4
omnicomprensivo del termine, estremamente interessante e degno di attenta analisi,
sotto diversi aspetti.
Nel primo capitolo del presente lavoro si cerca di dare una definizione del concetto
di capitale umano, tenendo conto che, a fronte della crescente attenzione che questa
tematica ha suscitato, gli autori lo hanno variamente definito e analizzato sotto
molteplici aspetti, senza approdare ad una teoria completamente condivisa. Ma,
soprattutto sono sorti molti problemi per la misura del capitale umano, anche in
relazione alla sua natura multidimensionale e al livello micro o macro al quale si
desidera effettuare le analisi. Di conseguenza anche le analisi empiriche non sono
ancora molto sviluppate.
Nel secondo capitolo si analizzano le ragioni che spingono gli individui ad investire
nel proprio capitale umano e l’importanza di tale investimento a livello di impresa, in
quanto fattore diretto di incremento di produttività e di produzione, e a livello
aggregato, quale fattore di crescita economica e di coesione sociale. In particolare si
affronta il dibattito sull’individuazione delle conoscenze e delle competenze che
attraverso l’istruzione contribuiscono alla formazione e alla crescita del capitale
umano, ponendo l’attenzione anche sugli effetti che i fattori istituzionali hanno sui
rendimenti.
Nel terzo capitolo ci si chiede quale sia la situazione attuale in termini di
investimento in capitale umano nel mondo, confrontando negli aspetti più salienti il
sistema dell’istruzione e i relativi rendimenti tra i paesi OCSE con particolare
riferimento ai risultati italiani.
Nel quarto capitolo si delineano le strategie indicate dall’UE per la crescita della
qualità della forza lavoro, le urgenze da affrontare e gli sforzi ancora da compiere per
conseguire un miglioramento progressivo e rapido dei nostri sistemi di istruzione e
formazione nella prospettiva di realizzare, secondo la strategia di Lisbona,
un’economia basata sulla conoscenza che sia la più competitiva e dinamica del
mondo. Si descrivono inoltre i programmi attuati a livello comunitario e i caratteri
più evidenti delle politiche nazionali di riforma del sistema dell’istruzione e della
formazione permanente.
Nella parte conclusiva si individua nella qualità e nella valorizzazione del “capitale
umano della scuola”, ossia gli insegnanti, lo strumento più efficace di investimento.
5
CAPITOLO PRIMO
IL CONCETTO DI CAPITALE UMANO E PROBLEMI
DI MISURAZIONE
Premessa
Se si chiedesse a un campione casuale di intervistati qual è il fattore fondamentale
dello sviluppo economico, probabilmente la risposta più frequente sarebbe la
seguente: una forza lavoro più istruita. Il comune buon senso suggerisce che livelli di
istruzione più elevati e una generale crescita delle competenze e capacità
professionali dei lavoratori rappresentano la via maestra verso una società migliore e
una economia più efficiente. Si potrebbe anche sostenere che l’importanza
dell’istruzione è tanto maggiore quanto più si estende nelle economie sviluppate il
ruolo delle conoscenze scientifiche e tecnologiche, poiché le nuove tecnologie
richiedono un uso intensivo di capacità concettuali normalmente incorporate nel
capitale umano. Non stupisce, quindi, che quest’ultimo sia stato al centro della
riflessione degli economisti che si sono occupati di problemi dello sviluppo delle
economie arretrate, nonché di coloro che hanno analizzato i meccanismi
fondamentali della crescita nei paesi industrializzati. Persino il miracolo economico
dei paesi asiatici da alcuni è stato attribuito in gran parte ad una buona dotazione di
capitale umano.
1
Negli anni ’60 esso è stato individuato come fattore di crescita
decisivo ed introdotto nel modello di crescita di Solow nel tentativo di aumentarne la
capacità esplicativa.
Ma cosa si intende per “capitale umano”?
