4 
INTRODUZIONE 
L’invecchiamento della popolazione mondiale 
 
“Invecchiare è un privilegio ma anche una sfida, che ha un impatto su tutti 
gli aspetti della società del XXI secolo”: è uno dei messaggi proposti dall’OMS 
(Organizzazione Mondiale della Sanità) sul tema degli anziani, un tema che 
acquista maggiore importanza in una società come la nostra. Il XX secolo è 
stato definito quello della “grande crescita economica”, mentre il XXI, dovrebbe 
essere quello del “grande invecchiamento” che costituisce uno dei problemi piø 
diffusi a livello globale, una sorta di “rivoluzione demografica”.  
L’invecchiamento si presenta come il “dato oggettivo piø rivoluzionario 
nella storia dell’umanità”: si tratta di un fenomeno diffuso tutto il pianeta, ma con 
grandi disparità, che  acquista sempre maggior importanza in una società, come 
la nostra, in continuo movimento. Come sottolinea Alessandro Rosina
1
, 
“l’invecchiamento è un fenomeno inedito, incisivo e pervasivo, destinato a 
produrre un impatto radicale sul pianeta”
 2
. E’ inedito perchØ nuovo nella storia 
dell’umanità. Tale fenomeno sta producendo un cambiamento sempre piø 
                                                 
1
  A. Rosina è docente di Demografia all’Università Cattolica di Milano, ed è autore di numerosi 
articoli e saggi sui rapporti generazionali, di famiglia e paternità. Ultimamente ha curato il 
Rapporto sulla popolazione italiana. L’Italia all’inizio del XXI secolo, Il Mulino (2007). 
 
2
 Ogni giorno ci svegliamo “un po’ piø vecchi”: nel 2000, sul nostro pianeta, c’erano circa 
seicento milioni di persone con piø di sessant’anni, nel 2025 ce ne saranno 1,2 miliardi e nel 
2050 due miliardi.
5 
intenso e profondo nella nostra società
3
. Nel 2002, a Madrid, si è tenuta la 
“Seconda Assemblea mondiale sull invecchiamento”: in quest’occasione, l’ONU 
(Organizzazione delle Nazioni Unite) ha presentato un rapporto da cui è emerso 
che la popolazione anziana, tra il 1950 e il 2000 è triplicatata, passando da 205 
milioni a 606 milioni di persone. La fascia anziana è quella che cresce piø 
velocemente nel corso del XXI secolo: il numero degli over-sessanta non è mai 
stato storicamente superiore ad uno su venti ed, entro il 2050, si prevede che 
esso supererà il livello di uno su cinque
4
. Si prevede, inoltre che, entro il 2050, 
la popolazione triplicherà nuovamente
5
.  
Uno dei fenomeni demografici piø rilevanti delle società sviluppate è il 
progressivo aumento della speranza di vita
6
 dovuto alla crescita della 
popolazione anziana: l’età media della popolazione mondiale è in continua 
crescita e sta per raggiungere livelli mai sperimentati. Se la popolazione 
mondiale crescerà a un tasso medio annuale di poco superiore all’1%, quella 
ultra-sessantenne aumenterà a un ritmo 2,5 volte maggiore; ma ancora 
maggiore sarà la crescita dei “grandi anziani” (ultra-ottantenni). Tuttavia, il 
processo di invecchiamento, è piø rapido nei paesi sviluppati dove c’è meno 
                                                 
3
  Golini A., “Population ageing in developed countries: lesson learnt and to be learnt”, a cura di 
UNFPA, New York, 1999. 
 
