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d’obbligo nell’iter preadottivo, andarono in Bolivia a “prendere” la loro
bimba. Quando M. giunse in Italia aveva circa due anni.
Questa bimbetta era diventata il tesoro più prezioso per i miei zii, i quali
fecero di tutto per colmare la lacuna affettiva ed economica che portava
con sé.
Col passare degli anni, però, la loro eccessiva permissività ha dato i suoi
frutti, e così anche in seguito M., abbastanza grande per venire a
conoscenza della sua storia, pretendeva che tutto le fosse dovuto, a
qualunque costo, minacciando continuamente di scappare di casa e
tornare dai suoi veri genitori.
Nella mia famiglia M. non è l’unico membro “acquisito”, da qualche
anno si è unito anche A., figlio di altri miei zii, anche loro impossibilitati
per natura ad avere un figlio biologicamente loro.
Quando A. è diventato membro della famiglia, circa sei anni fa, aveva
sette anni. Era un bellissimo bambini dagli occhi azzurri e con i capelli
biondi, paradossalmente molto somigliante al suo nuovo papà quando
questi aveva la sua stessa età.
Essendo un po’ più grande rispetto alla mia prima esperienza, ho potuto
osservare meglio le conseguenze, le relazioni, etc. della adozione.
A. nella quotidianità era un bambino molto tranquillo, buono,
obbediente, vivace, come del resto qualsiasi bambino della sua età, ma
cambiava completamente nel momento in cui era molto felice o molto
triste.
Esprimeva la sua gioia urlando a squarciagola, correndo per tutta la casa,
saltando, ridendo, e di contro manifestava la sua tristezza o la sua rabbia
piangendo, gettandosi per terra, pestando i piedi, aggredendo …..
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amplificando quindi, in maniera per noi esagerata, il sentimento che
stava provando.
Anche con lui ho notato un senso di iperprotezione agito dai miei zii, i
quali cercavano di interpretare ogni reazione di A., attribuendosi dei ruoli
ben precisi per non disorientare il bambino e dargli così dei riferimenti
nelle figure genitoriali, accontentandolo in ogni sua richiesta <<perché il
bambino ha tanto sofferto e ora deve recuperare il tempo passato>>.
Una richiesta che ci ha lasciati di stucco è stata fatta un giorno da A. nei
confronti della sua nuova mamma:<<mamma, io sono uscito dalla tua
pancia?>>
A. sapeva di essere stato adottato, aveva dei ricordi ben precisi della sua
mamma biologica che aveva visto l’ultima volta qualche mese prima,
quando lei lo lasciò in istituto abbandonandolo, perché dunque quella
richiesta?
Per questo ho deciso di approfondire le mie conoscenze in merito a
questo argomento, per darmi delle risposte e per far si che i futuri
genitori adottivi non sottovalutino alcuni comportamenti dei loro
bambini, ma cerchino di comprenderli e li trattino come ciò che sono:
bambini normali.
Ciò che rende l’adottato “diverso” dalla normalità, è l’esperienza di
separazione, perdita ed abbandono da lui vissuta.
Si tratta di esperienze che fanno sentire il bambino “incompleto” e
portano a relazioni e comportamenti di afflizione.Come fu osservato nel
famoso esperimento di Harlow, le scimmiette si dirigevano verso la
mamma di stoffa, fonte di calore e di affetto, rinunciando, sino al
limite della sopravvivenza, al latte dato da una madre meccanica.
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Anche il bambino, come le scimmiette, necessita fin dalla nascita del
contatto con il corpo della madre, strumento indispensabile, mediante il
quale ha la possibilità di superare le sue paure, rendendolo fulcro di
sicurezza e di fiducia.
Diversi studi, hanno messo in evidenza che il bambino, per
crescere come persona autonoma ed acquisire sicurezza, ha bisogno di
veder soddisfatti due principali bisogni: da una parte il bisogno i sentirsi
amato e protetto dai genitori e dall’altra quello di essere incoraggiato
a differenziarsi come persona autonoma.
Ricerche svolte nell’ultimo ventennio, inoltre, hanno messo in luce come
il bambino, fin dai primi giorni di vita, interagisca attivamente con
l’ambiente e con le persone che lo compongono, acquisendo schemi
di comportamento che gli consentono di soddisfare i propri
bisogni.Bowlby, con l’osservazione madre-bambino, a tal proposito, ha
spiegato come il bambino cresca sia fisicamente che psicologicamente in
virtù di questo rapporto che è unico, e di questa “teoria
dell’attaccamento” mi avvarrò per spiegare la maggio parte dei
comportamenti tipici dell’adozione.