1
Sergio Lodde, “Capitale umano e sviluppo economico. Cosa sappiamo in teoria e nei fatti?”,
Cooperazione mediterranea, AM&D, n.1, gennaio-aprile 2000; anche in Contributi di Ricerca
CRENos, 2000: <www.crenos.it/working/pdf/00-3.pdf,>, p. 2.
6
1.1 “Capitale umano”: significato e natura
Capitale umano è un’espressione di uso relativamente recente, prevalente nel campo
economico (dall’inglese human capital). Il termine ha avuto una rapida ed ampia
diffusione negli ultimi decenni, per analogia con la terminologia economica che
identifica le risorse economiche a disposizione di una data società. Il capitale umano
viene incluso nelle risorse economiche insieme all’ambiente e al capitale fisico.
Infatti, la capacità di una società di produrre i beni e servizi necessari a soddisfare i
propri bisogni dipende dalla quantità, qualità e combinazione delle risorse a propria
disposizione.
Mentre il capitale fisico è costituito da prodotti materiali durevoli utilizzabili per la
produzione di altri beni materiali o immateriali, detti anche beni capitali, mezzi di
produzione, il capitale umano è costituito dall'insieme delle facoltà e delle risorse
umane, in particolare conoscenza, istruzione, informazione, capacità tecniche, che
danno luogo alla capacità umana di svolgere attività di trasformazione e di
creazione.
2
1.1 Capitale umano e capitale fisico: analogie e differenze
Per capire cosa è il capitale umano è meglio comprendere il ruolo del capitale fisico
che è una delle fondamentali risorse economiche nell'economia moderna. Il capitale
fisico può essere riferito ad una singola unità produttiva o all'intera economia.
Generalmente, comprende macchinari, impianti, installazioni, fabbricati e, in senso
lato, la tecnologia in essi incorporata. Il capitale fisico dell'intera economia
comprende i mezzi di produzione di ogni settore, industriale, agricolo e dei servizi.
Si è soliti identificare l'epoca moderna dello sviluppo economico mondiale con
l'avvio della rivoluzione industriale in Europa occidentale alla fine del XVIII secolo,
proprio in quanto da quel momento in poi la produzione di beni avviene con un
sempre crescente impiego di capitale fisico rispetto al lavoro manuale (intensità di
capitale). Per la stessa ragione, tale epoca è stata anche definita col termine
2
Cfr. <www.utopie.it/economia_sostenibile/capitale_umano.htm,> ultima consultazione 08/07/08.
7
capitalismo. Il capitale fisico di un'unità produttiva o dell'intera economia può essere
accresciuto o modificato mediante l'investimento. Per questa ragione, l'investimento
viene anche definito accumulazione di capitale. La caratteristica essenziale
dell'utilizzo del capitale fisico nella produzione è la sua capacità d'incrementare la
produttività del lavoro umano, misurabile ad esempio dalla quantità di prodotto per
ora lavorata o per lavoratore impiegato. Il capitale fisico di cui è dotata ogni unità
produttiva, e quindi l'economia nel suo complesso, ne determina la capacità
produttiva. Per comprendere la relazione tra capitale, produttività e lavoro, giova
tenere presente la seguente relazione: PRODUZIONE TOTALE =
PRODUTTIVITA' PRO-CAPITE X N.LAVORATORI.
Se una maggior quantità o qualità di capitale fisico fa aumentare la produttività pro-
capite si possono avere diverse conseguenze: può aumentare la produzione totale, a
parità di lavoratori impiegati; può ridursi l'intensità dell'impiego di lavoro, a parità di
produzione totale. Storicamente, lo sviluppo delle economie capitalistiche ha
mostrato entrambe le tendenze a fasi alterne e con maggiore o minore intensità. Ad
esempio, oggi in Italia il livello della produzione è circa 20 volte superiore di quanto
era 100 anni fa, mentre il numero di ore lavorate è circa la metà. La capacità del
capitale fisico di incrementare la produttività del lavoro deriva essenzialmente dalla
tecnologia incorporata nei mezzi di produzione. Per tecnologia, in senso lato,
s'intende l'insieme di conoscenze scientifiche e tecniche che vengono utilizzate per l’
ideazione, realizzazione e utilizzo di un dato mezzo di produzione. Tutti i mezzi di
produzione, dai più semplici ai più sofisticati, sono essenzialmente degli strumenti di
lavoro, e l'impulso a creare strumenti per migliorare la propria capacità lavorativa è
un tratto distintivo ancestrale dell'homo sapiens e della nostra civiltà. Da questo
punto di vista, l'evoluzione della civiltà umana è anche una storia di scoperte
scientifiche e di progresso tecnico, che ha profondamente mutato la nostra
comprensione del mondo e la nostra capacità di trasformarlo per il nostro benessere.