4
  Previsioni delle Nazioni Unite. 
 
5
  Rapporto: World Population Ageing, Department of Economic and Social Affairs (2002). 
 
6
  Per speranza di vita (o aspettativa di vita) si intende il numero medio di anni che si attende di 
vivere in funzione della legge di mortalità.
6 
tempo per fronteggiarne le conseguenze: si pensi all’aumento di patologie 
croniche non trasmissibili come quelle cardiovascolari.  
Benessere diffuso, prevenzione, cure mediche e progresso farmacologico 
hanno determinato, negli ultimi trent’anni, un allungamento della vita (si è 
passati da settanta a piø di ottanta anni) ma, nel frattempo, si sono venute a 
determianre problematiche legate a malattie croniche e alla non autosufficienza. 
Sebbene il rischio di malattie aumenti con l’età, i problemi di salute non sono 
una conseguenza irreversibile di tale fenomeno. Infatti, se per molte di queste 
patologie non si conoscono misure preventive, per altre sono già note: tra 
queste c’è l’adozione di uno stile di vita sano con una regolare attività fisica e 
una corretta alimentazione; inoltre le misure preventive includono indagini 
cliniche per la diagnosi precoce.  
In tutte le società le donne vivono “virtualmente” piø a lungo rispetto agli 
uomini. In Italia, come in tutti i paesi industrializzati, gli ultra-settantacinquenni 
stanno superando la soglia del 20%: ciò comporta una serie di rifacimenti nel 
campo delle politiche di welfare che coinvolgono i soggetti interessati (gli 
anziani), le famiglie, i servizi sociali e, in generale, tutta la collettività. Uno degli 
aspetti di maggior problematicità legati al processo dell’invecchiamento è il 
fenomeno della non autosufficienza: troppo spesso, l’anziano e la sua famiglia, 
si trovano da soli a dover affrontare in totale autonomia le necessità di cura e 
assistenza
7
: la risposta pubblica a questo problema risulta tuttora carente, sia 
                                                 
7
 Le statistiche indicano che, oltre tre milioni di anziani, si trovano in condizione di non 
autosufficienza. La risposta pubblica a questo problema risulta tuttora carente, sia per quanto
7 
per quanto riguarda l’allocazione di strutture adeguate (case di riposo, Rsa
1
, 
Ras, centri diurni, ecc.) che per le politiche domiciliari. Se, da un lato, 
l’invecchiamento testimonia il miglioramento delle condizioni di vita, dall’altro, 
pone urgenti provvedimenti sulla gestione del sistema socio-sanitario. Tutto ciò 
ha un’ulteriore conseguenza: l’aumento consistente della pressione sul sistema 
sanitario mondiale. A ciò si aggiunge il fenomeno immigrazione che incide 
profondamente sull’ invecchiamento. 
Nel corso del XXI secolo tutti i paesi industrializzati saranno chiamati ad 
affrontare la difficile sfida dell’invecchiamento
8
, che farà “lievitare” la spesa e il 
disavanzo sanitario e pensionistico: la vera causa non è tanto da imputare al 
binomio denatalità-longevità, quanto alla “deleteria” cultura statalistica prevalsa 
tra gli anni ’60 e ’90. Si tratta di una cultura che ha dato allo stato un ruolo 
eccessivo, con il pessimo risultato di proteggere male i piø “deboli” e 
deresponsabilizzare i “piø forti”. Infatti, soprattutto nel nostro Paese, la spesa 
previdenziale e sanitaria hanno causato gravissimi squilibri socio-economici: da 
quì la comparsa del fenomeno delle “badanti straniere”
9
. 
Le rapide e profonde trasformazioni registrate negli ultimi quarant’anni 
sembrano aver sviluppato quella “presa di coscienza” alla problematica 
dell’invecchiamento, con l’obiettivo di rivalutare il ruolo degli anziani all’interno 
                                                                                                                                                
