Ma si scopre un senso di identità anche quando ci si sente minacciati da
qualcosa di nuovo, di diverso, pensate a tutte quelle persone qui in Italia che
stanno riscoprendo di essere cristiani da quando ci sono i musulmani. «E queste
identità retroattive le troviamo anche tra i musulmani, quelli che perché sono
qui, lontani da casa, riscoprono caratteri identitari, mettono un hijab che a
casa loro per esempio non portavano ecc., cioè la pluralità ci trasforma, ci
porta alla ricerca di un recupero delle identità».
4
Tutto questo poi lo vediamo
entrare in gioco nel conflitto sociale e in seguito nella gestione del conflitto: nel
gestire questa trasformazione ci sono molti assenti, a livello politico, soprattutto
locale, ma anche nel mondo musulmano e fra i suoi rappresentanti.
La novità è che l’Europa sta diventando anche musulmana, nei libri di storia dei
nostri figli non potremo non scrivere che la religione musulmana è la seconda
religione nel continente. Ma c’è una novità ulteriore e cioè che l’islam sta
diventando anche europeo, ed è una trasformazione ancora più importante, che
sta producendo, già oggi, degli effetti di feedback nei paesi di origine, cosa che
si evidenzierà soprattutto nel lungo periodo.
Si è detto spesso di «Islam e Occidente» che non sono entità confrontabili. «Il
primo, una religione che è anche altro: una prassi sociale, un’aspirazione
“politica” globale ecc. Il secondo, soprattutto altro: una prassi sociale e
un’aspirazione “politica” globale, che talvolta non disdegna di essere
considerato come una religione»;
5
al cui interno si possono contare almeno due
grandi religioni: il cristianesimo e l’ebraismo.
Possiamo fare una piccola premessa su come si è evoluta la conoscenza che
l’uno ha dell’altro. L’interesse verso l’altro da parte del mondo europeo
cominciò ad essere più preciso fra il XVI e il XVIII secolo
6
in coincidenza del
consolidarsi dell’Impero Ottomano e lo sviluppo di relazioni commerciali tra gli
Stati europei e i Sultanati. È proprio in questo periodo che fanno il loro ingresso
nelle Università europee gli studi sull’Islam. La prima cattedra di arabo si ebbe
a Parigi nel 1539, poi seguirono Cambridge (1632) e Oxford (1634). Attraverso
la conoscenza e la ricerca del mondo islamico, lentamente mutano gli
atteggiamenti verso l’Islam, che viene considerato non più solo in chiave
negativa. Si scopre una civiltà diversa da quella europea e cristiana, una civiltà
esotica e pittoresca fondata, su un messaggio religioso che porta con sé alcune
analogie con il pensiero ebraico-cristiano. Si dovrà attendere l’epoca dei Lumi
affinché si verifichi un mutamento significativo nella costruzione
dell’immagine dell’altro. I pensatori illuministi, infatti, giunsero a rivalutare
l’Islam spinti dalla loro volontà di mostrare l’oscurantismo della religione
cristiana. Se prendiamo, tuttavia, in esempio la visione di Voltaire, quest’ultimo
nelle sue opere mostra un’ideologia ambivalente, da un lato evidenziando il
dogma dell’unicità di Dio, spendendosi contro gli stereotipi negativi legati
all’islam, intravedendo nella religione islamica più tolleranza di quanta non ce
ne fosse in quella cristiana. Dall’altro lato però, come nell’opera Le Fanatisme,
si contraddice ed esprime un giudizio negativo sul mondo musulmano,
definendo Maometto come un impostore «che aveva imposto “con il coraggio e
4
Stefano Allievi (docente di sociologia presso l’Università di Padova) nella conferenza: Islam in
Europa, Islam europeo, iniziativa del programma MiMed, Milano 23.06.2006.
In: http://www.radioradicale.it/scheda/237083/islam-in-europa-islam-europeo.