Secondo una consolidata tradizione di pensiero, una delle cause fondamentali della
povertà di un paese risiede nella insufficiente crescita economica dovuta ad una
bassa dotazione di capitale fisico, generalmente combinata con arretratezza
tecnologica. Di qui le politiche economiche incentrate sull’investimento in capitale
fisico e sul progresso tecnico, che hanno avuto un peso preponderante fino agli anni
8
1970-80. Oggi le organizzazioni economiche internazionali tendono a collocare il
problema della dotazione di capitale fisico in un contesto più ampio di fattori
immateriali che fanno capo al cosiddetto capitale umano.
3
Dal punto di vista economico, la manifestazione più importante del capitale umano è
il lavoro.
Ma il lavoro e il suo contributo alla produzione non è una costante nel corso del
tempo e per ciascun paese. Infatti, la qualità del lavoro che una persona mette a
disposizione può variare enormemente e dipende dal suo stato di salute – una persona
sana può lavorare meglio e più a lungo e può anche ragionare meglio - , dalle sue
capacità fisiche e cognitive, dalle sue abilità e conoscenze. La qualità della forza
lavoro si indica generalmente con l’espressione capitale umano, poiché gode di
parecchie caratteristiche simili al capitale fisico in senso stretto.
4
Innanzitutto, come per il capitale fisico, si guarda alle caratteristiche dei lavoratori
che siano, per così dire, produttive, vale a dire caratteristiche che permettano di
aumentare in qualche modo la produzione, alla qualità del loro prodotto e quindi al
loro rendimento, sebbene il modo in cui questo è ottenuto si presenta di tipo
completamente diverso. Infatti, il capitale umano fornisce al lavoratore che lo detiene
una retribuzione maggiore, ma richiede una sua diretta partecipazione, ossia è
inscindibile dal suo stesso proprietario. Viceversa, il capitale fisico genera profitto
indipendentemente dalla partecipazione diretta del proprietario che si limita a godere
i suoi diritti di proprietà. Ne segue che non vi è alcun limite all’ammontare di
capitale fisico che può essere posseduto da un unico individuo. Al contrario, per
quanto riguarda il capitale umano, questo limite esiste. La persona può essere in
buona salute o avere un livello di istruzione elevato solo fino ad un certo punto.
Quindi, se è vero che non c’è alcun motivo per cui il capitale fisico con cui ciascun
lavoratore deve lavorare non continui a crescere nel prossimo secolo alla stessa
velocità con cui è cresciuto nel corso di quest’ultimo secolo, è vero anche che ci sono
limiti quantificabili all’accumulazione di capitale umano.
3
Cfr. <www.utopie.it/economia_sostenibile/capitale_umano.htm,> ultima consultazione 08/07/08
4
D.N. Weil, Crescita economica, Problemi, dati e metodi di analisi, edizione italiana a cura di
Marcello D’Amato e Tullio Jappelli, Hoepli, Milano 2007, pp.148-149.
9
Per queste ragioni, dunque, la crescita del capitale umano, che è stata una delle fonti
principali della crescita osservata nell’ultimo secolo, sarà meno determinante per la
crescita nel prossimo secolo.
Infine, il capitale umano, proprio come quello fisico, si deprezza, perché soggetto ad
obsolescenza.
