L’irripetibilità dell’atto tra fonti europee, Costituzione e prassi giudiziaria
10
INTRODUZIONE
E’ ormai a tutti noto che, soprattutto negli ultimi anni, la questione
dell’integrazione europea sta occupando un ruolo sempre più centrale nei
vari settori della vita politica, sociale, economica e giuridica del nostro
Paese. Ciò appare ancora più evidente se si guarda
all’”internazionalizzazione” di alcuni aspetti propriamente afferenti alla
sfera del diritto interno e, in particolare a quella che potremmo definire
come una sorta di “europeizzazione” del processo penale. Il processo di
integrazione si è spinto così oltre che oggi è addirittura possibile parlare
di “spazio processuale penale europeo”
2
. Le teorie sulla sovranità statale
hanno lasciato il passo all’esigenza di elaborare categorie concettuali
comuni, che si atteggino quali strumenti rafforzati di tutela dei diritti
soggettivi del singolo, e, in particolare quali mezzi idonei a formare uno
spazio effettivo di tutela. E’ da questa riflessione che ha avuto luogo il
presente elaborato, attraverso il quale s’intende offrire l’analisi di una
questione molto attuale, ossia quella relativa al rapporto tra la nostra
Costituzione e l’ordinamento internazionale, con peculiare riferimento
alle frequenti censure rivolte dalla Corte europea dei diritti dell’uomo
(da ora in poi Corte EDU
3
) all’Italia, a causa delle continue violazioni
delle norme della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali (d’ora in poi CEDU), poste a difesa dell’”equo
processo”. Nello specifico, s’intende esaminare il ruolo che, nel processo
equo globale, la prova dichiarativa divenuta irripetibile per il
2
A. Gaito, Procedura penale e garanzie europee, Torino, 2006, 9.
3
Tale espressione è stata coniata da F. Viganò, Fonti europee e ordinamento italiano, in Dir. pen. e
proc. – Speciale Europa, 2011, 5.
L’irripetibilità dell’atto tra fonti europee, Costituzione e prassi giudiziaria
11
dibattimento, debba assumere, affinché una dichiarazione resa in fasi
antecedenti, possa essere “recuperata” ai fini probatori.
Il primo capitolo si occupa di tracciare un quadro essenziale delle Carte
internazionali dei diritti umani, che hanno esercitato un ruolo decisivo
per l’approvazione della L. n. 2 del ’99 sul “giusto processo”
4
in Italia.
Si illustrano i principi fondamentali che hanno ispirato il legislatore
nazionale, da quello del contraddittorio a quello dell’oralità, dalla
pubblicità dell’udienza all’imparzialità e indipendenza del giudice, dal
diritto di difesa al diritto a farsi assistere da un interprete. Si esaminano,
specialmente, i contenuti essenziali della CEDU, del PIDCP e della
Carta di Nizza, documenti che più di tutti hanno contribuito a quel
processo di “internazionalizzazione” ormai consolidato nella realtà di
ogni Stato membro dell’Unione europea.
Il secondo capitolo si occupa, da un lato, di analizzare le vicende
legislative e giurisprudenziali che hanno preceduto l’approvazione della
L. cost. n. 2 del ‘99 sul “giusto processo”, e dall’altro, di illustrare gli
effetti che tale riforma legislativa ha spiegato sul vecchio testo dell’art.
111 Cost., in relazione ai principi fondamentali in esso contenuti. Si
sofferma l’attenzione sulle novità introdotte da tale riforma e sul ruolo
che ha avuto, per la sua redazione, l’esigenza di adeguarsi alle garanzie
europee e alle “norme di diritto internazionale generalmente
riconosciute” (art. 10 Cost.). Si arriva così a considerare gli effetti che
essa ha prodotto in un processo poco “garantista”, nel quale la tutela solo
apparente dell’uguaglianza e della parità tra le parti costituisce
l’espressione dell’ideologia totalitaria, propria degli schemi inquisitori
che hanno ispirato il codice Rocco del 1930. Nel processo inquisitorio la
4
L. cost. 23 novembre 1999, n. 2.
L’irripetibilità dell’atto tra fonti europee, Costituzione e prassi giudiziaria
12
macchina della giustizia ha come principale, se non unico obiettivo,
quello di raggiungere la verità assoluta, anche al costo di sacrificare
diritti fondamentali, garantiti a livello costituzionale ed internazionale.