5
S. Allievi, op. cit., p.29.
6
Enzo Pace, Islam e Occidente, Ed. Lavoro, Roma 1995, p. 97.
5
le armi” una nuova superstizione rendendo i suoi devoti dei fanatici
combattenti in nome di Dio».
7
Nel XIX secolo tutti i pregiudizi anti-islamici messi in circolazione dalla Chiesa
cattolica durante il periodo di acuto conflitto tra le due religioni prendono forme
nuove; nonostante l’allargamento delle conoscenze scientifiche si consolidano
atteggiamenti che si sono trascinati fino ai nostri giorni, alla base dei quali si
sviluppano due dottrine: l’orientalismo e l’eurocentrismo. Con il primo
s’intende la nascita in Europa alla fine del Settecento di un gruppo di discipline
dedite allo studio dell’Oriente, inteso come area socio-culturale distinta e
distante dall’Occidente. Le critiche più convinte nei confronti dell’orientalismo
arrivano da parte di Edward Said, riassunte in tre aspetti da Enzo Pace « a. gli
studi sull’islam mostrano quanto sia sbagliato descrivere questo mondo come
se fosse sempre stato uniforme, fondato su un’immutabile struttura derivante
dal Corano... al contrario questo modo di vedere l’Islam lascia in ombra la
differenziazione sociale, politica e culturale che è prodotta sin dalle origini; b.
la raffigurazione della società musulmana come società arretrata, immobile e
aggressiva nei confronti dell’Occidente è in realtà frutto di una strategia di
dominio da parte delle maggiori potenze economiche e politiche occidentali; c.
la creazione da parte degli studiosi occidentali dell’Islam di categorie
interpretative rischia di rappresentare un Islam che non esiste più o esiste solo
in parte».
8
L’eurocentrismo, invece, indica la tendenza storica degli europei, a ritenere la
propria cultura preferibile, se non superiore, a quelle espresse da altri gruppi
umani. Con i resoconti dei viaggiatori e non solo, sviluppatisi soprattutto nel
periodo del colonialismo, l'immaginario europeo veniva stimolato a pensare se
stesso come la culla della cultura, tanto da porsi al centro del mondo. In senso
più esteso l'eurocentrismo privilegia l'Occidente nella sua globalità.
Finora abbiamo visto come l’Occidente percepisce l’Islam, ma qual è invece,
l’immagine che l’Islam ha dell’Occidente? Possiamo riassumerla con due
domande: la prima riguarda il dubbio sulla veridicità del fatto che per lungo
tempo l’Islam si sia disinteressato all’Occidente, nonostante i confronti
ravvicinati con l’Europa cristiana e quella delle moderne nazioni del Settecento-
Ottocento, costruendosi un’immagine che si opponeva negativamente alla dar-
al-islam. La seconda questione invece verte sul momento in cui l’Islam scopre
l’Occidente: quali sono le immagini che esso produce all’interno del mondo
musulmano?
Allora innanzitutto bisogna dire che, per un certo verso, è vero che l’islam per
un determinato periodo di tempo si sia disinteressato all’Occidente. Bernard
Lewis afferma, per esempio, che fino al XIX secolo, gli scrittori musulmani di
storia e geografia ignoravano i nomi che gli europei avevano dato ai continenti,
e i geografi musulmani dividevano il mondo in «climi» senza considerare le
implicazioni politiche o culturali che hanno i nomi dei continenti nei moderni
idiomi dell’Occidente.
9
Sarà con l’arrivo di Napoleone Bonaparte in Egitto
(1798) che inizierà un processo di revisione delle immagini negative
dell’Occidente. Non è un mistero che i fucili di Bonaparte servirono a
diffondere le idee dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese nel mondo
7
E. Pace, op. cit., p. 99.
8
E. Said, Orientalism, Routledge and Kegan, Londra 1978; Cit. in E. Pace, op. cit., p.101-2.
9
B. Lewis, Europa barbara e infedele, Mondadori, Milano 1983, pp. 49-50; Cit. in E. Pace, op.
cit., p.101-102.
