7
eccezionale, di delegazione dell’esercizio del potere legislativo ad un
organo diverso da quello che ne è il naturale titolare, limite inteso a
garantire l’integrità delle competenze legislative del Parlamento.
Recentemente, però, una nuova posizione dottrinale ha dimostrato
come l’istituto della delegazione legislativa abbia una natura
“polivalente”, nel senso che il legislatore vi farebbe ricorso non solo (e
non tanto) nel caso in cui la materia che intende disciplinare si presenti
tecnicamente complessa, ma anche nel caso in cui tale materia si presenti
politicamente complessa: il procedimento di delegazione legislativa,
infatti, è apparso essere uno strumento utile al fine di dislocare
all’esterno delle Camere il processo di mediazione degli interessi toccati
dall’intervento normativo ed affidarlo ad un soggetto (il Governo
appunto) meno permeabile, rispetto al Parlamento, alle istanze avanzate
dai centri di interesse più diversi.
Alla luce di questa nuova ricostruzione del fenomeno della
delegazione legislativa, la prassi parlamentare cui prima si faceva
riferimento potrebbe essere letta sempre in termini di aggravio
procedimentale alla delegazione legislativa; tale aggravio, però, non
sarebbe solo finalizzato a garantire il Parlamento da ogni indebita
espropriazione delle proprie competenze istituzionali da parte del
Governo, quanto a consentire alle Camere di intervenire nella fase di
esercizio del potere legislativo delegato in veste di soggetto interlocutore
del Governo, insieme a numerosi altri gruppi di pressione, facendosi
portatrici dell’interesse a non snaturare in sede di negoziazione il
nocciolo duro dell’intervento normativo, contenuto nella legge delega.
Questo lavoro, collocandosi in tale prospettiva, si propone, in primo
luogo, di illustrare descrittivamente l’evoluzione delle caratteristiche
8
dello strumento utilizzato dal Parlamento per intervenire nella fase di
esercizio del potere legislativo delegato (commissioni bicamerali prima,
monocamerali poi), rilevando come tale evoluzione segua la direzione di
una progressiva immedesimazione di tali organi col Parlamento stesso; in
secondo luogo, di dare conto diacronicamente dei problemi di
legittimità costituzionale che tale prassi ha sollevato, così come sono
stati affrontati e risolti dalla dottrina e dalla giurisprudenza
costituzionale; in terzo luogo, di dimostrare come tali strumenti di
intervento parlamentare possano essere considerati alla stregua di uno
specchio capace di riflettere fedelmente l’assetto che la forma di Governo
è andata assumendo durante tutto l’arco delle tredici legislature del
Parlamento repubblicano.
Al termine dell’indagine condotta secondo queste direttrici, i
risultati cui si perverrà saranno raffrontati con quelli scaturenti
dall’analisi dell’analoga prassi del Parlamento spagnolo di intervenire
nella fase di esercizio del potere legislativo delegato al Governo per
mezzo di commissioni chiamate ad esprimere pareri, evidenziando come
l’assetto da ultimo raggiunto dai rapporti Parlamento-Governo
nell’ordinamento italiano, quale emerge dalla prassi suddetta, si presenti
molto simile a quello attualmente riscontrabile nell’ordinamento
spagnolo.
9
CAPITOLO PRIMO
DELEGAZIONE LEGISLATIVA ED INTERVENTO DELLE CAMERE NELLA
FASE DI ESERCIZIO TRA STORIA E TEORIA.
1. La delegazione legislativa sotto la vigenza dello Statuto albertino.
Lo Statuto albertino non conteneva alcuna norma che esplicitamente
ammettesse o vietasse la possibilità del Parlamento di delegare
temporaneamente l’esercizio del potere legislativo al Governo.
La dottrina più recente (
1
) ha dimostrato che alla base di tale
apparente lacuna sistematica stavano due ragioni fondamentali: da un
lato, la scienza giuridica dell’epoca riteneva (apoditticamente) che il
principio teorico della separazione dei poteri andasse inteso in senso
assoluto, per cui ogni organo costituzionale doveva essere titolare ed
esercitare un solo potere; dall’altro, la stessa scienza giuridica riteneva
che, all’organo Parlamento, la titolarità e l’esercizio della funzione
legislativa spettassero non in via originaria, bensì in virtù di una vera e
propria delegazione operata dal corpo sovrano (
2
) e quindi, secondo la
nota massima delegatus delegare non potest (
3
), le Camere non erano in
(
1
) CALANDRA P., Il Governo della Repubblica, Il Mulino, 1986, pag. 225.