Con il passaggio dal processo inquisitorio a quello accusatorio, prima, e
con l’introduzione della L. cost. n. 2 del ‘99, poi, si assiste a
un’evoluzione verso una tutela e una garanzia effettive del più generale
“principio di uguaglianza” sancito dall’art. 3 Cost. Seguendo questa
linea, si passa a esaminare singolarmente tutti i principi cardine del
“giusto processo”, contenuti nell’art. 111 Cost.
Il terzo capitolo è dedicato al diritto alla prova, così come disciplinato
dal codice di procedura penale, con l’obiettivo di fornire le coordinate
essenziali per approcciare all’analisi del sistema probatorio europeo. Si
parte dalla descrizione del procedimento probatorio e delle sue fasi, per
giungere a spiegare come il rapporto tra diritto alla prova delle parti e
potere probatorio del giudice abbia subìto un ridimensionamento con
l’approvazione della legge sul “giusto processo” e con il c.d. “principio
dispositivo”, in base al quale sono le parti a “disporre” del diritto di
chiedere l’ammissione dei fatti che intendono provare, relegando
l’intervento dell’organo giurisdizionale alla mera funzione di controllo.
Si arriva, infine, allo studio della prova “regina”, la testimonianza, per
illustrare le modalità seguite per l’escussione del teste.
Il quarto capitolo si propone lo scopo di dimostrare che, non solo le
norme CEDU, ma soprattutto la giurisprudenza strasburghese, hanno
un’efficacia cogente nel diritto nostrano, al punto da richiedere una
modificazione della disciplina processuale, affinché, ove si accerti la
violazione di principi convenzionali, sia garantito al condannato il diritto
L’irripetibilità dell’atto tra fonti europee, Costituzione e prassi giudiziaria
13
di essere giudicato in un processo “equo”. Si passa in rassegna la
giurisprudenza nazionale ed europea per trovare la soluzione più
adeguata a risolvere la questione circa l’effettività del diritto
convenzionale in Italia.
Nel quinto capitolo si opera una riflessione sulla funzione che principi,
come quello dell’oralità e del contraddittorio, assumono in relazione alla
tutela del diritto di “difendersi provando”
5
e del “diritto di interrogare o
di fare interrogare” coloro che rendono dichiarazioni contra reum. Il
confronto tra l’accusato e il suo accusatore deve necessariamente
avvenire davanti ad un giudice terzo e imparziale, mediante un sistema
ispirato al metodo orale e a quello dialettico, all’interno della sede
naturale della formazione della prova, qual è il dibattimento. Ove ciò non
sia possibile – fatte salve le ipotesi dell’incidente probatorio e della
rogatoria internazionale – le dichiarazioni rese nelle fasi precedenti non
possono essere utilizzate. Si esamina, altresì, l’istituto delle letture
dibattimentali, deputato al “recupero” della prova dichiarativa, non più
ripetibile nel dibattimento, al fine di operare una distinzione tra atti
leggibili e atti non leggibili, soffermando in particolare l’attenzione sulla
differenza tra gli atti “originariamente” irripetibili e quelli la cui
irripetibilità è, invece, sopravvenuta al loro compimento.
Nel sesto capitolo, nel tentativo di fornire una definizione del concetto di
“irripetibilità”, si analizza nel dettaglio la disciplina relativa agli atti
leggibili, per sopravvenuta, imprevedibile e oggettiva, impossibilità di
ripetizione nel dibattimento, rivolgendo lo sguardo sulla normativa che,
5
Espressione coniata da G. Vassalli, Il diritto alla prova nel processo penale in Riv. it. dir. proc. pen.,
1968, 3 ss.
L’irripetibilità dell’atto tra fonti europee, Costituzione e prassi giudiziaria
14
più di ogni altra, rappresenta lo spunto per un’interpretazione
“manipolativa” della ratio che sottostà alle letture dibattimentali,
disciplinata dagli artt. 512, 512 bis e 513 c. p. p. E’ con riferimento a tali
norme, infatti, che l’Italia ha subìto una serie di condanne da parte della
Corte EDU (Corte EDU, Lucà c. Italia, 27 febbraio 2001; Craxi c. Italia,
5 dicembre 2022), a causa dell’interpretazione estensiva accordata loro,
tale, addirittura, da ricomprendere ipotesi d’impossibilità di ripetizione,
imputabili alla volontà del dichiarante. Si considera, inoltre, il rapporto
che intercorre tra l’istituto dell’irripetibilità sopravvenuta delle
dichiarazioni e quello dell’incidente probatorio, per dimostrare come tra
i due strumenti non vi sia un rapporto d’interconnessione reciproca,
bensì una chiara distanza, perché l’unico legame tra i due è costituito
dall’imprevedibilità-prevedibilità dell’impossibilità di ripetere un
determinato atto, al fine di rendere evidente la rilevanza che assume il
requisito dell’imprevedibilità in vista dell’inserimento dell’art. 512 c. p.
p. nella garanzia costituzionale ed europea di un “equo processo”. Si
vuole, pertanto, dimostrare che il contraddittorio e l’oralità sono gli
strumenti più idonei al “conseguimento di una verità giudiziale che valga
a scongiurare l’errore giudiziario”
6
e che possibili deroghe a tali statuti
devono subire un tassativo inquadramento all’interno dei precisi limiti
imposti dalla legge.
