Mimando a ritroso il percorso generativo della significazione, dal più astratto al
più concreto, si tratterà dapprima una parte teorica riguardante la semiotica e le sue
interrelazioni con il marketing, quindi si proseguirà con una parte teorico-applicativa
relativa all’ipermercato in generale, nelle sue varie componenti, e infine si concluderà
con una parte pratica destinata allo studio di un caso concreto.
Nello specifico, nel Capitolo 1 si fornirà una vasta panoramica dei maggiori
contributi che si sono succeduti all’interno della disciplina semiotica, tra i quali quello
francese e statunitense, approfondendo in particolare la semiotica generativa originaria
della scuola greimasiana; inoltre si evidenzierà il carattere di apertura e
interdisciplinarità di questa disciplina con ambiti come la psicologia e la sociologia,
nonché il suo progressivo svincolarsi dagli studi di semiologia, per andare a
scandagliare le profondità del senso.
Il Capitolo 2, partendo da una valutazione generale degli interessi e vantaggi
reciproci che marketing e semiotica possono avere da un loro connubio, o comunque da
un loro confronto, ci si avvicinerà alla tematica del consumo e del consumatore,
mostrando come anch’esso possa essere letto come sistema comunicativo; infine si
giungerà ad una trattazione approfondita della pubblicità, strumento comunicativo
principe nel marketing, con un’ottica semiotica, dal livello più generale a quello più
specifico.
Con il capitolo 3 si inizierà a studiare l’ipermercato vero e proprio, a partire dalla
sua attività comunicazionale, cui si cercherà quindi di applicare le nozioni teoriche di
semiotica, affrontando anche problematiche, come quella del rapporto tra corporate
identity e corporate image: in particolare ci si concentrerà sull’analisi dell’insegna e del
logo, primo strumento comunicativo nella distribuzione commerciale, e della pubblicità
d’azienda, soprattutto a carattere promozionale.
Il Capitolo 4 riprenderà il discorso, trattando però la componente strutturale
dell’ipermercato, ovvero come esso comunica se stesso attraverso ciò che è: ci si baserà
in particolare su uno studio degli anni ‘80 di J.M. Floch per l’ipermercato Mammouth,
per poi andare a vedere anche il ruolo che la semiotica può occupare nella creazione di
un visual merchandising adeguato alla trasmissione di determinati significati e simboli.
Da ultimo il Capitolo 5 riguarderà lo studio concreto dell’ipermercato Auchan,
presso la sede di Mestre, con una struttura che ricalcherà quella dei due capitoli
6
precedenti, passando man mano in rassegna l’identità e l’insegna, la comunicazione
istituzionale, soffermandosi su campagne pubblicitarie, volantino e prodotti a marca
privata, nonché la struttura dell’intero punto vendita e del singolo reparto Immagine e
Suono, per concludere infine con un questionario alla clientela, con lo scopo di valutare
la sovrapposizione o meno dell’area semantica sviluppata da Auchan stesso e quella
relativa ad un ideale ipermercato dei sogni.
7
Capitolo 1 La semiotica
1. La semiotica
1.1 Lo sguardo semiotico: non una definizione ma un punto di vista
Quando ci si appresta a cominciare uno studio, è generalmente necessario avere
ben chiari in mente, fin dall’inizio, gli strumenti di cui si dispone in modo tale da non
trovarsi poi senza alcun punto di riferimento. Tuttavia, quando si parla di semiotica,
sorgono subito problemi di non facile soluzione, e ciò sia per la mancanza di chiarezza
su tale disciplina negli studi in campo aziendale, dove pure numerosi sono gli
insegnamenti che trattano un importante elemento di marketing com’è la
comunicazione, sia per la mancanza di una definizione univoca del termine anche tra gli
specialisti in materia.
Per quanto riguarda il primo punto, accade che il termine di origine anglo-sassone
semiotics venga spesso assimilato con quello di origine francese sémiologie: come si
avrà modo di spiegare più approfonditamente, si tratta di due discipline che, sebbene
non del tutto distinte e con un’origine comune, si differenziano tuttavia sia nelle
rispettive finalità, sia nell’oggetto di studio.
