4
INTRODUZIONE
L’invecchiamento della popolazione mondiale
“Invecchiare è un privilegio ma anche una sfida, che ha un impatto su tutti
gli aspetti della società del XXI secolo”: è uno dei messaggi proposti dall’OMS
(Organizzazione Mondiale della Sanità) sul tema degli anziani, un tema che
acquista maggiore importanza in una società come la nostra. Il XX secolo è
stato definito quello della “grande crescita economica”, mentre il XXI, dovrebbe
essere quello del “grande invecchiamento” che costituisce uno dei problemi piø
diffusi a livello globale, una sorta di “rivoluzione demografica”.
L’invecchiamento si presenta come il “dato oggettivo piø rivoluzionario
nella storia dell’umanità”: si tratta di un fenomeno diffuso tutto il pianeta, ma con
grandi disparità, che acquista sempre maggior importanza in una società, come
la nostra, in continuo movimento. Come sottolinea Alessandro Rosina
1
,
“l’invecchiamento è un fenomeno inedito, incisivo e pervasivo, destinato a
produrre un impatto radicale sul pianeta”
2
. E’ inedito perchØ nuovo nella storia
dell’umanità. Tale fenomeno sta producendo un cambiamento sempre piø
1
A. Rosina è docente di Demografia all’Università Cattolica di Milano, ed è autore di numerosi
articoli e saggi sui rapporti generazionali, di famiglia e paternità. Ultimamente ha curato il
Rapporto sulla popolazione italiana. L’Italia all’inizio del XXI secolo, Il Mulino (2007).
2
Ogni giorno ci svegliamo “un po’ piø vecchi”: nel 2000, sul nostro pianeta, c’erano circa
seicento milioni di persone con piø di sessant’anni, nel 2025 ce ne saranno 1,2 miliardi e nel
2050 due miliardi.
5
intenso e profondo nella nostra società
3
. Nel 2002, a Madrid, si è tenuta la
“Seconda Assemblea mondiale sull invecchiamento”: in quest’occasione, l’ONU
(Organizzazione delle Nazioni Unite) ha presentato un rapporto da cui è emerso
che la popolazione anziana, tra il 1950 e il 2000 è triplicatata, passando da 205
milioni a 606 milioni di persone. La fascia anziana è quella che cresce piø
velocemente nel corso del XXI secolo: il numero degli over-sessanta non è mai
stato storicamente superiore ad uno su venti ed, entro il 2050, si prevede che
esso supererà il livello di uno su cinque
4
. Si prevede, inoltre che, entro il 2050,
la popolazione triplicherà nuovamente
5
.
Uno dei fenomeni demografici piø rilevanti delle società sviluppate è il
progressivo aumento della speranza di vita
6
dovuto alla crescita della
popolazione anziana: l’età media della popolazione mondiale è in continua
crescita e sta per raggiungere livelli mai sperimentati. Se la popolazione
mondiale crescerà a un tasso medio annuale di poco superiore all’1%, quella
ultra-sessantenne aumenterà a un ritmo 2,5 volte maggiore; ma ancora
maggiore sarà la crescita dei “grandi anziani” (ultra-ottantenni). Tuttavia, il
processo di invecchiamento, è piø rapido nei paesi sviluppati dove c’è meno
3
Golini A., “Population ageing in developed countries: lesson learnt and to be learnt”, a cura di
UNFPA, New York, 1999.
4
Previsioni delle Nazioni Unite.
5
Rapporto: World Population Ageing, Department of Economic and Social Affairs (2002).
6
Per speranza di vita (o aspettativa di vita) si intende il numero medio di anni che si attende di
vivere in funzione della legge di mortalità.
6
tempo per fronteggiarne le conseguenze: si pensi all’aumento di patologie
croniche non trasmissibili come quelle cardiovascolari.
Benessere diffuso, prevenzione, cure mediche e progresso farmacologico
hanno determinato, negli ultimi trent’anni, un allungamento della vita (si è
passati da settanta a piø di ottanta anni) ma, nel frattempo, si sono venute a
determianre problematiche legate a malattie croniche e alla non autosufficienza.
Sebbene il rischio di malattie aumenti con l’età, i problemi di salute non sono
una conseguenza irreversibile di tale fenomeno. Infatti, se per molte di queste
patologie non si conoscono misure preventive, per altre sono già note: tra
queste c’è l’adozione di uno stile di vita sano con una regolare attività fisica e
una corretta alimentazione; inoltre le misure preventive includono indagini
cliniche per la diagnosi precoce.