Il settimo capitolo ha ad oggetto lo studio delle diverse figure di
irripetibilità, le quali, a causa della difficoltà di definire tale concetto,
sono state costruite dalla giurisprudenza nazionale ed europea. Si compie
un’analisi che va dall’irreperibilità del teste diretto a quella del teste
6
A. Gaito, Procedura penale e garanzie europee, cit., 59.
L’irripetibilità dell’atto tra fonti europee, Costituzione e prassi giudiziaria
15
indiretto, dall’irripetibilità per “assoluta amnesia”
7
sui fatti del giudizio
all’irripetibilità per morte “inaspettatamente prematura”
8
, fino a giungere
alla discussione sulla facoltà di astensione del prossimo congiunto e al
problema relativo alla testimonianza anonima. Con riferimento a
quest’ultima, si discute sulla posizione adottata dalla Corte EDU e sul
ragionamento da essa seguito per avvalorare la legittimità dell’utilizzo di
tale testimonianza all’interno dell’apparato probatorio, costituente il
fondamento della decisione.
L’ottavo capitolo si occupa delle dichiarazioni irripetibili della persona
residente all’estero. Nell’ottica di individuare di quali requisiti debbano
essere corredate tali dichiarazioni, per essere lette nel dibattimento e, di
conseguenza utilizzate per la decisione, si torna a rivolgere l’attenzione
sul problema dell’identificazione del contenuto ermeneutico del concetto
di irripetibilità dell’atto. E’ soprattutto con riferimento all’ipotesi
dell’irreperibilità del teste residente all’estero che si ha l’impressione di
un allontanamento della disciplina nazionale da quella europea, è come
se attraverso la costituzionalizzazione delle deroghe al “giusto processo”,
si volesse giustificare una riduzione delle garanzie difensive. In
particolare, l’assenza, nella disposizione contenuta nell’art. 512 bis c. p.
p., del riferimento al requisito dell’imprevedibilità dell’impossibilità di
ripetizione dell’atto, sembra suffragare l’idea che tale norma si ponga in
assoluto contrasto con i principi dell’oralità e del contraddittorio, in
quanto eccezioni a simili requisiti, tali da legittimare il ricorso allo
strumento della lettura dibattimentale e non invece a quello
dell’incidente probatorio, possono esservi solo in vista di
un’imprevedibile e oggettiva impossibilità di ripetizione. Del resto, non
7
C. cost., ord. 19 gennaio 1995, n.20, in Giur. Cost., 1995, 232 ss.
8
S. Buzzelli, Le letture dibattimentali in Trattato di procedura penale, Milano, 2000, 95.
L’irripetibilità dell’atto tra fonti europee, Costituzione e prassi giudiziaria
16
sembra corretta l’impostazione seguita dalla Suprema Corte di
Cassazione, laddove fa discendere la legittimità della norma in esame
dalla sua fedeltà ai parametri europei, perché questi ultimi garantiscono
un contraddittorio meno “forte” rispetto a quello costituzionale,
ritenendo sufficiente ai fini dell’”equo processo” anche un
contraddittorio “differito”, ossia fuori della sede epistemologica della
decisione
9
.
Nel nono capitolo, l’attenzione è rivolta, da una parte, all’irripetibilità
delle dichiarazioni provenienti dall’imputato contumace, assente o
silente, e dall’altra, all’irripetibilità delle dichiarazioni dei coimputati in
procedimenti connessi o collegati. Si ripercorre l’iter legislativo che ha
portato all’attuale formulazione dell’art. 513 c. p. p, analizzando
l’influenza che la legge sul “giusto processo” ha avuto sul rapporto
intercorrente tra la norma in questione e l’art. 512 c. p. p. In particolar
modo, ci si riferisce alla convinzione, espressa dalla Corte costituzionale,
nei primi anni ’90
10
, circa il fatto che l’esercizio dello ius silentii possa
essere fatto rientrare nell’ipotesi dell’”impossibilità di natura oggettiva”,
annoverata tra le deroghe costituzionali al “giusto processo”. Pertanto,
tale impostazione, ispirata al “principio di non dispersione probatoria”,
proprio del vecchio modello inquisitorio – che tendeva a conservare nel
materiale probatorio ogni prova, con l’obiettivo di giungere alla verità
assoluta – è stata oggetto di rivisitazione da parte della stessa Corte
11
.
