega bene la critica Gabriella Contini: “Una coscienza
infantile, nutrita di avventurosa speranza, e una coscienza adolescente, disponibile
solo alla tragedia, prendono voce attraverso una coscienza adulta, non maturata
dall’esperienza: inconsistente voce narrante, che non ha progetto al di là del
romanzo-memoria”
20
.
Arturo, in qualità di narratore, ricorre spesso alla funzione “fatica”: “Quello che
so…” (p. 27); “A proposito, mi accorgo qua d’una cosa…” (p. 130); “Incominciamo
dalla ricostruzione dei fatti” (p. 205). Talvolta, si diverte anche a precisare meglio
alcune locuzioni: “Dico: ne ero convinto; ma farei meglio a dire: ci contavo” (p. 285).
E a giocare con le prolessi: “Ma torniamo a quella sera…” (p. 188).
Nulla ci porta a pensare che le memorie siano scritte da un consapevole e
maturo scrittore, al contrario “le forme verbali usate in tutto il corso del romanzo
17
E95, p. 377.
18
Ivi, p. 371.
19
GIOVANNA ROSA, Cattedrali di carta, cit., p. 109.
20
GABRIELLA CONTINI, La scia sfavillante della nave Arturo, cit., p. 163
11
rimandano al racconto orale”
21
: “non ignoravo, si capisce” (p. 263), “L’ho detto
che…” (p. 266), “come ho detto” (p. 275). Solo in due casi Arturo allude
esplicitamente alla sua attività di scrittura: nel riconoscimento della propria gelosia
per il fratellastro Carminiello, “Ho scritto i miei mali, ma avrei dovuto scrivere
piuttosto: il mio male” (p. 239); e in un momento cruciale sulla difficoltà di indicare
per intero il nome di Nunziata: “Se poi, per il bello stile, qualche volta fosse
necessario nominarla…” (p. 130).
Ad una lettura superficiale del romanzo, “la voce dell’io narrante pare affidarsi
alle formule consuete del discorso testimoniale”
22
: “ricordo che” (p. 204); “ rividi
allora nella memoria” (p. 143); “per quella notte rammento” (p. 205); “ricordo che,
in quell’epoca” (P. 265); “Quello fu, dal tempo ch’io potevo ricordare” (p. 275). E va
fatto notare che “l’Arturo narratore, non solo si preoccupa di avvertire il lettore
delle inevitabili incongruità che il recupero memoriale comporta”
23
: “A distanza di
tanto tempo, adesso io vado tentando di capire…” (p. 138); “Già adesso son bravo a
domandarmi…” (p. 264); “Se ripercorro col pensiero, adesso, fin dal
principio…imparo che…” (p. 262); “Intanto si sappia (poiché ancora non l’ho detto),
che il fatale bacio, nella mia memoria capricciosa, s’era fatto più ingenuo del vero”
(p. 264). Ma, nel porre l’accento su un evento, lo riattualizza come se lo stesse
rivivendo nel presente: “E così passava la mia infanzia solitaria, nel palazzo negato
alle donne. In camera di mio padre, c’è una grande fotografia dell’Amalfitano” (p.
26).
In realtà, però, quanto più il narratore vuole apparirci sicuro nel proprio ricordo
e tenta di porsi come portatore di dati certi, tanto più si crea uno scarto con la
parzialità dell’Arturo personaggio ancora ragazzino, mediante il cui punto di vista è
filtrata tutta la vicenda. Anzi, è proprio il narratore adulto che spesso mette in
dubbio la propria capacità di analisi degli eventi e dei sentimenti vissuti
21
GIOVANNA ROSA, Cattedrali di carta, cit., p. 109.
22
Ivi, p. 111.
23
Ibid.
12
nell’adolescenza, per cui anche a distanza di diversi anni, non sa ancora darsi
spiegazione di alcuni misteri del passato. Ed è soprattutto nei momenti cruciali
dell’intreccio che il narratore si dimostra “inaffidabile, per non dire imbroglione”
24
:
come ha fatto notare Giovanna Rosa, non ammette mai apertamente
l’omosessualità paterna, tentando quasi di negare l’evidenza; e non parla
apertamente del sentimento d’amore per Nunziata, volendo mascherarlo da
infatuazione innocente e puerile.