In tutte le società le donne vivono “virtualmente” piø a lungo rispetto agli
uomini. In Italia, come in tutti i paesi industrializzati, gli ultra-settantacinquenni
stanno superando la soglia del 20%: ciò comporta una serie di rifacimenti nel
campo delle politiche di welfare che coinvolgono i soggetti interessati (gli
anziani), le famiglie, i servizi sociali e, in generale, tutta la collettività. Uno degli
aspetti di maggior problematicità legati al processo dell’invecchiamento è il
fenomeno della non autosufficienza: troppo spesso, l’anziano e la sua famiglia,
si trovano da soli a dover affrontare in totale autonomia le necessità di cura e
assistenza
7
: la risposta pubblica a questo problema risulta tuttora carente, sia
7
Le statistiche indicano che, oltre tre milioni di anziani, si trovano in condizione di non
autosufficienza. La risposta pubblica a questo problema risulta tuttora carente, sia per quanto
7
per quanto riguarda l’allocazione di strutture adeguate (case di riposo, Rsa
1
,
Ras, centri diurni, ecc.) che per le politiche domiciliari. Se, da un lato,
l’invecchiamento testimonia il miglioramento delle condizioni di vita, dall’altro,
pone urgenti provvedimenti sulla gestione del sistema socio-sanitario. Tutto ciò
ha un’ulteriore conseguenza: l’aumento consistente della pressione sul sistema
sanitario mondiale. A ciò si aggiunge il fenomeno immigrazione che incide
profondamente sull’ invecchiamento.
Nel corso del XXI secolo tutti i paesi industrializzati saranno chiamati ad
affrontare la difficile sfida dell’invecchiamento
8
, che farà “lievitare” la spesa e il
disavanzo sanitario e pensionistico: la vera causa non è tanto da imputare al
binomio denatalità-longevità, quanto alla “deleteria” cultura statalistica prevalsa
tra gli anni ’60 e ’90. Si tratta di una cultura che ha dato allo stato un ruolo
eccessivo, con il pessimo risultato di proteggere male i piø “deboli” e
deresponsabilizzare i “piø forti”. Infatti, soprattutto nel nostro Paese, la spesa
previdenziale e sanitaria hanno causato gravissimi squilibri socio-economici: da
quì la comparsa del fenomeno delle “badanti straniere”
9
.
Le rapide e profonde trasformazioni registrate negli ultimi quarant’anni
sembrano aver sviluppato quella “presa di coscienza” alla problematica
dell’invecchiamento, con l’obiettivo di rivalutare il ruolo degli anziani all’interno
riguarda l’allocazione di strutture adeguate (case di riposo, Rsa
7
, Ras, centri diurni, ecc.) che
per quanto riguarda le politiche domiciliari.
8
Targhetti F., Fracasso A., Le sfide della globalizzazione. Storia, politiche e istituzioni - Brioschi
Editore (2008).
9
B. Ehrenreich, A. R. Hochschild, Donne globali. Tate, colf e badanti, 2004.
8
della società e garantire loro maggiore dignità, sicurezza e partecipazione attiva:
sarebbe opportuno tendere a una società a “misura d’uomo”, con l’intento di
offrire servizi in base ai diversi e sempre piø numerosi bisogni della terza e
quarta età: da un lato bisognerebbe stare vicini agli anziani non autosufficienti e
soli e dall’altro bisognerebbe offrire loro maggiori possibilità di partecipazione:
obiettivi importanti, questi, che si potrebbero attuare mediante un’assistenza
verticale e orizzontale. In un paese democratico come il nostro, nessuno
dovrebbe essere privato dell’assistenza sanitaria di base, che dunque va
finanziata: un’assicurazione personalizzata coprirebbe rischi sanitari e
fornirebbe servizi necessari a soddisfare i bisogni e lo stile di vita dell’anziano e
della sua famiglia
10
.
