ad entrambi di definirsi in quanto diversi. Lo Straniero non esiste al di fuori
dell’incontro con un Io, ma è coessenziale (Remotti, 1996) alla sua formazione.
L’identità insomma va incessantemente negoziata con gli altri ed assume
significato solo in relazione all’Alterità.
Lo Straniero tuttavia viene percepito dal Noi come una minaccia e la sua
presenza genera nell’individuo una sensazione di insicurezza. Egli infatti con la
sua Diversità mette in dubbio la nostra identità e i nostri modelli culturali e
sociali, ci obbliga a sottoporli a critica ed a metterli in discussione. L’identità
allora si corazza, si arma, erige barriere e confini per difendersi da tutto ciò che
è percepito come un pericolo perché Diverso.
Nella società postmoderna diventa difficile allontanare l’Altro ed emarginarlo al
di là dei nostri spazi. Gli odierni sistemi di comunicazione, i trasporti veloci, le
reti telematiche facilitano gli spostamenti di cose e persone, permettono di
attraversare ampi spazi e di venire in contatto con popoli e culture diverse. Lo
Straniero allora diviene una presenza costante ed ineliminabile.
Il suo essere diverso e altro rispetto a noi tuttavia ci disturba, perché non ci è
possibile classificarlo e ordinarlo all’interno dei nostri schemi mentali e cognitivi.
La Differenza di cui è portatore viene ingigantita e crescono sentimenti di ostilità
nei suoi confronti. Si diffondono rappresentazioni sociali negative che
assumono la valenza di verità ontologiche e legittimano l’esclusione e la
marginalizzazione dell’Altro operata dalla società.
L’intento di questo lavoro è quello di rendere evidente il carattere costruito e
situato di tali rappresentazioni, in modo da mitigare le caratteristiche negative
che vengono attribuite allo Straniero e favorire spazi di apertura e di incontro
con l’Alterità.
Per realizzare tale obbiettivo la ricerca è stata rivolta all’analisi dell’interazione
individuale con l’Altro, nell’ipotesi che nel rapporto quotidiano sia possibile
creare spazi di negoziazione e di mediazione con la Differenza.
Tra le possibili forme di interazione quotidiana con il Diverso vi è il lavoro di
cura, che oggi è svolto sempre più frequentemente da donne immigrate; per
questo motivo è stato scelto come oggetto di studio.
La nostra società è stata infatti investita da alcuni mutamenti che hanno favorito
la crescita della domanda di assistenza da parte degli individui.
L’invecchiamento della popolazione, l’aumento delle donne lavoratrici, uno stato
sociale carente ed insufficiente nel sostegno alle persone, le notevoli distanze
tra luogo di lavoro ed abitazione, l’allentamento delle reti familiari sono tutti
fattori che hanno contribuito all’aumento della richiesta di aiuto nel lavoro di
cura. Le donne immigrate soddisfano tale domanda e vanno a sostituire le
italiane in questo ambito, considerato tradizionalmente appannaggio del genere
femminile.
La relazione che si instaura tra le assistenti di cura straniere e gli italiani si
presta ad essere analizzata, in quanto rappresenta una possibile modalità di
incontro (o scontro) con lo Straniero.
Prima di passare alla ricerca sul campo è stato intrapreso un excursus sulle
rappresentazioni sociali dell’Altro nel corso della storia dell’Occidente. Il primo
capitolo descrive le modalità di costruzione dell’Alterità utilizzate dall’uomo
europeo, ponendo particolare attenzione alla creazione di confini per
allontanare e delimitare la Differenza. Nell’ultima parte viene delineata la
condizione dell’individuo nella postmodernità, caratterizzata da ampia libertà di
movimento, di scelta e di determinazione; questa situazione tuttavia provoca nel
singolo incertezza e paura, sentimenti che vengono ulteriormente alimentati
nell’incontro quotidiano con l’Altro.
