Introduzione
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INTRODUZIONE
Il nostro ordinamento giuridico, ancora oggi, presenta e manifesta non poche incertezze
in riferimento all’uso del sapere delle parti, specialmente da un punto di vista
probatorio. A questo proposito, basti pensare che la legge non prevede la testimonianza
della parte, escludendo in questo modo uno strumento più che efficace per risalire a
questa tipologia di sapere; infatti, se il giudice potesse disporre di tale strumento,
avrebbe la possibilità di venire a conoscenza dei fatti della causa, direttamente da chi ne
è stato coinvolto in prima persona. Detto ciò, l’obiettivo della mia analisi è quello di
andare a verificare se l’interrogatorio, nella sua veste non formale, possa essere
considerato, ed inquadrato, come un altrettanto valido mezzo, sempre a disposizione del
giudice, per entrare in possesso, e valutare liberamente, il sapere delle parti coinvolte in
giudizio. Entrando nello specifico, il seguente elaborato si impegna a tale scopo
attraverso cinque capitoli, ognuno dei quali verte su di una tematica ben precisa. Il
primo capitolo è incentrato sulla natura dell’interrogatorio non formale, offrendo una
panoramica sulla sua disciplina ed i sui processi di riforma. Nel secondo capitolo,
invece, viene esposta una disamina inerente all’aspetto funzionale del suddetto istituto,
con particolare attenzione riguardo sia alla funzione chiarificatrice sia a quella
probatoria. Proseguendo, il terzo capitolo si sofferma su quelle che sono le varie
tipologie, disciplinate nel nostro ordinamento, dell’interrogatorio non formale: trovano
spazio, in questo modo, la richiesta congiunta ed il rito del lavoro. Venendo, così, al
quarto capitolo, non poteva mancare l’enunciazione, e la relativa analisi, di quelli che
sono i soggetti implicati in questo tipo di interpello, ossia il giudice, le parti ed i
corrispettivi difensori. Infine, il quinto ed ultimo capitolo, che verte sulla figura degli
argomenti di prova, si concentra sull’importante problematica riguardante sia la natura
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sia il valore delle risposte, rese dalle parti, durante lo svolgimento dell’interrogatorio
non formale, offrendo, peraltro, un interessante focus sulla casistica di tale istituto.
La natura dell'interrogatorio non formale
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1 LA NATURA DELL’INTERROGATORIO
NON FORMALE
1.1 L'interrogatorio non formale secondo la disciplina del
Codice di procedura civile
La disciplina dell’interrogatorio non formale trova spazio, nel nostro ordinamento
giuridico, all’interno di più disposizioni normative. La principale risulta essere
rappresentata, indubbiamente, dall’art. 117 c.p.c., che troviamo nel libro primo, al titolo
V, incentrato sui “poteri del giudice”. Tuttavia, come già accennato, a tale interrogatorio
si rifanno, in modo diretto o indiretto, anche altre norme, quali l’art. 185 c.p.c,
riguardante il tentativo di conciliazione che viene eseguito durante lo svolgimento del
giudizio ordinario di cognizione; l’art. 420 c.p.c., relativo all’udienza di discussione nel
rito del lavoro; l’art. 447 bis c.p.c., contenente la disciplina del rito applicabile alle
controversie in materia di locazione, comodato e affitto, ed infine l’art. 385 c.p.c.
relativo all’audizione degli interessati nel corso del processo di espropriazione. Però,
dinanzi a tale elencazione di articoli, non ci si deve lasciare ingannare: difatti la
disciplina dell’interrogatorio non formale risulta essere, in realtà, alquanto esigua,
soffermandosi quasi esclusivamente su precisi profili tecnici-processuali, inerenti
l’utilizzazione di tale strumento e su alcuni aspetti dell’efficacia probatoria delle
dichiarazioni derivanti dalle risposte delle parti interessate. Soffermiamoci, ad esempio,
sull’art. 117 c.p.c.
1
: quest’ultimo stabilisce che il giudice abbia la facoltà di ordinare la
comparizione personale delle parti, in contraddittorio fra loro, al fine di poterle
liberamente interrogare sui fatti riguardanti la causa. Quindi, la norma appena citata si
1
Così recita l’art.117 c.p.c.: “Il giudice, in qualunque stato e grado del processo, ha facoltà di ordinare la
comparizione personale delle parti in contradditorio tra loro per interrogarle liberamente sui fatti della
causa. Le parti possono farsi assistere dai difensori”.
La natura dell'interrogatorio non formale
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limita ad attribuire un potere di carattere generale a favore del giudice, con il quale avrà
facoltà di disporre l’interrogatorio non formale delle parti, senza fornire altre
informazioni sul funzionamento dell’istituto in essere.
