Introduzione
Tanto si discute in questi ultimi anni di integrazione sociosanitaria
nonostante questo tema si sia affacciato alla ribalta ormai da un decennio.
Le motivazioni di tale discussione possono essere riportati ad alcune
criticità abbastanza evidenti che ancora impediscono la realizzazione della
integrazione sociosanitaria in un’epoca in cui appare non solo fondamentale
ma addirittura inevitabile considerata la “globalizzazione” dei sistemi .Le
criticità sono di diversa natura ma principalmente possiamo ricondurle alle
seguenti: la semantica e i significati, i processi e i percorsi dell’integrazione,
le consapevolezze e i coinvolgimenti dei diversi soggetti e attori
dell’integrazione, la storia con i suoi tempi che rappresentano il vissuto degli
stessi soggetti.
Se l’integrazione sociosanitaria può nascere dalla necessità di diversi
soggetti istituzionali di razionalizzare ed unificare le risorse, raccoglie
senz’altro il desiderio degli operatori del settore di non sentirsi più parziali, in
solitudine, spesso impotenti rispetto a bisogni della persona che non sono
né semplici, né lineari, ma sempre più spesso complessi e fuggevoli,
bisogni sui quali diviene necessario intervenire in termini di sistema
interdisciplinare, coordinato e collaborante, anche in modo critico.
Non basta infatti la multiprofessionalità e la multidisciplinarieta, più punti di
vista, più strategie, più idee,ma è essenziale che la sommatoria di questi
diversi elementi ed entità sia accompagnata da una loro integrazione
nell’azione per accogliere ed offrire soluzioni capaci di accompagnare e
supportare la crescita di salute e benessere delle persone.
Nello specifico l’elaborato è strutturato in due parti:la prima di carattere
teorico contenente i primi tre capitoli, l’altra di carattere descrittivo,
comprendente i restanti due.
Il primo capitolo è stato dedicato alla definizione di integrazione, alle sue
diverse forme e come tale concetto viene richiamato sia nell’ambito
1
dell’Unione Europea,che cerca di perseguirla con una pluralità di iniziative e
di programmi, sia nell’evoluzione del modello welfare italiano.
Il secondo capitolo è incentrato sulla pianificazione, fornendo una sua
definizione generale e trattando poi i modelli di pianificazione maggiormente
conosciuti ed utilizzati nel passato ed ora. Inoltre il capitolo tratta del
processo di pianificazione e quindi delle varie fasi che esso richiede e i tre
livelli principali di pianificazione che troviamo nell’ambito dei servizi sociali e
sanitari. Verrà poi approfondito il rapporto circolare pianificazione-
valutazione, visto come valore di fondo che favorisce la continuità
dell’intervento considerando la partecipazione e la valutazione come
strumenti essenziali che incidono in maniera determinante nel processo.
Il terzo capitolo è incentrato sul concetto di organizzazione, sulle variabili
che la influenzano e sui vari modelli organizzativi a cui fare riferimento. In
particolare mi sono soffermata sul modello organizzativo a rete, in quanto è
sempre più evidente che il perseguimento di obiettivi in campo socio-
sanitario implica la costruzione di politiche di intervento che fanno
riferimento ad una rete di servizi. La rete può essere intesa come metafora,
come strumento di analisi o oggetto di ricerca.
Nel quarto capitolo l’attenzione si sposta al Piano di zona: si parte da una
definizione di esso, si passa poi ai riferimenti normativi di tale strumento,
prendendo come riferimento la Regione Veneto, attraverso una sintesi del
percorso normativo culminato nella Legge 328/00, ma a cui hanno seguito
altre importanti leggi; ci si sofferma inoltre sulle fasi di costruzione e di vita
del Piano. La seconda parte di questo capitolo è dedicato al Piano di zona
della Regione Veneto, dei soggetti che vi partecipano, delle aree di
competenza e dei loro bisogni, delle priorità, delle azioni proposte e delle
strategie per attuarle, dei finanziamenti disponibili.