Le scienze sociali, nell’approccio multiculturale, propongono allora delle
possibili forme di convivenza con l’Alterità, delle quali purtroppo nessuna è
esauriente.
Nel secondo capitolo viene effettuata una panoramica dell’immigrazione in Italia
dal Dopoguerra fino ad oggi e viene analizzata la condizione dello Straniero
nella nostra società, il suo inserimento lavorativo e le reazioni da parte
dell’opinione pubblica italiana. Si prosegue poi nella descrizione del contesto
lombardo e milanese, realtà nella quale si è svolta la ricerca empirica.
Il terzo capitolo pone attenzione alla condizione delle donne straniere in Italia, ai
tipi di sbocchi occupazionali loro offerti e alle implicazioni che tali lavori
comportano. Si è pensato di dedicare un intero capitolo alle donne perché il
lavoro di cura è svolto nella grande maggioranza dei casi dalla componente
femminile dell’immigrazione. Infine vi è un’analisi dell’ambito domestico come
luogo di incontro con la Differenza: si tratta di uno spazio avente una certa
importanza e peculiarità, perché è la zona privata per eccellenza, il luogo
dell’intimità e della familiarità.
La ricerca sul campo è oggetto di studio del quarto capitolo. Dopo la trattazione
del quadro teorico entro cui l’indagine è stata svolta e delle modalità con cui è
stata impostata, si passa all’esame della relazione individuale con l’Altro. Per
facilitare la comprensione del tipo di rapporto che si instaura sono state
utilizzate quattro dimensioni: lo spazio, i territori del sé (Goffmann, 1981; ed. or.
1971), il linguaggio, la ribalta e il retroscena (Goffman, 1969; ed. or. 1959). Si è
cercato di esaminare la relazione Noi-Altro attraverso queste “lenti” di lettura,
nell’ipotesi che esse siano utili nell’individuazione degli ambiti di scontro e di
incontro con lo Straniero.
Alla conclusione del lavoro e in base ai risultati conseguiti si è potuto
evidenziare che identità ed Alterità hanno un carattere costruito e situato,
storicamente e socialmente; che esse si formano nell’interazione quotidiana e
che in tale ambito è possibile creare spazi di negoziazione e di mediazione con
la Differenza:
Concentrare l’attenzione sul processo di costruzione storica e
contestuale dello straniero conserva un intento etico e politico:
contrastare le rappresentazioni correnti e dimostrarne il carattere di
costruzione sociale, favorire, quindi, un cambiamento concreto
nell’identità, nelle poetiche e nelle politiche del Noi (Colombo, 1999,
p.191).
Questo è l’intento del mio lavoro, nella speranza che inviti tutti noi a sviluppare
un’effettiva sensibilità nei confronti dell’Alterità. Un atteggiamento aperto e
disponibile all’incontro è il punto da cui partire per porre le basi della convivenza
con l’Altro, naturalmente nel rispetto della Diversità di ogni essere umano.
Nello svolgimento e nella stesura di questa ricerca vorrei ringraziare innanzitutto
persone ed istituzioni che si sono dimostrate disponibili ed hanno contribuito ad
arricchire il mio lavoro. Tra questi Bruno Murer ed Ernesto Rodriguez Soto dell’Ufficio
Stranieri al Comune di Milano, Mario Enrico Brambilla dell’Osservatorio sul Mercato del
Lavoro della Provincia di Milano, il sindacato CSIL di via Tadino e le ACLI di via della
Signora, dove un particolare contributo mi è stato offerto dal signor Zigliotto. Infine la
Fondazione Cariplo Ismu e la Caritas Ambrosiana.
Un ringraziamento particolare al professor Enzo Colombo per avermi avvicinato allo
studio della condizione dello Straniero e stimolato nello svolgimento del lavoro.
Alla mia famiglia e ad Ilaria, per avermi sostenuto nel faticoso ma entusiasmante
cammino di ricerca intrapreso in questi mesi.