E la loro espressione (degli occhi del padre) poteva significare un saluto fedele, un’intesa
immaginaria, un’accoglienza povera e disperata; ma, prima di tutto, significava
un’implorazione.
Sembrava che Wilhelm Gerace chiedesse una carità a colui. Ma che mai poteva chiedere
a quel disgraziato, a cui non era concesso neppure di dire una parola, di fare un segno?
Uno sguardo, in risposta al suo sguardo di adorante amicizia, era tutto quanto poteva
chiedergli
25
.
Adesso, so fare congetture e ricerche, meglio di un filosofo. E dico e suppongo: forse, s’io
avessi interrogato virilmente la mia coscienza, questa (che non era poi del tutto barbara,
per quanto immatura) mi avrebbe risposto: “Non fare imbrogli! Sei un falsario e un
seduttore”
26
.
A distanza di tempo, il narratore, confessa addirittura di non sapersi dare una
spiegazione della sua incapacità di scrivere il nome di Nunziata per intero. Quindi
non solo da ragazzo era riluttante a chiamarla per nome, ma dopo tanti anni ancora
non sa darsi ragione di questa incapacità che continua a perdurare.
A proposito, mi accorgo qua d’una cosa: che non soltanto, io non sapevo chiamarla per
nome quando le parlavo; ma anche adesso raccontando di lei (il motivo, lo ignoro), non
24
Ivi, p. 112.
25
E95, p. 274.
26
Ivi, p. 264.
13
so indicarla col nome. C’è una difficoltà misteriosa, che mi proibisce queste sillabe così
semplici: Nunziata, Nunziatella.
27
Sono d’accordo con Giovanna Rosa quando afferma che “Arturo narratore
continua a scorgere la realtà unicamente attraverso le immagini d’uno specchio
stregato, rifrangente le mille sfumature della proiezione memoriale”
28
.
Ma c’è un artificio in più, che rende il romanzo, per alcuni aspetti, unico ed
irripetibile; ai margini del testo, compare una terza voce, disincantata e sollecita:
quella onnisciente dell’autrice. La stessa voce che, nella poesia Dedica, propone il
confronto coi giovinetti morti, Eurialo, Alessandro, “per sempre belli” e indica
un’altra soluzione per il destino di Arturo: il sonno (“E non sarà mai rubato
quest’unico tesoro ai tuoi gelosi occhi dormienti”). Tutto il romanzo è percorso
all’interno da una serie di istruzioni dell’autrice, che organizza il testo e interviene
autoritariamente e ironicamente in tutti gli spazi di gioco: con le epigrafi dei suoi
amati Saba, Penna e Mozart; con la scansione interna dei capitoli, che presentano
titoli solenni e scherzosi presi dal romanzo popolare, da quello sentimentale e di
avventure, dalla fiaba; con le scelte linguistiche, le ripetizioni, i richiami a distanza
degli stessi enunciati.
Come sostiene Gabriella Contini: “la vigilanza premurosa dell’autrice sulla parola
del narratore la carica di tutti i ruoli che una donna può svolgere accanto a un
giovane eroe: compagna di giochi, amante, madre, mater dolorosa, prefica”
29
.
Presenza superiore e affettuosa, che dice a tutti la verità, soprattutto quella che
anche Arturo adulto non riesce o non vuole ammettere, questa voce vuole
annunciare la linearità senza sbocchi della storia del protagonista: fuori dal limbo
non v’è eliso, così suona l’epilogo della Dedica, con il suo giudizio perentorio ed
ineluttabile.
27
Ivi, p. 130.
28
GIOVANNA ROSA, Cattedrali di carta, cit., p. 114.
29
GABRIELLA CONTINI, La scia sfavillante della nave Arturo, cit., p. 16