1.1 Le radici dell'invecchiamento attivo
Partendo da questa riflessione, sono stati messi appunto dei programmi sociali e
culturali per far fronte e combattere l'anzianità passiva e offrendo la partecipazione degli
anziani di realizzarsi anche in questi campi.
Nonostante questo concetto abbia interessato discorsi gerontologici contemporanei,
affonda le sue radici negli anni '40 '50 del Novecento, quando i socio-gerontologi hanno
sottolineato l'importanza di uno stile di vita attivo nella vecchiaia per soddisfare la vita
personale, definita più tardi "teoria dell'attività" (Lynott e Lynott 1996).
Sebbene all'inizio tale teoria non era ben vista da chi considerava l'anziano come
persona del tutto passivo, incapace di poter lavorare, negli ultimi anni il concetto di
invecchiamento attivo ha fatto si che quella che era la concezione negativa della
vecchiaia venisse spostata su una visione più positiva, stimolando la presenza degli
adulti più anziani nella società. Il fulcro quindi si sposta non più sull'attenzione storica,
ovvero su ciò che gli adulti più anziani non possono più fare (cioè i loro deficit), ma
viene data enfasi sulla loro competenza e conoscenza (Jacobs 2004).
I diversi cambiamenti avvenuti riguardano da un lato all'esistenza di condizioni socio-
economiche più favorevoli e dei continui progressi medici, che rendono la vita di tante
persone migliori e più lunghe, dall'altro tali cambiamenti si verificano anche nei concetti
di vecchiaia nella sua forma più appropriata. Questa idea cambiata di vecchiaia sta
diventando sempre più connessa alla necessità di rimanere giovani, sia nel senso
dell'attività (Katz 2000) che nell'aspetto fisico (Biggs 2002, Coupland 2007,
Featherstone 1991, Featherstone e Hepworth 1991).
Per quanto possano essere state messe appunto delle teorie sociali ed economiche, tali
mutamenti non hanno ancora permesso di creare delle vere e proprie teorie psicologiche
dell’invecchiamento, tuttavia esistono metafore con l’intento di spiegare i vari processi
che avvengono nell’arco della vita, offrendo una visione complessiva
dell’invecchiamento.
La metafora dell’albero della vita di Schroots rappresenta, secondo il mio punto di vista,
l'andamento di vita di ogni individuo: secondo l’autore la vita è come un albero o, più
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dinamicamente, è come un fiume che scorre. L’origine del fiume può essere paragonata
alla nascita e ha una serie di ramificazioni che, pur scorrendo in una sola direzione
(l'oceano in cui sboccherà, metafora della morte), hanno una loro importante
configurazione spazio-temporale complessa. Tali ramificazioni vogliono rappresentare
le esperienza di vita, dei vissuti complessi e ramificati che l’anziano porta con sé
durante tutto l’arco della sua vita.
Con questa metafora è possibile notare la non linearità della vita, la complessità
biologica e psicologica, e la diversità di ogni vita (Birren e Schroots, 1996), infatti ogni
fiume (l'anziano) presenta delle diverse ramificazioni che fanno di ciascun fiume un
percorso particolare ed individuale.
L'invecchiamento è pertanto considerato un processo complesso, in cui diversi fattori,
fisici, psicologici e sociali, interagiscono fra di loro affinché vengano a crearsi tali
ramificazioni, complesse e particolari.
Per dimostrare che esso “è un processo altamente individualizzato”, Birren e Schroots
nel 1996 distinguono l’invecchiamento in, invecchiamento primario, secondario,
terziario e differenziato.
• L'invecchiamento primario è il cambiamento che ogni persona va incontro
immancabilmente. Nel 1969 Busse definì l’invecchiamento primario come quel
cambiamento inevitabile per ogni essere umano, caratterizzato dalla perdita di
velocità nell’elaborare le informazioni e le risposte di azione, dal rallentamento
dell’intelligenza fluida, dall’aumento dell’intelligenza cristallizzata,
caratterizzata da un aumento delle competenze verbali e dalla stabilità di alcuni
tratti della personalità. Come sostenuto da Birren e Fisher (1993), uno dei
marcatori più significativi che sottolineano il lento decadimento dell’organismo
è la lentezza di azione, anche qualora venga mantenuto un cervello sano.
• L'invecchiamento secondario è considerato patologico, in quanto viene presa in
considerazione la malattia, associata all'età, la quale può essere curata con con
successo, o qualora ciò sia inevitabile, rallentarne gli effetti negativi.