2
Nel quinto capitolo ho provato a portare nella pratica i concetti riguardanti
l’organizzazione a rete con la descrizione del Progetto Sirio- Artemide del
Comune di Verona in collaborazione con l’ULSS 22 . La scelta di analizzare
la rete di servizi di tipo sociale e sanitario è dettato dal fatto che, nel corso
del mio tirocinio svolto appunto nell’Area Famiglie, Minori, Stranieri del
Comune di Verona, ho potuto avvicinarmi a questa rete, conoscerne alcuni
nodi e familiarizzare con le modalità di lavori in rete da parte dei soggetti
coinvolti. Vedere come il lavoro con le reti sia utile, se non molte volte
necessario, per rispondere ai bisogni, sempre più complessi, dell’utenza, mi
ha spinto ad approfondirlo sia dal punto di vista teorico che pratico.
3
4
Capitolo I
Il concetto di integrazione nelle politiche sociali
PREMESSA
Il termine “integrazione” si collega a quello di “integrare” che sta a
significare “aggiungere ciò che manca” ad un “intero” , ad un “intatto” nella
sua espressione di unità. Il tutto richiama dunque alla unitarietà delle cose,
dei soggetti, dei sistemi, delle realtà.
Di tale concetto possiamo cogliere due connotazioni: da un lato parliamo di
integrazione come processo e risultato che vede le persone coinvolte
attivamente e consapevolmente nella vita della comunità di appartenenza,
perseguita attraverso il rafforzamento delle capacità di progettare ed
interagire per poter concretizzare i propri obiettivi di vita; dall‟altro
intendiamo l‟integrazione come una forma stabile di cooperazione fra servizi
diversi con lo scopo di raggiungere obiettivi comuni.
Le continue trasformazioni sociali rendono sempre più evidenti la necessità
di un intervento integrato in quanto i singoli servizi talvolta non riescono a
rispondere in maniera adeguata ai nuovi bisogni emergenti. Questo
comporta l‟esigenza da parte dei servizi di trovare momenti di condivisione
dell‟analisi dei bisogni delle persone, della individuazione degli obiettivi,
della formulazione di strategie di intervento, della conduzione in forma
associata di azioni incisive e della valutazione di impatto.
L‟integrazione non deve essere collocata solo all‟interno dei servizi sociali e
sanitari ma anche all‟interno delle politiche sociali, sanitarie, del lavoro,
dell‟istruzione, in un disegno organico di intervento a favore della globalità
della persona, della famiglia e della comunità.
È possibile quindi individuare delle dimensioni
1
all‟interno delle quali è
possibile produrre integrazione:
1
Gosetti G., La Rosa M., “Sociologia dei Servizi”, FrancoAngeli, Milano,2006
5
- istituzionale: inerente l‟integrazione delle politiche di intervento fra
istituzioni diverse (Comuni ed ASL), attraverso accordi di programma,
protocolli di intesa, e altri strumenti per definire un accordo
interistituzionale che contempla la condivisione di un aspetto politico;
- organizzativa: riguarda l‟integrazione dei servizi nei loro aspetti
organizzativi, sia all‟interno dell‟organizzazione che fra diverse
organizzazioni, producendo quindi una continuità tipica dei processi
organizzativi;
- gestionale:relativa all‟integrazione delle risorse (economiche,
umane..), che vengono associate e gestite congiuntamente per
potenziare la capacità di programmazione e azione di due o più
organizzazioni, o di unità organizzative interne ad una
organizzazione;
- operativa:riguarda lo svolgimento delle attività e in particolare
l‟individuazione di soluzioni operative che consentano di tenere
assieme diversità di risorse impiegate e fasi operative;
- professionale:riguarda specificatamente l‟integrazione di aspetti
professionali, sia al lavoro concreto svolto nelle organizzazioni sia
rispetto alla formazione degli operatori acquisita prima di entrare in
servizio o in forma continua sul lavoro.
L‟integrazione può andare in due direzioni: verticale, quando riguarda
livelli diversi di governo (Unione Europea, Stato, Regioni, Provincia e
Comuni) e di responsabilità dentro un‟organizzazione; orizzontale quanto
attiene a relazioni fra soggetti, unità organizzative poste sullo stesso
livello.Tali concetti verranno approfonditi anche nel corso dell‟elaborato.