5
1.2 Un breve excursus nella letteratura economica
Il capitale umano è anche definito come il risultato delle spese sostenute per
aumentare la capacità professionale dei lavoratori attuali e futuri. Queste spese
devono essere confrontate coi benefici che possono derivare dall’accresciuta qualità
e produttività del lavoro, prima di decidere se convenga o meno sostenerle.
6
Questa definizione può essere ricollegata ad uno dei tanti sviluppi che ha avuto la
teoria del capitale umano elaborata nei primi anni ’60 da Schultz (1961), Mincer
(1958 e 1970) e Becker (1962 e 1964). La teoria, o meglio le teorie, del capitale
umano hanno fornito una giustificazione scientifica a due convincimenti: per i singoli
individui, il livello (o stock) e lo sviluppo del capitale umano determinano un diverso
livello e sviluppo delle loro retribuzioni e redditi (e ciò vale anche per le famiglie);
per l’economia nel suo complesso, determinano il livello e la crescita economica
complessiva del paese (e ciò vale anche per le imprese).
7
In tal modo, dal punto di vista microeconomico, il capitale umano di un individuo è
considerato una delle principali determinanti del successo nel mondo del lavoro e
l’investimento formativo assume rilevanza per le maggiori opportunità che offre agli
individui di accesso e permanenza nel mercato del lavoro, oltre che di progressione
di carriera e di miglioramento delle condizioni professionali, anche in termini
retributivi.
5
Ibidem, pp. 149-173.
6
Cfr. L’Universale. La grande enciclopedia tematica. Economia. Vol 1, Garzanti Libri, Milano 2003,
p. 200.
7
Luigi Biggeri , “Il capitale umano come risorsa strategica”, pubblicato su Global Collection, n. 6 –
2006, p. 23.
10
A livello macroeconomico, si ritiene che le capacità competitive di un paese e del
suo sistema produttivo dipendano dal tasso di accumulazione e dallo stock degli
investimenti in capitale fisico, ma anche dall’investimento e dallo stock di
conoscenze incorporate nel capitale umano.
8
Ma non si può trascurare un altro fatto importante: le forme di investimento di cui
parliamo sono quelle in educazione e formazione che, non solo determinano un
incremento della produttività del lavoro, ma incidono in senso positivo sulla salute,
sulla criminalità e sulla coesione sociale. Si tratta quindi di investimenti che hanno
un impatto sociale ancora più rilevante di quello misurato in termini economici sulla
produttività.
Nel tentare un breve excursus sui contributi che i vari autori hanno dato alla
definizione e al ruolo del capitale umano nel contesto economico, senza la pretesa di
essere esaustivi data la vastità della letteratura prodotta in materia, si richiama di
seguito in forma sintetica una efficace rassegna compiuta da Giorgio Vittadini e
Piergiorgio Lovaglio
in un loro recente lavoro.
9
“…Il primo contributo alla valutazione del capitale umano si deve ad Adam Smith,
che ne «La ricchezza delle nazioni» (1776), introdusse il concetto, proponendo
l’analogia tra l’uomo e le macchine: per allevare uomini così come per produrre le
macchine occorrono risorse economiche, quindi la ricchezza di un paese si misura
considerando sia il valore delle macchine che quello degli uomini.
Più di un secolo dopo Marshall definì il capitale umano “…quell’insieme che
comprende le energie, le facoltà e le abitudini che contribuiscono direttamente
all’efficienza produttiva degli uomini”.
10
Ma la capacità produttiva dell’uomo
poteva essere considerata solo indirettamente: il suo valore era determinato dalla
quantità di risorse impiegate per il suo mantenimento e per la sua formazione,
facendo riferimento quindi al concetto di uomo-consumatore.
8
cfr. paragrafo 1.2.
9
G. Vittadini e P. Lovaglio, “Fattori materiali e immateriali del capitale umano”, in Vittadini G. (a
cura di), Capitale umano. La ricchezza dell’Europa, Guerini e Associati., Milano 2004, pp.36-45.
