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ottimizzazione/enfatizzazione delle capacità residue, viste come requisiti
fondamentali per la reintegrazione;
che si basano sulle seguenti ipotesi di lavoro:
agendo sulle capacità comunicative non solo del paziente afasico, ma
anche dell’interlocutore, si migliora l’interazione, la motivazione, la
capacità e le facoltà di sentirsi/essere partecipe al mondo circostante;
agevolando la comunicazione aumenta il senso di autostima e di
sicurezza nel paziente afasico;
migliorando le capacità comunicative del paziente afasico, migliora
indirettamente la sua qualità di vita.
“È facile dimenticare che la comunicazione non è fatta di sole parole: il primo
dialogo con il mondo comincia per tutti attraverso quei sensi che nessuno
ricorda di avere. Non potremmo mai imparare delle parole se prima non
avessimo cominciato a comunicare altrimenti.”
Chiara Bonanno Madussi in Mio figlio ha le ali
Con queste parole Chiara Bonanno Madussi evidenzia la naturalità
dell’acquisizione implicita della comunicazione, elemento di base/principe per
l’essere umano nello sviluppo di competenze linguistiche. La comunicazione
verbale nella sua complessa stratificazione ed attuazione, costituisce una forma
fondamentale del comportamento umano e al giorno d’oggi diviene base del
vivere sociale. Nel nostro linguaggio, infatti, si riflette tutta la complessità della
vita umana, si esprimono intenzioni, giudizi, stati d’animo, esperienze, si entra in
“cooperazioni” con gli altri individui.
Ma cosa accade nella vita di una persona quando i delicati equilibri che
consentono il reciproco scambio di pensieri, idee, sensazioni e bisogni vengono
meno? Cosa vuol dire non riuscire più ad esprimere ciò che si prova, ciò di cui si
ha bisogno?
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La persona che non è più in grado di comunicare se stessa agli altri, è ciò che
sperimenta e prova la persona dopo un danno cerebrale e diviene afasica. Essa
diventa istantaneamente un “soggetto delicato” che ha bisogno di essere
maneggiato con cura ed attenzione in quanto i danni del sistema nervoso centrale
subentrano inaspettati e quasi sempre in maniera dirompente e sconvolgente, nella
vita della persona. Per quanto i disturbi fisici conseguenti all’ictus possono essere
difficili da accettare, la percezione che il linguaggio sia stato danneggiato sembra
costituire un’esperienza ancora più straziante.
Questi stravolgimenti si affacciano prepotentemente non solo su chi ne è colpito
direttamente. Il disturbo comunicativo – linguistico che ne deriva, si ripercuote
sull’intera rete sociale che circonda la persona afasica. Quando l’afasia entra nella
vita della persona afasica e della sua famiglia, essi sono costretti a modificare il
loro stile di vita, il ruolo sociale e familiare, le relazioni e le dinamiche instaurate
fino ad allora cambiano in maniera profonda e duratura. L’afasia, come descritta
da Susie Parr, colpisce a vari livelli di gravità e può influenzare molti aspetti del
linguaggio: la capacità di parlare, ascoltare, capire, leggere, scrivere e calcolare
che “imbottigliano” la persona nella sua condizione afasica. La diversabilità
comunicativa è responsabile della perdita dell’autosufficienza della persona
afasica che, in qualche modo, ti trova a dipendere dagli altri. Ciò implica
conseguentemente la perdita dell’autonomia, del potere decisionale e della libertà
di scegliere.
Nonostante l’afasia sia sempre, in qualche modo, responsabile di alterazioni a
carico di tutti gli aspetti della comunicazione verbale, le persone con afasia
possono continuare a possedere una notevole varietà di risorse comunicative
(competenza comunicativa) e poter partecipare attivamente allo scambio
comunicativo, se pur con i limiti legati alle risorse disponibili.
In generale, il complesso e delicato meccanismo interazionale della
comunicazione si basa su di un principio di cooperazione, che prevede un
coinvolgimento attivo dei partecipanti alla conversazione ed un atteggiamento
collaborativo e una presa di responsabilità. Quindi, ogni parlante contribuisce alla
riuscita della conversazione. Pertanto, lo scambio comunicativo tra persona
afasica e caregiver, familiari, amici o conoscenti, risente ancor di più della
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necessità di collaborazione, di assunzione di responsabilità e disponibilità
comunicativa.