6
1.1 Nozioni introduttive
Integrare le politiche sociali è un compito se non nuovo molto recente. La
storia e la tradizione consolidata di tali politiche è caratterizzata dalla
frammentarietà, talora dall‟occasionalità, dalla difficoltà di fare sistema e di
sapere se le attività socioassistenziali in atto contribuiscono effettivamente
alla soluzione dei problemi sociali e più in generale siano fattori di coesione
sociale.
A partire dalle innovazioni legislative fine anni „90 il tema dell‟integrazione è
diventato centrale, anche su sollecitazioni dei programmi comunitari, che ne
hanno fatto un criterio dirimente e distintivo. Intuitivamente sappiamo che
integrare significa più cose:
fare sistema
evitare incoerenze, eccessi di duplicazione, o al contrario evitare
riconoscere problemi emergenti ancora senza adeguata risposta
istituzionale
evitare sprechi di risorse
badare ad efficienza ed efficacia
focalizzare l‟attenzione sul fruitore finale, nella cui esperienza alla fine si
integrano, come stati di benessere, tutti gli apporti specifici dei servizi
socio-sanitari.
In concreto, il compito consiste nel passaggio dalla frammentazione a una
strategia di intrecci convergenti verso i criteri guida dell‟integrazione sociale,
della coesione, del benessere o star bene individuale e collettivo. Si tratta di
introdurre nelle prassi correnti – sia in quelle più tipicamente svolte da
istituzioni pubbliche, sia in quei servizi che ormai sono prevalentemente
affidati alla cooperazione di attori del terzo settore e della sussidiarietà –
una nuova cultura del servizio. Questa in sintesi consiste nel rendersi
effettivamente responsabili – nella varietà ed eterogeneità dei servizi offerti
– verso la condizione unitaria [fisica e psichica] dell‟utente finale come
7
cittadino portatore di diritti. Ciò richiede trasformazioni ed adattamenti, e
vere e proprie innovazioni, nelle prassi correnti.
Ma integrare non solo è doveroso in rapporto agli obiettivi dell‟integrazione
e della coesione sociale, ma è necessario perché:
lo esige l‟Unione Europea
2
, che ne ha fatto uno dei suoi criteri guida
costitutivi, e cerca di perseguirla con una pluralità di iniziative e di
programmi
lo esige la domanda sociale, diventata sempre più esigente in termini di
qualità del servizio, ed anche in rapporto a una nozione sempre più
diffusa e più sofisticata di benessere locale (uno stare e sentirsi bene
che è indice di qualità della vita – in inglese: wellness come estensione e
in parte risultato delle politiche di welfare)
la tradizionale erogazione di servizi, specializzati settorialmente e vissuti
come frammenti di benessere dai cittadini, risulta inadeguata
lo esige lo stato delle risorse prevedibile per il welfare; risorse finanziarie
sempre più difficili da reperire impongono l‟adozione di severi standard
qualitativi e soprattutto l‟eliminazione di sprechi e irrazionalità nei servizi
offerti. Anche per questo motivo, integrare le politiche sembra una via
che aiuta a stabilire un equilibrio più razionale tra costi e benefici.
infine, si può affermare che in misura consistente la legittimazione del
servizio pubblico come tale è legata a pratiche sempre più qualificate, in
cui la componente di integrazione del servizio contribuisce a garantire
quella qualità che è sempre più vista dalla collettività come componente
di una più generale qualità sociale, specie nella realtà locale.