riguarda l’allocazione di strutture adeguate (case di riposo, Rsa
7
, Ras, centri diurni, ecc.) che 
per quanto riguarda le politiche domiciliari. 
8
  Targhetti F., Fracasso A., Le sfide della globalizzazione. Storia, politiche e istituzioni - Brioschi 
Editore (2008). 
9
 B. Ehrenreich, A. R. Hochschild, Donne globali. Tate, colf e badanti,  2004.
8 
della società e garantire loro maggiore dignità, sicurezza e partecipazione attiva: 
sarebbe opportuno tendere a una società a “misura d’uomo”, con l’intento di 
offrire servizi in base ai diversi e sempre piø numerosi bisogni della terza e 
quarta età: da un lato bisognerebbe stare vicini agli anziani non autosufficienti e 
soli e dall’altro bisognerebbe offrire loro maggiori possibilità di partecipazione: 
obiettivi importanti, questi, che si potrebbero attuare mediante un’assistenza 
verticale e orizzontale. In un paese democratico come il nostro, nessuno 
dovrebbe essere privato dell’assistenza sanitaria di base, che dunque va 
finanziata: un’assicurazione personalizzata coprirebbe rischi sanitari e 
fornirebbe servizi necessari a soddisfare i bisogni e lo stile di vita dell’anziano e 
della sua famiglia
10
.  
La sfida dei PVS sarà quella di trasformare il ruolo degli anziani da 
“semplici attori” a “protagonisti sociali”, da “spettatori passivi” a “protagonisti 
attivi”: se esaminiamo il ruolo dell’anziano nel mondo del lavoro, capiamo come 
la produzione della ricchezza nazionale sia gradualmente scesa nel corso degli 
ultimi decenni. Se alla scarsa competitività dell’anziano rispetto al giovane 
aggiungiamo i licenziamenti ed i pre-pensionamenti forzati, possiamo capire 
quanto sia aumentata l’uscita dal lavoro per le classi senili che ha segnato la 
fine di un lavoro legato in buona parte alla capacità inventiva ed all'iniziativa 
individuale e lo ha sostituito con un lavoro spesso ripetitivo, monotono, 
                                                 
10
 Guidi E., Angelini L., Villone G., Filomena A., Gregorio P., “Le problematiche sugli anziani: 
aspetti demografici e socio-sanitari”, Università di Ferrara, Firenze, 7-9 gennaio 1999, 
disponibile sul sito internet: http://www.ds.unifi.it.
9 
meccanizzato, vincolato maggiormente ad un concetto “esasperato” di 
produttività e di efficienza e, molto spesso, a quello di carriera, concezione la 
quale assume inevitabilmente un significato competitivo soprattutto a livello 
sociale: maggiore efficienza produttiva, maggiore ricchezza, maggiore consumo, 
maggiore valore e prestigio nella scala sociale. Ciò può essere favorito 
impiegando gli anziani in lavori socialmente utili, considerandoli come una 
risorsa e non come un “peso” sociale: occorre, dunque, “rivoluzionare” il 
concetto che considera l'anziano un “emarginato a carico della società”, per 
quello molto piø realistico e producente che lo considera una vera e propria 
“risorsa socio-economica” per il Paese.  
L’auspicio è che, per una volta, siano i PSA a seguire i PVS dove gli 
anziani vengono considerati come una “ricchezza inestimabile”, tanto 
economica quanto morale. La sfida a cui siamo chiamati non è solo economica 
ma, soprattutto progettuale e culturale: si tratta di riconfigurare, anche con una 
buona dose di immaginazione e contro gli stereotipi ancora così diffusi sulla 
vecchiaia, il ruolo dell’ anziano non solo nel mondo del lavoro, ma in tutti gli altri 
ambiti di vita sociale. E per farlo, forse, sarebbe necessario iniziare proprio dagli 
interessati, mettersi in ascolto delle loro storie per scoprire cosa ancora hanno 
da dare alla società.
10 
BIBLIOGRAFIA I CAPITOLO 
 
 
 
• Rapporto: World Population Ageing, Department of Economic and Social 
Affairs (2002). 
 