(
2
) Cfr. RACIOPPI F./ BRUNELLI I., Commento allo Statuto del Regno, UTET, 1909, vol. I, pag.
127 secondo i quali il corpo sovrano di uno Stato è costituito dall’insieme di coloro i quali
detengono il supremo potere giuridico; siccome allora “con la promulgazione dello Statuto, il
supremo potere giuridico esulava dal monarca al popolo, ed oggi lo Stato nostro è una
democrazia, […] la partecipazione alla sovranità sottoforma di elettorato politico è conferita
ad ogni cittadino il quale la esercita a ben prefisse condizioni accessibili a tutti senza
privilegio” (pag. 130). In altri termini, corpo sovrano era l’insieme dei cittadini che, a
determinate condizioni accessibili a tutti (età, istruzione, ecc.), esercita la sovranità.
(
3
) Elaborata dai glossatori in margine ad un passo di Paolo, secondo cui “mandatam sibi
jurisdictionem mandare alteri non posse manifestum est” in Digestum, I, 21, 5.
10
grado di delegare a loro volta tale funzione, o il suo esercizio, al
Governo (
4
).
Tali assunti teorici propri della scienza giuridica di allora, però,
vennero a scontrarsi inevitabilmente con le esigenze pratiche emerse
durante gli anni delle guerre di indipendenza: tali esigenze, infatti,
imposero ben presto al Parlamento il ricorso ad amplissime forme di
delegazione di poteri legislativi al Governo (
5
), sicché una parte della
dottrina più autorevole del tempo (
6
), prendendo le mosse da una
giurisprudenza della Corte di Cassazione (
7
), aveva finito per ammettere
la legittimità dell’istituto della delegazione legislativa, ma solo come
ipotesi del tutto eccezionale di esercizio del potere legislativo proprio
delle Camere da parte del Governo.
Da un punto di vista prettamente giuridico, infatti, il fenomeno della
delegazione legislativa al potere esecutivo era ricostruito in termini di
deroga alle disposizioni dello Statuto preposte alla ripartizione delle
competenze e dei poteri tra gli organi costituzionali, in quanto tali
disposizioni, posta la flessibilità dello Statuto medesimo, possedevano
una forza ed un valore identici alle disposizioni contenute nella legge di
delegazione e quindi erano suscettibili di essere da queste derogate.
Il decreto legislativo delegato emanato in virtù della delegazione
legislativa, inoltre, si riteneva avesse la natura ibrida (
8
) di atto
soggettivamente imputabile al potere esecutivo, ma avente forza di legge,
come gli atti tipici del potere legislativo: in quanto decreto necessario per
(
4
) Cfr. RACIOPPI F./ BRUNELLI I., op. ult. cit., pag. 176.
(
5
) CALANDRA P., op. ult. cit., pag. 225.
(
6
) Cfr. RACIOPPI F./ BRUNELLI I., op. ult. cit., pag. 176.
(
7
) Cfr. la sentenza della Cassazione torinese a camere riunite del 1° marzo 1858, citata da
RACIOPPI F./ BRUNELLI I., op. ult. cit., pag. 176.
(
8
) Cfr. RACIOPPI F./ BRUNELLI I., op.ult. cit., pag. 341.
11
l’esecuzione della legge di delegazione, infatti, l’affermazione della sua
legittimità costituzionale trovava fondamento nell’art. 6 dello Statuto:
“il Re nomina a tutte le cariche dello Stato: e fa i decreti e regolamenti
necessari per la esecuzione delle leggi, senza sospenderne l’osservanza, o
dispensarne”; in quanto atto avente esso stesso forza e valore di legge,
l’affermazione della sua legittimità costituzionale trovava fondamento
nell’art. 3 dello Statuto: “il potere legislativo sarà collettivamente
esercitato dal Re e da due Camere: il Senato e quella dei Deputati” (
9
).