L‟integrazione è possibile a molti livelli e in molte forme. Ma c‟è ampio
consenso sul fatto che il sistema sociale ed economico locale è il laboratorio
adatto per l‟interazione, dato che questa richiede risorse che in gran parte
sono disponibili solo a livello locale. Locale si oppone a globale, ma indica
2
Decisione del Parlamento Europeo e del Consiglio, 7.12.01 che istituisce un programma d’azione comunitaria
inteso ad incoraggiare la cooperazione tra gli Stati membri al fine di combattere l’esclusione sociale, Official Journal of
the European Communities, I. 10/1 – 12.01.02
8
un livello territorialmente o funzionalmente delimitato, anche se di scala
variabile. Certamente un quartiere, una frazione, una piccola comunità sono
locale, ma lo è anche un comune e un insieme di territori comunali, la così
detta area vasta. Non a caso è stata introdotta (con la legge 328/00) la
nozione di piano di zona, dove la zona è un livello locale di dimensioni
variabili a seconda del contesto, in genere un comune o più comuni federati.
Nelle città più grandi potrà essere anche un municipio o una circoscrizione.
A livello locale sono più nettamente visibili:
quali siano i problemi di natura sociale (sociali in senso stretto e sanitari,
tali da incrinare la coesione sociale, o produrre fenomeni di marginalità o
mancata integrazione, o anche di diminuzione della qualità sociale
localmente percepita)
quale e quanto sia il capitale sociale disponibile ed attivabile per far
fronte ai problemi sociali locali
quali le forme di cooperazione possibili tra i diversi attori che hanno
responsabilità istituzionali o sociali per la produzione di welfare e di
wellness
quali i potenziali attivabili, cioè le risorse latenti – partecipazione attiva
dei cittadini, orientamento alla solidarietà e all‟azione altruistica,
competenze pratiche diffuse, reti e capacità di operare in rete, fiducia
reciproca e nei confronti delle istituzioni – che risultano cruciali nel
processo di integrazione delle politiche sociali
quali gli impatti delle politiche stesse, cioè i risultati che effettivamente si
riescono a raggiungere, direttamente e indirettamente, e quindi anche il
grado di soddisfazione della domanda sociale di servizi per il benessere.
Le politiche sociali declinate a livello locale e avviate verso l‟integrazione
costituiscono ciò che viene chiamato welfare mix, volendo sottolineare che
gli effetti di integrazione o coesione sociale vengono ottenuti con un
complesso di interventi di natura diversa ma intrecciati, o che il contesto
9
dell‟integrazione è dato dal “municipio”, ovvero dall‟assetto istituzionale
locale (che non si esaurisce, anche se ha il suo perno, nel governo locale).
Le politiche dell‟integrazione sono programmi d‟azione previsti dalle leggi
vigenti e quelli che comunque vengono sperimentati sui diversi fronti
rilevanti per la coesione sociale. Oggi i campi più rilevanti, anche nel sentire
comune, sono:
occupabilità: come garantire al maggior numero possibile di individui
l‟accesso regolare e continuo, nelle diverse fasi della vita, al mercato del
lavoro in condizioni regolari e eque dal punto di vista reddituale; si tratta
di evitare che la flessibilità diventi precarietà e quindi instabilità delle
condizioni di vita, tali da produrre alla fine emarginazione sociale
lotta alla marginalità: varie sono le cause della formazione nelle società
locali di gruppi sociali emarginati o a rischio marginalità, dal punto di
vista economico, culturale e sociale; diverse quindi sono anche le
strategie di attacco al problema, che specie nelle aree urbane presenta
forme anche gravi e croniche. Dove una quota consistente di
popolazione è a rischio marginalità, c‟è poca qualità sociale per tutti e la
comunità locale vive in uno stato di stress e di scarso benessere
salute e benessere psicofisico: sono i campi più tipici delle politiche
sociosanitarie, la loro componente strutturale come assistenza, che però
assumono valenze nuove in presenza di mutamenti demografici
(struttura per età della popolazione, calo della natalità), e in rapporto alle
nuove esigenze proprie di una società ormai ipermoderna anche negli
abitati minori
compensazione ed alleviamento (se possibile, prevenzione) degli
handicap della più varia natura: un campo ormai consolidato, sebbene
solo in fase più recente, diventato complesso da quando il sostegno o la
cura psicofisica sono stati integrati con strategie di inclusione sociale
famiglie e minori a rischio: un campo classico, che però assume oggi una
valenza critica in presenza dell‟evoluzione dell‟istituzione famiglia, al
diverso rapporto tra le generazioni, alla diffusione di dipendenze, alla
10
problematica funzionalità di tutte le istituzioni della socializzazione a
partire dalla scuola
integrazione multiculturale: diventati un paese d‟immigrazione, siamo
confrontati con questioni di integrazione sociale e di tolleranza
multiculturale che mettono in crisi molte abitudini e pregiudizi. Non
disponiamo ancora di una vera politica di accoglienza, sebbene – per
compensazione – proprio questo sia un terreno di attivazione per terzo
settore e volontariato
dipendenze: fumo, alcool, psicofarmaci, droghe, “sballo”, ma ormai
anche cibo (sindromi bulimiche ed anoressiche, obesità); agli aspetti più
inquietanti quali le tossicodipendenze si aggiungono mali sociali diffusi
accompagnati da sofferenze e nuovi handicap individuali.