Il lavoro è dedicato a Lisa e a tutte le donne straniere che con dedizione contribuiscono
a rendere la nostra vecchiaia meno malinconica e solitaria.
CAPITOLO PRIMO
LO STRANIERO NELLA STORIA DELL’OCCIDENTE
1.Il confine come limite
Creare un confine significa limitare uno spazio, introdurre discontinuità,
separare ciò che prima era unito. La frattura divide un universo omogeneo in
spazi distinti, permette di generare differenza e separazione, di produrre
identità, di definire il Noi e l’Altro.
Per questo motivo il discorso sullo Straniero è strettamente legato al concetto di
confine: la frattura, il taglio è essenziale affinché l’individuo (il gruppo, la
società) possa affermare la propria identità. Porre una barriera è un atto
creativo irrinunciabile perché l’uomo possa definire il sé, innescare un processo
di individualizzazione e delimitare uno spazio proprio:
Disegnare un confine diventa allora il modo per ottenere qualcosa
dagli altri: uno spazio proprio dove stabilire le proprie regole,
un’autonomia visibile anche dall’esterno, il riconoscimento di una
diversità. Fin dalla sua prima apparizione il confine mostra quello
che sembra essere il suo carattere fondamentale: segnalare il luogo
di una differenza, reale o presunta che sia (Zanini, 2000, p.5).
L’uomo ha bisogno di vivere all’interno di uno spazio chiuso e di avere intorno a
sé delle barriere che delimitino il terreno da lui occupato, che lo separino da
tutto ciò che, in quanto esterno, è Diverso.
Stabilire un confine significa fondare uno spazio, imporre una separazione utile
a distinguerci dall’Altro ed a delimitare la nostra identità e personalità.
Nell’antichità classica il confine è un limite, spesso invalicabile, un margine, un
riparo che protegge dalle invasioni e dai pericoli, che separa l’ordine dal
disordine. E’ collocato lontano, agli estremi del mondo, è una linea netta e ben
definita. Assume inoltre una valenza simbolica perché divide lo spazio della
civiltà, del progresso, dell’ordine morale e sociale da quello del caos, del
miscelamento, delle barbarie.
Diventa indispensabile per celebrare la civiltà greco-romana, permette di
mantenere la distanza dai mostri e dai devianti. Tale barriera evita la
contaminazione ed è una netta frattura: o si è di qua, all’interno o si è
irrimediabilmente Altro.
Lo Straniero risiede al di là di tali remoti confini e rappresenta lo straordinario e
il mostruoso.
Da molti autori antichi (Omero nell’Odissea, Plinio il Vecchio nella Storia
Naturale per citarne alcuni) lo Straniero viene descritto come un essere strano,
che desta stupore e paura.
Spesso assume le sembianze di un uomo, ma possiede alcune caratteristiche
che lo differenziano e lo rendono orribile e ripugnante.
Nel celebre racconto dei Ciclopi (libro IX Odissea) Omero descrive l’Altro come
selvaggio, antropofago, privo di organizzazione politica, inferiore civilmente e
moralmente:
E avanti di là navigammo turbati nell’animo,
finchè dei Ciclopi selvaggi e protervi
giungemmo alla terra. Questi si affidano
ai numi immortali: non piantano alberi,
non arano campi; ma tutto dal suolo
vien su inseminato e inarato,
orzo e frumento e viti che portano vino
nei grappoli grossi, che a loro matura
la pioggia celeste di Zeus.
Non hanno assemblee né sanno di leggi,
ma vivono in alte cime di monti, in antri
fondi; e ciascuno fa leggi ai suoi figli
e alle donne, l’uno incurante dell’altro (Omero, v.1-13).
Omero descrive lo stile di vita dei Ciclopi mettendo in evidenza la loro
disorganizzazione: non coltivano, non hanno leggi, non costruiscono case e
vivono in modo completamente opposto alla civiltà greca.
Lo Straniero è quindi il contrario di tutto ciò che è il Noi.