1.2 I processi di riforma
Inizialmente l’interrogatorio non formale veniva inquadrato come un “potere ufficioso”
del giudice, e solo successivamente, con la riforma apportata dalla legge n. 353 del
1990, divenne obbligatorio. Tale peculiarità verrà, poi, meno con le successive riforme
del 2005, mediante le leggi n. 80 e n. 265, con le quali l’utilizzo di tale istituto viene
lasciato al potere discrezionale del giudice. Volendo, quindi, entrare nello specifico si
tratta di uno strumento processuale di derivazione chiovendiana, la cui funzione
principale doveva essere quella di favorire il contatto diretto fra le parti ed il giudice,
mediante domande rivolte, in modo informale, nei confronti di una delle parti in
giudizio
2
. In quella che è la relazione al Codice del 1940
3
, si può notare come si presenti
sotto due aspetti differenti, ossia: da un lato, come uno strumento finalizzato a
combattere la malafede processuale
4
, dall’altro, invece, come strumento di
chiarificazione
5
. Di conseguenza, questa tipologia di interrogatorio viene presentata
2
“A tale scopo meritano di esser messi in evidenza due istituti che il nuovo codice considera come armi
poste a disposizione del giudice per combattere la malafede processuale : il potere di ordinare in ogni
momento del processo la comparizione personale delle parti ( art.117 ), ed il potere, complementare del
primo, di trarre argomenti di carattere probatorio dalla loro condotta processuale ( art. 116 )” in
Relazione al Re n. 17. (MICHELI G.A., Corso di diritto processuale civile, Giuffrè, Milano, 1960).
3
Dalla Relazione al re (1929), in Codice di procedura civile : r. decreto 28 ottobre 1940, anno 28., n.
1443 : preceduto dalla relazione del ministro guardasigilli alla Maestà del Re Imperatore e seguito dagli
indici sommario ed analitico, Torino, Gazzetta del popolo, 1940.
4
Strumento volto alla “ricerca ufficiale della verità” e a vincere “la malizia dei litiganti”, Ministero di
Grazia e Giustizia, Codice di procedura civile, Roma 1940, n. 17 e 29.
5
In riferimento alla primaria funzione dell’interrogatorio libero nella Relazione al Codice di procedura
civile del 1940, n. 29: “Questo interrogatorio libero di cui il giudice ha l’iniziativa mira piuttosto a far sì
che le parti possano chiarire le loro allegazioni di fatto e le loro conclusioni, là dove queste sembrino
incomplete ed oscure. Questo interrogatorio mira prima di tutto a giovare alla parte interrogata, per
darle modo di spiegare meglio al giudice le sue ragioni e di integrare la propria difesa là dove questa, in
seguito alle osservazioni del giudice, le possa sembrare manchevole.”
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come una delle più significative innovazioni riscontrabili all’interno del Codice. Risulta,
però, difficile comprendere come un istituto, lasciato alla discrezionalità del giudice,
possa effettivamente rivelarsi utile per le parti
6
: difatti, sul piano pratico, se ne registra
uno scarso utilizzo
7
ad opera di quest’ultimo. Detto ciò, la discrezione di cui gode
proprio il giudice non fa altro che produrre effetti controproducenti: egli, come già
accennato, si serve raramente di tale istituto al fine di chiarie la posizione delle parti,
che vengono esposte nella prima udienza di trattazione, ex art. 183; utilizza in modo
limitato i suoi “poteri ufficiosi”, preferendo una tipologia di confronto più formale e che
presenti un esito più concreto (un esempio può essere il giuramento supplettorio); per
ottenere dei chiarimenti, inerenti la documentazione prodotta, si rivolge maggiormente
ai difensori; infine, utilizza, in modo sussidiario, l’interrogatorio non formale da un
punto di vista probatorio, con il quale, attraverso la condotta e le risposte delle parti, ha
la possibilità di ottenere degli argomenti di prova
8
. Dunque, quello che può essere
definito come “fallimento” dell’istituto è riconducibile principalmente a due cause: a
livello probatorio, poiché viene negato qualsiasi valore all’eventuale confessione resa
durante questo tipo di interrogatorio; a livello di chiarificazione, dal momento che i
giudici preferiscono chiarire le allegazioni direttamente con i rispettivi difensori delle
parti, ignorando quest’ultime
9
. Con la riforma n. 353 del 1990, l’interrogatorio non
formale, come già accennato, diventa obbligatorio, per via dell’influenza attribuibile
6
Si inserisce all’interno di questo discorso il problema relativo alle dichiarazioni contra se, che spiega in
parte il fallimento dell’interrogatorio libero: qualora una parte avesse effettuato una dichiarazione a sé
sfavorevole, questa non si sarebbe potuta usare in suo danno, vale a dire con valore di confessione,
eventualmente apprezzabile dal giudice. (REALI G., Sulla decisione della causa in base alle dichiarazioni
rese nel corso dell’interrogatorio libero, in Rivista di Diritto Civile, 2003, pag. 301 e ss.).