10
A.Marshall, Principi di economia, UTET, Torino 1948, pp. 57-58.
11
Per Gini, invece, il valore monetario dell’uomo o capitale umano corrisponde al
reddito da lavoro, cioè con riferimento all’uomo-produttore al netto delle risorse
spese per il mantenimento e la formazione.
Da queste posizioni dialettiche emergono i due approcci che hanno tentato di fornire
il valore monetario dell’uomo, l’uno basato sulla quantificazione dei redditi futuri
(metodo prospettivo), l’altro sulla quantificazione dei costi di allevamento (metodo
retrospettivo).
11
Uno sforzo ulteriore nello studio del capitale umano è stato compiuto da quegli
autori che hanno considerato operativamente l’apporto del fattore produttivo lavoro
alla produzione, provando che l’incremento della produzione nazionale
statisticamente non è spiegabile con l’evoluzione quantitativa dei fattori produttivi
impiegati, ma risulta determinata da fattori di ordine qualitativo, dal progresso
tecnologico e ultimamente dall’evoluzione “razionale” del fattore lavoro.
Secondo Schultz, gli aumenti medi del reddito nazionale americano tra il 1889 e il
1919 (3,5%) e tra il 1919 e il 1957 (83,1%) eccedono di gran lunga l’aumento delle
risorse impiegate come fattori materiali nel processo produttivo, ossia gli aumenti di
materie prime, energia, macchinari utilizzati nel processo produttivo, colture e
terreni coltivabili, forza lavoro come quantità di ore lavorate.
J. Kendrick nella metà degli anni ’70 considerò il capitale umano come fattore
produttivo, costituito dal valore complessivo di quella parte della popolazione in età
lavorativa che partecipa al processo produttivo… L’autore suddivise i capitali in:
a) capitali materiali tangibili, ossia tutte le spese per beni durevoli di imprese e
famiglie per il mantenimento e la crescita […];
b) capitali umani tangibili, ossia i costi per produrre fisicamente esseri umani (spese
di allevamento fino all’età lavorativa) […];
c) capitali materiali intangibili, costi di attività di ricerca e sviluppo […];
d) capitali umani intangibili, spese per il miglioramento della qualità e della
produttività del capitale umano tangibile (spese per istruzione, formazione
11
Cfr. paragrafo successivo.
12
professionale, mediche e sanitarie e per mobilità settoriale e territoriale degli
occupati […].
12
Altri autori hanno messo in evidenza il legame tra capitale umano e contabilità
nazionale. Lenti, ad esempio, negli anni ’60, sosteneva che la capacità produttiva
dei mezzi materiali si esaurisce nel tempo, mentre quella dei mezzi umani si
trasmette, almeno in parte, da generazione a generazione. Per questo, la
caratteristica del capitale umano delle conoscenze che si sedimentano nel tempo va
adeguatamente valutata per lo sviluppo economico di un Paese.
Anche Gini fu convinto sostenitore e studioso del calcolo monetario del valore
umano come fattore da includere nella ricchezza nazionale, asserendo che il costo di
mantenimento e di produzione dei capitali umani andrebbe inquadrato nel sistema
dei conti economici come investimenti e non come costi; in particolare, ai costi
andrebbero sottratte le spese che comprendono istruzione, formazione professionale,
salute negli ambienti di lavoro, ecc. e parallelamente andrebbe creata la voce
investimenti in istruzione o più genericamente in capitale umano…”
In definitiva, molte sono le sfumature di significato che i vari autori hanno dato del
capitale umano ai vari livelli (di individuo, famiglia, impresa, paese), per questo
sembra utile, in questo contesto, riferirsi a quella generale riportata in un noto lavoro
dell’OECD del 2001
13
, dove per capitale umano si intendono “le conoscenze, le
capacità, le competenze e gli attributi individuali che facilitano il benessere
personale, sociale e economico”, concetto che è stato abbracciato anche dal
Consiglio dell’Unione europea nella risoluzione del 25/11/03, come già richiamato
nell’introduzione al presente lavoro. E’ chiaramente una definizione che fa
riferimento alle molteplici caratteristiche del capitale umano e ai fattori che ne
influenzano il livello e l’evoluzione.