6
intellettuale arabo e ottomano. L’Occidente perdeva la maschera del nemico
storico per indossare quella del “vicino di casa” che sfoggia le ultime
conoscenze della scienza e della tecnica e che ci spinge ad imitarne i gusti. Un
vicino che, uscito dalle guerre di religione, era riuscito a superare il principio
del fondamento della politica nella religione, ispirando simpatie soprattutto tra
le correnti riformiste laiche che si affermano nei paesi musulmani dalla seconda
metà dell’Ottocento.
Lo scenario cambia ancora agli inizi del Novecento, con il colonialismo e i
protettorati, come si può chiaramente vedere con la vicenda di un’importante
nazione araba, quella egiziana. Tra il 1922, anno in cui termina il protettorato
della Gran Bretagna sull’Egitto, e il 1952, quando prende il potere il movimento
degli Ufficiali Liberi (tra i quali milita Nasser, il futuro leader), si ha un
inevitabile confronto con la modernità europea che crea un conflitto interno al
mondo egiziano: da un lato i riformatori che, pur opponendosi al
neocolonialismo, svilupparono un’ideologia nazionalista; dall’altro i
conservatori che difendevano l’autenticità della legge coranica e tutto ciò che
essa comportava. I Fratelli Musulmani danno vita ad una rappresentazione
drammatica del conflitto insanabile fra Islam e Occidente, dove le forze del
male cospirano contro la Casa dell’Islam. Si può intuire quindi, come si svolge
l’itinerario che dalla prima predicazione di Hasan al-Bannâ conduce ai vari
movimenti dell’Islam radicale contemporaneo, che criticano fortemente i
governi nazionali, i modelli sociali e politici sperimentati in Occidente,
compreso quello della democrazia parlamentare, perché ritenuti contrari alla
natura stessa dell’uomo.
10
Socialismo, capitalismo, democrazia pluralista sono
ritenuti delle costruzioni artificiali dove l’uomo crede di poter fondare la
legittimità sulla volontà popolare, sulla classe rivoluzionaria o sui rapporti tra
maggioranza e opposizione. L’uomo è ridotto a merce, la donna svalutata e la
famiglia privata dalle sue funzioni naturali: è qui che fa eco la mitologia della
superiorità del sistema economico-sociale coranico rispetto a quelli inventati
dall’Occidente. Inoltre il tutto è alimentato da un conflitto, che dalla seconda
guerra mondiale, alimenta il radicalismo religioso: la questione palestinese.
Quando, circa vent’anni dopo la sua nascita, lo stato di Israele vince la guerra
contro gli eserciti arabi (1967) e annette Gerusalemme,
11
i movimenti radicali
parlano di uno scontro fra il nemico che da esterno si è insediato nelle terre
sante dell’Islam per distruggerlo, una sfida cui viene risposto con il richiamo,
nella coscienza musulmana, della guerra santa, il jihad. Lo «sforzo» collettivo,
morale e anche militare (se necessario), a cui sono richiamati tutti i fedeli della
vera e unica religione, per difendere la propria fede. Poiché il principale artefice
della presenza di Israele sono gli USA, non ci sono grandi distinzioni del campo
avversario, tra paesi a tradizione cattolica o protestante.
Che piaccia o no, resta comunque il fatto che queste due entità vengono messe
continuamente a confronto, oggi come ieri, e c’è da dire che loro stesse si
adeguano a questo costume: «in un certo senso esse “si necessitano”
12
a
10
E. Pace, op. cit., p.110.
11
L’attacco israeliano fu breve ma deciso, per questo la guerra del 1967, tra Israele e gli stati
arabi di Egitto e Siria (seguiti poi da Giordania e Iraq), è ricordata come la guerra dei “sei giorni”.