Tutte le proposte riabilitative ad indirizzo pragmatico puntano al recupero della
competenza comunicativa del paziente afasico ed hanno tra i diversi obiettivi, la
formazione del caregiver familiare. Il raffinamento delle abilità e competenze
comunicative dei partner conversazionali, raggiunte attraverso un’opportuna
formazione da parte del logopedista, hanno lo scopo di fornire supporto alle
interazioni e alle transazioni comunicative della persona afasica, perché la
comunicazione non è soltanto un fatto che accade, ma uno strumento che può
essere appreso e migliorato per essere usato all’interno della conversazione.
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Non sempre il pensiero si traduce in parole.
Non sempre il pensiero si traduce in azioni.
Non sempre il pensiero si può tradurre.
Anonimo
1. IL PAZIENTE AFASICO
1.1. L’AFASIA
L’afasia è la perdita, parziale o totale, del linguaggio che compromette e quindi
altera la comunicazione determinando una difficoltà di interazione .
La sintomatologia afasica consegue a lesione (circoscritta o diffusa) di
determinate aree cerebrali deputate al linguaggio, che sono locate prevalentemente
nell'emisfero sinistro e principalmente situate nella corteccia perisilviana,
compresa l’insula, ma anche nelle strutture sottocorticali dell’emisfero dominante
(Basso, 2005).
Ciò comporta che le competenze linguistiche non sono mai colpite nella stessa
maniera.
L’afasia è un disturbo del linguaggio che insorge in soggetti che hanno già l'uso
della parola. Infatti con “perdita del linguaggio” si escludono automaticamente i
disturbi di chi non ha completato l’acquisizione del linguaggio, com’è il caso nei
bambini. Inoltre con perdita non si intende che “è andato perso il linguaggio”, ma
che l'accesso al codice verbale è alterato o bloccato.
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Grazie a queste considerazioni ci è possibile dire che cosa non è afasia o meglio
per cosa viene spesso confusa:
ξ un disturbo dell’eloquio, cioè relativo alla realizzazione (disartria)
ξ disturbo sensoriale (ipoacusia);
ξ deficit intellettivo (che può essere confuso con afasia se c'è un deficit in
input);
ξ deterioramento cognitivo diffuso delle aree cerebrali (demenza), che
provocano un deterioramento cognitivo e quindi un'afasia secondaria.
La gravità dell’afasia può variare a seconda dell’eziologia, ai fattori clinici, della
sede e dell’estensione della lesione cerebrale, inizio, durata e sviluppo della
patologia, ma anche in base ad fattori personali quali età, scolarizzazione,
professione, patologie preesistenti, ecc.
Le persone con afasia possono avere difficoltà a parlare, scrivere, leggere, usare i
gesti, fare i calcoli. Ma non si tratta solo di un problema di linguaggio.
Le conseguenze infatti si collocano a livello personale e familiare, determinando
profondi cambiamenti nei rapporti, nello stile e nella qualità di vita della persona
afasica, ma anche dei familiari.
2.1. EZIOPATOGENESI
L’afasia è sempre il risultato di una lesione cerebrale e quindi qualsiasi noxa, che
determini una distruzione di cellule e fibre nervose nelle aree corticali e
sottocorticali responsabili dei processi di codificazione e decodificazione della
comunicazione, rappresenta un elemento eziopatogenetico per la sindrome afasica
(Schindler, Miletto, 2005). Le cause più importanti che provocano l’afasia si
possono classificare in cinque grandi gruppi:
ξ cause vascolari
ξ cause traumatiche
ξ cause tumorali
ξ cause degenerative
ξ cause miscellanee
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In questo capitolo verranno trattate prime due cause di afasia, i disturbi vascolari e
i traumi cranici; per ulteriori approfondimenti in riguardo alle altre cause di afasia,
consiglio la lettura di manuali di neurologia e di A. Schindler, riportati nella
bibliografia.
I disturbi cerebrovascolari avvengono per occlusione da parte di un trombo o di
un embolo, con conseguente ischemia, oppure per rottura di un vaso cerebrale,
con conseguente emorragia (es. rottura di un aneurisma) (Basso, 2005).
