3
Introduzione
Da una certezza possiamo partire: non c’è più scelta. Forse non l’abbiamo
mai avuta. Di sicuro abbiamo a che fare con una scelta apparente, che
somiglia tanto ad un gesto vuoto: dobbiamo quindi negarci la possibilità di
interagire in maniera costruttiva con la realtà come oggi ci viene mostrata,
cioè sotto forma di uno smagliante schermo che ci promette un aldilà ad
alta digeribilità? Credo che la domanda sia lecita e dovrebbe infondere una
spinta inesorabile verso la ricerca di soluzioni, di linee guida per orientarci
nei meandri della virtualità, cioè nel complesso di situazioni generate da
rapporti intersoggettivi mediati dalla grande rete interattiva, multimediale,
scacciando gli spauracchi dei catastrofisti e dei pessimisti cosmici.
Addirittura c’è chi pensa che siamo tuttora soggetti ad una sorta di
assuefazione coatta alla tecnologia ipermediale odierna poiché «la scienza
dell’estremo si allontana dalla sua paziente ricerca della realtà per
partecipare ad un fenomeno di virtualizzazione generalizzata».
1
La verità è
nel flusso che ci trascina verso lidi ignoti, luoghi in cui ci disperdiamo,
nell’altalena di promesse e speranze di cui ci inebria un’informazione
sempre più pervasiva e nelle sensazione di essere circondati da una vera e
propria crisi delle strutturazioni simboliche della cultura occidentale. Nuovi
canali ci trasmettono messaggi che invadono le nostre vite comuni, ci
condizionano a tal punto da influenzare decisioni e prese di posizione, la
cosiddetta opinione pubblica è in completa balia di questa
spettacolarizzazione del reale e la televisione domestica cede il posto alla
telesorveglianza. Si tratta di una concreta invasione della sfera privata,
questa voice over impersonale che ci offre il meglio, costruendo un castello
di sabbia sul prodotto che vuole venderci, riempiendo di significanti inutili
1
Paul Virilio, La bomba informatica, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000, p. 2.
4
i contenitori degli status symbol, trattandoci come soggetti liberi ma
inconsapevolmente legati al vero senso che ci influenza, quello dei
messaggi subliminali. Parliamo degli strumenti funzionali all’ideologia,
quelli che ormai lavorano sulla matrice e correggono le informazioni ad un
livello che non affiora più alla coscienza, eccoci chiaramente ridotti a una
sostanza informe, preistorica nella tormenta di un caos primordiale.
Regressione: una parola che spaventa, ma che per certi versi delinea
perfettamente il paradosso in atto. Siamo permeati da mezzi di
comunicazione, estensioni tecnologiche, supporti, macchine che alimentano
le possibilità intrusive dei meccanismi di potere, annichilendoci in
sostanza, ma allo stesso tempo alimentando formalmente l’illusione di
conquista, di arrivo insperato, di progresso. Uno scenario su cui vorremmo
veder calare il sipario, ma fortunatamente il nostro cervello ci dà in pasto di
continuo delle considerazioni da assimilare, dacché contro quest’idea di
privato violato si dovrebbe dire a chiare note che oggi l’unica forma di
rottura delle costrizioni della mercificazione alienata si può avere
inventando una nuova collettività. Che cosa vuol dire? Chiaramente nulla.
Collettività è una parola vuota, come democrazia, stato, fascismo, ma come
tutte le nostre convenzioni, una parola ci aiuta a comprendere delle
funzioni che potrebbero entrare in ballo. Se il dominio dell’uomo
sull’uomo può essere nutrito dalle nuove tecnologie, a causa della loro
indispensabilità, del costante contatto che hanno con le persone, è vero
altresì credere all’infinita moltiplicazione di momenti fruitivi utili
all’arricchimento della sfera del sapere. Per quanti di noi è diventato
davvero portante il concetto di condivisione? Vorremmo forse negare la
nostra partecipazione all’utilizzo di programmi di file sharing? Il nostro
veloce, immediato accesso a database sconfinati che, grazie alla rete, ci
permette giorno per giorno di alimentare l’esperienza personale e il
reperimento di qualsiasi tipo di materiale sembra davvero alla portata di
5
tutti, anche se su questo punto ci sarebbe ben altro da dire se si tiene conto
di ciò che avviene su scala mondiale. Ci sono ancora troppe etnie, culture,
nazioni, gruppi discriminati che sono tagliati fuori da questo idillico mondo
di pantofolai, cioè i beneficiari degli insulsi aiuti umanitari, i destinatari
privilegiati della biopolitica orrendamente paternalista, gli abitanti delle
favelas in Brasile, gli afro-americani dei ghetti degli Stati Uniti, gli
“extracomunitari” in Italia, etc. (è interessante notare come sotto
quest’ultimo appellativo vengano riuniti dalla coscienza popolare anche i
cittadini romeni, nonostante siano a tutti gli effetti dei “comunitari”, una
prova della connotazione essenzialmente negativa di cui si è colorito il
termine). Molti studiosi ci insegnano come sia facile che la tecnica si
manifesti come manipolazione se il sapere e la possibilità e i modi di
comunicarlo sono distribuiti in maniera disuguale. Fatta questa premessa
trovo illuminante la forma in cui il filosofo sloveno Slavoj Žižek ci illustra
il palleggio tra libertà e ideologia:
La concezione totalitaria del “mondo amministrato”, in cui la stessa
esperienza della libertà soggettiva è la forma in cui si manifesta la
soggezione ai meccanismi di disciplina, è fondamentalmente il risvolto
fantasmatico osceno dell’ideologia (e della pratica) “ufficiale” pubblica
dell’autonomia individuale e della libertà: la prima deve accompagnare la
seconda, completandola come il suo doppio osceno che rimane nell’ombra
in un modo che non può non ricordare direttamente la scena centrale di
Matrix: milioni di esseri umani che conducono una vita claustrofobica
dentro loculi pieni d’acqua, tenuti in vita solo per generare energia
necessaria a Matrix.