Fu una grande sconfitta per i paesi arabi: oltre all’annessione di Gerusalemme (Est), la Siria perse
le alture del Golan, l'Egitto la striscia di Gaza (che occupava dal 1948) e la penisola del Sinai fino
al canale di Suez. G. Kepel, Jihad ascesa e declino: storia del fondamentalismo islamico,
Carocci, 2004, p. 72.
12
S. Allievi, op. cit., p. 30.
7
vicenda. Islam e Occidente sono state per lungo tempo delle “strutture di
plausibilità” tra loro alternative»
13
. Infatti, attraverso il Mediterraneo, fin dai
primi secoli del loro rapporto, Islam e Occidente si sono confrontati, osservati e
si rispecchiano. Ma l’immagine che riflettono l’uno dell’altro sembra
corrispondere poco alla realtà o comunque quasi mai l’altro ci si riconosce.
Immagini spesso deformate e distorsioni che continuano nonostante i progressi
delle conoscenze, del moltiplicarsi dei viaggi e dei commerci. Qualcosa però sta
cambiando, la realtà si fa più complessa poiché lo sguardo tra Islam e Occidente
riguarda soggetti che si trovano sempre più vicini tra loro. Oggi non si può
parlare solo di rapporto tra Islam e Occidente, perché è accaduto qualcosa che
rende questo rapporto diverso: oggi l’islam è in Occidente.
La storia ci parla spesso del processo inverso: l’Occidente ha invaso
progressivamente il territorio dell’islam, prima nell’età dell’imperialismo e
delle colonizzazioni, oggi con l’economia, le tecnologie e i media. Mentre
l’arrivo dell’Islam in Occidente è storia moderna, il suo insediamento nella terra
dove il sole tramonta, è un fatto recente. Sono gli anni ’60, gli anni del boom
economico europeo a spingere migliaia di uomini a migrare, all’inizio solo per
qualche anno, alla ricerca di un lavoro.
L’islam nasce migrante, ma la migrazione non resta fine a se stessa. Sul
prototipo dell’hijra,
14
la migrazione diventa il mezzo con cui costruire una
società islamica. Per le sue stesse caratteristiche l’islam non può rimanere in
una posizione di minoranza; un musulmano per dirla con Allievi, dovrebbe
vivere in una società islamizzata nella sua struttura e nelle sue istituzioni, in cui
si può tuttavia consentire la presenza di minoranze non musulmane. Questo in
termini teorici, ma de facto in Europa l’islam vive una situazione di minoranza,
dove è difficile rispettare la formula din, dunya, dawla, (religione, vita
quotidiana e vita organizzata, governo). Inizialmente i musulmani si sono
inseriti individualmente, rispondendo all’offerta di lavoro che l’occidente
proponeva e di cui necessitava, per poi diffondersi collettivamente, iniziando
dalla comunità più piccola: la famiglia, entrando poi a far parte sempre più del
tessuto sociale dei paesi d’immigrazione. Bisogna evidenziare poi il fatto che
questo approccio verso l’esterno è una novità storica per l’Islam, in quanto
difficilmente in passato i musulmani hanno abbandonato per propria scelta e
iniziativa la dar al-islam per andare a vivere tra gli “infedeli”. Inoltre per la
tradizione musulmana vi è la convinzione che sia possibile vivere pienamente
l’islam solo in terre governate da musulmani (se così non fosse si parla di una
sorta di “peccato sociale”). Infatti, chi si trovava a vivere in terra islamica
conquistata e quindi governata dagli infedeli doveva abbandonarla. Oggi invece
si ha questa scelta volontaria, vivendo l’hijra odierna verso il benessere, le
minoranze islamiche in Europa godono di una condizione privilegiata rispetto
ad altre minoranze islamiche presenti in paesi più poveri.