Proprio partendo da tale ricostruzione giuridica del fenomeno della
delegazione legislativa in termini di deroga alle disposizioni statutarie, la
dottrina del tempo cercò di individuare precise limitazioni che
caratterizzassero la configurazione dell’istituto, in modo da evitare che il
Parlamento arrivasse a spogliarsi del tutto della funzione ad esso
propria(
10
): “data [infatti] la comodità di ricorrere a leggi di delegazione,
e dato il sistema parlamentare per cui la Camera preferisce occuparsi
assai più di atti di sindacato politico anziché di lavori legislativi […]
facilmente può trasmodarsi dall’uso all’abuso”(
11
).
Emerse e si consolidò, in questo modo, la prassi di prevedere, tra le
disposizioni normative contenute nelle leggi di delegazione, vere e
proprie condizioni relative alla legittimità del futuro decreto delegato,
tant’è che è molto frequente, leggendo gli studi dell’epoca su tale
fenomeno, imbattersi nell’espressione “leggi di delegazione
condizionate” (
12
) ed è proprio nell’ambito di tali condizioni che spicca
(
9
) RACIOPPI F./ BRUNELLI I., op. ult. cit., pag. 341.
(
10
) Cfr. ALLEGRETTI U., Profilo di storia costituzionale italiana. Individualismo ed assolutismo
nello Stato liberale, Il Mulino, 1989, pag. 447.
(
11
) Cfr. RACIOPPI F./ BRUNELLI I., op. ult. cit., pag. 177.
(
12
) RACIOPPI F./ BRUNELLI I., op. ult. cit., pag. 177.
12
la previsione dell’istituzione di commissioni parlamentari incaricate di
rendere un parere preventivo sul testo del decreto delegato (
13
).
Con l’avvento del fascismo, si ebbe un sensibile mutamento nella
ricostruzione dogmatica dell’istituto della delegazione legislativa, in
coerenza con una più generale trasformazione del sistema istituzionale
nella direzione del consolidamento di un vero e proprio regime
autoritario.
Con la legge 9 dicembre 1928 n. 2693, infatti, i Ministri furono posti
alle dipendenze gerarchiche del Capo del Governo e, dunque, “il Gabinetto
cessò di esistere come corpo a sé stante dotato di autonomia unitaria
nell’esercizio del suo ruolo di organo del potere esecutivo” (
14
) per
divenire mero collaboratore tecnico all’esercizio delle prerogative
spettanti al Primo Ministro: quest’ultimo, dal canto suo, divenne il vero
soggetto dell’attività del Governo e fu collocato al vertice
dell’organizzazione della vita collettiva, nella condizione di personificare
lo Stato (
15
).
Il Governo, peraltro, non era più considerato solo un organo del
potere esecutivo, ma anche un organo del potere legislativo: ex art. 1
comma 3 della legge 31 gennaio 1926 n. 100, infatti, si conferiva ad esso
il potere di emanare norme con forza e valore di legge nelle materie ivi
(
13
) TOSATO E., Le leggi di delegazione, CEDAM, 1931, pag. 167. Il primo esempio di una
commissione siffatta è rintracciabile nella legge del 7 maggio 1882 n. 72, in materia
elettorale.
(
14
) Cfr. TRENTIN S., Dallo Statuto albertino al regime fascista, a cura di A. PIZZORUSSO,
Marsilio, 1983, pag. 195. Cfr. anche GHISALBERTI C., Storia costituzionale italiana. 1848/1948,
Laterza, 1989, pag. 358.
(
15
) TRENTIN S., op. ult. cit., pag. 197. GHISALBERTI C., op. ult. cit., pag. 376 afferma che il
Capo del Governo era “divenuto, nella costruzione fascista, il vertice effettivo ed il simbolo
del regime”.
13
indicate, consentendogli, per questa via, di perseguire un fine politico
parallelo a quello perseguito dal Parlamento (
16
).
Per quanto riguarda, invece, le Camere, sempre la legge n. 2263 del
1925, da un lato, escludeva la possibilità che queste potessero approvare
la mozione di sfiducia per sanzionare eventuali responsabilità politiche
dell’esecutivo; dall’altro, tale legge conferiva al Capo del Governo il
potere di predisporre l’ordine del giorno del Parlamento stesso ed anche
il potere di chiedere, entro tre mesi, il riesame di un disegno di legge a
lui gradito, ma respinto dalle Camere (
17
).
