INTRODUZIONE
Ciascuno di noi vive immerso in flussi incessanti di immagini e informazioni che ci
colpiscono anche quando non li cerchiamo. La comunicazione è onnipresente e pressante, i
media si sono moltiplicati: siamo di fronte a un'importantissima rivoluzione dovuta
all'innovazione tecnologica, la cosiddetta rivoluzione digitale. Accanto ai new media come
social network e smartphone, rimangono forti i “vecchi” media, come la radio e la tv. La
televisione in particolare rimane il medium più usato, con un pubblico che coincide
sostanzialmente con la totalità della popolazione (il 97,5%)
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e il cui uso giornaliero è
mediamente di 4 ore e 20 minuti
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. Una tv dall'uso massivo e individuale, che si presenta come
“reale”, “amica” e confidente dello spettatore, ma che nasconde dietro di sé una gran finzione.
Una tv dai contenuti a volte discutibili, sia qualitativamente che moralmente: qui tutto è
intrattenimento, dall'informazione ai programmi educativi, arrivando anche a spettacolarizzare
il fatto privato (ciò mostrando sofferenze e difficoltà personali, inquadrando in primo piano
pianti, confessioni e risse in studio); tutto è pensato per poter massimizzare l'audience e
garantire la vendita degli spazi pubblicitari. Tuttavia la televisione non è sempre stata così: un
tempo perseguiva una logica pedagogica, portando attenzione all'informazione e cercando
anche di intrattenere gli spettatori. La stessa pubblicità (il mitico Carosello) era un momento
di divertimento da trascorrere in famiglia.
La tv in Italia nasce come servizio pubblico, così come nel resto d'Europa. Ma che
cos'è un servizio pubblico? È un concetto teorizzato da John Reith negli anni Trenta e
applicato all'azienda di radiodiffusione britannica pubblica (la BBC). Educare, informare,
intrattenere, diventarono poi le parole d'ordine per la realizzazione delle tv pubbliche europee,
proprio in opposizione ai modi troppo commerciali di “fare tv” derivanti dagli Stati Uniti:
educare la popolazione, farle apprezzare le arti ed il sapere, informare i cittadini rendendoli
partecipi alla vita della nazione, permettere dello svago con dell'intrattenimento di buon
livello, anche culturale, così anche da rispecchiare il primo punto, “educare”. Ora invece
siamo in presenza di un servizio pubblico che non rispecchia più tali principi, ma riscontra
1 Dati tratti da 13° Rapporto Censis-Ucsi sulla comunicazione. I media tra élite e popolo, Roma 2016
2 C. Sala, Teledipendenza, all'Italia il (triste) primato europeo, in «Today», aprile 2016,
www.today.it/blog/asso-di-denari/italia-televisione-canali.html (ultima consultazione 23 gennaio 2017)
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maggiori affinità proprio con la televisione commerciale.
La domanda che sorge legittima quindi è: il servizio pubblico è morto oppure no? Per
capire ciò, è necessario fare un passo indietro di più di mezzo secolo: partirò proprio dalla sua
fondazione, analizzando l'evoluzione di uno strumento essenziale della televisione, che è
(assieme a “intrattenimento” e “servizio pubblico”) anche la terza parola chiave di questo
elaborato: il palinsesto.
Il palinsesto è la griglia temporale in cui i programmi e gli altri contenuti televisivi
vengono collocati, è il risultato di tattiche e strategie, di logiche e obiettivi che operano sul
piano editoriale, commerciale e professionale. È l'interfaccia che unisce le tre dimensioni della
televisione: la parte istituzionale (il legame con la politica e governi), la programmazione
(estetiche, linguaggi, generi ecc) e gli spettatori (società e cultura). Il palinsesto è infatti sia lo
strumento con il quale si concretizza il potere di dirigenti, professionisti e varie influenze, sia
la sequenza dei contenuti disposti in spazi e tempi precisi, sia ancora il tramite attraverso il
quale il pubblico costruisce la sua esperienza televisiva. Ecco perché può diventare, grazie alla
sua funzione di snodo centrale e di costante mediazione, l'oggetto preferenziale per effettuare
un'indagine storica
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. Tuttavia, un'analisi storica che si basa sulle griglie di programmazione
non ha un modo di procedere facile, è una ricostruzione frammentaria, così come lo sono le
fonti che non sempre raccontano con la dovuta attenzione degli elementi cruciali della storia
televisiva, a volte dati per scontati. Allo stesso tempo, non procede in modo progressivo, ma è
caratterizzata da innovazioni e cambiamenti concentrati in periodi brevissimi alternati a
lunghi periodi di staticità
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. Cosa invece imprescindibile dalla storia è l'aspetto politico, poiché
è proprio la politica che influenza la governance e cioè le scelte effettuate in fase di
progettazione dei palinsesti. Parlare di politica tuttavia è una questione spinosa, per questo ho
impostato il mio lavoro in modo tale da rimanere il più oggettivo possibile.
La mia analisi parte dalla suddivisione storica tra “paleotelevisione” e “neotelevisione”
data da Umberto Eco
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, utili per riuscire a definire una suddivisione del tempo. Il primo
capitolo è incentrato sul racconto della paleotelevisione, la “tv che era”, definita dal
3 L. Barra, Sequenze, palinsesti e altri equilibri. Per una storia distributiva della televisione italiana,
contenuto in D. Garofalo, V . Roghi (cura di), Televisione. Storia, immaginario, memoria, Rubbettino,
Catanzaro 2015, p. 79
4 Ivi, p. 81
5 U. Eco, Tv, la Trasparenza Perduta, contenuto in U. Eco, Sette anni di desiderio, Bompiani, Milano 1983
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monopolio che si sviluppava in poche ore di trasmissione giornaliere totalmente in diretta (per
la mancanza di dispositivi di registrazione delle immagini), fino ad arrivare agli anni Settanta,
caratterizzati da due spinte che portarono alla rottura del monopolio. La prima è la cosiddetta
“Riforma Rai” (1975) la quale generò profonde modifiche all'interno della stessa Rai sia dal
punto di vista dell'organizzazione sia della composizione del palinsesti. La seconda invece
riguarda la diffusione del fenomeno delle tv libere, sintomo di una volontà di andare oltre il
sistema monopolistico.