Il poeta continua descrivendo questi esseri appartenenti a terre lontane come
mostruosi nell’aspetto e nella voce, incapaci di vivere gli uni con gli altri,
all’interno di una società:
E quivi un uomo abitava di enorme grandezza
che solo e da tutti lontano pasceva le greggi;
né insieme viveva con gli altri ma stava
appartato, feroce, ingiusto e privo di affetti:
un mostro orrendo era quello né uomo
pareva di pane nutrito, ma rupe boscosa
che solitaria dai monti alti si stagli (ibid., v.98-104).
In questi versi vengono utilizzate varie modalità di descrizione del Diverso che
permettono di evidenziare la distanza tra il Noi e l’Altro.
Viene utilizzata in primo luogo una logica dell’inversione: lo Straniero è
completamente opposto all’uomo greco-romano da un punto di vista fisico,
sociale e culturale; il Noi diventa il metro di misura del genere umano ed è
considerato la “normalità”. Tutto ciò che è diverso quindi è anormale e inumano.
La seconda logica è quella della mancanza: l’Altro è incompleto e non finito da
un punto di vista prevalentemente fisico, ma spesso anche sociale. I Ciclopi,
per esempio, nelle descrizioni di Omero hanno un solo occhio e non
possiedono alcuna organizzazione sociale e politica, ma vivono isolati e
appartati.
La terza logica è quella dell’eccesso, attraverso cui lo Straniero viene descritto
come un essere caratterizzato dall’esagerazione e dalla smoderatezza. Plinio
per esempio racconta nella Storia Naturale di uomini cannibali, con un solo
occhio, con le piante dei piedi rivolte all’indietro o con le pupille di colore glauco:
Presso quegli Sciti che abitano a nord, non lungi dal punto in cui
sorge l’aquilone, luogo chiamato catenaccio della terra, si dice che
abitino gli Arimaspi, di cui ho già parlato, notevoli per avere un occhio
unico in mezzo alla fronte. Molti autori, di cui i più illustri sono Erodoto
e Aristea di Proconneso, scrivono che questo popolo è in continua
guerra, nei pressi delle miniere, coi grifi, specie di animali volanti (così
li descrive la tradizione) che estraggono l’oro dai cunicoli. Con grande
ardore si lotta da entrambe le parti: le belve cercano di difendere
l’oro, gli Arimaspi di impossessarsene. Al di là di altri Sciti
Antropofagi, in una grande vallata del monte Imavo, è la regione
chiamata Abarimo, in cui vivono uomini selvatici con le piante dei
piedi rivolte all’indietro; essi sono di eccezionale velocità e vagano
nomadi insieme alle belve (Plinio, VII, 10-11).
Questi uomini sono al confine dell’umano e spesso vengono paragonati a delle
bestie. Sono collocati nelle aree più remote della civiltà ed hanno costumi e
abitudini incredibili.
Infine vi è la logica dell’alterazione: l’Altro è un miscuglio di elementi umani e
animali, è confuso da un punto di vista fisico, sessuale e sociale.
Naturalmente lo Straniero raccontato in queste opere è un essere inventato,
che non deriva certo dall’esperienza diretta o dall’osservazione; tuttavia la sua
narrazione è irrinunciabile perché permette al mondo greco-romano di
affermare l’identità della collettività e di esaltarne le caratteristiche e peculiarità.
Infatti, rappresentando il mondo per mezzo di cerchi concentrici e ponendosi al
centro di questi cerchi, l’uomo classico si definisce unico metro di misura; egli è
la normalità e i luoghi in cui vive sono caratterizzati da una perfetta armonia tra
le risorse della natura e la civiltà che vi abita; tutto ciò che risiede al di fuori di
questi cerchi, al di là dei confini, agli antipodi è strano e Straniero, connotato da
comportamenti aberranti e mostruosi. L’Altro selvaggio e bestiale è collocato al
di là dell’universo conosciuto, in regioni lontane come la Scizia o l’Africa Nera.