In riferimento al secondo aspetto, Andrea Semprini (1990) afferma che
“azzardarsi a proporre una definizione precisa, sintetica e non controversa di cosa sia la
semiotica sarebbe impresa, a seconda dei punti di vista, del tutto incosciente o
estremamente ingenua”. Non si pretende quindi di possedere, la capacità di definire una
volta per tutte cosa sia realmente la semiotica e si è perciò deciso di seguire il consiglio
del suddetto Semprini adottando, tra le varie possibili, la definizione data da Jean-Marie
Floch (1985): “La semiotica si definisce come un’impresa a vocazione scientifica. Il suo
obiettivo è la costruzione di una teoria generale della significazione e dei linguaggi. Ma
la si può anche definire, a viverla, come una certa disposizione di spirito, fatta di
curiosità per tutto quanto ha o può avere del senso”.
Il pregio più grande di tale definizione, sempre a parere del semiotico italiano, è la
capacità di mettere in luce entrambe le nature insite nella semiotica: da una parte
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Capitolo 1 La semiotica
costituisce una disciplina scientifica rigorosa nelle proprie analisi, attuando una
puntuale verifica delle procedure seguite, con un linguaggio specifico ereditato in gran
parte dalla linguistica e dalla fonologia, e che, per tal motivo, risulta spesso ostico da
affrontare; come spiega il filosofo C. Morris (1946) essa presenta una triplice
articolazione:
- la pragmatica, che studia i segni in rapporto a chi li produce o li recepisce, e
quindi la loro origine, l’uso e gli effetti,
- la semantica, che ne rileva il rapporto coi loro significati, intendendo con tale
termine il valore costante ed universale di un segno,
- la sintassi, che studia le loro relazioni e possibili combinazioni formali, il tutto,
naturalmente, all’interno del processo di produzione di senso.
D’altra parte, essa appare come un modo diverso di guardare alla realtà e ai
problemi che essa ci pone, come un punto di vista non privilegiato ma sicuramente
nuovo a molti, che per questo motivo ha cercato di estendere il proprio campo d’azione
anche verso altre discipline.
Già agli inizi degli anni ‘70, Paolo Fabbri (1973) suggerisce di adottare nelle
scienze umane, uno sguardo semiotico, intendendo con ciò l’acquisizione di nuove
prospettive nell’analisi dei fatti sociali; è uno sguardo che mira a posarsi su tutto quanto
abbia o possa avere del senso e che quindi possa esser letto come testo,: non si limita ad
analizzare testi linguistici scritti o verbali, ma anche figurativi (immagini di vario tipo
come fotografie e dipinti), plastici (oggetti ed elementi della realtà esterna), sincretici
(teatro o cinema ad esempio), e comportamentali spaziando ovunque sia possibile un
processo di significazione sia esso semplice o complesso.
Queste due anime, che vivono contestualmente, hanno sofferto in passato, ma
ancor oggi, di una difficile coesistenza principalmente a causa della definizione dei
rispettivi campi d’azione, fatto che “ha sicuramente nociuto alla percezione e
all’accettazione del progetto semiotico da parte tanto del pubblico degli specialisti di
discipline affini (linguisti, filosofi, sociologi) che da parte di un pubblico più vasto
(operatori culturali, professionisti della comunicazione)”. I primi l’hanno accusata per
“la mancanza di un oggetto di indagine sui generis” ad essa specifico e si sono sentiti
vittime del cosiddetto “imperialismo semiotico”; i secondi hanno potuto godere solo
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Capitolo 1 La semiotica
delle “versioni semplificate e vaghe” giunte loro, ricavandone l’idea di “una disciplina
astrusa, fumosa e del tutto priva di utilità pratica” (Semprini, 1990).
Come si avrà modo di spiegare più approfonditamente, una diffusione della
semiotica, al di là dei confini in cui alcuni si ostinano a relegarla, avrà certamente
vantaggi da ambo le parti: da un lato essa potrà cimentarsi in nuove problematiche
pratiche, dall’altro il nuovo pubblico che se ne servirà, soprattutto nel marketing, potrà
apprezzare i risultati cui si perviene, adottando un punto di vista tanto diverso da quelli
usuali; è per tal motivo infine che si è scelto questo strumento di analisi per lo studio
della struttura e della comunicazione all’interno dell’ipermercato, il quale perciò verrà
letto come testo.
Tuttavia, per meglio capire il mezzo che si ha ora a disposizione, si ritiene
necessario trattare brevemente l’excursus che lo ha caratterizzato.