Essa, ha, infatti, affermato la necessità che, affinché si possa ammettere
9
Cass., sez. un., 14 luglio 2011, De Francesco, consultabile su www.archiviopenale.it.,
con commento di F. R. Dinacci, Verso quale nomofilachia? L’irripetibilità dell’atto tra Costituzione e
fonti europee, fascicolo n. 3, 2011.
10
C. cost., sent. 22 gennaio 1992, n. 24; C. cost., sent. 18 maggio 1992, n. 255; C. cost., sent. 18
maggio 1992, n. 254, consultabile su http://www.consultaonline.it.
11
C. cost., sent. 25 ottobre 2000, n. 440, consultabile su http://www.consultaonline.it.
L’irripetibilità dell’atto tra fonti europee, Costituzione e prassi giudiziaria
17
una compressione del diritto al contraddittorio e all’oralità, “l’accertata
impossibilità di natura oggettiva non può che riferirsi a fatti indipendenti
dalla volontà del dichiarante”.
Nel decimo capitolo ci si domanda se l’impianto codicistico, in
particolare quello riferito alle letture dibattimentali degli atti irripetibili
per cause sopravvenute, possa essere considerato rispettoso delle norme
contenute nella CEDU e, di conseguenza, di quelle costituzionali.
Bisogna chiedersi, cioè, se l’ordinamento italiano, possa dirsi inserito
nell’ambito delle garanzie europee, attraverso l’approvazione della legge
sul “giusto processo”, e se questa sia sufficiente per liberarlo da
eventuali responsabilità in sede internazionale, o se altrimenti, esso deve
provvedere ad un ulteriore adeguamento a quei parametri tanto invocati
dal nostro costituente. La risposta può essere data solo dopo aver
compiuto un’analisi della giurisprudenza europea, nella quale è possibile
rinvenire alcuni criteri essenziali che devono sussistere affinché un
processo possa essere considerato “equo”.
Nell’undicesimo capitolo si compie una disaminadesoluzioni adottate
dalla dottrina e dalla giurisprudenza circa il problema della compatibilità
della disciplina delle letture rispetto ai parametri convenzionali
dell’”equo processo”.
Il dodicesimo e ultimo capitolo è dedicato alla ricerca della soluzione più
adeguata (o più “equa”), che comprenda i risultati finora raggiunti, ma
che, al contempo, offra nuovi spunti per la risoluzione di un problema
ancora aperto, qual è quello sul possibile dislivello tra la disciplina
costituzionale del “giusto processo” e la disciplina convenzionale
dell’”equo processo”, divario questo, dovuto alla costruzione, a livello
L’irripetibilità dell’atto tra fonti europee, Costituzione e prassi giudiziaria
18
nazionale, di deroghe che, pur essendo “coperte” dalla previsione
costituzionale, lasciano al legislatore ordinario e, soprattutto,
all’interprete la porta aperta per formulazioni o interpretazioni generiche
e fuorvianti, tali da distogliere l’ordinamento nazionale dall’obiettivo di
adeguarsi ai parametri europei.
L’irripetibilità dell’atto tra fonti europee, Costituzione e prassi giudiziaria
19
PARTE I
L’asse delle nozioni
L’irripetibilità dell’atto tra fonti europee, Costituzione e prassi giudiziaria
20
CAPITOLO I
Il “giusto processo” e l’effettività del contraddittorio nelle Carte
internazionali dei diritti umani
1.1. Premessa. Le Carte internazionali dei diritti umani.
L’impegno per la rivendicazione dei “diritti inviolabili” inizia al termine
della seconda guerra mondiale. In seguito alle barbarie commesse in
quell’occasione, si comincia a sentire il bisogno di attribuire una
garanzia effettiva a diritti che, fino a quel momento, erano rimasti solo
sulla carta. Da questa premessa nasce, il 10 dicembre 1948, la
Dichiarazione universale dei diritti umani, nel cui Preambolo si dichiara
che “è indispensabile che i diritti umani siano protetti da norme
giuridiche” affinché siano assicurate la giustizia e la pace nel mondo. Si
prende coscienza del fatto che la libertà, il diritto alla vita, il diritto di
uguaglianza costituiscono le premesse irrinunciabili per una civile
convivenza.