A ciò si deve aggiungere che il 9 novembre 1926, il Governo, “con
un provvedimento illegittimo sul piano costituzionale e contraddittorio
dal punto di vista della motivazione politica” (
18
), dichiarava la
decadenza dall’ufficio di parlamentare tanto degli esponenti delle
opposizioni ritiratisi sull’Aventino dopo il delitto Matteotti, quanto dei
membri del Partito comunista che, invece, non avevano abbandonato i
lavori delle Camere.
Per quanto riguarda, infine, le prerogative del Re, esse furono
notevolmente ridimensionate proprio in conseguenza dell’incremento
dei poteri del Capo del Governo: la Corona, in sostanza, rimaneva
titolare del potere solo formale (essendo la volontà del sovrano
condizionata da quella mussoliniana) di nominare e revocare i Ministri
e della facoltà di assumere il comando nominale delle forze armate in
(
16
) Si ricordi che lo Statuto albertino era una Costituzione flessibile, per cui le disposizioni
in esso contenuto erano suscettibili di essere derogate da altre norme, purché di rango
legislativo. Cfr. TRENTIN S., op. ult. cit., pag. 198 e segg. Come sottolinea, inoltre,
GHISALBERTI C., op. ult. cit., pag. 359, il termine per la conversione dei decreti legge fu esteso
a due anni e si lasciava al solo Governo la valutazione dei presupposti della necessità e
dell’urgenza, sicché appariva chiara l’avvenuta usurpazione della funzione legislativa da parte
dell’esecutivo.
(
17
) Cfr. GHISALBERTI C., op. ult. cit., pag. 358.
(
18
) GHISALBERTI C., op. ult. cit., pag. 360.
14
caso di guerra (
19
), mentre non aveva più alcuna possibilità di ingerirsi
nell’indirizzo politico dello Stato, perché esso era determinato solo dal
Partito fascista, sicché non stupisce come la dottrina del tempo
“riconosceva al Re solo la funzione di registrare se l’azione del Governo
continuava nel rispetto delle direttive fasciste ispiratrici dell’intero
sistema” (
20
).
Le ripercussioni di tale trasformazione dell’assetto istituzionale sulla
ricostruzione dogmatica dell’istituto della delegazione legislativa sono di
immediata evidenza: posto che la totale soppressione del Parlamento
non poteva essere attuata per non far identificare il fascismo con remote
istituzioni dell’assolutismo monarchico, negando così il suo carattere
intrinsecamente rivoluzionario (
21
), il ruolo delle Camere nell’ambito del
procedimento di delegazione legislativa venne il più possibile
ridimensionato, tant’è che, tra le disposizioni delle numerosissime leggi
di delegazione approvate in quel periodo (
22
), si assiste ad una drastica
diminuzione dell’istituzione di commissioni bicamerali consultive,
nonostante spesso autorevoli parlamentari ne chiedessero esplicitamente
la costituzione (
23
).
Anche nelle pochissime leggi di delegazione in cui sopravvivono
disposizioni in tal senso, però, si trattò, come ebbe modo di affermare
nitidamente Calamandrei, di disposizioni normative a doppio fondo in
quanto “volute da chi era al potere non col proposito di farle osservare
(
19
) GHISALBERTI C., op. ult. cit., pag. 360.
(
20
) GHISALBERTI C., op. ult. cit., pag. 377.
(
21
) TRENTIN S., op. ult. cit., pag. 200.
(
22
) Tra cui molte di pieni poteri.
(
23
) Famosa rimane la vicenda, riportata da PATRONO M., Le leggi delegate in Parlamento,
CEDAM, 1981, pag. 77 dell’approvazione della legge 22 novembre 1922, n. 1722 sulla
riforma del sistema tributario, dove nel dibattito in aula fu chiesto di inserire una
disposizione che prevedesse una commissione, ma l’intervento diretto di Mussolini ne impedì
di fatto la costituzione.
15
così come erano scritte, ma col sottinteso polemico di far credere a chi
guardava a distanza (dall’estero) che il fascismo avesse conservato ed anzi
rafforzato certe garanzie costituzionali […]; ma nello stesso tempo in cui
questa legalità illusoria era iscritta come un cartello pubblicitario sulla
facciata, dietro quel muro erano segretamente predisposti dallo stesso
legislatore onnipotente i mezzi illegali per ostacolare o impedire
l'applicazione di quelle leggi apparenti” (
24
).