12
Così l’autore dimostrava statisticamente che dal 1949 al 1969 l’aumento del prodotto nazionale
lordo era dovuto più ai capitali umani ( e in particolare a quello intangibile) che a quelli materiali..
13
OECD, European Competitiveness Report 2001, 2001.
13
1.4 Metodi di misurazione: alcune tipologie di analisi
Un aspetto innovativo della tematica del capitale umano, emergente negli ultimi anni,
riguarda la sua valutazione. Le concezioni , le procedure e gli strumenti per la stima
di questo “prodotto” della formazione sono stati definiti contestualmente alle
definizioni del capitale umano e alle sue evoluzioni.
Poiché il concetto di capitale umano è per sua natura multidimensionale, e riguarda
elementi oggettivi e/o soggettivi ed aspetti che possono essere assai differenti, è
estremamente difficile predisporre misure adeguate (indicatori) per i vari aspetti e,
soprattutto, di ottenere una misura unica e sintetica.
Pertanto si ritrovano nel corso del tempo molti criteri orientati e anche veri e propri
metodi di valutazione che possono essere divisi in “metodi retrospettivi” e “metodi
prospettivi”, come nel caso della Scuola di Chicago, e approcci di tipo più
direttamente quantitativo, tanto da poter essere definiti approcci statistici, come nel
caso di C. Dagum.
I metodi di misura e di analisi si differenziano a seconda del livello di riferimento
(individuale o di paese) e dell’obiettivo che ci si pone.
Negli anni più vicini a noi si rinvengono anche concezioni di natura più
espressamente qualitativa maggiormente consone alle concezioni di capitale sociale,
capitale conoscitivo, capitale personale, le quali tendono a prendere in
considerazione anche aspetti cognitivi e meta-cognitivi della personalità. Questi
nuovi approcci rientrano nel novero dei metodi che si stanno definendo per la
valutazione della qualità dei risultati e che si vanno ad applicare sia alle istituzioni
scolastiche che a quelle universitarie.
14
I metodi retrospettivi
Per metodo retrospettivo viene inteso l’insieme delle procedure e degli strumenti che
si utilizzano per stimare il costo della crescita dell’uomo dalla nascita, considerata
dal momento della gestazione
15
, fino all’età di ingresso nel mondo del lavoro.
14
L. Refrigeri, Oltre il capitale umano, Rubbettino, Sovria Mannelli 2004, p. 63.
15
T.W. Schultz, The economic value of education, Columbia University Press, New York and London
1963.
14
Questo metodo, introdotto per la prima volta da Ernst Engel
16
, si fonda sul principio
che il valore monetario dell’individuo, corrisponde all’ammontare della sua
produzione, vale a dire “allevamento”, mantenimento, formazione.
L’ipotesi fondamentale su cui poggia tutto il modello è che il valore dell’uomo
(capitale umano) tende ad eguagliare il suo costo di produzione, cioè le spese
necessarie per farlo giungere al mercato del lavoro come soggetto produttivo.
Engel, nel 1883, sulla base dei bilanci famigliari prussiani, ipotizzò che i costi
annuali crescessero secondo una progressione aritmetica del 10% dalla nascita fino
alla fine dello sviluppo, considerata 26 anni per l’uomo e 20 per la donna.
Pur non entrando nei particolari tecnici del modello coniato da Engel, è opportuno
precisare che l’“allevamento” di un individuo di una determinata età viene
individuato sulla base dei consumi sostenuti (da altri) in un dato anno per
alimentarlo, istruirlo e mantenerlo in tutti gli aspetti della sua esistenza.
17
Il metodo retrospettivo trova una naturale applicazione nel campo attuariale, in
particolare nella valutazione dei premi sulle assicurazioni, per la stima dei costi per
prevedibili malattie e morte prematura.
