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Chiedendo alla gente cosa sia secondo lei la
globalizzazione le risposte date sono le più disparate, quali:
1. Vai in qualsiasi posto del mondo e ci trovi la Coca-Cola. O le
Nike. O le Malboro.
2. Possiamo comprare azioni in tutte le Borse del mondo,
investendo in aziende di qualsiasi paese.
3. I monaci tibetani collegati a Internet.
4. Il fatto che la mia auto sia costruita a pezzi, un po’ in Sud
Africa, un po’ in Asia, un po’ in Europa e magari un po’ negli
Stati Uniti.
5. Mi seggo al computer e posso comprare tutto quel che voglio
on line.
6. Il fatto che dappertutto, nel mondo, hanno visto l’ultimo film
di Spielberg, o si vestono come Madonna, o tirano a canestro
come Michael Jordan.
2
Per quanto questi esempi possano sembrare banali,
rappresentano, però, ciò che la maggior parte delle persone
ritiene essere, o meglio comporti, la globalizzazione.
Un altra domanda che ci si pone quando si affronta
questo argomento è la seguente: “Quando è iniziato il processo
di globalizzazione?”. Tutti conosciamo i cambiamenti di portata
internazionale avvenuti negli ultimi due decenni: la mappa del
mondo è stata ridisegnata, tanto dagli sconvolgimenti politici
2
A. Baricco – Next. Piccolo libro sulla globalizzazione e sul mondo che verrà. – ediz.
Feltrinelli, Milano, 2002.
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che dai mutamenti tecnologici, mentre l’economia di mercato
ha dovunque trionfato.
Si è potuto assistere così, in modo sempre più chiaro,
all’evolversi del processo di globalizzazione, spinto dalle
imprese e favorito dall’abbassamento dei costi dei trasporti e
delle comunicazioni. Questa situazione, ed in particolare lo
strutturarsi della società basata, quasi esclusivamente, sulle
regole del mercato, ha comportato un malcontento generale tra
le persone. Malcontento concretizzatosi nella creazione di
movimenti anti-globalizzazione. A Seattle prima e a Genova poi
il neoliberismo, promosso da Reagan e dalla Thatcher, il cui
culmine si ebbe con il crollo del muro di Berlino – simbolo del
potere comunista – nel 1989, ha cominciato a diffidare della
propria potenza.
Ovviamente non si vuole mettere in dubbio che
l’economia di mercato non abbia più un futuro. Sicuramente a
non avere più un futuro sono la credenza in una società
modellata dal mercato e dal capitalismo esentato da ogni
controllo e responsabilità. Questo è tanto vero se si prende in
considerazione anche un altro avvenimento, occorso nel
settembre del 2001: l’attentato terroristico contro le Twin
Towers ed il Pentagono, cioè contro l’America, simbolo
indiscusso del capitalismo.
Cercando di dare una spiegazione a quanto accaduto a
New York, molti hanno cominciato a pensare che se il
terrorismo fondamentalista non può essere spiegato con la
globalizzazione, può esserlo però il consenso che esso può
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mobilitare ai propri fini. In particolare, le disuguaglianze e le
umiliazioni generate dalla globalizzazione sarebbero alla base
del risentimento anti-occidentale che offre legittimazione e
sostegno al terrorismo. Se dopo Genova niente sarebbe stato
più come prima, a distanza di pochi mesi, dopo l’11 settembre
niente sarà più come prima; questi due avvenimenti hanno
imposto la stessa conclusione, ripetuta all’unisono da politici e
osservatori sia in Italia che all’estero.
Prova ne è il fatto che il movimento dei NO GLOBAL –
una galassia di associazioni, reti, centri sociali, giovani del
volontariato e della solidarietà, pezzi del sindacato e del mondo
politico, hacker e media-attivisti, cattolici e anarchici – che
aveva riempito le strade di Genova durante la contestazione
per il Vertice dei G8 a luglio 2001, risoltasi con un morto e
tantissimi feriti, ha iniziato a guardare all’appuntamento,
tenutosi poi a Porto Alegre all’inizio dell’anno 2002, non solo
per esprimere la sua protesta “contro” la globalizzazione, ma
come un’opportunità per “proporre” una globalizzazione
diversa, in cui la libera circolazione delle idee e l’affermazione
dei diritti umani sono emersi quali punti più importanti.