1.2 Dalla semiologia alla semiotica
Il percorso evolutivo attraverso cui è dovuta passare la semiotica è stato alquanto
tortuoso, caratterizzato dal continuo contaminarsi di differenti approcci che,
influenzandosi, hanno concorso alla formazione dell’odierna disciplina: sarebbe
pertanto più corretto parlarne al plurale in modo da rifletterne la personalità plurima.
Sebbene spesso si parli di semiotica russa, francese, americana, anglo-sassone,
che per Umberto Eco non sono altro che termini-ombrello, si possono riconoscere due
grandi filoni tradizionali di ricerca: uno di provenienza europea e principalmente
francese, l’altro di matrice statunitense.
1.2.1 Il filone europeo
Il primo ha avuto come fondatore il linguista svizzero Ferdinand de Saussure,
celebre per la sua definizione di segno e per la distinzione tra langue e parole: il segno,
secondo lui, è un’entità a due facce, signifié-signifiant, la cui relazione viene stabilita
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Capitolo 1 La semiotica
sulla base della lingua, intesa come sistema di regole astratto che nasce dal consenso
collettivo, la langue appunto; ciò presuppone quindi che tutti i parlanti una medesima
lingua attribuiscano inequivocabilmente lo stesso valore ad un segno e che quindi la
langue costituisca un vero e proprio codice, un sistema di corrispondenza rigido tra
significanti e significati, mentre la parole si riferisca invece alla lingua individuale.
In questo periodo la finalità prima di analisi è la descrizione dei significati
espressi dai messaggi sulla base del concetto centrale di segno: il più piccolo elemento
del linguaggio dotato di significato che nasce dalla relazione tra referente (oggetto,
fatto, atto del mondo empirico), significante e significato (o concetto mentale); in base
a tale relazione, mentre il significante rimanda ad un determinato significato, questo a
sua volta rimanda ad un certo referente.
Fig. 1.1 La struttura del segno
significante referente
significato
Fonte: Codeluppi, 1997
Alla fine degli anni ‘60 si sottolinea che non esiste l’oggettività del mondo reale
in quanto ogni soggetto attua una mediazione nella sua attività di percezione; ne deriva
che anche il referente, così come lo si intendeva, non esiste. Louis Hjelmslev (1968),
ritenendo che il linguaggio si articoli sul piano tanto dell’espressione quanto del
contenuto e che questi siano strettamente interrelati, suggerisce di mantenere la validità
dei concetti di significante e significato come elementi rispettivi dei due piani,
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Capitolo 1 La semiotica
rifiutando invece quello di referente; egli definisce denotazione la relazione che si
instaura tra i due (ad esempio il significante fonico cane che denota un quadrupede
domestico) e connotazione una seconda relazione di contenuto, che si stabilisce a
partire da quella denotativa, ed in base alla quale si possono trovare altri significati più
profondi (ad esempio cane può connotare anche fedeltà, miglior amico dell’uomo, ecc.).
Va in crisi, a questo punto, l’intera architettura del segno e si fa avanti l’idea di
una polisemia della comunicazione: infatti il destinatario percepisce i segni come
stimoli, che innescano l’utilizzo del proprio bagaglio di informazioni, per costruire in
questo modo i propri significati, un processo tanto più complesso e soggettivo quando si
tiene conto anche del livello connotativo. Tuttavia, fa notare Vanni Codeluppi (1997),
“la polisemia esiste soltanto nella situazione virtuale del dizionario”, in quanto “un
segno da solo non esprime nulla” e “per manifestarsi compiutamente ha bisogno di
entrare all’interno di una forma espressiva” delimitata in modo chiaro e con una precisa
organizzazione gerarchica: deve infatti porsi in contatto con altri segni e costituire con
essi un sistema semiotico.
In questo lungo percorso di maturazione, particolarmente determinante è stata
l’influenza del pensiero strutturalista, che ha abbracciato molte discipline ma che ha
trovato la sua massima espressione nella linguistica europea; in base ad esso la struttura
di un testo può essere colta senza ricorrere ad elementi estranei ad essa (come
l’intervento interpretativo del destinatario), in quanto il testo è autosufficiente; i concetti
chiave sono il vincolo di formalizzazione, in base al quale è l’aspetto formale dell’opera
a costituire la struttura, e le trasformazioni, nel senso che gli elementi si definiscono sul
piano funzionale attraverso le relazioni di interdipendenza di ciascuno rispetto agli altri
e al tutto, mentre non hanno alcun valore di per sé. L’approccio strutturalista stabilisce
quindi un’analisi immanentista del testo, cercando l’invarianza che sta sotto le relazioni
intercorrenti tra le variabili che non valgono di per sé ma in virtù del loro essere inserite
in un sistema.