L’islam quindi non è più dall’altra parte ma è in mezzo a noi, fra i milioni di
musulmani stabilitisi in Europa. La frontiera tra i due mondi, se c’è ancora, si è
molto affievolita, il nuovo rapporto che oggi li unisce implica un’indispensabile
13
P. Berger, La sacra volta, Sugarco, Milano 1984; Cit. in S. Allievi, op. cit., p. 31.
14
Significa emigrazione, si riferisce alla partenza del Profeta dalla Mecca nel 622 d.C. La sua
critica al politeismo aveva suscitato la collera dei mercanti meccani. Costretto all'esilio, Maometto
è andato a Yathrib (poi rinominata Medina), e ne diventa governatore. L’egira segna l’inizio del
calendario islamico lunare.
8
conoscenza dell’altro, una revisione del nostro rapporto e una maggiore auto-
comprensione di noi stessi.
9
1. L’Islam in Europa o Islam europeo?
1.1 Le ondate immigratorie
Prima della Seconda Guerra Mondiale, quante persone avrebbero potuto
prevedere ciò che è accaduto nella seconda metà del secolo? Abbiamo assistito
a un grande cambiamento in Europa e il paesaggio sociale, economico e
culturale non è più lo stesso. L’Europa distrutta da lunghi anni di guerra dava
inizio alla ricostruzione e aveva bisogno di molta manodopera a buon mercato; i
primi anni della ricostruzione post-bellica sono stati contrassegnati quasi
esclusivamente da migrazioni “interne”. Ma i paesi CEE importatori di
manodopera non potevano più limitarsi a cercarla all’interno dei confini
europei: in questo momento ha inizio l’esodo dei lavoratori verso l’Europa.
È possibile analizzare questo fenomeno migratorio raggruppandolo in quattro
periodi definiti:
Gli anni ’60, i quali hanno rappresentato un periodo di crescita idilliaca per le
economie europee. Mentre molte colonie portano a termine i processi di
conquista della loro indipendenza nazionale, l’Europa affronta i suoi anni
d'oro: l’industria siderurgica, quella automobilistica e, di conseguenza, le
grandi trasformazioni stradali e urbane, si sviluppano impetuosamente. È stato
proprio in questo periodo che la prima ondata di immigrazione «musulmana»
ha avuto luogo. I primi paesi a ricevere questo flusso furono quelli della
cosiddetta «vecchia Europa», soprattutto Gran Bretagna, Francia e Germania
(RFT). La prima sostituisce i contingenti irlandesi con lavoratori provenienti
dalle sue ex-colonie del subcontinente indiano, dell’Africa orientale e della
Giamaica. Vengono stipulati accordi per l’immigrazione con i paesi del
Maghreb e con molti dell’Africa Nera. La Francia e la RFT in particolare
cominciano, invece, a preferire nettamente contingenti di lavoratori
provenienti da Algeria e Turchia, con quest’ultima viene siglata un’intesa
nell’agosto del 1961, appena tre mesi dopo la costruzione del muro di Berlino
(che blocca praticamente l’intera immigrazione dall’Europa dell’Est).
15
Tuttavia allora nulla faceva pensare che questo avrebbe messo in moto un
complesso processo in termini di mobilità sociale. Per tutto il decennio
avvengono dunque cospicui movimenti migratori da tutti i paesi ex-colonie,
quelli musulmani in prima linea, verso i rispettivi ex-imperi dell’Europa
occidentale. Questi movimenti sono relativamente poco regolamentati: infatti,
per quanto il lavoro degli immigrati abbia carattere “strutturale”, i governi non
sembrano prendere in seria considerazione la possibilità di insediamento
definitivo dei loro ospiti. Secondo una concezione condivisa sia dall’OCSE
(Organizzazione per la Cooperazione allo Sviluppo dei Paesi Occidentali) che
dagli immigrati, l’immigrazione dovrebbe avere carattere temporaneo, e
consentire a tutti di accumulare soldi e professionalità da reinvestire al ritorno
nel paese d’origine.