• Golini A., Population ageing in developed countries: lesson learnt and to 
be learnt, a cura di UNFPA, New York, 1999 
 
• Targhetti F., Fracasso A., Le sfide della globalizzazione. Storia, politiche 
e istituzioni - Brioschi Editore (2008) 
 
• B. Ehrenreich, A. R. Hochschild, Donne globali. Tate, colf e badanti,  
2004 
 
• Guidi E., Angelini L., Villone G., Filomena A., Gregorio P., “Le 
problematiche sugli anziani: aspetti demografici e socio-sanitari”, 
Università di Ferrara, Firenze, 7-9 gennaio 1999, disponibile sul sito 
internet: http://www.ds.unifi.it
11 
CAPITOLO I 
 Verso la lunga vita: gli anziani in Italia 
 
 
1.1 - L’Italia: un paese che invecchia sempre di piø 
 
Nel 1992 l‘Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha commemorato 
“l’Anno Internazionale delle Persone Anziane”, con l’intento di fronteggiare la 
crescente sfida dell’invecchiamento: obiettivo principale è quello di accrescere la 
consapevolezza dei fattori demografici, in rapido cambiamento, delle persone 
anziane nel mondo. Helem Hamlin
11
 ha affermato che: […] Mai nella storia 
umana si è verificata una situazione simile. L’Anno Internazionale delle Persone 
Anziane è il momento giusto per accertare le sfide della longevità e per cogliere 
ogni opportunità per far fronte a queste sfide”.  
Nel 1951, l’Italia si presentava come uno dei paesi “piø giovani” dal punto 
di vista demografico, mentre alla fine del XX secolo, si scopre come uno dei “piø 
vecchi” d’Europa, ma è anche uno tra i paesi in cui si vive piø a lungo: se, infatti, 
all’inizio del XX secolo, meno di una persona su dieci arrivava a superare gli 
ottanta’anni, all’inizio del XXI secolo tale traguardo è diventato alla portata di 
tutti. L’Italia si presenta oggi come il paese piø vecchio e con il tasso di natalità 
piø basso d’Europa. Nel ventennio 1971-1991 la popolazione anziana è 
                                                 
11
 Presidente del Comitato ONG sull’Invecchiamento.
12 
aumentata di 2,6 milioni (+ 42,6%) e, attualmente, si attesta intorno al 40% 
sull’intera popolazione e tra vent’anni raggiungerà quasi il 45%. Questa indagine 
parte da due presupposti comuni: declino della mortalità e migrazioni 
internazionali. Inoltre, è stato preso come dato fondamentale il tasso di fertilità in 
relazione a cinque variabili, al fine di osservare tutte le possibili variazioni 
demografiche a livello mondiale che si registreranno  tra il 2050 e il 2300. 
Vediamo quali sono queste variabili: 
- scenario medio (medium scenario); 
- scenario basso (low scenario); 
- scenario alto (high scenario); 
- scenario a crescita zero (zero-growth scenario); 
- scenario a fertilità costante (costant-fertility scenario).     
 
La scelta di effettuare una proiezione a lungo termine è nata dalla 
convinzione che le ultime fasi di transizione demografica saranno caratterizzate 
da periodi in cui i tassi di fertilità scenderanno al di sotto del ricambio 
generazionale (2,1 figli per donna): ciò suggerisce che, entro il 2050, il periodo 
di crescita della popolazione si interromperà
12
. In secondo luogo, i trend futuri 
del tasso di fertilità nei cinque diversi scenari mostrano differenze molto lievi: ciò 
potrebbe risultare – come evidenzia lo scenario medio – da una crescita molto 
lenta della popolazione globale. Tra gli anni ‘80 e ‘90 prevalevano tassi al di 
                                                 