Le barriere che dividono il Noi e lo Straniero sono fisiche e simboliche ed
investono tutti gli ambiti dell’esistenza umana: quello religioso separando i
luoghi sacri da quelli profani, quello politico-sociale dividendo la società ordinata
dalla disorganizzazione sociale, quello morale distinguendo ciò che è retto e
giusto da ciò che è amorale ed immorale.
2.Confine interno ed esterno
Nel Medioevo i confini creati per separare il Noi dal Diverso sono di due tipi.
Il primo viene utilizzato per distinguere l’Occidente dall’Oriente, il Cristianesimo
dall’Islam, il bene dal male.
In questa rappresentazione dell’Altro il punto di riferimento e il metro di misura
per valutare la Diversità è il Cristianesimo. L’Altro è quindi l’eretico, il peccatore,
il deviante. E’ senza fede, fa ciò che non dovrebbe fare, minaccia i confini della
“comunità sacra cristiana”; è diverso dal Noi da un punto di vista
prevalentemente morale.
A differenza dello Straniero tipico del mondo greco-romano, il quale era
immaginato ed inventato più che realmente incontrato, quello del Medioevo è
personificato dall’uomo turco-ottomano.
L’infedele e l’eretico servono per ribadire e ricordare l’esistenza di una colpa:
impersonano il peccato, sono l’esempio eclatante di ciò che non deve essere
fatto, rappresentano l’opposto (logica dell’inversione) dell’uomo cristiano ideale.
Anche in questo caso il confine serve per separare ed è inserito all’interno di un
discorso monologico: l’Altro non ha consistenza propria ma è parte integrante
ed ineliminabile della narrazione che il Noi fa di se stesso, serve per definire il
Noi e per descriverne l’identità, la differenza.
Il secondo tipo di confine è interno: anche i poveri, gli emarginati, i pazzi, le
streghe sono strani e Stranieri. Sono un pericolo ed una minaccia perché in essi
vi è personificato il diavolo, il peccato, la perversione. Vengono descritti come
portatori di flagelli, disordini e pestilenze, perciò devono essere allontanati (i
lebbrosari, per esempio, venivano collocati al di fuori dei centri abitati). Le
streghe rappresentano un esempio significativo di Diverso da emarginare e
confinare:
Sul finire di quello stesso inverno, nel villaggio di Zardino
incominciarono anche a manifestarsi alcuni atti prodigiosi, o strani, o
semplicemente curiosi, che però tutti denotavano in modo
inequivocabile – così, almeno, dissero le persone esperte –
l’esistenza in paese di una strega […].
[…] Antonia salutava una ragazza e il giorno dopo quella cascava
dal fienile; Antonia passava per una certa strada, e vi si trovavano
dei pezzettini di legno sparsi in un certo modo, dei segni a terra a dir
poco misteriosi…E non basta. Se lei guardava per aria poi pioveva,
o addirittura nevicava; se guardava per terra s’asciugava il pozzo, o
sprofondava la cantina; se indicava un punto verso l’orizzonte si
poteva stare certi che laggiù, o comunque in quella direzione, prima
o poi sarebbe scoppiato un incendio, o la fiera bestia avrebbe
aggredito un contadino; se sospirava erano dolori per tutti! (Vassalli,
1992, p.183-184).
Due possibili soluzioni per far fronte alla presenza del Diverso sono la
persecuzione e l’emarginazione.
Questa viene conseguita attraverso due tipi di condanne: il bando e la
scomunica, che rappresentano diverse modalità di esclusione del Diverso ma
conducono allo stesso risultato: l’allontanamento dell’Altro, la sua relegazione al
di là dei confini della società ordinata.