Nell’80 – 85% dei casi l’ictus è di natura ischemica, mentre nei restanti 15 – 20%
la causa è emorragica (Bergamini, Bergamasco, Mutani, 2000).
Le lesioni cerebrovascolari nell’emisfero sinistro sono la causa più frequente di
afasia; la lesione è generalmente circoscritta e il danno linguistico si associa
frequentemente a un disturbo o incapacità nell’eseguire in maniera corretta
movimenti volontari aventi significato, e quindi i gesti, o anche privi di specifico
significato (= aprassia) e del calcolo. Nei paesi industrializzati le malattie
cerebrovascolari rappresentano la terza causa di morte e la prima di invalidità.
Per trauma cranico si intende una lesione del capo dovuta ad ogni agente
traumatico capace di esercitare un’azione improvvisa, rapida e localizzata su una
superficie più o meno estesa del cranio avente intensità variabile. L’incidenza più
alta è rilevata tra i giovani con età compresa tra i 15 e 24 anni e picchi secondari
comprendono bambini ed anziani. Le cause più frequenti del trauma cranico sono
da attribuirsi a incidenti stradali, cadute accidentali ed incidenti domestici.
Nei traumi cranici encefalici (TCE) i disturbi del linguaggio sono raramente
isolati; le conseguenze di un TCE possono essere devastanti specie per altre
funzioni cognitive, in particolare è compromessa la memoria associata a disturbi
del comportamento
(Basso, 2005).
Disturbi cerebrovascolari e traumi cranici provocano danni cerebrali immediati;
diverso è il caso dei tumori encefalici che possono rimanere silenti a lungo prima
di causare dei deficit di linguaggio (Basso, 2005).
Altre cause meno frequenti, ma comunque importanti da elencare sono le
infezioni del sistema nervoso centrale (SNC), le malattie degenerative del SNC
che provocano un’afasia secondaria, malformazioni o dismetabolismo.
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Nell’ambio medico e dell’afasiologia si parla quindi di afasie primarie, se causate
da un danno (cerebrovascolare, TCE, tumori encefalici) delle aree specifiche del
linguaggio, che presentano un quadro clinico più o meno stabile, e afasie
secondarie, se causate da un deterioramento globale di tutte le aree cerebrali (es.
demenza, malformazioni, infezioni). In questo caso le aree deputate al linguaggio
subiscono delle alterazioni a causa di un deterioramento generale provocando un
quadro clinico instabile, con una sintomatologia ingravescente anche del
linguaggio.
3.1. EPIDEMIOLOGIA
Le caratteristiche epidemiologiche dell’afasia non sono note in modo diretto; nella
letteratura non è infatti possibile reperire alcuno studio che indaghi la prevalenza
o l’incidenza dell’afasia nella popolazione generale (Albert et al., 1981).
L’epidemiologia però è desumibile dai dati di prevalenza di varie malattie
cerebrali, come l’ictus. I dati riportati nella seguente tabella evidenziano
l’incidenza delle principali malattie neurologiche, che all’interno del loro quadro
clinico possono presentare l’afasia.
TABELLA I LE PRINCIPALI MALATTIE NEUROLOGICHE CAUSA DI AFASIA E LA
LORO PREVALENZA NELLA POPOLAZIONE GENERALE (SCHINDLER,
MILETTO, 2005)
Malattia neurologica N° casi/1000 abitanti/anno
Stroke 1 – 2
Traumi cranici 0.6 – 3.1
Tumori encefalici 0.3
Naturalmente non tutte le persone affette da tali malattie, ma solo una loro
percentuale, diventano afasiche. Per quanto riguardo lo stroke, nominato
nell’ambito medico italiano come ictus cerebrale, si stima che circa il 20% dei
pazienti abbia fra i sintomi l’afasia (Schindler, Miletto, 2005).
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In riferimento all’ictus cerebrale i dati epidemiologici ricavati dalle linee guida
italiane per la prevenzione e il trattamento dell’ictus cerebrale – SPREAD (Stroke
Prevention And Educational Awareness Diffusion) del 2007, l’ictus cerebrale
rappresenta la seconda causa di morte a livello mondiale e la terza causa di morte
nei paesi industrializzati. Rappresenta inoltre la prima causa di disabilità
nell’anziano con rilevante impatto individuale, familiare e socioculturale.