La sfida dei PVS sarà quella di trasformare il ruolo degli anziani da
“semplici attori” a “protagonisti sociali”, da “spettatori passivi” a “protagonisti
attivi”: se esaminiamo il ruolo dell’anziano nel mondo del lavoro, capiamo come
la produzione della ricchezza nazionale sia gradualmente scesa nel corso degli
ultimi decenni. Se alla scarsa competitività dell’anziano rispetto al giovane
aggiungiamo i licenziamenti ed i pre-pensionamenti forzati, possiamo capire
quanto sia aumentata l’uscita dal lavoro per le classi senili che ha segnato la
fine di un lavoro legato in buona parte alla capacità inventiva ed all'iniziativa
individuale e lo ha sostituito con un lavoro spesso ripetitivo, monotono,
10
Guidi E., Angelini L., Villone G., Filomena A., Gregorio P., “Le problematiche sugli anziani:
aspetti demografici e socio-sanitari”, Università di Ferrara, Firenze, 7-9 gennaio 1999,
disponibile sul sito internet: http://www.ds.unifi.it.
9
meccanizzato, vincolato maggiormente ad un concetto “esasperato” di
produttività e di efficienza e, molto spesso, a quello di carriera, concezione la
quale assume inevitabilmente un significato competitivo soprattutto a livello
sociale: maggiore efficienza produttiva, maggiore ricchezza, maggiore consumo,
maggiore valore e prestigio nella scala sociale. Ciò può essere favorito
impiegando gli anziani in lavori socialmente utili, considerandoli come una
risorsa e non come un “peso” sociale: occorre, dunque, “rivoluzionare” il
concetto che considera l'anziano un “emarginato a carico della società”, per
quello molto piø realistico e producente che lo considera una vera e propria
“risorsa socio-economica” per il Paese.
L’auspicio è che, per una volta, siano i PSA a seguire i PVS dove gli
anziani vengono considerati come una “ricchezza inestimabile”, tanto
economica quanto morale. La sfida a cui siamo chiamati non è solo economica
ma, soprattutto progettuale e culturale: si tratta di riconfigurare, anche con una
buona dose di immaginazione e contro gli stereotipi ancora così diffusi sulla
vecchiaia, il ruolo dell’ anziano non solo nel mondo del lavoro, ma in tutti gli altri
ambiti di vita sociale. E per farlo, forse, sarebbe necessario iniziare proprio dagli
interessati, mettersi in ascolto delle loro storie per scoprire cosa ancora hanno
da dare alla società.
10
BIBLIOGRAFIA I CAPITOLO
• Rapporto: World Population Ageing, Department of Economic and Social
Affairs (2002).
• Golini A., Population ageing in developed countries: lesson learnt and to
be learnt, a cura di UNFPA, New York, 1999
• Targhetti F., Fracasso A., Le sfide della globalizzazione. Storia, politiche
e istituzioni - Brioschi Editore (2008)
• B. Ehrenreich, A. R. Hochschild, Donne globali. Tate, colf e badanti,
2004
• Guidi E., Angelini L., Villone G., Filomena A., Gregorio P., “Le
problematiche sugli anziani: aspetti demografici e socio-sanitari”,
Università di Ferrara, Firenze, 7-9 gennaio 1999, disponibile sul sito
internet: http://www.ds.unifi.it
11
CAPITOLO I
Verso la lunga vita: gli anziani in Italia
1.1 - L’Italia: un paese che invecchia sempre di piø
Nel 1992 l‘Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha commemorato
“l’Anno Internazionale delle Persone Anziane”, con l’intento di fronteggiare la
crescente sfida dell’invecchiamento: obiettivo principale è quello di accrescere la
consapevolezza dei fattori demografici, in rapido cambiamento, delle persone
anziane nel mondo. Helem Hamlin
11
ha affermato che: […] Mai nella storia
umana si è verificata una situazione simile. L’Anno Internazionale delle Persone
Anziane è il momento giusto per accertare le sfide della longevità e per cogliere
ogni opportunità per far fronte a queste sfide”.
Nel 1951, l’Italia si presentava come uno dei paesi “piø giovani” dal punto
di vista demografico, mentre alla fine del XX secolo, si scopre come uno dei “piø
vecchi” d’Europa, ma è anche uno tra i paesi in cui si vive piø a lungo: se, infatti,
all’inizio del XX secolo, meno di una persona su dieci arrivava a superare gli
ottanta’anni, all’inizio del XXI secolo tale traguardo è diventato alla portata di
tutti. L’Italia si presenta oggi come il paese piø vecchio e con il tasso di natalità
piø basso d’Europa. Nel ventennio 1971-1991 la popolazione anziana è
11
Presidente del Comitato ONG sull’Invecchiamento.