(
24
) CALAMANDREI P., La funzione parlamentare sotto il fascismo, in Scritti e discorsi politici, vol.
VII, Firenze, 1966, pag. 329.
16
2. La delegazione legislativa sotto la vigenza della Costituzione repubblicana.
2.1 Il dibattito in Assemblea costituente.
Dopo il rovesciamento del regime fascista, al fine di riorganizzare lo
Stato nella forma di una Repubblica democratica a seguito del
referendum del 2 giugno 1946, fu istituita (
25
), presso il Ministero per
l’Assemblea costituente, una Commissione di studi, con il compito di
predisporre una relazione circa l’impianto generale della futura
Costituzione.
Tale relazione affrontò, tra l’altro, anche il problema del se prevedere
o meno una serie di norme che disciplinassero costituzionalmente
l’istituto della delegazione legislativa: si riconobbe che, sebbene in
passato la legittimità di tale istituto non fosse stata pacificamente
ammessa dalla dottrina e dalla giurisprudenza (
26
), tuttavia “la prassi […]
superò questa teoria. Anche altri Stati sentirono questa necessità e,
particolarmente dopo la prima guerra mondiale, fecero largo uso di
questo strumento” (
27
).
Posto, dunque, il riconoscimento, sul piano pratico, della necessità
di una disciplina dell’istituto, sul piano tecnico-giuridico, si ritenne che
fosse indispensabile un’esplicita previsione costituzionale, in virtù del
fatto che si sarebbe trattato di una Costituzione rigida e, quindi, la
(
25
) Ex art. 5 decreto legge luogotenenziale 31 luglio 1945, n. 435.
(
26
) Supra paragrafo 1 del capitolo precedente.
(
27
) MINISTERO PER LA COSTITUENTE-COMMISSIONE DI STUDI PER LA RIORGANIZZAZIONE
DELLO STATO, Relazione all’Assemblea costituente, Roma, 1945, vol. I, pag. 216.
17
ripartizione delle competenze istituzionali sarebbe stata operata solo da
fonti sovraordinate alla legge formale (
28
).
La Commissione di studi per la riorganizzazione dello Stato si
preoccupò anche di fissare tutta una serie di limiti alla possibilità di
ricorrere a tale istituto da parte del futuro Parlamento, sulla base della
consapevolezza del potenziale rischio eversivo che ogni alterazione
dell’equilibrio tra i poteri dello Stato inevitabilmente è in grado di
comportare: si precisò, allora, in primo luogo, che solo in caso di guerra
si sarebbe potuto procedere ad una delega generale dell’esercizio della
funzione legislativa, ma sempre circoscritta agli atti necessari alla
condotta delle operazioni belliche, mentre, in tutti gli altri casi, la delega
andava esclusa solo per alcune materie determinate e cioè la materia
elettorale, la leva militare, la pubblica sicurezza, l’ordinamento
giudiziario, l’ordinamento provinciale e comunale (
29
); in secondo
luogo, la Commissione precisò che la delega avrebbe dovuto riguardare
materie determinate e si sarebbe dovuta esaurire con il suo esercizio da
parte del Governo; in terzo luogo, si sottolineò che la delega poteva
essere a beneficio del solo Consiglio dei Ministri e non dei singoli
Ministri e che non vi poteva essere alcuna possibilità di
subdelegazione(
30
); in quarto luogo, la Commissione all’unanimità
richiese che ogni decreto delegato fosse sottoposto “previamente
all’esame di una commissione interparlamentare [con il compito di]
esprimere il proprio parere sul punto se l’atto delegato resti nei limiti
(
28
) MINISTERO PER LA COSTITUENTE-COMMISSIONE DI STUDI PER LA RIORGANIZZAZIONE
DELLO STATO, op. ult. cit., pag. 217.
(
29
) MINISTERO PER LA COSTITUENTE-COMMISSIONE DI STUDI PER LA RIORGANIZZAZIONE
DELO STATO, op. ult. cit., pag. 25.
(
30
) MINISTERO PER LA COSTITUENTE-COMMISSIONE PER LA RIORGANIZZAZIONE DELLO
STATO, op. ult. cit., pag. 217.