Posto a garanzia dell’universalità e dell’effettività della tutela dei diritti
umani, è il riferimento esplicito alla suddetta Dichiarazione, nella
CEDU, firmata a Roma il 4 novembre 1950. Essa, al momento della sua
ratifica (avvenuta il 3 settembre 1953), rappresentava un “trattato sui
generis, dotato delle peculiari caratteristiche degli strumenti
internazionali”
12
, avente efficacia meramente dichiarativa.
12
L. Montanari, I diritti dell’uomo nell’area europea tra fonti internazionali e fonti interne, Torino,
2002, 25
L’irripetibilità dell’atto tra fonti europee, Costituzione e prassi giudiziaria
21
Ciononostante, essa è destinata ad acquisire un’efficacia più intensa, a
partire dall’approvazione del Protocollo XI nel ’98, il quale nel
sopprimere la Commissione europea dei diritti dell’uomo, istituisce la
Corte europea dei diritti dell’uomo, come giudice unico. In seguito, essa
acquista il medesimo valore dei principi contenuti nel diritto dell’Unione
europea, attraverso l’adozione della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea, firmata a Nizza il 7 dicembre 2000 (d’ora in poi
Carta di Nizza).
Circoscrive un ambito più ristretto, ma ugualmente garantista, il Patto
internazionale sui diritti civili e politici (d’ora in poi PIDCP), adottato a
Nuova York il 16 dicembre 1966. Esso, al pari della CEDU, richiama,
nel Preambolo, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, allo
scopo di assicurare le “libertà civili e politiche” a livello universale.
Sulla stessa scia si pone il c.d. “Patto di San Josè di Costarica”,
Convenzione sui diritti umani, firmata il 22 novembre 1969 dagli stati
americani, la quale impone il rispetto dei diritti e delle libertà in essa
contenute, al fine di assicurarne “il pieno esercizio” (art. 1). Anche
l’Unione africana adotta, il 28 giugno 1981, la Carta africana dei diritti
dell’uomo e dei popoli, attraverso la quale si assicura “la protezione
internazionale” dei diritti e delle libertà. Un impegno in tal senso è
mostrato anche dalla promozione di tali diritti, a livello transnazionale,
ad opera delle città e delle regioni. A tal proposito occorre menzionare,
in primo luogo, “l’impegno di Barcellona per i diritti umani”, adottato il
17 ottobre 1998, in occasione del 50° anniversario della Dichiarazione
universale e la c.d. “Carta di Saint Denis”, redatta il 18 maggio 2000,
durante la Seconda Conferenza Europea delle città. In secondo luogo,
occorre menzionare la L. 16 dicembre 1999, n. 55, approvata dalla
L’irripetibilità dell’atto tra fonti europee, Costituzione e prassi giudiziaria
22
regione Veneto, al fine di riconoscere “la pace e lo sviluppo quali diritti
fondamentali della persona e dei popoli” (art. 1.).
Si potrebbe continuare, ma non è questo il luogo adeguato per
intraprendere una descrizione dettagliata e onnicomprensiva di tutti gli
atti internazionali
13
adottati per offrire all’individuo le garanzie
necessarie per diventare “cittadino del mondo”. Si vuole solo rendere
evidente come il diritto alle garanzie processuali (e non solo) ottiene una
tutela effettiva anche in ambito europeo. Perciò si concentrerà
l’attenzione su tre di questi atti: la CEDU, il PIDCP e la Carta di Nizza,
poiché essi, più di tutti, richiamano quell’insieme di valori civili, politici
e giuridici, necessari alla formazione di uno “spazio processuale penale
europeo”
14
.
1.2. Carte internazionali dei diritti umani: una limitazione di
sovranità
Gli ultimi anni sono stati caratterizzati da un repentino mutamento nei
rapporti tra diritto nazionale e diritto internazionale. Rivolgendo lo
sguardo al diritto processuale penale ci si accorge che i tradizionali
diritti, cristallizzati in schemi predefiniti, stanno lasciando il passo al
processo di “internazionalizzazione” dei diritti garantiti dalla “nuova
Europa”. Gli Stati appartenenti all’Unione europea devono, loro
malgrado, accettare la crisi dell’identità nazionale e adeguarsi agli
standards europei dell’”equo processo”. Gli ordinamenti degli Stati
13
Il termine “atti” ricomprende le Convenzioni, i Trattati, i Patti internazionali a cui si è fatto cenno in
precedenza.
14
A. Gaito, Procedura penale e garanzie europee, cit., 9