12
 Stando alle stime, l’Africa sperimenterà il piø alto tasso di crescita della popolazione tra il 2000 
e il 2100, mentre l’Europa quello piø basso. Si prevede, inoltre, che l’India sorpasserà la Cina 
diventando il paese piø popolato al mondo.
13 
sotto del ricambio generazionale
13
. In terzo luogo, un numero sempre piø 
crescente di paesi in via di sviluppo sta raggiungendo quei livelli, e con ogni 
probabilità li manterrà per un periodo di tempo relativamente lungo.  
In generale, in tutti gli scenari, la tendenza verso il declino o - al contrario- 
verso la crescita della popolazione è piø concentrato nelle regioni meno 
sviluppate: se da un lato non è ancora certa la velocità e l’entità dello 
spostamento nei tassi di feritilità al di sotto del livello di ricambio generazionale 
per i paesi in via di sviluppo, essa è assolutamente assodata per quelle regioni 
piø sviluppate. Nel 2000 la popolazione italiana ultra-sessantacinquenne 
ammontava al 18% della popolazione totale e, nel 2003, ha raggiunto quasi il 
19%
14
. Poi, nella fascia degli anziani si trova la categoria degli ultra-anziani 
(ottantenni e ultra-ottantenni) che cresce a un ritmo elevato e rappresenta il 
4,6% della popolazione totale.  
A completamento di tali proiezioni demografiche, si può citare un rapporto 
scaturito da due incontri organizzati dall’ONU nel 2003
15
. Attualmente, il 18,1% 
della popolazione residente in Italia, supera i sessantacinque anni rispetto ad 
una media europea del 15,7%. Anche nel campo dei “longevi” (ultra-ottantenni) 
l’Italia è al primo posto in Europa: andando avanti di questo passo, in futuro, due 
milioni di giovani dovranno lavorare per milioni di pensionati. L’ipotesi piø 
probabile sembra quella prospettata dallo scenario medio in cui il tasso di 
                                                 
13
 Per ricambio generrazionale s’intende il passaggio da una fascia a un’altra della  popolazione. 
 
14
 Annuario statistico italiano, 2003. 
 
15
 Rapporto ONU: Population Division , 2003.
14 
fertilità rimarrà al di sotto dei livelli di ricambio generazionale per piø di cento 
anni (dal 2050 al 2175) per poi lentamente risalire, attestandosi sul livello 
minimo di ricambio generazionale fino al 2300. Secondo questo scenario, la 
popolazione mondiale raggiungerà un picco massimo di 9,2 miliardi nel 2075, 
per poi attestarsi sugli 8,3 nel 2175 e quindi risalire verso i nove miliardi nel 
2300
16
. In media, l’aspettativa di vita alla nascita, dovrebbe crescere dai 
settantasette anni nel 2050 ai novantasette nel 2300 per le donne, e dai 
settantadue ai novantacinque anni per gli uomini: il ritmo di crescita sarà piø 
rapido nei paesi meno sviluppati. Contemporaneamente, si assisterà ad un 
allungamento considerevole della vita media che passerà dai ventisei anni del 
2000 ai quarantotto del 2300 per quanto riguarda lo scenario medio. Tale 
cambiamento toccherà soprattutto i paesi meno sviluppati.  
Una delle conseguenze di questo spostamento demografico è la crescita 
del tasso di dipendenza degli anziani sulla popolazione potenzialmente attiva: 
tra il 2000 e il 2300 dovrebbe registrarsi un incremento di questo tasso che 
passerà da 0,17 anziani in età lavorativa a 0,8 per ogni individuo; al tempo 
stesso si registrerà un aumento degli ultra-anziani (ottant’anni e oltre). Stando 
allo scenario medio, nel 2100 ci saranno 773 milioni di persone appartenenti a 
quella fascia di età ed, entro il 2300, tale numero dovrebbe crescere al di sopra 
di un miliardo e mezzo.Entro il 2300, le persone ultra-centenarie raggiungeranno 
una cifra considerevole, attestandosi intorno al due per cento della popolazione 
                                                 