L’esponente più significativo di tale corrente è stato per lungo tempo il semiologo
Roland Barthes che, con la pubblicazione nei primi anni ‘60 degli articoli Elementi di
semiologia (1966) e Retorica dell’immagine (1964), apporta notevoli novità sia culturali
che teoriche. Fino ad allora, “cultura era una parola da scriversi sempre e
obbligatoriamente in maiuscolo” (Semprini, 1990), e adottare come oggetto d’analisi un
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Capitolo 1 La semiotica
annuncio pubblicitario (la pasta Panzani) era tacciato quasi come eretico. Barthes apre
così la strada per lo studio di ogni forma di produzione comunicativa, come fa in questo
stesso periodo Eco con la pubblicazione del suo Apocalittici e integrati legittimando la
low brow culture
1
: la semiologia può, da un lato, usufruire di nuovi oggetti di indagine
che ne mettano alla prova le capacità e, dall’altro, fornire risposte nuove smontando tali
oggetti e mostrandone il funzionamento.
Dal punto di vista strettamente teorico, Barthes prende le distanze dall’erede
diretto di Saussure, Buyssens, per il quale oggetto di studio possono essere solo i segni
prodotti intenzionalmente allo scopo di comunicare e al quale, per tal motivo, si
riconduce infatti la cosiddetta semiologia della comunicazione; egli, al contrario,
sostiene che deve essere indagato ogni fatto convenzionale che si trasformi in segno
anche in modo non intenzionale: si parla perciò di semiologia della significazione e per
lo stesso motivo, applica le categorie linguistiche ad ogni fenomeno segnico, criticando
l’idea di Claude Lévi-Strauss che nega ai sistemi non verbali la dimensione linguistica.
Con il suo modello binario, egli opera una rilettura di Saussure cercando di
estenderne l’applicazione a nuovi sistemi di significazione, attingendo parzialmente alla
linguistica hjelmsleviana, senza tuttavia far proprie le conclusioni di quest’ultimo circa
l’impossibile oggettività del referente e conseguentemente del segno. Egli individua due
livelli dell’immagine:
- quello denotativo in cui il segno (ad esempio borsa per la spesa) è formato da
un significante, costituito dall’immagine, ovvero le entità rappresentate, e da un
significato, fornito dalle stesse entità provenienti dalla realtà esterna: la denotazione è
quindi quella funzione che permette al soggetto, ad esempio con l’esperienza di un
pomodoro e di un’immagine, di far riconoscere subito ciò che viene chiamato pomodoro
iconico.
- quello connotativo in cui avviene la vera e propria nascita del senso attraverso
l’immissione di significati, connotativi appunto, sul significante che ora risulta
costituito dall’intera denotazione (nel caso specifico la borsa, immagine e concetto
insieme, può connotare concetti secondari come cucina casalinga).
Tenendo conto della natura analogica dell’immagine, dovuta alla necessaria
mediazione del linguaggio, si capisce che la semantizzazione varia in funzione del
1
Letteralmente non acculturato o intellettuale: U. Eco in questa sua opera tratta infatti di
fumetti,cinema,ecc
14
Capitolo 1 La semiotica
lessico simbolico di ciascuno ma, al tempo stesso, è regolata grazie alla stabilità dei
saperi che la comunità condivide. Sebbene Barthes sembri dare maggior rilevanza al
secondo livello, quello connotativo, egli comunque afferma l’importante ruolo dialettico
e positivo svolto dal livello denotativo, che conferisce un effetto di realtà e maschera di
naturalità l’artificio semantico insito nella connotazione.