Una nuova ondata migratoria si ebbe tra la fine degli anni ‘60 e la chiusura
delle frontiere, nel 1974, anno in cui sopraggiunge nei paesi del Nord Europa
15
F. Dassetto, S. Ferrari, B. Maréchal, L’Islam dans l’Union Européenne, quel enjeu pour
l’avenir ? Étude du Parlement Européen: Département Thématique Politiques Structurelles et
de Cohésion, Bruxelles, 2007, p. 6.
10
la prima crisi scatenata dalla scarsità di petrolio. Fu un periodo importante in
termini quantitativi, infatti, gli immigrati che erano arrivati con la prima
ondata, si affrettavano a riunire le loro famiglie nei paesi ospitanti. «L’OCSE
indica il 1974 come “l’anno di svolta” in materia migratoria: la correzione o
addirittura l’inversione delle politiche tradizionali, e l’introduzione di
restrizioni era già iniziata da qualche anno, ma è a partire dal 1974 che
vengono messe in atto politiche “di stop” e politiche “di incentivazione al
rientro”».
16
Queste ultime rimangono quasi senza effetto: per la maggioranza
degli immigrati rientrare in patria significa, quasi sempre precludersi ogni
possibilità di ripartire, e proprio in un momento in cui i paesi d’origine stanno
subendo di rimbalzo, la crisi.
17
Tutte queste persone in seguito si videro accordare uno statuto legale alla fine
degli anni ’70, ma a partire dal loro arrivo, questi nuovi immigrati dovettero
confrontarsi con gli effetti del periodo di crisi, caratterizzato da
disoccupazione e ostilità nei loro confronti. Allo stesso tempo la chiusura delle
frontiere fece crescere tra gli immigrati la convinzione che non dovevano più
lasciare l’Europa, «lì avevano costruito le loro famiglie e la vecchia intenzione
e o speranza di “ritornare a casa propria” aveva iniziato a dissiparsi».
18
Il trasferimento di popolazioni musulmane in Europa riprese verso la fine degli
anni ’70 fino alla metà degli anni ’80. Nei paesi del Nord Europa prende piede
lo sviluppo dei ricongiungimenti familiari e anche la nascita di nuove famiglie.
Tant’è vero che, all’origine di questi nuovi flussi, spesso vi era la celebrazione
di matrimoni “iniziati” nei paesi d’origine. Infatti, con il ricongiungimento
familiare, non solo si agevola l’ingresso del coniuge o di un membro diretto
della famiglia del “raggiunto”, ma anche del partner. Per capire la portata del
fenomeno basta pensare che la maggior parte degli emigranti era caratterizzata
da uomini celibi, definibili in “età di matrimonio”. Nel Sud Europa, l’Italia e
la Spagna hanno conosciuto, in questo momento, un periodo di crescita
dell’immigrazione, e bisogna aggiungere che «questi paesi non hanno inoltre
tardato a costituire gli anelli deboli degli sforzi di protezione dell’Europa
dall’immigrazione».
19
È un periodo di difficoltà; dopo il 1974 si è innescato
ciò che Bastenier e Dassetto hanno definito «un ciclo migratorio di crisi, che
durerà almeno sino alla metà degli anni ‘80. Questo ciclo si caratterizza per
l’inquietudine e per l’ostilità che la presenza degli immigrati ispira
all’opinione pubblica autoctona».
20
Inoltre è in questo periodo che si sono
registrati i primi flussi di migrazione clandestina.
L’ultimo periodo, il quarto, è quello che conosciamo oggi, iniziato nei primi
anni ’90, in cui l’immigrazione, quella legale, è legata sempre più ai
ricongiungimenti familiari, ma quella clandestina ha preso piede velocemente
16
http://www.islamistica.com/marina_bonecchi/migrazioni_e_islam.html.
17
Nei paesi arabi, infatti, gli anni ‘70 e i primi anni ‘80 segnano la crescita dello squilibrio tra
città e campagna, dell’esodo rurale e dell’urbanizzazione selvaggia: sommosse popolari per il
prezzo del pane o del cuscus hanno luogo in Egitto nel 1977, in Marocco nel 1981, in Tunisia nel
1984.