L’amore è per il bambino un bisogno primario, e la sua carenza provoca
cicatrici che difficilmente si riescono a superare: le esperienze dolorose e
le insufficienze affettive hanno una forte incidenza sul bambino
Se nei primi anni della sua vita non sperimenta buone relazioni, le
conseguenze più frequenti sono tratti depressivi con sensi di colpa,
grande fragilità emotiva, profonda sfiducia in se stessi e negli adulti,
mancanza di autostima,etc.
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Per queste ragioni, nel bambino adottato sono abbastanza frequenti
crisi d’identità, difficoltà di apprendimento, manifestazioni fobiche,
tendenze all’isolamento psicologico.
Il bambino, a qualunque età venga abbandonato, va incontro ad una
esperienza di perdita sia affettiva che di punti di riferimento; deve
ristrutturare stili di comportamento e per di più deve farlo in ambiente a
lui estraneo.
Il genitore adottivo, deve dunque essere sempre pronto a fronteggiare
questi problemi rassicurando, valorizzando e confermando il proprio
amore. Questa disponibilità costante, permetterà al bambino di accettare
la realtà, aiutandolo a trovare più facilmente degli oggetti d’amore.
Le implicazioni psicologiche di un bambino che non ha mai avuto
famiglia sono evidentemente ed ovviamente differenti rispetto a quelle di
un bambino che perde una famiglia che ha avuto modo di
conoscere poiché, in quest’ultimo caso, il desiderio dei bambini non è
rivolto a genitori generici ma rivogliono i loro. Solo il loro ritorno può
consentirgli di superare l’angoscia dell’abbandono.
Per il bambino, trovare dei genitori è trovare l’amore di cui hanno
bisogno, ritrovare fiducia nel mondo ed in se stessi, ma è anche la
conferma dell’abbandono definitivo, e poiché il bambino attribuisce ciò a
se stesso, alla sua mancanza di qualità positive, l’adozione può
divenire conferma di un evento vissuto come drammatico.Questi bambini
hanno difficili rapporti interpersonali e le loro capacità di comunicare
sono scarse, poiché hanno sempre sperimentato l’inutilità
della comunicazione in un ambiente che non li ha mai contenuti, anzi
respinti.
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Il bambino nelle sue prime esperienze ha colto che è inutile e a volte
dannoso esprimere i propri sentimenti e desideri; la paura dei propri
sentimenti e della loro manifestazione lo portano a sfruttare un modo di
vivere non in base alle proprie esigenze ma a quelle dell’ambiente,
sfruttando un adattamento passivo. Questa mancanza di comunicazione
non vuol dire che il bambino non ne ha bisogno, anzi è proprio questo
bisogno la causa primaria del suo sentimento di frustrazione. Chi si
orienta verso un’adozione deve avvicinarsi psicologicamente al bambino,
lasciandogli lo spazio e il tempo necessario per maturare fiducia e
sicurezza; insomma bisogna dare anche al figlio l’occasione di adottare i
suoi nuovi genitori.
Fonte di riflessione può essere la lettura del romanzo "Il dolore
meraviglioso" di Boris Cyrulnik, saggio provocatorio che utilizza
l’ossimoro per mostrare il contrasto presente nella vita di una persona
che, se da una parte soffre per un grande dolore, dall’altra si prepara a
raccogliere quanto le può dare un briciolo di felicità e di forza di vivere.
L’associazione dolore-meraviglioso, diventa emblema di una persona
ferita ma resistente, sofferente ma felice di sperare comunque. Le parole
usate caratterizzano, quindi, il modo di osservare e di comprendere il
mistero di chi ha superato un trauma.
Non esiste un dolore meraviglioso, ma si prova meraviglia quando un
bambino riesce a superare un’indicibile sofferenza come quella
dell’abbandono e a trasformarla in un’opportunità di crescita.
Cyrulnik, all’interno della sua opera, ricorre ad una splendida immagine:
un’ostrica disturbata da un granellino di sabbia, per reazione produce
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qualcosa di infinitamente più bello e resistente: la perla. La reazione
difensiva crea un gioiello duro, brillante e prezioso.