In Italia l’ictus è la terza causa di morte dopo le malattie cardiovascolari e le
neoplasie, perché causa il 10 – 12% di tutti i decessi all’anno, e rappresenta la
principale causa di invalidità. Il tasso di prevalenza dell’ictus nella popolazione
anziana (età dai 65 – 84 anni) italiana è del 6,5%, più alto negli uomini (7,4%)
rispetto alle donne (5,9%).
L’incidenza dell’ictus aumenta progressivamente con l’età raggiungendo il valore
massimo negli ultra ottantacinquenni. Il 75% degli ictus si riscontra in soggetti di
oltre 65 anni.
Ogni anno in Italia si verificano circa 194 mila casi di ictus: uno ogni 3 minuti! Di
questi 155 mila (80%) sono dovuti a nuovi casi e 44 mila (20%) alle ricadute di
ictus. Se non verranno prese misure efficaci per contrastare le malattie cerebro
vascolari, le proiezioni per il futuro stimano un notevole aumento annuo di nuovi
casi di ictus.
Appare quindi chiaro come l'incidenza della patologia cerebrovascolare aumenti
progressivamente con l'aumentare dell'età, per cui se tre episodi su quattro si
verificano in soggetti di età superiore ai 65 anni, nelle persone che abbiano
superato i 75, i cosiddetti "grandi vecchi", l'incidenza sale a uno su due.
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4.1. QUADRO CLINICO DEL PAZIENTE AFASICO:
SINTOMI LINGUISTICI E SINTOMI ASSOCIATI
È noto che l’afasia è un disturbo acquisito del linguaggio dovuto a lesioni di aree
cerebrali primariamente implicate nell’elaborazione linguistica, che si presenta
con differenze qualitative e quantitative determinate da vari fattori fra cui la
natura della lesione, la sua estensione e, non ultima, la sua localizzazione.
Perciò è importante precisare che gli ictus non si presentano mai nello stesso
identico modo. Questo vuol dire che ogni singolo caso fa storia a sé, per
l’associazione dei disturbi neurologici, per la gravità, la possibilità di recupero. I
sintomi dell’ictus variano quindi a seconda della zona del encefalo che è stata
colpita e in base all’estensione dell’area danneggiata.
L’ictus cerebrale si manifesta con sintomi che variano a seconda della fase in cui
si considerano. I sintomi dell’ictus nella fase acuta, periodo che va dalla seconda
alla sesta settimana dopo l’insorgenza del danno cerebrale, consistono nel venir
meno, improvvisamente, di una o più funzioni cerebrali, quali:
ξ funzione motoria: paresi o plegia ad uno o due arti (emiparesi/emiplegia)
e della faccia;
ξ funzione sensitiva: riduzione della sensibilità ad uno o due arti e alla
faccia;
ξ funzione del linguaggio: difficoltà di capire quello che viene detto e/o di
parlare;
ξ funzione visiva: difficoltà nel campo visivo o di un lato della visione
(emianopsia) oppure visione sdoppiata (diplopia).
La prognosi può rivelarsi assai difficoltosa poiché alcuni pazienti, molto
impegnati clinicamente possono non riuscire a sopravvivere, mentre altri meno
impegnati clinicamente possono a seconda della compromissione, più o meno
grave, delle funzioni corticali superiori recuperare in breve tempo e necessitare di
un periodo più lungo di trattamento residuando in ogni caso delle sequele.
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La gravità dei sintomi è maggiore nei primi giorni dal loro manifestarsi e talvolta
appare fluttuante. In seguito normalmente vi è un miglioramento, anche se la
velocità e la durata di ogni recupero sono individuali e dipendono in parte dallo
stato di salute premorbosa della persona e in parte dalla gravità dei sintomi
iniziali.
In collegamento a ciò è importante introdurre il termine “plasticità”, che indica le
modificazioni strutturali e/o funzionali dei circuiti cerebrali che hanno luogo nel
corso della vita di un individuo come conseguenza di una vasta gamma di fattori
fisiologici o patologici, e il termine “recupero funzionale”, che indica quei
processi che consentono di ridurre, minimizzare o annullare il danno biochimico,
morfo – funzionale e comportamentale indotto da una lesione del sistema nervoso
centrale o periferico. Va sottolineato che vi è una relazione evidente tra certe
forme di neuroplasticità e recupero funzionale, ma i due termini non sono da
considerarsi sinonimi.