7
MICHELI G.A., Corso di diritto processuale civile, Giuffrè, Milano, 1960, sostiene l’incertezza del
carattere di tale interrogatorio, sul quale, l’autore afferma che si fa poco ricorso durante la pratica
giudiziaria, mentre potrebbe essere molto utile per il conseguimento di quelle finalità per le quali è stato
creato addirittura il giudice istruttore (il quale è, dunque, responsabile di tutto il processo che davanti a
lui si svolge, e l’immutabilità di esso garantisce l’unitarietà di indirizzo nella fase istruttoria). Egli
riprende altresì l’idea dell’interrogatorio libero come momento di contatto tra il giudice e la parte.
8
TARUFFO M., Interrogatorio, in Digesto delle discipline privatistiche, sez. civile, UTET, 1993, pagg.64‐65.
9
REALI G., op. cit., pag. 302 e ss.
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alla precedente riforma del processo del lavoro nel 1973, la quale ne prevedeva
l’utilizzo obbligatorio fin dalla prima udienza
10
. Lo scopo ultimo del legislatore è,
difatti, quello di raggruppare nella prima udienza la definizione del thema decidendum
come effettivamente avviene nel processo del lavoro, in modo tale da facilitare il
giudice nella successiva fase di istruzione della causa. Inoltre, modificare
l’interrogatorio non formale come strumento necessario, significa imporre un
contraddittorio fra le parti quando si è in fase di acquisizione del materiale che viene
allegato in giudizio. Dal momento che è il giudice istruttore
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ad avere il compito di
seguire la causa fino alla decisione finale, dovendo, poi, riferire al collegio, si spiega la
necessità di avere un colloquio con le parti, affinchè possa raccogliere prove e compiere
tutte le attività previste dal suo ruolo.
Il progresso, sul fronte dell’immediatezza, a cui la legge n. 353 vuole contribuire,
viene perseguito con lo scopo di dar vita a quel momento di reciproca collaborazione fra
giudice e parti di cui si è già parlato. Il giudice, quindi, in base a tale legge, avrà la
possibilità di chiarire con i difensori quale sia l’oggetto della controversia; in questo
modo si va a realizzare, attraverso il sicuro e obbligatorio svolgimento
dell’interrogatorio (nella prima udienza di trattazione), l’intento chiarificatore, senza
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Nel processo del lavoro la diversa impostazione della prima udienza di trattazione è motivata da
ragioni legate alla tipologia delle cause di cui esso si occupa: trattandosi di controversie in campo
lavorativo, si cerca di perseguire un’accelerazione dell’iter processuale. E’ opportuno sottolineare che
l’interrogatorio libero di cui all’art. 420 c.p.c. non si identifica con l’interrogatorio libero di cui all’art. 117
c.p.c.. (MANDRIOLI C., Manuale di diritto processuale civile., II ed., Giappichelli, Torino, 2007, pagg.
214‐219).
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La vicenda riformatrice che ha portato alla creazione del giudice unico è stata il risultato di un lungo
compromesso. Prima di giungere alla soluzione di compromesso delineata dal legislatore del ’40, si
seguivano due direzioni. Se da un lato si optava per la scelta di un unico giudice che seguisse dall’inizio
alla fine la causa, con un minor dispendio di tempo e soldi, ma con un minor grado di certezza del
diritto, dall’altro attraeva allo stesso modo l’idea che la decisione fosse rimessa ad un collegio composto
da giudici diversi da quello che aveva istruito la causa (questi rischiavano però di conoscere solo
“burocraticamente” la vicenda, attraverso i verbali ed il fascicolo preparato dall’istruttore). Si è optato,
così, per la ”terza via”: affidare la causa all’istruttore, facendolo successivamente rientrare nel collegio
giudicante. Con la riforma n. 51 del 1998 si è introdotto l’art. 50 bis che rappresenta l’eccezione, nel
senso che la ripartizione di cui si è detto sussiste solo per le cause elencate, per tutte le altre si opta per
il sistema del giudice unico attribuendo poteri decisionali al giudice istruttore. (MANDRIOLI C., op. cit.,
pagg. 63‐67).