18
Tariq Ramadan, Essere musulmano europeo: studio delle fonti islamiche alla luce del contesto
europeo, Troina, Citta aperta, 2002; p. 180.
19
F. Dassetto, S. Ferrari, B. Maréchal op. cit., p. 1.
20
Albert Bastenier, F. Dassetto, Immigration et espace public. La controverse de l’intégration,
Éditions l’Harmattan, Paris, 1993, p. 243.
11
ed è tuttora un problema a cui le politiche migratorie stanno cercando di far
fronte.
Avere il quadro delle grandi ondate di immigrazione delle popolazioni
musulmane in Europa ci permette di constatare che la stratificazione temporale
corrisponde alla stratificazione delle esperienze. Infatti, l’esperienza degli
immigrati cambia a seconda della durata del loro soggiorno in Europa e a
seconda dell’“ondata” con sono arrivati. Questa stratificazione corrisponde in
parte alla differenza tra due generazioni, poiché quelli che sono immigrati
durante il primo periodo hanno avuto modo di crearsi una famiglia, di vedere
crescere i loro figli e talvolta i loro nipoti. Invece coloro che sono immigrati in
un secondo periodo sono ancora in quello stadio in cui stanno cercando punti di
aggregazione e la possibilità di crearsi a loro volta una famiglia.
Ora, in termini di geografia urbana possiamo distinguere due diversi modelli
legati al diverso ciclo migratorio dei differenti paesi europei. Uno caratterizza il
Centro-Nord Europa a più antica vocazione immigratoria, e l’altro i paesi
dell’Europa mediterranea in passato esportatrice di manodopera. Il primo
modello di presenza islamica nelle città europee, «che potremmo definire
concentrato, è quello delle muslimtowns»,
21
presenti in centri come Bruxelles e
Berlino (in cui si registra una presenza islamica superiore al 10% della
popolazione), Colonia e Birmingham (dove la percentuale varia dal 5 al 10%), o
ancora Bradford (definita la «British Islamabad»
22
), nonché nelle “banlieues”
parigine. Ed è proprio nelle periferie delle grandi metropoli, dove sorgono dei
veri e propri quartieri “nicchie” a forte concentrazione etno-musulmana, che si
registra un certo legame tra l’islam e una più generale questione sociale di
degrado urbano, dove crescono sentimenti di insoddisfazione e di
marginalizzazione (scolastica e poi soprattutto lavorativa) delle seconde
generazioni. In tutto questo gioca un ruolo fondamentale la moschea, quale
centro di aggregazione non solo religioso ma anche sociale, in cui si cerca di
ricreare un’identità etnica su cui fare riferimento. Quello che traspare da questo
primo modello è una «umma urbana», dove l’appartenenza islamica è resa
visibile nel vestiario delle donne, nelle barbe degli uomini, nelle feste religiose
nei quartieri ecc. In pratica si «viene a poco a poco costruendo una città dove
l’islam diviene evidente, che non ha bisogno di essere detto perché è vissuto»
23
.
Se da un lato però questa «umma urbana» produce spazi di aggregazione
organizzati e di controllo sociale, dall’altro molti individui, soprattutto giovani,
talvolta ne escono cercando come alternative, luoghi e modalità di incontro
«laici».
Il secondo modello di presenza islamica, definibile come diffuso, presente nelle
realtà che hanno avuto una fase più recente del ciclo migratorio, è dovuto a un
tipo diverso di manodopera, ma anche a un differente contesto sia economico
che urbano. I paesi europei che si affacciano sul Mediterraneo (Italia e Spagna
soprattutto) sono caratterizzati da una presenza islamica più frastagliata e
plurale, rispetto ai paesi a più antica vocazione migratoria, spesso caratterizzati
da un gruppo forte e dominante (pensiamo agli algerini in Francia, ai turchi in
21
F. Dassetto, La construction de l’islam européen. Approche socio-anthropologique,
L’Harmattan, Paris 1996; Cit. in S. Allievi, op. cit., p. 123.
