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Introduzione
Il seguente lavoro si propone di analizzare la capacità dell’uomo di manipolare e
controllare il linguaggio anche e soprattutto in condizioni di stress e, in particolar
modo, durante lo svolgimento di un interrogatorio. Relativamente a questa pratica
verranno inoltre analizzati il Kubark Manual, lo Human resource exploitation
Manual, il manuale FM 34-52, l’FM 2-22.3 e infine l’Al Qaeda handbook, utilizzati
per l’addestramento degli interrogatori dell’esercito americano e/o della CIA e per
quello dei membri facenti parte dell’organizzazione di Al Qaeda, per evidenziare
come nella loro stesura sia stato fondamentale l’utilizzo di tecniche di manipolazione
e di occultamento linguistico.
La scelta degli argomenti da trattare è strettamente legata alla loro attualità. La
manipolazione linguistica è infatti un fenomeno al centro della gran parte delle
attività della nostra vita quotidiana, a partire dal semplice dialogo tra due amici fino
ad arrivare ai discorsi di propaganda dei politici o alle campagne pubblicitarie. Al
contempo, l’interrogatorio è alla base di numerose e odierne discussioni a livello
mondiale; si dibatte sulla legalità delle tecniche utilizzate per indurre gli interrogati
alla collaborazione e soprattutto si discute sulla validità di questa pratica come
risposta efficace per riuscire a debellare l’attuale minaccia terroristica.
Il primo capitolo è totalmente incentrato sulla definizione del concetto e delle
funzioni fondamentali del linguaggio, e sul chiarimento dell’idea di manipolazione
linguistica, sia in modo teorico, sia grazie all’utilizzo di esempi concreti.
Il linguaggio è il principale mezzo di comunicazione e soprattutto di evoluzione
dell’uomo, ma affinché questo si sviluppi è necessario il contatto con i propri simili,
è necessaria la socializzazione. Caso emblematico può essere quello del Selvaggio
dell’Aveyron, un bambino di appena 11-12 anni ritrovato in una foresta, vissuto tra
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gli animali senza alcun tipo di contatto umano, il quale, nonostante l’impegno e la
dedizione del dottor Itard, non riuscì mai a parlare fluentemente, fu infatti in grado di
articolare solo un paio di parole. A partire da questo esempio si sono potute
analizzare alcune delle principali teorie linguistiche quali quelle di Piaget
sull’apprendimento della lingua materna da parte del bambino; quelle di Hockett che
si propone di distinguere le caratteristiche del linguaggio umano da quelle del
linguaggio animale; e quelle di Jackobson e di Halliday entrambi concentrati sulle
funzioni principali del linguaggio. Al termine di questo excursus sul linguaggio è
stato introdotto il concetto di manipolazione linguistica partendo da una caratteristica
intrinseca del linguaggio stesso, ovvero l’ambiguità. Secondo la teoria matematica
della comunicazione di Pierce, infatti, il rapporto tra significante e significato non è
immediato, ma mediato dalla presenza di un interpretante diverso da individuo a
individuo. É proprio a partire da questo rapporto che viene dunque a crearsi
l’ambiguità linguistica causa di incomprensioni e base delle principali tecniche di
persuasione come la PNL. Fondamentale per la pratica della manipolazione
linguistica è però soprattutto la scelta delle parole da utilizzare nell’elaborazione
degli enunciati e la loro disposizione all’interno della frase, come spiegato dallo
studio condotto da Ellen Langer, la quale dimostrò che, ad esempio, nel momento in
cui si richiede un favore, l’utilizzo di una sola parola come perché può farci ottenere
risultati positivi. Grazie agli esempi proposti sarà quindi possibile giungere alla
conclusione che la manipolazione linguistica è una pratica largamente utilizzata nella
vita quotidiana che ci vede contemporaneamente come vittime e come artefici.