Solo in epoche molto recenti le neuroscienze e la neuroriabilitazione hanno
esplorato la possibilità di evidenziare ed eventualmente guidare nella giusta
direzione le capacità plastiche e il recupero funzionale del sistema nervoso
danneggiato. Dati sistematici su questo argomento sono stati ottenuti in primati
non umani. Grazie a questi esprimenti, nei quali la sede della lesione poteva
essere controllata, è stato dimostrato che lesioni a vari livelli del sistema nervoso
centrale e del sistema nervoso periferico inducono una vasta ed eterogenea gamma
di alterazioni più o meno vistose del comportamento sia in senso deficitario che
produttivo (Aglioti, 2006), e che grazie all’organizzazione del SNC, in parte
basata sulla ridondanza funzionale, la plasticità adattiva crossmodale può rivestire
una grande importanza nel recupero dopo lesioni cerebrali.
Viceversa da tempo è ben documentato il possibile ruolo compensatorio di aree
cerebrali diverse da quella lesa (omo- e contralaterali). Il recupero post-ictus
potrebbe essere mediato dall’attività di aree non lese dello stesso emisfero
cerebrale (recupero funzionale omolaterale), di aree omologhe contralesionali o di
aree distribuite bilateralmente.
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L’esistenza di fenomeni organizzativi a breve e a lungo termine riveste grande
importanza per la comprensione dei possibili meccanismi neuroplastici. Di fatti, la
rapidità del miglioramento funzionale in pazienti con lesioni del sistema nervoso
centrale, risulta maggiore nei primi giorni e settimane (fase acuta/subacuta),
quando si riduce spontaneamente l’edema lesionale e perilesionale cerebrale. Tale
meccanismo può indurre cambiamenti in senso migliorativo del comportamento
patologico e la diminuzione delle alterazioni lesionali e perilesionali. Di analogo
significato è la riduzione della sintomatologia dovuta alla diaschisi.
Attribuibile ad esempio al meccanismo di reinnervazione (collateral sprouting),
al compenso mascherato, che prevede la presa in carico di un sistema cognitivo
intatto delle funzioni del sistema leso oppure al recupero funzionale guidato
attraverso la terapia riabilitativa, la plasticità cronica permette che pazienti afasici
continuano a migliorare progressivamente, anche per mesi o anni.
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A tale proposito, in base ai dati estratti dalle Linee guida italiane per la
prevenzione e il trattamento dell’ictus del 2007, SPREAD, i sintomi riferibili a
ictus ischemico in fase acuta sono i seguenti:
TABELLA II: SINTOMI RIFERIBILI ALL'ICTUS IN FASE ACUTA (SPREAD, 2007).
ξ Alterazioni dello stato di coscienza
stato soporoso o coma
confusione o agitazione
ξ crisi convulsive (epilessia)
ξ Afasia o altri disturbi delle funzioni superiori
ξ Disartria
ξ Ipostenia facciale o asimmetria
omolaterale o controlaterale al deficit
stenico agli arti
ξ Coordinazione, debolezza, paralisi o perdita
della sensibilità a uno o più arti
solitamente ad un emisoma
ξ Atassia
disturbo dell’equilibrio, impaccio,
difficoltà a camminare
ξ Perdita del visus
mono o bioculare
in una parte del campo visivo
ξ Vertigini, diplopia, perdita unilaterale dell’udito, nausea, vomito, cefalea, fotofobia,
fonofobia, …
Ora verranno spiegati in maniera più dettagliata, quali sono i sintomi più comuni
nei pazienti che hanno subito un ictus:
ξ Paresi: Il disturbo è costituito da un improvviso deficit di forza, che di
solito colpisce un lato del corpo, destro o sinistro, e interessa molto
sovente gamba, braccio e viso. Si parla di emiparesi quando la riduzione di
forza interessa un lato del corpo, ma non completamente, dal momento che
la persona colpita riesce a compiere ancora qualche movimento volontario;
si parla invece di emiplegia quando la mancanza di forza è totale e la
persona non riesce più ad attuare alcun movimento.