16
 Il rapporto sottolinea una crescita significativa della speranza di vita alla nascita in tutti i paesi 
dopo il 2050, collegata ad una riduzione sensibile del tasso di mortalità.
15 
mondiale. Il dato piø preoccupante è che in Italia, entro il 2020, si registrerà una 
presenza di over-sessantacinque pari al 25% e al 37,2% entro il 2040.  
Nel 1975, in Italia, vi erano 14,5 milioni di giovani under venti e 9,6 milioni 
di persone over-sessanta. Nei prossimi vent’anni si registrerà una presenza di 
6,9 milioni di giovani contro 17,7 milioni di anziani, con un calo della popolazione 
lavorativa. In verità, la forte evoluzione del fenomeno si è già registrata nel corso 
del 20° secolo quando, dal 1950 al 2000, si è gener ato uno scambio tra giovani 
e vecchi mai verificatosi prima. La popolazione settentrionale oscilla da un 
incremento di circa 1,1 milioni di residenti (4,1 per mille annuo) ad un possibile 
calo di appena 48 mila unità (- 0,2 per mille); quella del Centro oscilla da un 
incremento di circa 470-mila unità ad una possibile perdita di ventisei-mila unità, 
con tassi di variazione identici a quelli del Nord, rispettivamente del + 4,1 e del - 
0,2 per mille.  
Il Mezzogiorno registra, in questa prima fase, riflessi meno positivi: da un 
incremento di appena 317-mila unità dell’ipotesi alta (+1,5 per mille) si passa, 
secondo l’ipotesi bassa, ad una perdita piø sostanziosa di 364-mila unità (pari 
ad un tasso di riduzione del –1,8 per mille annuo). Nel medio periodo (2011-
2031) la popolazione italiana, secondo l’ipotesi alta, continuerà ad aumentare 
fino a toccare i 61,7 milioni di residenti nel 2031, mentre secondo l’ipotesi bassa, 
scenderà a poco piø di cinquantadue milioni. Ciò che cambia è la velocità 
attraverso cui la popolazione aumenta o diminuisce nel medio termine: 
nell’ipotesi alta la popolazione s’incrementerebbe mediamente dell’1,6 per mille 
annuo, quindi ad un ritmo piø contenuto rispetto al breve periodo. Secondo
16 
l’ipotesi bassa la popolazione diminuirà rapidamente ad un tasso del - 4,9 per 
mille all’anno, perciò con una riduzione piø accentuata rispetto al - 0,8 per mille 
nel breve periodo. Se si verificasse quanto previsto nello scenario alto, al 
termine di questa seconda fase la popolazione avrebbe acquisito ben 3,8 milioni 
di residenti rispetto all’anno base; viceversa ne avrebbe perduti 5,8 milioni nello 
scenario piø sfavorevole.  
L’evoluzione della popolazione nel medio periodo presenta, a livello 
territoriale, le stesse dinamiche sulla popolazione italiana complessiva: in 
particolare, secondo l’ipotesi alta, nelle regioni centro-settentrionali si verificherà 
una contrazione a un ritmo di incremento della popolazione del 2,6 per mille nel 
Nord e del 2,4 nel Centro. Piø critica la situazione al Sud dove, anche secondo 
l’ipotesi alta, tra il 2011 e il 2031 si registrerà - seppur lievevemente - una 
riduzione della popolazione di quarantadue-mila residenti per un tasso pari al - 
0,1 per mille annuo.  
Secondo l’ipotesi piø favorevole, nel Mezzogiorno, la crescita 
demografica si arrestarà a 21,2 milioni di residenti, entro il 2018, e dopo tale 
anno avrà inizio una fase di progressivo declino, declino che non conoscerà 
sosta nell’ipotesi bassa, secondo cui la popolazione meridionale si ridurrà 
ulteriormente di 2,2 milioni (-5,6 per mille all’anno) tra il 2011 ed il 2031. Al 
termine di questa seconda fase, la popolazione presenterà margini di 
fluttuazione nell’ordine di 4,7 milioni nel Nord (28,3 milioni di residenti secondo 
l’ipotesi alta contro 23,6 sotto la bassa), di due milioni nel Centro (12,2 e 10,2) e 