Il secondo capitolo si occupa invece di analizzare la neotelevisione, le nuove strategie
neotelevisive, i nuovi generi e le nuove figure introdotte, ad esempio quella del conduttore,
colui che si potrebbe definire la “personificazione della tv”, una figura dal ruolo
completamente nuovo rispetto al classico presentatore. Punto centrale del capitolo sono le tv
private commerciali e le novità da loro introdotte a livello di composizione di palinsesto, poi
applicate pian piano anche dalla Rai, specialmente nel periodo successivo all'inizio delle
rilevazione dei dati di ascolto. Particolare attenzione viene prestata a Telemilano 58, alias
Canale 5, il canale di punta di Mediaset. Canale 5 giocò un ruolo importantissimo poiché
sperimentò molto sul palinsesto, trasformando la programmazione in una tecnica precisa, fatta
di studio del pubblico, di consuetudini e di regole.
Il terzo capitolo prendere in esame il periodo a fine anni Ottanta, momento di grave
crisi per il servizio pubblico, poiché non più distinguibile dall'emittenza privata. i canali
commerciali riuscirono a condizionare la Rai a tal punto da portarla sul loro stesso terreno, a
confrontarsi con le stesse logiche. Viene poi presentato l'operato di Angelo Guglielmi
(direttore di Raitre), colui che reinterpretò il concetto di servizio pubblico, dando alla
televisione il compito di cambiare la società (o almeno di provarci), di risolvere i problemi
sociali, dando voce a chi non ne ha, con programmi come Chi l'ha visto? o Un giorno in
pretura in onda ancora oggi. Anche la tv commerciale cominciò ad usare le stesse logiche
attingendo, come Guglielmi, da oltreoceano, dando avvio alla reality television. Dopo essere
riuscita a stabilizzarsi all'interno dei palinsesti televisivi, la reality tv contaminò altri tipi di
programmazione, portando alla nascita di nuovi format in cui lo stile reality è chiaramente
presente. A fine capitolo viene presentato un caso di studio proprio a riguardo di una delle
forme della reality tv, il game show. Vengono messi a confronto due programmi di punta della
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televisione pubblica italiana: L'eredità, come rappresentante del game show e Lascia o
Raddoppia? in rappresentanza dei vecchi quiz italiani.
Concludo poi l'elaborato presentando la situazione attuale, caratterizzata dall'avvento
del digitale che ha scombussolato ulteriormente l'assetto televisivo: da un lato, i consumi e la
distribuzione televisiva si frammentano e si moltiplicano, dall'altro la tv generalista, formata
dal classico duopolio Rai-Mediaset si ridimensiona ma prosegue stabilmente, il pubblico non
la lascia anzi richiede sempre più un rinnovamento del servizio pubblico. C'è una speranza
quindi, e il servizio pubblico deve prendere al volo questa opportunità e ri-progettarsi, per
puntare a diventare un “bene comune”.
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CAPITOLO I
Dalla “paleotelevisione” alla “neotelevisione”
1.1 La tv degli inizi: la paleotelevisione
“Paleotelevisione” e “neotelevisione” sono due neologismi coniati da Umberto Eco nel suo
articolo intitolato “Tv, la Trasparenza Perduta”
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; sono entrati nell'uso degli studi di televisione
per indicare i due stadi della televisione in Italia, dalla sua nascita al giorno d'oggi. Eco, in
questo suo articolo, confronta le caratteristiche della cosiddetta paleotelevisione con quelle
apportate dall'arrivo delle nuove emittenti private.
Con il termine paleotelevisione si indica la tv trasmessa dalla Rai dall'inizio delle
trasmissioni (1954) fino alla metà degli anni Settanta. Come ha osservato Francesco Casetti:
La veterotelevisione
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mirava in sintesi a presentarsi come un insieme di occasioni uniche,
“festive”; essa tendeva a proporre un consumo quasi sacrale, valorizzando ogni suo
momento come un fatto eccezionale. La televisione insomma si poneva come un evento,
come una sorta di festa continuata, di meraviglia a portata di mano
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.
Nella paleotelevisione si instaurava quindi una forma di ritualità, data dalla rigidità del
palinsesto che scandiva con precisione i tempi e i modi del consumo, e tutto faceva “vivere” la
televisione come una sorta di occasione festiva. Il passaggio alla neotelevisione è avvenuto
proprio in relazione alla perdita di questo carattere di evento, cambiando sia la proposta che i
modi di consumo e assumendo «i tratti caratteristici della ferialità: la televisione è vissuta
come un elemento ogni giorno presente e disponibile, più vicino ai ritmi della quotidianità che
alle scansioni festive»
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.
In quel periodo storico vigeva il monopolio statale: la banda elettromagnetica (anche
detta etere) è un bene pubblico e limitato che deve essere quindi regolamentato secondo un
6 U. Eco, op. cit.
7 Il termine “Veterotelevisione” viene usato da F. Casetti e E. Menduni come sinonimo di “Paleotelevisione”
8 F. Casetti, Tra me e te: strategie di coinvolgimento dello spettatore nei programmi della neotelevisione, RAI-
ERI, Torino 1988, p. 65
9 F. Casetti, op. cit, p. 68
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