12
aumentata di 2,6 milioni (+ 42,6%) e, attualmente, si attesta intorno al 40%
sull’intera popolazione e tra vent’anni raggiungerà quasi il 45%. Questa indagine
parte da due presupposti comuni: declino della mortalità e migrazioni
internazionali. Inoltre, è stato preso come dato fondamentale il tasso di fertilità in
relazione a cinque variabili, al fine di osservare tutte le possibili variazioni
demografiche a livello mondiale che si registreranno tra il 2050 e il 2300.
Vediamo quali sono queste variabili:
- scenario medio (medium scenario);
- scenario basso (low scenario);
- scenario alto (high scenario);
- scenario a crescita zero (zero-growth scenario);
- scenario a fertilità costante (costant-fertility scenario).
La scelta di effettuare una proiezione a lungo termine è nata dalla
convinzione che le ultime fasi di transizione demografica saranno caratterizzate
da periodi in cui i tassi di fertilità scenderanno al di sotto del ricambio
generazionale (2,1 figli per donna): ciò suggerisce che, entro il 2050, il periodo
di crescita della popolazione si interromperà
12
. In secondo luogo, i trend futuri
del tasso di fertilità nei cinque diversi scenari mostrano differenze molto lievi: ciò
potrebbe risultare – come evidenzia lo scenario medio – da una crescita molto
lenta della popolazione globale. Tra gli anni ‘80 e ‘90 prevalevano tassi al di
12
Stando alle stime, l’Africa sperimenterà il piø alto tasso di crescita della popolazione tra il 2000
e il 2100, mentre l’Europa quello piø basso. Si prevede, inoltre, che l’India sorpasserà la Cina
diventando il paese piø popolato al mondo.
13
sotto del ricambio generazionale
13
. In terzo luogo, un numero sempre piø
crescente di paesi in via di sviluppo sta raggiungendo quei livelli, e con ogni
probabilità li manterrà per un periodo di tempo relativamente lungo.
In generale, in tutti gli scenari, la tendenza verso il declino o - al contrario-
verso la crescita della popolazione è piø concentrato nelle regioni meno
sviluppate: se da un lato non è ancora certa la velocità e l’entità dello
spostamento nei tassi di feritilità al di sotto del livello di ricambio generazionale
per i paesi in via di sviluppo, essa è assolutamente assodata per quelle regioni
piø sviluppate. Nel 2000 la popolazione italiana ultra-sessantacinquenne
ammontava al 18% della popolazione totale e, nel 2003, ha raggiunto quasi il
19%
14
. Poi, nella fascia degli anziani si trova la categoria degli ultra-anziani
(ottantenni e ultra-ottantenni) che cresce a un ritmo elevato e rappresenta il
4,6% della popolazione totale.
A completamento di tali proiezioni demografiche, si può citare un rapporto
scaturito da due incontri organizzati dall’ONU nel 2003
15
. Attualmente, il 18,1%
della popolazione residente in Italia, supera i sessantacinque anni rispetto ad
una media europea del 15,7%. Anche nel campo dei “longevi” (ultra-ottantenni)
l’Italia è al primo posto in Europa: andando avanti di questo passo, in futuro, due
milioni di giovani dovranno lavorare per milioni di pensionati. L’ipotesi piø
probabile sembra quella prospettata dallo scenario medio in cui il tasso di
13
Per ricambio generrazionale s’intende il passaggio da una fascia a un’altra della popolazione.
14
Annuario statistico italiano, 2003.
15
Rapporto ONU: Population Division , 2003.
14
fertilità rimarrà al di sotto dei livelli di ricambio generazionale per piø di cento
anni (dal 2050 al 2175) per poi lentamente risalire, attestandosi sul livello
minimo di ricambio generazionale fino al 2300. Secondo questo scenario, la
popolazione mondiale raggiungerà un picco massimo di 9,2 miliardi nel 2075,
per poi attestarsi sugli 8,3 nel 2175 e quindi risalire verso i nove miliardi nel
2300
16
. In media, l’aspettativa di vita alla nascita, dovrebbe crescere dai
settantasette anni nel 2050 ai novantasette nel 2300 per le donne, e dai
settantadue ai novantacinque anni per gli uomini: il ritmo di crescita sarà piø
rapido nei paesi meno sviluppati. Contemporaneamente, si assisterà ad un
allungamento considerevole della vita media che passerà dai ventisei anni del
2000 ai quarantotto del 2300 per quanto riguarda lo scenario medio. Tale
cambiamento toccherà soprattutto i paesi meno sviluppati.