Oltre ai numerosi limiti dell’approccio retrospettivo, tra i quali l’obsolescenza delle
scale di equivalenza e la mancata differenza per le varie categorie professionali, C.
Dagum, di cui si parlerà successivamente nel presentare i metodi statistici, ne
individua due più sostanziali riguardanti i seguenti aspetti: a) il metodo retrospettivo
non fa riferimento ai costi sociali sostenuti dalla collettività nella stima del capitale
umano, come gli investimenti pubblici in istruzione; b) nella stima del costo del
capitale umano, tale modello trascura variabili come i condizionamenti ambientali, la
condizione sociale e culturale dei genitori e della famiglia a cui appartengono gli
individui soggetti dell’analisi, quali il grado di istruzione e lavoro dei genitori,
l’ambiente culturalmente stimolante, ecc., e il beneficio “genetico” degli individui
alla società, ossia le condizioni di salute, la motivazione, ecc.
Il maggior limite di tale metodo è individuato nel fatto che esso non stima il capitale
umano, ma fornisce solo una valutazione del suo costo di formazione.
16
E. Engel, Der Wert des Menchen, Leonhard Simion Verlag, Berlin 1883.
17
G. Vittadini e P. Lovaglio, “Fattori…”,op. cit., pp. 49-52.
15
Nonostante le sue numerose forzature è stato, comunque, il modello che ha ispirato le
sue successive formulazioni.
18
I metodi prospettivi
Come il metodo retrospettivo si riferisce ai costi del passato di un individuo, così il
metodo prospettivo si riferisce alla stima del valore di un individuo nel futuro. Tale
metodo fu definito “approccio della capitalizzazione dei redditi”
19
e consiste
sostanzialmente nella stima del valore eventuale, scontato di tutti i redditi futuri di un
lavoratore al netto delle spese future, tenendo conto delle probabilità di morte
prematura e della probabilità di essere occupato durante la vita lavorativa.
Anche se non si possono riferire direttamente a questo metodo le concezioni e le
proposte di stima del valore dell’uomo precedenti alle teorizzazioni di Marshall, i
criteri espressi dall’economia nei primi secoli dell’età moderna vanno ricordati in
quanto ne consistono la premessa indispensabile.
20
Un rigoroso approccio scientifico riguardante l’individuo come unità di analisi fu
proposta da W. Farr
21
(1853) con il suo metodo della capitalizzazione dei redditi.
Egli stimò il capitale umano individuale come il valore presente dei redditi attesi, al
netto dei costi di mantenimento (spese personali), considerando la probabilità di
sopravvivenza e di occupazione di ogni uomo inteso come essere produttivo.
In tale logica il valore di un uomo è rappresentato da tale produzione futura e
nell’ipotesi che alcuni membri della collettività muoiano, la società subirebbe una
perdita misurabile sui redditi lordi non percepiti da tali individui; per questo motivo
il modello fu adottato in quegli anni dalle società di assicurazioni inglesi per stabilire
il premio netto per assicurare (ad ogni età) il valore monetario dell’uomo contro il
rischio di morte.
Il metodo di Farr fu ripreso da Dublin e Lotka
22
che nel 1930 riformularono il
problema della stima del valore monetario dell’uomo e valutarono il capitale umano
18
R. Eisner, “Total Income in the United States from 1959 to 1969”, in Review of Income and Wealth,
24, 1978, pp. 41-70.
19
A. Marshall, Principi…,op. cit.
20
L. Refrigeri, Oltre..,op. cit, pp. 66-67.
21
W. Farr., “Equitable Taxation of Property”, in Journal of Royal Statistical Society, XVI, pp. 1-45.
22
L.I. Dublin, A. Lotka, The money value of man, Ronald Press, New York 1930.
16
al netto e al lordo dei costi di mantenimento. Essi pervennero al valore monetario
dell’uomo sulla base della stima monetaria del valore attuale dei redditi futuri
(VARA) al netto dei consumi attesi (CEA). Il VARA corrisponde al capitale umano
lordo, e una volta sottratto a tale grandezza il costo economico atteso di una persona
fino alla morte (CEA), si ottiene il capitale umano netto.