Nell’insieme si tratta di un modello semplice e allo stesso tempo elastico che è
risultato chiaro anche ad un pubblico più vasto, in particolare al mondo della pubblicità
nel quale, come si vedrà, ha riscosso fin da subito molto successo; tuttavia la nozione di
segno da lui utilizzata si riferisce soltanto ai singoli termini, a livello di contenuto,
trascurando le relazioni intercorrenti tra loro, a livello di espressione, che formano un
vero e proprio sistema; inoltre egli sembra attribuire alla connotazione la caratteristica
di attività interpretativa superimposta alla denotazione e in qualche modo ad essa
posteriore: in questo modo essa risulta difficilmente standardizzabile per l’inevitabile
influenza di elementi esterni al sistema stesso di carattere psicologico, ideologico o
sociologico. Sarà appunto da tali critiche, mosse alla semiologia barthesiana e alla
semiologia tout court, che prenderà le mosse la cosiddetta semiotica generativa, di cui
l’esponente principale è certamente A.J. Greimas. Nel generale atteggiamento degli anni
‘70 di contestazione verso il consumismo e i valori conformisti espressi dal discorso
pubblicitario, si mostra tutta la debolezza della semiologia che, anche da un punto di
vista strettamente teorico non riesce a rendere conto della produzione di senso in
linguaggi diversi da quelli figurativi, come sono le unità visive o plastiche.
1.2.2 Il filone statunitense
Il secondo grande filone ha le sue origini addirittura nella lontana filosofia greca
ma si sviluppa tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 a seguito degli studi compiuti dal
filosofo Charles Sanders Peirce, e tra gli esponenti più illustri vi è l’italiano Umberto
Eco. Tale indirizzo si concentra sul processo di ricezione ideale del testo con un
atteggiamento sostanzialmente descrittivo nella individuazione dei differenti segni in
virtù dei quali si possono classificare le forme espressive: non è un caso che Peirce ce
ne lasci infinite tipologie.
15
Capitolo 1 La semiotica
L’intento principale del filosofo è di fondare una conoscenza in senso
sperimentalista , ponendosi in maniera critica verso le teorie assolute e metafisiche dei
filosofi passati: ciò che propone è quindi una conoscenza pragmatica con un continuo
confronto del pensiero col mondo dei fatti; secondo lui non può esistere una conoscenza
che non sia segnica, tanto da affermare che “l’unico modo in cui si può conoscere […] è
per inferenza ipotetica da fatti osservati” (Peirce, 1978), nel senso che ogni segno è
frutto di una mediazione interpretativa del soggetto di tipo inferenziale e l’essenza di
ogni segno è quella di essere in relazione con gli altri segni: stabilisce quindi una
relazione triadica tra segno, oggetto e interpretante.
U. Eco, con il suo modello stratificato, che si basa principalmente su La struttura
assente (1968), si situa in realtà a metà strada tra i sostenitori dell’analogia referenziale
e quelli della linguistica strutturale; egli sostiene che i simboli visivi hanno natura
convenzionale e appartengono ad un linguaggio codificato, “non conoscono a fondo la
proprietà della cosa rappresentata ma trascrivono secondo un codice alcune condizioni
dell’esperienza”; perciò l’analogia può esser vista come un tipo di lettura che deriva da
un’elaborazione tra il segno iconico e le relazioni percettive che i soggetti costruiscono
conoscendo e poi ricordando quell’oggetto. Egli propone una codificazione in strati
successivi, individuando ben dieci famiglie di codici tra cui, alcuni concernono i
fondamenti della comunicazione, altri spiegano l’organizzazione della codificazione
propriamente visiva; tra questi particolarmente rilevanti sono:
- i codici iconici, che denotano materialmente l’immagine e si articolano nelle
figure (unità elementari e poco strutturabili, come rapporti geometrici, contrasti
luminosi, ecc.), nei segni (che definiscono le unità di identificazione isolate
dell’immagine, come naso, occhio, ecc.) e negli enunciati (caratterizzanti coppie o
opposizioni di unità iconiche, come testa e coda);
- i codici iconografici, che designano i significati connotati culturalmente (la
Natività, il Giudizio Universale, ecc.);
- i codici stilistici, che appaiono come creazioni originali legate alla realizzazione
di un ideale estetico particolare;
- i codici dell’inconscio, che determinano le proiezioni e identificazioni psichiche
suscitate dai segni visivi.