ξ Rallentamento motorio (inerzia)
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ξ Disturbi della sensibilità: Alcuni pazienti avvertono un cambiamento
della sensibilità in una parte del proprio corpo, ad esempio percepiscono
una sensazione di intorpidimento, perdita del tatto, formicolio o di punture
di spillo, oppure vi è difficoltà a controllare i movimenti del braccio e
della gamba e a coordinarli.
ξ Disturbi del linguaggio e della comunicazione: Il disturbo di linguaggio
più frequente conseguente all’ictus è l’afasia, ossia la difficoltà o
l’impossibilità di comprendere quello che si ascolta o che si legge e/o di
esprimere oralmente o per iscritto un concetto.
ξ Disartria: In alcuni casi è presente una difficoltà nel pronunciare
correttamente le parole, anche se è conservata inalterata la capacità di
comprensione. La disartria è un disturbo dell’eloquio (non del linguaggio
visto come codice). I muscoli della bocca, del viso e del sistema
respiratorio possono diventare deboli, muoversi lentamente, o non
muoversi del tutto, dopo un ictus o un danno cerebrale. Il tipo e la gravità
della disartria dipendono da quale area del sistema nervoso è stata
danneggiata.
ξ Disturbi visivi: Gli ictus possono causare molto comunemente la perdita
della vista di metà campo visivo, cioè di una metà della parte dello spazio
che ognuno di noi vede guardando davanti a sé. La persona colpita da
emianopsia non vede più dalla parte destra oppure da quella sinistra. In
alcuni casi la visione può essere doppia (diplopia): tale sintomo scompare
dopo la chiusura di un occhio.
ξ Epilessia: Crisi epilettiche ed epilessia sono complicanze non infrequenti
dell’ictus cerebrale. Esso aumenta il rischio di sviluppare epilessia e più
l’ictus è grave più è alto il rischio di avere attacchi epilettici post-ictus.
ξ Alterazioni dello stato di coscienza e consapevolezza: Sia nel momento
in cui la persona è colpita dall’ictus sia nei giorni immediatamente
successivi, ci può essere un’alterazione dello stato di coscienza che varia
da un leggero stato di sonnolenza (sopore) a uno stato di coma profondo.
Alcuni recuperano, ma la perdita di coscienza, specie se prolungata, non è
un buon segno e le probabilità che non avvenga un recupero totale sono
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maggiori. Spesso la persona ha la perdita della consapevolezza di quanto
la circonda o dell’emiparesi stessa, per cui nega di avere un problema alla
gamba o al braccio e talvolta arriva anche a negare il suo problema
comunicativo – linguistico in caso di afasia (anosognosia) attribuendolo
all’interlocutore.
ξ Disattenzione per una metà del corpo e dello spazio: Si verifica
prevalentemente negli ictus che interessano l’emisfero destro del cervello.
I pazienti possono negare di essere paralizzati o non riconoscere come
proprie le parti del corpo paretiche (neglect).
ξ Disturbi dell’equilibrio
ξ Disfagia: La disfagia è un sintomo che significa difficoltà, impossibilità o
rallentamento a deglutire autonomamente per via orale.
ξ Deficit cognitivi (attenzione, memoria) e comportamentali: I disturbi
cognitivi post-ictus sono frequenti e contribuiscono alla disabilità,
limitando inoltre il recupero funzionale.
ξ Disturbi del sistema vegetativo (incontinenza, scialorrea,
ipersudorazione)
ξ Pianto incontrollabile, depressione e ansia.
Per quanto i disturbi fisici conseguenti all’ictus possono essere difficili da
accettare, la percezione che il linguaggio sia stato danneggiato sembra costituire
un’esperienza ancora più straziante.
COME SI MANIFESTA L’AFASIA?
È noto che il linguaggio è una funzione complessa che implica abilità di
comprensione (input) e di espressione (output). Questi meccanismi possono essere
selettivamente danneggiati in seguito a modifica della funzione cerebrale. L’afasia
può manifestarsi quindi a diversi livelli del linguaggio, con gravità differente e
spesso può essere accompagnata anche da un deficit delle componenti cognitive e
non – verbali che ostacolano, la già compromessa capacità di comunicare sé stessi
agli altri.