18
della delega” (
31
), ferma restando la responsabilità politica del Governo
stesso.
La seconda sottocommissione, istituita presso la Commissione per la
Costituzione in seno all’Assemblea costituente, approfondì la relazione
elaborata dalla Commissione di studi per la riorganizzazione dello Stato
e, sebbene non mancarono forti e vivaci opposizioni alla previsione
costituzionale dell’istituto della delegazione legislativa (
32
), prevalse la
posizione di coloro i quali ritenevano necessario che “un Parlamento
pronto, per ragioni politiche, a delegare al Governo i suoi poteri, che tanta
importanza hanno per la vita del paese” (
33
) avesse gli strumenti
normativi per procedervi.
Si avvertì contestualmente, però, la necessità di apporre limiti certi
all’esercizio dei poteri legislativi da parte del potere esecutivo, al fine di
evitare che, in regime repubblicano, si potessero verificare le medesime
disfunzioni che avevano caratterizzato il precedente ordinamento e cioè
il proliferare di deleghe in bianco, deleghe di pieni poteri, deleghe a
tempo indeterminato (
34
).
(
31
) MINISTERO PER LA COSTITUENTE-COMMISSIONE PER LA RIORGANIZZAZIONE DELLO
STATO, op. ult. cit., pag. 218.
(
32
) Cfr. a tal proposito le dichiarazioni degli onn. La Rocca, Fabbri, Nobile e Castiglia nella
seduta del 12 novembre 1946 in COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE-II
SOTTOCOMMISSIONE, Atti, Roma, 1948, vol. VII, pag. 1293 e segg.
(
33
) Cfr. la dichiarazione del presidente della seconda sottocommissione on. Terracini nella
seduta del 12 novembre 1946, in COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE-II
SOTTOCOMMISSIONE, op. ult. cit., pag. 479 (corsivo nostro).
(
34
) Cfr. gli interventi degli onn. Mannironi, Ambrosini e Bozzi, COMMISSIONE PER LA
COSTITUZIONE-II SOTTOCOMMISSIONE, op. ult. cit., pag. 479. Com’è noto, si definiscono
deleghe a tempo indeterminato quelle particolari leggi di delegazione che non prevedono alcun
termine entro cui il Governo è facoltizzato ad esercitare la funzione legislativa, sicché, nelle
materie ivi indicate, il Governo può, in qualsiasi momento, emanare norme giuridiche con
valore di legge; si definiscono deleghe di pieni poteri quelle particolari leggi di delegazione con
cui il Parlamento individua una materia nella quale il Governo è facoltizzato ad esercitare la
funzione legislativa, ma senza alcuna predeterminazione di principi e criteri direttivi della
futura disciplina, sicché il Governo è libero nella determinazione del contenuto del decreto;
si definiscono, infine, deleghe in bianco quelle particolari leggi di delegazione con cui si delega
al Governo non tanto l’esercizio della funzione legislativa, quanto la titolarità della
19
Tali limiti furono costruiti seguendo le direttive approntate nella
relazione della Commissione di studi per la riorganizzazione dello Stato:
si ritenne, quindi, indispensabile che il futuro legislatore fosse obbligato
da esplicite norme di rango costituzionale a fissare, attraverso le leggi di
delegazione, un tempo determinato entro cui esercitare la delega, un
oggetto definito che delimitasse l’ambito materiale della delega stessa e
principi e criteri direttivi che, all’interno di tale ambito materiale,
indirizzassero l’attività del Governo (
35
).