16
Capitolo 1 La semiotica
Eco tuttavia, come si analizzerà approfonditamente più avanti, pone molta
attenzione anche all’immagine pubblicitaria, nei confronti della quale teorizza
l’esistenza di cinque livelli di codificazione ordinati per complessità crescente (iconico,
iconografico, tropologico, topico, entimematico); proprio queste sue analisi se da una
parte proseguono le riflessioni di Barthes circa il potere connotativo o iconografico,
dall’altra lo spingono molto più lontano facendogli negare, a differenza del semiologo
francese, qualsiasi valore al livello denotativo o iconico; inoltre egli sottolinea la
banalità di cui soffre l’argomentazione pubblicitaria che, debole nel contenuto
informativo, punta sulla sua funzione fatica e quindi sulla sua capacità di suscitare
emozioni nello spettatore; in questo modo alla domanda: “si desidera una cosa perché si
è persuasi dalla comunicazione oppure si accettano le persuasioni comunicative che
concernono le cose che si desiderano già?” egli non può che orientarsi verso la seconda
alternativa poiché la pubblicità, dovendo ricorrere a ciò che è già acquisito, si serve
necessariamente di soluzioni comunicative già codificate.
Nonostante si tratti di un approccio ancora troppo rigido e orientato
prevalentemente alla classificazione, esso vanta una notevole ricchezza e ampiezza di
vedute, come dimostra la sua ricerca di fondare un’unica teoria generale che studi ogni
costrutto culturale come fenomeno di comunicazione sostenuto da un sistema di
significazione sottostante (egli infatti suddivide lo studio semiotico in una teoria dei
codici e in una teoria della significazione); tuttavia, forse per la sua complessità, non è
stato sempre tenuto nella giusta considerazione nelle ricerche in campo semiotico degli
ultimi vent’anni.
1.2.3 Un approccio di interesse
Un approccio di notevole interesse è poi quello di Louis Porcher che, con la
pubblicazione a metà degli anni ‘70 di Introdution à une sémiotique des images (1976),
si propone di studiare la distribuzione degli elementi iconici in base a criteri puramente
formali facendo ricorso soprattutto al bagaglio linguistico di Hjelmslev: egli infatti
adotta una prospettiva strutturalista radicale che si riflette allorquando, nel centrare la
sua ricerca sul linguaggio dell’immagine e sulla lessicazione iconica, esclude qualsiasi
interferenza di tipo psicologico, sociologico o comunicativo, fedele al principio di
17
Capitolo 1 La semiotica
immanenza; l’immagine, secondo lui, deve essere considerata “come un sistema, ovvero
come un insieme di caratteri interdipendenti”.
Porcher è l’unico a fondare l’analisi su un lavoro di indagine preliminare, con la
collaborazione di un gruppo di lettori-sperimentatori già da lui introdotti alla semiotica;
nell’analisi di una serie di pubblicità di sigarette egli procede attraverso cinque tappe:
- al fine di delineare in modo chiaro l’immagine e ridurre l’arbitrio, a ciascuno
degli sperimentatori è domandato cosa essa evochi in loro (inventare significati) e poi,
per ciascun significato, gli elementi da cui è stato derivato (inventare significanti),
ottenendo infine un inventario che dimostra la sostanziale ineguaglianza nel processo di
semantizzazione: vi sono infatti significanti più forti che comportano una polisemia
iconica mentre altri più deboli che egli chiama elementi inattivi;
- al fine di individuare le unità realmente significanti e assottigliare l’inventario
ottenuto, esse sono sottoposte alla prova della commutazione attraverso la
rappresentazione dell’assenza, in base alla quale si va a verificare l’eventuale
modificazione a livello semantico, sopravvivenza o soppressione del significato, in
funzione della mancanza del relativo elemento significante, (ad esempio il significato
vacanza, in mancanza dei significanti neve e montagna non sopravvive, mentre ciò
avviene invece in assenza di pini, il quale perciò rappresenta solo un sinonimo iconico);
- a partire dalle opposizioni trovate, vengono enucleate le strutture
paradigmatiche dell’immagine, con i loro assi semantici, che mostrano come il senso
sorga cumulativamente a differenti livelli, attraverso catene oppositive, (ad esempio
niente vs combinazione)
- viene analizzata, all’interno dell’immagine, l’organizzazione del senso, il quale
si mostra secondo schemi sintagmatici
2
: se da una parte la messa in sequenza del senso
risulta diversa, anche per lo stesso significato, a seconda delle letture operate, dall’altra
la codificazione contestuale ne limita la varietà;
- infine, sconfinando dai limiti strutturali, vengono fatte considerazioni più
generali sull’immagine pubblicitaria, sia di natura stilistica che funzionale, mettendo in
luce il paradosso che la caratterizza: da un lato essa deve farsi dimenticare a vantaggio
del prodotto, dall’altro si mostra come una costruzione codificata per guidare il lettore.