2
È ovvio quindi che un’apparenza di libertà esista solo grazie al rapporto di
verticalità che essa istaura con l’osceno supplemento ideologico
sottostante, cioè l’incubo fondamentale di essere puppets passivi nelle mani
del grande burattinaio. Ma non dimentichiamoci che, se psicologicamente
2
Slavoj Žižek, Benvenuti nel deserto del reale, Meltemi, Roma 2003, p. 100.
6
questo è il sacrificio che la storia inscena per noi cittadini agiati, il prezzo
che abbiamo già pagato per queste certezze è la messa al bando di tutti gli
esclusi: un mezzo che il sistema utilizza per garantirci una sicurezza morale
oltre che concreta. Un meccanismo che si riassume in una frase del genere:
“stiamo facendo tutto quello che possiamo per integrarli, ma intanto ve li
teniamo lontani dal cortile”; così il nostro spirito da crocerossine viene
appagato e condito con la salvaguardia della proprietà privata. Tengo a
precisare come la riflessione cui stiamo prendendo parte, non includa la
maggior parte delle persone che vivono su questo pianeta e oltre il puro
divertimento bisognerà ricordarsi di loro al momento in cui avremo
acquisito una certa autonomia organizzativa e avremo finalmente voglia di
comprare fiammiferi ai bordi delle strade, galvanizzati da un ritrovato
equilibrio mentale. È importante affermare tutto questo dato che il “terrore”
è stato elevato oggi all’equivalente universale di tutti i mali sociali e siamo
immersi nel complicato circolo vizioso in cui tutti cerchiamo di generare
una chiara idea di nemico da espugnare lasciando esposta la nostra
vulnerabilità verso ciò che ci colpisce “davvero”, cioè il concreto incedere
delle problematiche quotidiane. Una di queste è senz’altro la proliferazione
incontrollata dei dispositivi tecnologici che, come vedremo, potrebbe
essere davvero riconsiderata sotto una chiave concettuale che garantisca un
minimo di guadagno per ognuno di noi; è vero d’altronde che visualizzare
le nuove strade del progresso scientifico in maniera apocalittica non ha mai
fornito un aiuto per la loro comprensione. Mi permetto di aggiungere
inoltre che la stampa, la radio, il cinema, la televisione non abbiano mietuto
così tante vittime rispetto al bene che hanno prodotto nell’accrescimento
dell’universo della comunicazione. E cosa sono i computer ed internet se
non degli altri media ricchi di immense potenzialità? E’ innegabile che
l’accesso a delle realtà alternative e in generale al mondo del cyberspazio,
grazie a progetti come Second Life, radicalizzi il senso di appropriazione
7
indebita della nostra sfera intima da parte di un’entità astratta totalmente
esteriore ai nostri bisogni e interessi. Inoltre la possibilità, ormai così
prossima, di venire imbalsamati da un nuovo acuto stato confusionale,
condensato in un senso di realtà indistinguibile dal suo equivalente
digitale, sta generando con una velocità sconvolgente degli slittamenti
considerevoli nelle maniere di concepire e assimilare gli eventi. Può
accadere che un fatto di cronaca, seppur grave venga introiettato in modo
malsano da chi lo osserva, incarnando una fantasia ricorrente, un contesto
visivo con cui si può venire sovente a contatto. Il nodo è strettissimo:
La realtà virtuale non fa che generalizzare questa pratica di offrire un
prodotto privato delle sue proprietà: la stessa realtà è deprivata della sua
sostanza, dello zoccolo duro e resistente del Reale, […] La realtà virtuale
viene vissuta come realtà senza esserlo. Quel che ci attende alla fine di
questo processo di virtualizzazione è che cominciamo a percepire la stessa
“realtà reale” come un’entità virtuale. Per la maggior parte del pubblico i
crolli delle torri gemelle sono stati eventi televisivi, e quando abbiamo visto
per l’ennesima volta le immagini della gente terrorizzata che correva in
direzione della telecamera di fronte alla nube gigantesca di polvere che si
sollevava dal crollo delle torri, quella scena ci ha ricordato le scene
spettacolari dei film catastrofici, un effetto speciale che ha superato tutti gli
altri dato che – come sapeva già Jeremy Bentham – la realtà è la miglior
apparenza di se stessa.