Tale reazione, però, non deve essere ricercata soltanto all’interno della
persona, ma nel rapporto con l’altro, poiché è un intreccio continuo fra il
divenire interiore e il divenire sociale.
Il bambino che ha sperimentato l’abbandono e la coppia che ha scoperto
di non poter procreare, hanno vissuto un grande dolore: la perdita delle
certezze fondamentali nella loro vita. Il loro dolore diventerà
meraviglioso soltanto se decideranno di "adottarsi reciprocamente" e
scoprire la gioia di sentirsi parte di una famiglia.
Quindi, l’adozione, può considerarsi come una perla, proprio perché
rappresenta la testimonianza del risultato dell’elaborazione interiore di
un nuovo modo di affrontare la vita e di trasformare il dolore in
meraviglia.
Per la mia tesi ho scelto di trattare gli aspetti psicologici dell’adozione,
perché mossa dal desiderio di contribuire ad approfondire le dinamiche
che si vengono strutturando nel nucleo familiare adottivo, per
trasformare i problemi in risorse e i vincoli in possibilità.
Il mio obiettivo è quello di provare a cambiare lo sguardo sulla
sofferenza, per renderlo capace di cogliere la meraviglia, in quanto essa
risiede nella completa accettazione dell’altro e nella reciproca adozione
da parte di genitori e figli.
Tratterò dunque il significato che l’esperienza adottiva assume per lo
sviluppo del minore, analizzandola a partire dallo stato d’abbandono e di
separazione precoce, e come queste esperienze influiscano sulla relazione
con i nuovi genitori adottivi.
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Il rapporto con la nuova famiglia rappresenta per il bambino un momento
delicato che attraversa chiusure, rifiuti, aggressività e paure... I genitori
devono imparare ad accettare, conoscere, accogliere il bambino
rispettando il suo sviluppo psico-fisico, privilegiando il dialogo aperto.
Quando un genitore comprende cosa l’adozione può rappresentare per il
bambino, allora, diventa più consapevole e preparato ad interagire in
modo efficace durante i diversi stadi dello sviluppo: guarderà il mondo
attraverso gli occhi dell’adottato per capire come esso vive la propria
condizione. Per il bambino, infatti, l’adozione diviene l’occasione di
poter riprendere il cammino della crescita all’interno di un "sistema
diverso";
Credo che l’adozione sia un cammino complicato e faticoso ma che
racchiude in sé la ricchezza di un’esperienza di vita autentica, in quanto
permette ad un bambino lasciato solo e ad una coppia di incontrarsi, di
crescere insieme e di trasformare il loro dolore in meraviglia.
La tesi sarà suddivisa in un totale di quattro capitoli.
All’interno del primo capitolo sarà trattato il fenomeno dell’abbandono,
analizzato sia in termini di emozioni vissute dal bambino, che di sue
reazioni; il secondo capitolo verterà sulla teoria dell’attaccamento di
Bowlby, esponendo i vari stili d’attaccamento e le possibili patologie; il
terzo capitolo esporrà le tappe fondamentali della nascita della famiglia
adottiva; ed infine, il quarto capitolo, parlerà del disagio, delle sue
manifestazioni e delle reazioni che provoca sul genitore.
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CAPITOLO 1
L’ABBANDONO
<<La mia mamma un giorno mi ha detto che le suore le avevano riferito
che sono stata molto malata da piccola in orfanotrofio. Io non ricordo
nulla della mia malattia, però ricordo come se fosse adesso che mi
sembrava di far parte di una vita che andava avanti senza di me, dove
vedevo gli altri bambini correre, giocare e guardavo ciò che mi stava
attorno. Mi sentivo impotente. Avevo voglia anche io di correre e giocare
con gli altri bambini, non ci riuscivo, così stavo sola in un angolo
aspettando che qualcuno mi notasse e magari mi facessero una
carezza>>.
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1. L’esperienza d’abbandono
Uno dei problemi che rende l’adozione una vicenda diversa dalla
normale procreazione, è l’esperienza di separazione e di perdita, di
abbandono, vissuta da tutti i bambini che si trovano ad affrontare questa
realtà.
Si tratta di esperienze che fanno sentire il bambino “incompleto” e
portano a relazioni e comportamenti comunemente definibili di
“afflizione”.
1
Forcolin C. (2002), I figli che aspettano. Testimonianze e normative sull’adozione, Giacomo
Feltrinelli, Milano, pag. 179