Con il secondo capitolo si entrerà nel vivo dell’argomento introducendo innanzitutto
la prassi dell’interrogatorio e l’annessa pratica della tortura. Come emerso infatti
dalla lettura del libro di Elaine Scarry “The body in pain”, al quale si farà
riferimento, spesso durante l’interrogatorio non ci si limita a porre delle domande al
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prigioniero e magari tentare di destabilizzarlo a livello psicologico, ma si ricorre
all’uso della violenza per far sì che attraverso la sofferenza fisica si ottenga la
dissoluzione del linguaggio del detenuto, il quale si limiterà ad esprimersi con un
linguaggio che si può definire primitivo, fatto di urla e grugniti. La dissoluzione del
linguaggio porterà al conseguente annullamento della persona che si sentirà
totalmente sottomessa al potere dell’interrogatore e pertanto cederà alle richieste di
confessione. A tal proposito è stata analizzata nello specifico la posizione degli
U.S.A. riguardo l’utilizzo di tecniche coercitive con riferimenti ai numerosi manuali
redatti per l’addestramento degli interrogatori. È stato quindi dimostrato che,
nonostante la pratica della tortura sia considerata illegale sul suolo americano, gli
organi di difesa degli U.S.A. continuano a utilizzare la tortura, soprattutto per il
trattamento dei prigionieri restii alla collaborazione. Relativamente a questa
problematica è stato analizzato in modo generico come i suddetti manuali si siano
evoluti nel tempo. Da un approccio diretto, caratterizzato dall’esplicita descrizione
delle tecniche per la coercizione mentale e fisica, si passerà, con l’avanzare del
tempo e la conseguente presa di coscienza da parte della popolazione, nazionale
prima, globale poi dei trattamenti riservati ai prigionieri, all’utilizzo di diverse
tecniche per l’occultamento linguistico tanto che il riferimento e l’esortazione
all’utilizzo di qualsiasi tipo di tortura sarà subordinato all’uso di particolari strategie
linguistiche. Si è passati poi all’analisi, nello specifico, di tre manuali redatti
dall’esercito americano e dalla CIA; il Kubark manual del 1963, lo Human Resource
Exploitation manual del 1983 e l’FM 34-52 del 1992, per evidenziare, tramite
l’utilizzo di esempi, come nel corso di poco meno di un trentennio questi
cambiamenti si siano via via verificati e quindi di come, conseguentemente, sia
cambiato il metodo di presentazione delle linee guida che caratterizzano la
conduzione di un interrogatorio. È stato notato che nel 1963 nel manuale era
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consentito l’esplicito riferimento alla pratica della tortura; il suo utilizzo non veniva
deplorato e soprattutto mancava la ripetizione ridondante della sua illegalità. Nel
1983 la situazione cambia, è ancora possibile il riferimento alle tecniche coercitive,
ma non si perde mai l’occasione di ricordare che il loro utilizzo è inappropriato,
inutile e soprattutto contro la legge, e a tal proposito si preciserà che qualsiasi
riferimento ad esse è utilizzato esclusivamente in misura preventiva, per evitare il
loro utilizzo. Nel 1992 lo scenario cambia nuovamente. Non è più possibile il
riferimento a nessuna forma di violenza fisica poiché contrarie ai principi stabiliti
con la Convenzione di Ginevra e in netto contrasto con le leggi vigenti nel territorio
americano. Restano comunque valide le tecniche di tortura psicologica.
Dall’analisi dei tre manuali è emersa dunque la risposta al crescente proibizionismo,
ovvero il ricorso a forme di occultamento linguistico, grazie al quale è possibile
incitare gli interrogatori all’utilizzo della violenza senza esporsi in modo diretto.
Nel terzo e ultimo capitolo si è ritenuto opportuno soffermarsi ancora sull’analisi dei
manuali, mettendone a confronto, questa volta, due apparentemente antitetici: un
manuale relativo all’addestramento dei seguaci di Al Qaeda, l’Al Qaeda handbook,
nel quale vengono fornite le linee guida per essere in grado di rispondere ad un
interrogatorio e un manuale più recente dell’esercito americano, l’FM 2-22.3, del
2006, ancora una volta incentrato sul metodo migliore per condurre un interrogatorio.
Verrà quindi confrontato, tramite opportuni esempi, il modo in cui i due testi trattano
l’argomento e il linguaggio utilizzato per far sì che le indicazioni fornite vengano
seguite. Un esempio potrebbe essere l’utilizzo costante del sostantivo Brothers, usato
per riferirsi ai membri di uno stesso gruppo, nell’Al Qaeda handbook, per
sottolineare il legame che li unisce in quanto figli di Allah ed esortarli quindi a
difendersi e proteggersi tra loro, o la definizione unlawful enemy combatants adottata
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nell’FM 2-22.3 per creare negli interrogatori un crescente sentimento di astio nei
confronti dei nemici.
Dall’analisi dei manuali emergeranno non solo differenze, ma anche diversi punti di
contatto che renderanno possibile l’ipotesi di un antenato comune ai due testi.
L’ipotesi è poi avvalorata dai risultati di alcune ricerche svolte che vedono la CIA in
segreta collaborazione con l’intelligence pakistana, l’ISI, durante la Guerra Fredda.
Infine per meglio chiarire i concetti di occultamento e manipolazione linguistica,
ancora fortemente presenti anche in questi due manuali, si provvederà all’analisi e
alla traduzione di alcuni passi ritenuti maggiormente significativi.
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Capitolo 1
Il linguaggio e la manipolazione linguistica
1.1 Il concetto di linguaggio
«L’uomo non sarebbe uomo, se non gli fosse concesso di parlare [...], l’essere
dell’uomo poggia sul linguaggio. Già all’inizio noi siamo dunque nel linguaggio e
con il linguaggio»
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. È con questa frase, credo, che meglio si esplichi il percorso di
ricerca linguistica svolto dal filosofo tedesco Martin Heiddeger. Questi infatti, nello
sviluppo del suo pensiero, si è molto soffermato sulla questione del linguaggio
arrivando a sostenere che l’uomo è tale proprio perché dotato di parola, essendo il
linguaggio prerogativa esclusiva dell’uomo, e che «il linguaggio è la casa
dell’essere» lasciando quindi intendere che non solo l’uomo attraverso il linguaggio
parla di ciò che lo circonda, ma che anzi attraverso la parola questi esprima anche se
stesso e il proprio essere.