Una delle conseguenze di questo spostamento demografico è la crescita
del tasso di dipendenza degli anziani sulla popolazione potenzialmente attiva:
tra il 2000 e il 2300 dovrebbe registrarsi un incremento di questo tasso che
passerà da 0,17 anziani in età lavorativa a 0,8 per ogni individuo; al tempo
stesso si registrerà un aumento degli ultra-anziani (ottant’anni e oltre). Stando
allo scenario medio, nel 2100 ci saranno 773 milioni di persone appartenenti a
quella fascia di età ed, entro il 2300, tale numero dovrebbe crescere al di sopra
di un miliardo e mezzo.Entro il 2300, le persone ultra-centenarie raggiungeranno
una cifra considerevole, attestandosi intorno al due per cento della popolazione
16
Il rapporto sottolinea una crescita significativa della speranza di vita alla nascita in tutti i paesi
dopo il 2050, collegata ad una riduzione sensibile del tasso di mortalità.
15
mondiale. Il dato piø preoccupante è che in Italia, entro il 2020, si registrerà una
presenza di over-sessantacinque pari al 25% e al 37,2% entro il 2040.
Nel 1975, in Italia, vi erano 14,5 milioni di giovani under venti e 9,6 milioni
di persone over-sessanta. Nei prossimi vent’anni si registrerà una presenza di
6,9 milioni di giovani contro 17,7 milioni di anziani, con un calo della popolazione
lavorativa. In verità, la forte evoluzione del fenomeno si è già registrata nel corso
del 20° secolo quando, dal 1950 al 2000, si è gener ato uno scambio tra giovani
e vecchi mai verificatosi prima. La popolazione settentrionale oscilla da un
incremento di circa 1,1 milioni di residenti (4,1 per mille annuo) ad un possibile
calo di appena 48 mila unità (- 0,2 per mille); quella del Centro oscilla da un
incremento di circa 470-mila unità ad una possibile perdita di ventisei-mila unità,
con tassi di variazione identici a quelli del Nord, rispettivamente del + 4,1 e del -
0,2 per mille.
Il Mezzogiorno registra, in questa prima fase, riflessi meno positivi: da un
incremento di appena 317-mila unità dell’ipotesi alta (+1,5 per mille) si passa,
secondo l’ipotesi bassa, ad una perdita piø sostanziosa di 364-mila unità (pari
ad un tasso di riduzione del –1,8 per mille annuo). Nel medio periodo (2011-
2031) la popolazione italiana, secondo l’ipotesi alta, continuerà ad aumentare
fino a toccare i 61,7 milioni di residenti nel 2031, mentre secondo l’ipotesi bassa,
scenderà a poco piø di cinquantadue milioni. Ciò che cambia è la velocità
attraverso cui la popolazione aumenta o diminuisce nel medio termine:
nell’ipotesi alta la popolazione s’incrementerebbe mediamente dell’1,6 per mille
annuo, quindi ad un ritmo piø contenuto rispetto al breve periodo. Secondo
16
l’ipotesi bassa la popolazione diminuirà rapidamente ad un tasso del - 4,9 per
mille all’anno, perciò con una riduzione piø accentuata rispetto al - 0,8 per mille
nel breve periodo. Se si verificasse quanto previsto nello scenario alto, al
termine di questa seconda fase la popolazione avrebbe acquisito ben 3,8 milioni
di residenti rispetto all’anno base; viceversa ne avrebbe perduti 5,8 milioni nello
scenario piø sfavorevole.
L’evoluzione della popolazione nel medio periodo presenta, a livello
territoriale, le stesse dinamiche sulla popolazione italiana complessiva: in
particolare, secondo l’ipotesi alta, nelle regioni centro-settentrionali si verificherà
una contrazione a un ritmo di incremento della popolazione del 2,6 per mille nel
Nord e del 2,4 nel Centro. Piø critica la situazione al Sud dove, anche secondo
l’ipotesi alta, tra il 2011 e il 2031 si registrerà - seppur lievevemente - una
riduzione della popolazione di quarantadue-mila residenti per un tasso pari al -
0,1 per mille annuo.