Non vi è menzione, però, di alcuna limitazione circa le materie in cui
si sarebbe potuto far ricorso alla delegazione legislativa, come invece
aveva suggerito la Commissione di studi per la riorganizzazione dello
Stato, in quanto prevalse la posizione dell’on. Tosato, secondo la quale
si sarebbe avuta “una severa menomazione del potere legislativo se nella
Costituzione fosse [stata] inclusa una norma con la quale si stabilisce il
divieto della delega per determinate materie, perché occorre lasciare al
potere legislativo la più ampia facoltà di determinare le materie per le
quali può risultare necessario fare ricorso all’istituto della delega,
medesima, esautorando del tutto il Parlamento. Per ciò che più specificatamente riguarda le
deleghe di pieni poteri concesse in periodo statutario, alcuni autori (GAMBERINI A., I decreti
per delegazione legislativa. Note e appunti, Bologna, 1901, pag. 11 e segg.) ritenevano che
delegazione legislativa e pieni poteri fossero due fenomeni ben distinti; altri che fossero due
sottospecie del fenomeno giuridico più generale di attribuzione di alcune facoltà più o meno
larghe al Governo (ROSSI L., I “pieni poteri”, in Scritti di diritto pubblico, vol. V, Milano, 1939,
pag. 271 e segg.). Come rileva FERRI G. D., Sulla delegazione legislativa, in Studi di diritto
costituzionale in memoria di L. Rossi, Giuffrè, 1952, pag. 193, “solo dopo l’entrata in vigore
della Costituzione repubblicana si giunge ad una netta e sostanziale diversificazione tra
delegazione legislativa e pieni poteri”.
(
35
) Cfr. le dichiarazioni degli onn. Uberti, Laconi, Fuschini, Rossi Paolo e soprattutto
Mortati (relatore), in COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE-II SOTTOCOMMISSIONE, op. ult.
cit., pagg. 1295-1296; cfr. altresì il testo definitivo dell’art. 32 del progetto di Costituzione
elaborato dalla Commissione per la Costituzione, in COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE-II
SOTTOCOMMISSIONE, op. ult. cit., pag. 1298.
20
stabilendo caso per caso le eventuali limitazioni e cautele per evitare
abusi. Tale cura spetta alla sensibilità politica del Parlamento” (
36
).
Solo l’on. Mannironi, inoltre, prospettò la possibilità di inserire, nel
futuro testo costituzionale, un’esplicita previsione che obbligasse il
Governo a sottoporre il testo del decreto legislativo al vaglio di una
commissione parlamentare od interparlamentare, la quale avrebbe avuto
il compito di verificare il rispetto dei limiti posti dalla legge di
delegazione, cosicché le Camere “non debbano spogliarsi del tutto ed a
priori delle loro prerogative” (
37
).
A tale proposta, però, fu ribattuto dall’on. Bozzi che in qualunque
modo si fossero configurati i poteri di tale commissione, essi avrebbero
inevitabilmente comportato inconvenienti politici nel momento in cui
fossero stati concretamente esercitati: “tale commissione [infatti]
dovrebbe emettere un voto deliberativo o manifestare un semplice
parere? Nel secondo caso si avrebbe una notevole diminuzione del
prestigio del Parlamento, perché il Governo potrebbe anche prescindere
dal parere della commissione. Se invece la commissione dovesse
ratificare la delega, si andrebbe al di là del concetto di delega legislativa e
si snaturerebbe un istituto di tal genere. […]. Quando si delega al
Governo l’esercizio della potestà legislativa, è il Governo stesso che
assume la responsabilità dell’emanazione di una determinata legge; e se
tale emanazione non si è tenuta nei limiti della delega, è il Governo che
(
36
) COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE-II SOTTOCOMMISSIONE, op. ult. cit., pag. 1295,
corsivo nostro.
(
37
) Cfr. la dichiarazione dell’on. Mannironi, in COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE-II
SOTTOCOMMISSIONE, op. ult. cit., pag. 1292.
21
diventa responsabile di fronte al Parlamento, con tutte le conseguenze
che ne possono derivare” (
38
).
La seconda sottocommissione, allora, concluse i suoi lavori ritenendo
che sarebbe stato meglio lasciare alle Camere un ambito di discrezionalità
circa la scelta di ricorrere o meno all’istituzione di una commissione
parlamentare con il compito di intervenire nella fase di esercizio dei
poteri legislativi delegati da parte del Governo: nel caso in cui il
Parlamento avesse ritenuto opportuno ricorrervi non avrebbe dovuto far
altro che inserire nel testo della legge di delegazione una disposizione ad
hoc (
39
).
(
38
) Dichiarazione dell’on. Bozzi, in COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE-II
SOTTOCOMMISSIONE, op. ult. cit., pag. 1293.
(
39
) Cfr. la dichiarazione dell’on. Perassi, in COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE-II
SOTTOCOMMISSIONE, op. ult. cit., pag. 1297.