22
S. Allievi, op. cit., p.123.
23
F. Dasseto, La construction de l’islam européen, op. cit.; Cit. in S. Allievi, op. cit., p.124.
12
Germania ed agli indo-pakistani in Gran Bretagna); di conseguenza qui il
processo di costruzione dell’islam è affrontato in termini di comunità, è un
discorso «più ummico che etnico».
24
Qui il ruolo delle moschee è modificato,
ma non depotenziato, qui non si parla di definire una soglia etnica, ma di aprire
un dialogo islamico «inter-etnico».
25
In conclusione il meccanismo che si è innescato può essere definito un processo
di costruzione dell’islam europeo. I musulmani hanno avviato in Europa un
processo di radicamento che è lontano dall’essere ancora terminato: quella che
si sta sviluppando all’interno dello spazio europeo è una popolazione
musulmana stabile, che comincia a prendere coscienza di se stessa.
1.2 Nazionalità di provenienza e cittadinanza religiosa.
La realtà dell’islam europeo è dunque molto diversificata, essa non costituisce
assolutamente un blocco monolitico e questa diversità spiega in parte perché la
presa di coscienza degli europei, relativamente al fenomeno in oggetto, è stata
graduale e difficoltosa. Studi sociologici degli ultimi anni hanno permesso di
conoscere meglio le numerose differenziazioni tra i gruppi dei musulmani
europei sia sul piano culturale che per quanto riguarda la loro appartenenza al
mondo islamico.
Si cercherà qui di analizzare proprio questo senso di appartenenza, partendo dai
sentimenti identitari e di nazionalità conservati verso i paesi di origine, fino a
sviluppare il concetto di cittadinanza europea.
L’islam che si trova trapiantato in Europa si caratterizza per la sua estrema
diversità, a tal punto che possiamo dire che la vita europea sia una novità per i
musulmani che si integrano. Non dobbiamo tralasciare il fatto che i musulmani
in Europa fanno esperienza della versione continuativa dell’universalità della
umma, come quella che si vive eccezionalmente al momento del pellegrinaggio
alla Mecca. Inoltre è nuovo per i musulmani anche il vivere in una società
plurale. Bisogna tener presente innanzitutto che per il musulmano
l’insegnamento dell’islam è valido in tutti i tempi e luoghi, ed è questo il
concetto di ‘ālamiyyat al-islām (la dimensione universale dell’insegnamento
del’islam), e i concetti di dār al-islām, dār al-harb e dār al-‘ahd (casa
dell’islam, dimora della guerra e dimora del trattato) non hanno origine nel
Corano, né nella Sunna. «Essi erano un tentativo umano, collocato
storicamente, di scrivere il mondo e di fornire alla comunità musulmana una
griglia di lettura geopolitica adatta alla realtà del momento».
26
Quest’ultima
oggi è completamente cambiata, perciò afferma Tariq Ramadan, è necessario
tornare al Corano e alla Sunna, e approfondire l’analisi per sviluppare una
nuova visione adatta al contesto ambientale in cui i musulmani si trovano oggi.
«Rileggere e riconsiderare la comprensione degli insegnamenti dell’islam
diviene dunque una necessità oggi».
27
Come detto l’islam europeo è molto diversificato, in Italia e nei paesi
scandinavi si trovano un buon numero di sciiti originari dell’Iran, ma la
maggior parte di musulmani d’Europa provengono da regioni dove si pratica
l’islam sunnita: il Maghreb, la Turchia, la penisola indiana e l’Africa sub
24
S. Allievi, op. cit., p.125.
25
Ivi, p.125.
26
T. Ramadan, op. cit., p.191.
27
Ivi, p. 192.
13