Bandire un uomo significa espellerlo da un determinato territorio, attraverso il
confino o la relegazione in terre lontane. Si tratta dell’esilio, il vivere fuori dal
proprio suolo, al di là dei confini della patria. Essere allontanati dalla terra natia
non ha soltanto un significato spaziale, geografico ma anche sociale. Nel
Medioevo infatti è diffusa la concezione che sia naturale ed adeguato vivere nel
territorio d’origine, in una comunità di individui legati da vincoli di sangue e di
buon vicinato. Questi legami favoriscono l’ordine e la sicurezza sociale e il
Diverso è colui che, non avendo una dimora fissa e non essendo radicato su un
territorio (perché bandito), sovverte tale ordine.
La seconda modalità utilizzata per allontanare coloro che sono ritenuti Diversi è
la scomunica.
L’eretico viene espulso dalla comunità dei fedeli, non può partecipare ai riti né
frequentare chiese e luoghi sacri. In questo modo si determina l’isolamento
della persona, che viene esclusa dai rapporti comunitari e privata della
speranza della salvezza eterna.
L’eretico e il bandito sono quindi Diversi in quanto vivono in modo differente da
coloro che sono stati ammessi nella società organizzata. Hanno trasgredito le
norme giuridiche ed etiche, le consuetudini e i valori fondamentali. Il destino del
Diverso, di colui che non rispetta o non conosce le regole del vivere in società,
è l’emarginazione.
Vi è una differenza tra i due tipi di confini sin qui esaminati.
Il primo, quello che ha come metro di misura la Cristianità, stabilisce un “dentro”
e un “fuori”, divide l’Occidente dall’Oriente, è un confine esterno; nel secondo
caso invece si limita a separare il centro dalla periferia, cioè la società
organizzata, l’ordine, la normalità dagli emarginati, dai malfattori, i malati, le
streghe e le prostitute.
Per tutti coloro che rientrano nella sfera della Diversità l’emarginazione sociale
va di pari passo con l’emarginazione spaziale: l’esilio, i quartieri malfamati, i
ghetti nelle città. Il Diverso non intrattiene rapporti sociali eccetto che con i
propri simili, è presente soltanto negli archivi della repressione, viene
perseguitato in base a norme del diritto consuetudinario ed è quasi assente
nella documentazione storica:
Gli emarginati ci vengono presentati dalla letteratura medievale
come pure dall’arte di quell’epoca; contro di loro si rivolge la
letteratura religioso-morale nonché la legislazione statale,
ecclesiastica o municipale: assenti negli archivi della coscienza
sociale, gli emarginati sono più che presenti in quelli giudiziari e
polizieschi (Geremek, 1995, p.393; ed. or. 1987).
Tutti questi elementi descrivono efficacemente il modo in cui nel Medioevo il
Diverso viene escluso ed emarginato e quali confini il Noi crea per difendersi
dall’Alterità. Questa non risiede più agli antipodi del mondo conosciuto, come
accadeva nell’antichità classica, ma si trova, oltre che al di là dei confini (lo
straniero turco-ottomano), alla periferia della società, luogo in cui vengono
relegati tutti gli individui che creano disturbo all’armonia del centro.
All’epoca delle grandi scoperte geografiche lo Straniero diviene un Altro
incontrato. La scoperta del Nuovo Mondo mette in contatto l’uomo civilizzato
con il selvaggio. Questo appartiene ad una dimensione altra perché è rimasto
ad uno stadio primitivo ed è in netto contrasto con la civiltà europea.
L’atteggiamento colonizzatore nega l’esistenza di un Diverso e afferma che
l’Altro è semplicemente ad un grado inferiore e imperfetto rispetto al Noi.
Alla base di questa concezione dell’Alterità vi è un accentuato etnocentrismo,
l’identificazione dei propri valori con i valori universali, l’idea normativa
dell’esistenza di un unico mondo al cui centro c’è l’uomo europeo.
Accanto a questa interpretazione dello Straniero come soggetto rimasto ad uno
stadio infantile ed incompleto, vi è quella del mito del “buon selvaggio”. L’Altro
infatti, proprio perché si è fermato ad una fase primitiva rispetto al Noi, è ancora
in comunione con Dio, in una condizione di vita primordiale illesa dal peccato
originale.