Ma nella realtà dei fatti che cos’è il linguaggio?
Partendo dalla definizione riportata sul dizionario possiamo definire il linguaggio
come: «ogni mezzo, e specialmente la parola, di cui l'uomo si serve per comunicare
con i propri simili». Tuttavia questa definizione è molto riduttiva. Il linguaggio è
molto più di questo. È vero che la sua funzione principale è quella di permetterci di
comunicare con gli altri, ma è altresì vero che comunicare con gli altri significa
necessariamente mostrargli la nostra visione delle cose, il nostro background e di
1
“Nascita del linguaggio” - http://www.arkestudio.org/nascita_del_linguaggio.html cit. da
M. Heidegger, In cammino verso il linguaggio, Milano 1973, p. 189
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conseguenza noi stessi. Il linguaggio è inoltre un chiaro simbolo e strumento
dell’evoluzione naturale dell’uomo e per questo, non a caso, le differenze
linguistiche si riscontrano non solo in due lingue diverse, ma anche all’interno di uno
stesso sistema linguistico a seconda dello status sociale, dell’impiego, del sesso, del
livello di istruzione ecc.
Affinché un individuo sviluppi la sua capacità linguistica fondamentale è
l’interazione con gli altri, l’appartenenza a un qualche tipo di società. A
dimostrazione di ciò possiamo citare il caso del Selvaggio di “Aveyron”. Nell’estate
del 1798 alcuni cacciatori che si trovavano nell’Aveyron si imbatterono in un
bambino dall’apparente età di undici, dodici anni, completamente nudo, sporco,
capace di camminare solo a quattro gambe e incapace di parlare. Una volta catturato
il ragazzo venne portato a Parigi dove lo psicologo Philippe Pinel sostenne che questi
era un ritardato mentale. La diagnosi non convinse il dottor Jean-Marc-Gaspard Itard
che iniziò ad occuparsi di lui cercando in ogni modo di interessarlo alla vita sociale,
stimolare la sua fantasia e soprattutto insegnargli a parlare, ma tutti i suoi sforzi
furono inutili, il ragazzo non apprese nulla, non sembrava interessato a niente che
non riguardasse il soddisfacimento dei suoi bisogni e non fu mai in grado di parlare;
riuscì infatti ad articolare solo due parole Lait e Oh Dieu e dopo otto anni di ricerche
Itard abbandonò il suo progetto. La conclusione a cui giunsero gli esperti fu pertanto
che nella formazione del linguaggio e dell’intelligenza di un individuo la
socializzazione è fondamentale sin dal primo giorno di vita. A partire da queste
considerazioni molteplici furono le teorie sull’apprendimento della lingua madre tra
le quali possiamo ricordare le teorie di Jean Piaget il quale sosteneva che per un
bambino le fasi principali di apprendimento sono essenzialmente due, una prima
fase, detta del linguaggio egocentrico, caratterizzata da monologhi e attribuzione di
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nomi di fantasia agli oggetti, e una seconda fase, che riguarda invece il linguaggio
sociale, caratterizzata quindi dal dialogo.
Dimostrata fin qui l’importanza del linguaggio nel processo di evoluzione e
individuale e sociale, si comprende come mai questo e la sua evoluzione siano da
sempre oggetto di studio. Oltre ai già citati Heiddeger e Piaget possiamo collocare
studiosi come Hockett, Jackobson, Halliday e ovviamente molti altri.
Lo scopo delle ricerche di Hockett fu essenzialmente quello di mostrare quali erano i
punti di contatto e le differenze tra il sistema comunicativo degli animali e quello
degli uomini, arrivando a stabilire tredici caratteristiche del linguaggio (alle quali
vennero poi aggiunte altre quattro) e a riscontrare che tutti i sistemi linguistici
possedevano alcuni di questi tratti (come il sistema linguistico dei gibboni, piccole
scimmie, che rispetta le prime nove caratteristiche ma manca delle ultime quattro) e
che l’unico sistema in cui è possibile ritrovare tutte le tredici caratteristiche è quello
umano.
I tratti caratteristici del linguaggio individuati da Hockett sono:
la possessione di un canale vocale-uditivo grazie al quale si è in grado di emettere e
ricevere i suoni, le parole;
la trasmissione e la ricezione di suoni in modo direzionale, nel senso che si è in grado
di percepire qualsiasi suono si trovi nel raggio d’azione del canale uditivo e
comprendere da dove questo arrivi;
la transitorietà, ossia l’incapacità di conservare il messaggio, secondo la quale si è in
grado di percepire un suono solo nel momento esatto in cui questo viene emesso;
l’intercambiabilità cioè la capacità sia di parlare che di sentire. Tutto ciò che viene
ascoltato può essere riprodotto;