• L'invecchiamento terziario si riferisce al declino rapido e irreversibile
dell’organismo, in quanto connesso all’ipotesi del declino terminale, e quindi
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indipendente dall’età cronologica. Per tale motivo, l’invecchiamento non viene
misurato come distanza dalla nascita, ma dalla morte. È associato all'interferenza
tra invecchiamento primario e quello secondario, cioè tra destabilizzazione e
vulnerabilità, in quanto vanno a creare un invecchiamento a cascata in quanto
tale deterioramento sembra acquisire velocità rispetto al funzionamento ottimale,
accelerando la malattia e il disagio che l’individuo ha nei confronti di essa.
• L'invecchiamento differenziale si riferisce proprio al concetto di
individualizzazione, in quanto, non essendo possibile individuare le diverse
variabili che determinano tali cambiamenti, possiamo considerare
l'invecchiamento differenziale come l'insieme fra l'invecchiamento primario,
secondario e terziario, analizzati dal punto di vista biologico, cognitivo e della
personalità.
Le persone anziane aiutano e sostengono la cultura, garantendo e offrendo alle nuove
generazioni un bagaglio di conoscenze e di esperienze che permettono di agire mettendo
in atto strategie di vita apprese durante tutto l’arco della loro vita.
1.1.1 L'Invecchiamento attivo nell'OMS
Il termine ''invecchiamento attivo'' è attualmente uno dei termini più utilizzati in studi
gerontologici, nonché nei documenti nazionali e internazionali relativi ai problemi
dell'invecchiamento.
Secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), l’Active
Ageig é “un processo di ottimizzazione delle opportunità relative alla salute,
partecipazione e sicurezza, allo scopo di migliorare la qualità della vita delle persone
anziane”.
Ha raggiunto una posizione di rilievo anche nei documenti politici europei; infatti a tale
proposito possiamo notare che la promozione dell’invecchiamento attivo non è un
concetto nuovissimo: il “Primo piano d'azione internazionale sull'invecchiamento”,
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concordato dall’ONU a Vienna nel 1982 era evidentemente orientato in tal senso.
Il 1999 è stato proclamato “Anno internazionale degli anziani” al grido di
“l’invecchiamento attivo” fa la differenza. Tuttavia, il fatto che tra gli obiettivi
principali della proclamazione del 2012 quale “Anno europeo dell’invecchiamento
attivo e della solidarietà intergenerazionale” vi sia la sensibilizzazione dell’opinione
pubblica e di coloro che stabiliscono le politiche verso tale tematica, lascerebbe
intendere che resti ancora molta strada da fare, e in verità il frequente riferimento al
tema dell’invecchiamento come emergenza, conferma tale impressione.
Ciononostante, i documenti pubblicati dalla Commissione Europea aspirano ad attuare
un concetto differente di ciò che significa invecchiare attivamente. Una delle poche
definizioni esplicite può essere trovata in un articolo pubblicato dalla Commissione
Europea, il quale definisce l'invecchiamento attivo come strategia che in pratica
significa “adottare stili di vita sani, lavorare più a lungo, ritirarsi più tardi e essere
attivi dopo la pensione. La promozione dell'invecchiamento attivo riguarda
l'incremento di opportunità per una vita migliore, non limitazione dei diritti"
(Commissione europea 1999). Le conclusioni del Consiglio dell'UE sull'invecchiamento
attivo, indicano che «l'invecchiamento attivo significa creare delle opportunità per
rimanere più a lungo sul mercato del lavoro, contribuire alla società attraverso un lavoro
non retribuito nella comunità come volontari, o trasferendo le proprie abilità ai giovani e
nelle loro famiglie estese , e per vivere autonomamente e in dignità per quanto più
possibile e per tutto il tempo (Consiglio dell'UE 2010).