Naturalmente è un elenco incompleto, che serve solo a far notare la varietà
dei temi e dei problemi trattati dalle politiche sociali. A livello locale – per
esempio in una piccola città – l‟intreccio e il cumularsi di questi problemi è
facilmente percettibile, nell‟idea dei “quartieri a rischio” delle nuove periferie
o del centro degradato, in una generale percezione di insicurezza. Diversi
dei nuovi fenomeni di messa in crisi della coesione sociale sono
accompagnati, infatti, da varie forme di inquinamento ambientale,
microcriminalità e vandalismo diffuso. Sebbene questi problemi siano
tipicamente affidati a politiche non sociali (ordine pubblico in senso lato), è
evidente che essi sono problemi sociali, che possono essere accentuati
dallo scarso impatto di politiche sociali (e dell‟occupabilità).
Appare subito evidente un intreccio di politiche vicine per materia o per il
riferimento a soggetti identici o analoghi: tra servizi assistenziali (che curano
o alleviano situazioni difficili) e servizi sanitari (centrati sulla nozione di
salute), e tra i servizi rivolti a curare situazioni a rischio (per i motivi più
diversi: disoccupazione cronica, microcriminalità, quartieri degradati…) e
11
politiche che trattano materie diverse ma direttamente attinenti alla dinamica
sociale rilevante. Così entrano nella prospettiva dell‟integrazione politiche
quali:
politiche della sicurezza: la vivibilità, non solo nelle aree urbane, sembra
sempre più connessa alla garanzia della sicurezza delle persone e dei
beni. Troppo diffuse sono le situazioni di illegalità, di incertezza del diritto,
di precaria agibilità territoriale. L‟insicurezza – dal punto di vista sociale - è
un fattore che riflette fenomeni di scarsa coesione sociale e di marginalità,
mentre nell‟opinione pubblica diventa un fattore che aggrava la
sensazione di carente qualità sociale e wellness.
politiche urbane: specie quelle di rinnovamento urbano e di manutenzione
ordinaria e straordinaria della città costruita, per evitare forme di degrado
anche sociale e come infrastruttura della qualità sociale con l‟offerta di
abitazioni decenti, di spazi pubblici agibili e qualificati, con i modelli di
qualità urbana che possono essere offerti ai cittadini come incentivi a
condotte ispirate alla coesione ed integrazione sociali.
politiche culturali e formative: come si vedrà più avanti i processi formativi,
nella società della conoscenza e della formazione, sono cruciali. Ne
dipendono la qualità delle prestazioni nei ruoli professionali e quindi la loro
affidabilità, e anche la qualificazione crescente della domanda sociale, in
termini di esigenze competenti e di richieste intelligenti rivolte alle
istituzioni.
politiche per i beni culturali e ambientali: di rilievo crescente sono le
politiche per la valorizzazione dei beni diffusi sul territorio e per la messa
in sicurezza del territorio stesso. Si tratta di presupposti apparentemente
lontani rispetto alla coesione sociale, eppure vicini se si considera quanta
parte della qualità sociale o vivibilità dipenda proprio dallo stato di questi
beni.
politiche per l’occupazione e l’occupabilità: evidente l‟importanza della
lavoro e della sua qualità, non solo per il reddito disponibile, ma anche per
12