2
Il termine sintagma, per Saussure, è il modo in cui si organizzano le parole, corrispondente alla lingua
parlata. Nel linguaggio comune si intende una singola unità sintattica.
18
Capitolo 1 La semiotica
Si tratta quindi di un modello assai rigoroso che dimostra come la
semantizzazione dell’immagine pubblicitaria sia in balia delle differenti letture possibili,
e come funzioni realmente il suo meccanismo, differenziandosi per tal motivo dai
modelli di Barthes e Eco, che si fermano ad un livello più intuitivo. Tuttavia, proprio
questo suo rigore costituisce il suo limite maggiore: a fronte di una eccessiva analiticità,
esso pecca di completezza sul piano della sintesi, nella quale si riscontrano alcune
lacune; inoltre non si deve trascurare l’artificiosità dovuta all’utilizzo, nelle prime fasi,
di sperimentatori già indottrinati e quindi non certamente oggettivi, e di procedure
teoricamente sofisticate ma di dubbia applicazione pratica. E’ questa una delle ragioni
che spiegano anche i limiti dell’applicazione rigorosa dei principi strutturalisti allo
studio dell’immagine in generale.
1.3 La semiotica generativa
Come si è visto, il superamento della semiologia barthesiana è avvenuto
soprattutto ad opera del linguista Algirdas Julien Greimas e del gruppo di ricercatori che
si sono riuniti attorno a lui presso l’Ecole de Paris; si può affermare, anzi, che egli
stesso abbia voluto attribuire il termine di “semiotica” ai propri studi per differenziarsi
in modo netto da Barthes.
La semiotica generativa, da lui avviata e poi sviluppata da molti altri nei vari
campi, tra cui soprattutto J.M. Floch, viene così definita perché il suo obiettivo centrale
è di descrivere i meccanismi di generazione del senso: l’accento si sposta quindi dalla
comunicazione alla significazione (dando ad essa però un valore più profondo e
completo di quanto fatto in precedenza). Ne deriva direttamente la dissoluzione della
nozione di segno: infatti i segni possono appartenere ai più svariati campi ed essi
acquistano senso solo se inseriti all’interno dei loro contesti; si capisce quindi che
“considerato isolatamente, nessun segno ha alcun significato, [ma] qualsiasi significato
di un segno nasce da un contesto” (Hjelmslev, 1971).
A questo punto, se il linguaggio non serve più solo per comunicare ma costituisce
un vero e proprio sistema di significazione con un piano del contenuto e uno
19
Capitolo 1 La semiotica
dell’espressione ben organizzati al loro interno e distinti tra loro, allora il segno non
acquista importanza che al livello superficiale della manifestazione; una lettura
puramente semiologica del testo, quindi, fermandosi in superficie, non coglie la parte
più importante che sta sotto, dove si innescano le strategie.
L’analisi greimasiana considera ogni costrutto culturale come testo semiotico in
quanto sistema organizzato e dotato di senso; essa afferma l’intelligibilità del mondo del
senso, non condividendo “il gusto dell’ineffabile” (Floch, 1992), e sposa totalmente la
posizione fortemente immanentista, ereditata dagli strutturalisti, in base alla quale nulla
nell’analisi va cercato al di fuori del testo stesso e le variabili extra-testuali (contesto)
possono costituire oggetto di studio solo una volta che siano state a loro volta
testualizzate, tanto da diventare famosa l’esclamazione spesso ripetuta da Greimas
“Fuor dal testo non v’è salvezza!”.
Fig. 1.2 Il percorso generativo della significazione
manifestazione livello
figurativo
strutture livello distribuzione di tempi,
discorsive tematico spazi, ruoli
livello più sistema dei programmi
strutture superficiale valori narrativi
semio-narrative
livello posizioni percorsi
profondo relazioni trasformazioni
componente semantica componente sintattica
Adattamento da J.-M. Floch, 1992
E’ proprio compito del ricercatore andare oltre il livello superficiale del testo e
addentrarsi nella sua organizzazione gerarchica, in modo da arrivare a ritroso fino al
livello più profondo dove nasce la significazione.
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