L'OMS, inoltre, identifica sette categorie di fattori importanti che determinano
l'invecchiamento attivo; cultura e genere sono determinanti trasversali. Da un lato, la
cultura plasma la strada delle persone anziane perché influenza tutte le altre
determinanti dell'invecchiamento attivo. D'altra parte, il genere è un 'obiettivo' che ci
aiuta a considerare come le opzioni politiche influenzano il benessere di uomini e
donne. Per quanto riguarda le determinanti relative all'assistenza sanitaria e ai servizi
sociali, si suggerisce che i sistemi sanitari utilizzino una prospettiva lungo il corso di
vita su cui si concentra la promozione della salute, prevenzione delle malattie e accesso
equo a cure primarie di qualità e l'assistenza a lungo termine. I determinanti
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comportamentali sono spesso molto importanti per l'invecchiamento attivo. Uno stile di
vita sano, impegnarsi in un'attività fisica appropriata, mangiare in buona salute, non
fumare e usare saggiamente alcool e medicinali può, ad esempio, prevenire le malattie e
sostenere molto l'invecchiamento attivo. I determinanti legati ai fattori personali, sono i
geni e i fattori psicologici. Questi includono l'intelligenza e la capacità cognitiva di
adattarsi al cambiamento, che può essere una delle cause della malattia. Determinanti
legati all'ambiente fisico possono essere, ad esempio, un alloggio sicuro ed evitare
cadute. La maggior parte delle lesioni alle persone anziane potrebbe essere evitato
avendo ambienti fisici appropriati. Il Sostegno sociale, le opportunità per l'istruzione e
l'apprendimento permanente, la protezione dalla violenza e altri fattori sono
determinanti importanti legati all'ambiente sociale. Infine, determinanti economici come
il reddito, la protezione sociale e il lavoro sono molto importanti. La maggior parte dei
fattori, o per meglio dire, le modalità di supporto per l'invecchiamento attivo, presentate
dall'OMS hanno una componente tecnologica implicita come, ad esempio, alloggi
sicuri, istruzione, servizi di cura e trasporto.
– Steriotipi sull'età anziana
Nonostante l'OMS ha dimostrato che l'anziano rappresenta una risorsa preziosa per la
comunità sociale, sono ancora presenti degli antichi steriotipi che definiscono l'anziano
come persona non più in grado di essere attivo. I principali sono (Domenico
Delcuratolo, 2016):
• gli anziani sono “scaduti”: sebbene sia possibile che con l’invecchiamento si
abbiano lievi cali nell’elaborazione delle informazioni e nell’attenzione, la
maggior parte delle persone anziane mantiene delle ottime competenze mentali e
di apprendimento. Inoltre, costoro hanno una marcia in più, dal momento che
possiedono una maggiore memoria esperienziale. Anche il deterioramento delle
capacità fisiche è di gran lunga minore di quanto comunemente si pensi.
• Le persone anziane sono impotenti: sebbene le persone anziane siano
particolarmente vulnerabili in caso di emergenza, questo non significa che in
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generale esse siano completamente impotenti anzi svolgono un importante ruolo
attivo nel momento del bisogno;
• le persone anziane sono destinate a soffrire di demenza: innanzitutto, anche se il
rischio di sviluppare sintomi di demenza aumenta con l’età; la maggior parte
delle persone anziane è in grado di gestire autonomamente i propri affari
finanziari e la propria vita quotidiana. Inoltre, le ricerche scientifiche ci
mostrano che alcuni tipi di memoria rimangono le stesse o addirittura
continuano a migliorare con l’età (come ad esempio la memoria semantica,
deputata a ricordare i concetti, gli accaduti e ciò che attiene alla conoscenza in
generale).
• le donne anziane hanno meno valore di quelle giovani: il ruolo che le donne
anziane svolgono nelle loro famiglie e comunità, curando in alcuni casi i partner
e i genitori e dando una mano ai propri figli con i nipoti, è spesso trascurato.
Nella maggior parte dei Paesi, le donne rappresentano la fonte primaria di
supporto e costituiscono per i nuclei familiari d’appartenenza il caregiver di
riferimento. Alcune di loro, addirittura, hanno in cura più di una generazione pur
essendo loro stesse in età avanzata. È utile che tutto questo venga riconosciuto e
valorizzato.
• Le persone anziane non meritano di essere curate: non possiamo, pertanto, non
dobbiamo ritenere gli anziani “vecchi” ormai inutili al mondo. Anzi, gli Stati
dovrebbero fare tutti gli sforzi possibili per garantire la tutela del diritto ad
avere, a qualsiasi età, una vita in salute. In questo senso, le politiche sociali non
possono porre dei divieti, escludendo agli anziani l’accesso a particolari
trattamenti di riabilitazione e a protocolli di prevenzione secondaria. Purtroppo,
non ci rendiamo conto degli importanti ruoli che essi occupano nella società e
nella gestione della vita familiare. Inoltre, a differenza di quanto comunemente
si crede, gli anziani godono di buone condizioni fisiche e mentali e non sono
quindi un peso, ma una fondamentale risorsa in grado di esprimere al meglio
tutte le loro potenzialità, se solo si venissero a creare le condizioni adeguate, sia
politiche che sociali.
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