L’economista Jeremy Rifkin, teorico del movimento no
global, in una intervista apparsa sul quotidiano “La
Repubblica”, a seguito dell’incontro di Porto Alegre, sostiene, a
proposito delle manifestazioni contro la globalizzazione, quanto
segue: “[…] Queste forme di protesta, caratterizzate a volte da
una violenza che non posso condividere, sono una reazione alla
globalizzazione imposta dall’alto. Ma a mio avviso questo tipo
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di globalizzazione è destinata a fallire, soprattutto per via di
quello che è successo l’11 settembre. L’intero approccio nei
confronti della globalizzazione partirà dal basso, e anche la
reazione assumerà forme diverse. […] Non è possibile
globalizzare un mondo in cui una piccola parte della
popolazione possiede tutto e la stragrande maggioranza ha poco
o nulla. […]
3
”.
Un’altra osservazione importante riguarda gli argomenti
contro cui si battono i NO GLOBAL; questi sono relativi ad
ambiente, consumo, lavoro, cultura, diritti umani. Ci sono
quindi movimenti che spingono per l’annullamento del
debito dei Paesi del Terzo Mondo, movimenti contadini,
organizzazioni umanitarie, movimenti di difesa
dell’ambiente, sindacati e movimenti sociali, movimenti
di contestazione globale, altri movimenti uniti dai più
svariati argomenti di protesta; in questo elenco non bisogna
dimenticare anche i cosiddetti media alternativi, nati per
fornire un’adeguata tipologia di informazione a tutti coloro i
quali si avvicinano al problema della globalizzazione, problema
visto da un’ottica “non capitalistica, ma umana”.
In gran parte le richieste consistono nella soppressione o
nella limitazione di decisioni, di norme o di comportamenti di
soggetti come multinazionali, organismi internazionali o
istituzioni pubbliche nazionali, quando non nell’abolizione di
qualcuno di essi, come nel caso del WTO.
3
A. Monda “Il terzo mondo è giovane e vitale saranno loro i nuovi globalizzatori.” Intervista a
J. Rifkin in La Repubblica, 31 gennaio 2002, pag. 13.
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Tali richieste non sono avanzate solo in occasione dei
vertici internazionali. Queste sono solo il palcoscenico mediale
che ne amplifica l’effetto comunicativo e l’efficacia politica. Ma
esso sono espresse in altri modi.
Tra i numerosi possibili esempi, basta ricordare le
campagne anti-marchio, descritte nel libro di Naomi Klein
4
,
piuttosto che la distruzione dei campi di mais transgenico da
parte di Confédération Paysanne, o ancora le incursioni di
Greenpeace per ostacolare le baleniere durante le operazioni di
pesca. Come si può notare, si tratta in gran parte di azioni
contro: contro qualcosa e contro, ovviamente, qualcuno. Un
fatto questo che nel mentre assicura la simpatia di alcuni strati
della popolazione, aliena quella di altri, pronti a giudicarle
negativamente perché avvertite come minacce all’ordine
sociale.
Il presente lavoro prenderà le mosse dalla contestazione
dei NO GLOBAL per valutare se esse siano in qualche modo
fondate e se sì in quale misura. Si analizzeranno i vari contesti
entro cui la protesta risulta più forte quali il problema
ambientale, del debito, del mercato e dei diritti umani. Si
cercherà di dare una lettura il più oggettiva possibile dei fatti
presi in considerazione, in quanto le tesi a favore di una o
dell’altra corrente di pensiero non mancano di argomenti
convincenti. Lo studioso Louis Sabourin, in una sua intervista
riportata dall’Avvenire, dice in proposito: “[…]
4 N. Klein – No Logo. Economia globale e nuova contestazione – Baldini&Castoldi Editore,
Milano, 2001.
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Per tutta la mia vita ho lavorato nel Terzo Mondo, e ho visto
alcuni Paesi che hanno fatto progressi magnifici, e altri Paesi
che erano straordinari trent’anni fa, e oggi sono nella miseria
più profonda.