3
La graduale colonizzazione ideologica dell’Europa da parte degli Stati
Uniti non è forse supportata dalla volgare imposizione di una visione
unilaterale delle politiche globali? L’11 settembre è solo il culmine di
questo processo, la messa a punto di un protocollo infallibile. Non è infatti
importante cercare di dimostrare il complotto dell’auto-attacco americano,
ma focalizzare tutti gli scenari successivi, come ad esempio la produzione
da parte di Hollywood di un filone di kolossal mirati a rafforzare l’idea
3
Ivi, p. 15-16.
8
mitologica di conquista da sempre radicata nell’archetipo collettivo
occidentale, (si pensi a film come Troy, Alexander, Le crociate). Ecco una
chiara manifestazione del supporto fantasmatico, in questo caso
perfettamente espresso dal cinema, come strumento esibito al fine di
colmare a livello inconscio la pazzia etica di uno stratega militare che
pianifica un attacco su larga scala, (come in Afghanistan e Iraq) rispetto al
gesto forse meno perverso di un individuo che si suicida per un attacco al
sistema imperante. Questa intromissione subliminale è possibile ad un
livello così diffuso solo in un mondo percepito come non abbastanza reale
o eccessivamente tale, in cui insomma si sia persa la mezza misura,
l’orientamento fondamentale. Un’istanza superiore vi insegna a diffidare
del negativo, del patologico mantenendo allo stesso tempo questo punto
nell’esteriorità dell’edificio ideologico, come sua trasgressione intrinseca e
condizione di esistenza. Il principio che garantisce l’accesso ad una
riflessione pulita del fatto implicherebbe invece una sorta d’identificazione
col sintomo patologico, con la fantasia che sostiene la dinamica del
desiderio attraverso un processo che Lacan definisce appunto
“attraversamento della fantasia”. Ciò vuol dire imparare ad elaborare le
fantasie aderendo interamente ad esse, camminare mano nella mano con
l’immaginario invece che subirlo (abbracciando il motto consumistico “be
yourself”), evitando cioè l’imposizione esterna dell’ideologia che si nutre
dei nostri orgogli come della naturale volontà umana di dominare gli altri.
Concentrando il discorso sull’imperativo “Guidate il vostro immaginario
come più vi piace”, ci si rende conto di come tutto questo sia possibile o
perlomeno augurabile oggi più che mai. Cosa fa l’interazione col mondo
virtuale se non radicalizzare la nostra esperienza di sognatori ad occhi
aperti? Non ci pone forse in una dimensione in cui venire a stretto contatto
con le fantasie più profonde? I media hanno da sempre sviluppato la
tendenza a questo limite cioè la capacità di farci aderire coscientemente alle
9
narrazioni che incontriamo nelle verità del testo e quindi noi stessi,
attraverso l’esperienza virtuale di mondi simulati o l’interconnessione con
altri sé digitali, potremmo nutrire la speranza di costruire la nostra identità
in maniera ponderata ma soprattutto autonoma:
Questo non è certamente un fenomeno del tutto nuovo: i vecchi media, di
tipo verbale, continuano a svolgere efficacemente una loro funzione di
identificazione. Continuiamo a definire noi stessi attraverso le
caratterizzazioni proposte dai romanzi di largo consumo e dai magazines di
informazione svago e moda; continuiamo cioè a identificarci con le voci che
emergono in queste forme di narrazione scritta. I nuovi media offrono nuove
possibilità di definizione del sé, dal momento che possiamo identificarci con
la grafica brillante e i video digitali dei computer games come con la
vertiginosa visione in prospettiva offerta dai sistemi di realtà virtuale, dai
film e dai loghi televisivi realizzati in formato digitale. Possiamo definire
noi stessi attraverso la convergenza di tecnologie della comunicazione come
il telefono e Internet.
4
Il punto cruciale risiede nell’ipotesi di incarnare altri vissuti dall’interno
con l’esigenza realizzata di manipolare attivamente le dinamiche di
slittamento costruttivo delle identificazioni, dando adito all’esperibilità di
desideri repressi. Si tratta di una ricerca che mira ad abbattere alcuni dei
pregiudizi esistenti riguardo il mondo del cyberspazio con l’intento di
recidere le cime spesse che inibiscono la naturale spontaneità
nell’approccio a questi nuovi mondi. Ma il tentativo concreto consisterà nel
porre in comparazione i testi di alcuni filosofi contemporanei che riflettono
su alcune chiavi concettuali comuni, nella speranza di poter delineare i
modi in cui le identità post-moderne entrano in contatto con i nuovi
universi esperienziali del “virtuale” e perseguire un’accurata comprensione
dei gradi di assimilazione di questi nuovi fardelli.
4
Jay David Bolter e Richard Grusin, Remediation, competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi, Guerini Studio,
Milano 2002, p.265.