23
Semplificando, il capitale umano netto ad ogni età x è dato da:
HC(x) = VARA(x) – CEA (x)
Esso valuta il capitale umano come quel valore economico dell’uomo che la società
perderebbe (costo opportunità) a fronte della mancata produttività marginale futura
in caso di morte o di emigrazione di un lavoratore all’età x.
La Scuola di Chicago
Nella seconda metà del Novecento si segnala una rivitalizzazione del concetto di
capitale umano grazie ai lavori della Scuola di Chicago con i contributi di Mincer,
Schultz e Becker.
Questi autori analizzarono in dettaglio il concetto economico di capitale umano
fornendo importanti contributi sui meccanismi di formazione ed accumulazione,
senza tuttavia affrontare il problema della sua stima quantitativa, ma facendolo
coincidere con gli anni di scolarità e di esperienza lavorativa.
In particolare tali autori si sono soffermati principalmente su variabili quali gli anni
di educazione, l’esperienza professionale acquisita sul luogo di lavoro (on-the-job-
training), come i fattori principali che spiegano le funzioni di guadagno per i
lavoratori.
24
Schultz, insieme a Mincer e Becker, fu il primo che si concentrò sul capitale umano,
valutando effetti, costi e vantaggi nell’investire in tale forma di capitale, rispetto
all’investimento in capitale fisico. Poiché l’istruzione diventa parte integrante di chi
23
Per una trattazione più completa cfr. G. Vittadini e P. Lovaglio, “Fattori…”, op. cit., p. 49.
24
G. Vittadini e P. Lovaglio, “Fattori…”, op. cit., pp. 54-56.
17
la riceve, sarebbe più opportuno considerarla un “capitale umano” (essa non può
essere comprata, né venduta, né considerata come proprietà dello Stato).
La principale tesi del lavoro di Schultz prevede che tale forma di capitale renda un
servizio di valore produttivo all’economia di un Paese e che qualunque aumento nel
reddito nazionale derivi dalla crescita dello stock di capitale umano, ponendo allora
l’accento sui flussi umani (salari e stipendi), ma principalmente sugli stock di
capitale umano.
Inoltre, il capitale umano nazionale secondo Schultz è formato non solo dai flussi
dell’istruzione (anni di scolarità, esperienza, anni di lavoro ecc.) ma sopratttutto dagli
stock in capitale umano che un Paese contabilizza in una logica macroeconomica;
tali stock consistono principalmente di due componenti: i guadagni di cui si sono
privati gli studenti andando a scuola e non dedicandosi ad altre attività produttive e
salariate e costi diretti e spese correnti legate all’istruzione (edifici, tasse scolastiche
e stipendi del personale docente).
L’analisi di Schultz pone il problema della scolarità come vero e proprio costo-
opportunità; in particolare per il 1956 Schultz lo stimò in 11 settimane di paga
“perdute” per gli studenti delle High-School e di 25 per chi frequentava i College,
valutate per un addetto nel settore manifatturiero come unità di misura.
Tra i guadagni “perduti” egli inserì anche quelli degli studenti elementari,
considerando che nel 1950 un terzo delle famiglie americane era ancora dedito
all’agricoltura e le famiglie contadine consideravano i propri figli, anche in tenera
età, un potenziale fattore lavorativo che poteva sostituire anche il lavoro del
capofamiglia.
In particolare Schultz stimò l’importanza di tale voce di spesa nel tempo: aggregando
i costi di tutti i livelli di istruzione, la proporzione attribuibile ai guadagni rinunciati
(sui costi totali) – nel 1900 erano il 26%, per arrivare al 63% nel ’56 - , facendo
emergere che la principale voce dei costi imputabili al capitale umano per gli Stati
Uniti nella prima metà del 1900 riguarda i guadagni rinunciati da parte degli studenti.