Perciò, per quanto riguarda la globalizzazione, non posso essere
né pessimista né ottimista. Piuttosto direi che sono molto
inquieto. […]
5
”.
Se è vero che a fronte di un grande benessere di cui
hanno goduto e godono tuttora i Paesi Sviluppati (PS), vi sono
Paesi, i cosiddetti Paesi in Via di Sviluppo (PVS), i cui abitanti
vivono in condizioni di grande povertà e degrado. Ciò
nonostante, negli ultimi venticinque anni, l’economia mondiale
ha contribuito a far emergere anche nazioni economicamente in
ritardo quali la Cina e l’India le cui popolazioni rappresentano
numericamente più di un terzo dell’umanità.
L’intensificazione del commercio, e di conseguenza la
sempre maggiore cooperazione a livello internazionale tra i vari
Paesi coinvolti in questo processo, ha portato a creare una serie
di enti preposti alla cooperazione commerciale (WTO), alla
cooperazione monetaria e finanziaria (es. FMI), alla
cooperazione allo sviluppo (es. Banca Mondiale), alle
aggregazioni regional-continentali (es. Nafta, Mercosur), ad
altre forme di coordinamento funzionale o settoriale (es.
OCSE). Non solo, l’integrazione internazionale ha visto nascere
zone di libero scambio e unioni doganali (Nafta) e mercati
comuni (UE).
5
“Il bello del globale”, in L’Avvenire, martedì 9 aprile 2002.
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L’analisi dell’operato di questi enti ed organizzazioni,
nate in un contesto storico ben preciso – dalla fine della
Seconda Guerra Mondiale, con gli accordi di Bretton Woods, in
poi – ed aventi come finalità principali quelle di regolamentare
gli aiuti economici e di favorire lo sviluppo delle economie – dei
Paesi devastati dalla guerra, prima, e dei Paesi in Via di
Sviluppo poi – ci consentirà di verificare se siano o meno
necessarie delle correzioni strutturali e perché; se i vincoli
imposti dal Fondo Monetario e dalla Banca Mondiale, per
erogare i prestiti ai paesi poveri, siano accettabili oppure no; se
le proposte di cancellazione del debito dei PVS avanzate da un
buon numero di economisti, ma non solo, (ed attuate in parte
da alcune Nazioni creditrici) si reggano su delle buone
motivazioni e se affianco a queste siano necessarie altre
manovre.
Un altro aspetto cruciale riguardante il problema del
debito dei paesi poveri riguarda il ruolo che le banche hanno
giocato e giocano tuttora nell'erogare finanziamenti; non
bisogna dimenticare, a questo proposito, che, a seguito
dell’intensificarsi dei movimenti di capitale, grazie anche allo
sviluppo delle reti informatiche, sono stati ravvisati notevoli
problemi di vigilanza in questo settore, che hanno quindi reso
auspicabile da parte delle grandi Istituzioni Mondiali e dei
vari Governi la definizione di un sistema di regole precise ed
universalmente accettate da applicare ai mercati finanziari.
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Il filo conduttore di questo lavoro sarà l’approfondimento
dei motivi per cui si è sviluppata la contestazione operata, con
tecniche diverse e per motivi differenti, dai vari gruppi NO
GLOBAL.
Nel primo capitolo si analizzeranno le critiche
all’operato dell’Organizzazione Mondiale del Commercio – il
WTO – cercando di valutarne gli aspetti positivi e negativi.
Nel secondo capitolo, si tratterà del problema del
debito dei Paesi in Via di Sviluppo, e di conseguenza del ruolo
giocato dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca
Mondiale.
Nel terzo capitolo si analizzeranno ulteriori argomenti
di contestazione, quali il problema ambientale, i flussi
migratori ed il lavoro minorile.
Nel quarto capitolo, verrà approfondito il tema del
venir meno delle sovranità nazionali ovvero se i vari Stati ed i
vari Governi, in un mondo sempre meno vincolato dalle
frontiere, siano ancora in grado di agire ed operare, oppure se il
potere si sia ormai spostato al di fuori dei confini statali.