Secondo l’ipotesi piø favorevole, nel Mezzogiorno, la crescita
demografica si arrestarà a 21,2 milioni di residenti, entro il 2018, e dopo tale
anno avrà inizio una fase di progressivo declino, declino che non conoscerà
sosta nell’ipotesi bassa, secondo cui la popolazione meridionale si ridurrà
ulteriormente di 2,2 milioni (-5,6 per mille all’anno) tra il 2011 ed il 2031. Al
termine di questa seconda fase, la popolazione presenterà margini di
fluttuazione nell’ordine di 4,7 milioni nel Nord (28,3 milioni di residenti secondo
l’ipotesi alta contro 23,6 sotto la bassa), di due milioni nel Centro (12,2 e 10,2) e
di 2,8 milioni nel Mezzogiorno (21,1 e 18,3). Nel lungo periodo, la prolungata
17
esposizione a comportamenti demografici distanziati, prefigura scenari alquanto
differenziati tra le due varianti: secondo l’ipotesi alta, la popolazione italiana
continuerà ad aumentare lievemente fino al 2038, anno in cui giungerà al
culmine con circa sessantadue milioni di residenti, con un tasso di incremento
dello 0,7 per mille annuo.
Dopo il 2038, nonostante ipotesi favorevoli, la popolazione comincerà a
declinare fino a scendere a 60,8 milioni nel 2051 con un tasso di riduzione
annuo del –1,5 per mille. Riguardo l’ipotesi bassa, l’evoluzione di lungo periodo
evidenzierà un andamento analogo a quello già menzionato per il medio
periodo. Secondo tale ipotesi la popolazione subirà un rapido e progressivo
declino fino al 2051, quando si prevede che possa scendere a poco piø di
quarantatre milioni, con un tasso di riduzione 2031-2051 ancora piø accentuato
rispetto al ventennio precedente, pari al - 9,4 per mille annuo.
Dal punto di vista territoriale le ipotesi alternative, sebbene ferme ai livelli
previsti per il 2030, contribuiscono ad accelerare (ipotesi alta) o ad attenuare
(ipotesi bassa) l’evoluzione che sotto conduce ad un leggero ma progressivo
squilibrio della popolazione (ipotesi centrale) ai danni delle regioni meridionali.
Questo problema è particolarmente concreto nell’ipotesi alta, secondo cui la
popolazione residente nel Mezzogiorno rappresenterebbe soltanto il 32,9% del
totale contro il 36% di partenza, una perdita secondo la quale le regioni
settentrionali passerebbero al 46,9%, e quelle centrali, a loro volta,
passerebbero al 20,2%. Le dinamiche demografiche dipendono da diversi stili
demografici: ne è un esempio l’andamento delle nascite. Secondo l’ipotesi
18
bassa, il perdurare della fecondità su livelli pari a quelli riscontrati nella seconda
metà degli anni Novanta (1,2 figli per donna), avrà ripercussioni negative sulla
popolazione giovane: continuando a questo ritmo, infatti, il numero annuale delle
nascite scenderà rapidamente, passando dalle cinquecento-mila unità del 2005
fino a toccare le quattrocento-mila nel 2011.
Una crescita sostanziale della fecondità ricondurrebbe il nostro Paese a
livelli riproduttivi vicini all’attuale media europea, determinando conseguenze di
tutto altro genere. Si produrrebbe infatti, nel breve periodo, un effetto benefico
sul ringiovanimento della popolazione grazie all’aumento della nascite con un
massimo di circa 614-mila nati nel 2006: il numero di nascite si manterrebbe
piuttosto elevato con un trend che, seppur decrescente, darebbe luogo a un
numero annuale di nascite superiore a quello che ci fu nel 2000 (543-mila).
Nel medio periodo il numero delle nascite continuerebbe a contrarsi fino a
517-mila nel 2024 per il fatto che i livelli di fecondità – in crescita fino a 1,65 figli
per donna entro il 2030 – incontrano popolazioni femminili in età di
concepimento di dimensioni via via piø ridotte. Un’onda di ricrescita della natalità
è quella che si verificherebbe nel lungo periodo tra il 2025 ed il 2045, con
culmine nel 2037 quando secondo questa ipotesi si prevedono 541-mila nascite:
considerando un’età media al parto di trentuno anni, nel 2037 entrerebbero le
generazioni femminili nate intorno agli anni del mini-boom. L’attuale struttura
della popolazione italiana presenta una forma sempre piø sbilanciata in favore
delle classi molto anziane. Anche secondo le ipotesi piø favorevoli, il numero dei
morti è destinato ad aumentare regolarmente. Secondo l’ipotesi alta, nonostante