di 2,8 milioni nel Mezzogiorno (21,1 e 18,3). Nel lungo periodo, la prolungata
17 
esposizione a comportamenti demografici distanziati, prefigura scenari alquanto 
differenziati tra le due varianti: secondo l’ipotesi alta, la popolazione italiana 
continuerà ad aumentare lievemente fino al 2038, anno in cui giungerà al 
culmine con circa sessantadue milioni di residenti, con un tasso di incremento 
dello 0,7 per mille annuo.  
Dopo il 2038, nonostante ipotesi favorevoli, la popolazione comincerà a 
declinare fino a scendere a 60,8 milioni nel 2051 con un tasso di riduzione 
annuo del –1,5 per mille. Riguardo l’ipotesi bassa, l’evoluzione di lungo periodo 
evidenzierà un andamento analogo a quello già menzionato per il medio 
periodo. Secondo tale ipotesi la popolazione subirà un rapido e progressivo 
declino fino al 2051, quando si prevede che possa scendere a poco piø di 
quarantatre milioni, con un tasso di riduzione 2031-2051 ancora piø accentuato 
rispetto al ventennio precedente, pari al - 9,4 per mille annuo.  
Dal punto di vista territoriale le ipotesi alternative, sebbene ferme ai livelli 
previsti per il 2030, contribuiscono ad accelerare (ipotesi alta) o ad attenuare 
(ipotesi bassa) l’evoluzione che sotto conduce ad un leggero ma progressivo 
squilibrio della popolazione (ipotesi centrale) ai danni delle regioni meridionali. 
Questo problema è particolarmente concreto nell’ipotesi alta, secondo cui la 
popolazione residente nel Mezzogiorno rappresenterebbe soltanto il 32,9% del 
totale contro il 36% di partenza, una perdita secondo la quale le regioni 
settentrionali passerebbero al 46,9%, e quelle centrali, a loro volta, 
passerebbero al 20,2%. Le dinamiche demografiche dipendono da diversi stili 
demografici: ne è un esempio l’andamento delle nascite. Secondo l’ipotesi
18 
bassa, il perdurare della fecondità su livelli pari a quelli riscontrati nella seconda 
metà degli anni Novanta (1,2 figli per donna), avrà ripercussioni negative  sulla 
popolazione giovane: continuando a questo ritmo, infatti, il numero annuale delle 
nascite scenderà rapidamente, passando dalle cinquecento-mila unità del 2005 
fino a toccare le quattrocento-mila nel 2011.  
Una crescita sostanziale della fecondità ricondurrebbe il nostro Paese a 
livelli riproduttivi vicini all’attuale media europea, determinando conseguenze di 
tutto altro genere. Si produrrebbe infatti, nel breve periodo, un effetto benefico 
sul ringiovanimento della popolazione grazie all’aumento della nascite con un 
massimo di circa 614-mila nati nel 2006: il numero di nascite si manterrebbe 
piuttosto elevato con un trend che, seppur decrescente, darebbe luogo a un 
numero annuale di nascite superiore a quello che ci fu nel 2000 (543-mila).  
Nel medio periodo il numero delle nascite continuerebbe a contrarsi fino a 
517-mila nel 2024 per il fatto che i livelli di fecondità – in crescita fino a 1,65 figli 
per donna entro il 2030 – incontrano popolazioni femminili in età di 
concepimento di dimensioni via via piø ridotte. Un’onda di ricrescita della natalità 
è quella che si verificherebbe nel lungo periodo tra il 2025 ed il 2045, con 
culmine nel 2037 quando secondo questa ipotesi si prevedono 541-mila nascite: 
considerando un’età media al parto di trentuno anni, nel 2037 entrerebbero le 
generazioni femminili nate intorno agli anni del mini-boom. L’attuale struttura 
della popolazione italiana presenta una forma sempre piø sbilanciata in favore 
delle classi molto anziane. Anche secondo le ipotesi piø favorevoli, il numero dei 
morti è destinato ad aumentare regolarmente. Secondo l’ipotesi alta, nonostante