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INTRODUZIONE
“L’intelletto non è una grandezza
estensiva bensì intensiva: perciò un solo
individuo può tranquillamente opporsi a
diecimila, e un’assemblea di mille
imbecilli non fa una persona
intelligente.”
*Arthur Schopenhauer*
“Le altre parti del mondo hanno le
scimmie; l’Europa ha i francesi. La cosa
si compensa.”
*Arthur Schopenhauer*
Il linguaggio umano, quella che viene chiamata favella, risulta molto
più complesso di quello animale. L’essere umano ha sviluppato il
linguaggio corporeo con gesti e movimenti molto più articolati rispetto agli
altri esseri viventi, al punto da elaborare dei gesti che permettono una
comunicazione verbale anche tra i non udenti. Inoltre abbiamo acquisito
una capacità molto articolata nell’emettere suoni, che permettono non solo
i richiami basilari per la sopravvivenza tipici degli animali, ma che ci hanno
fatto sviluppare una capacità comunicativa che va ben oltre.
Il nostro linguaggio verbale si è sviluppato di pari passo con la
nostra intelligenza, l’uomo ha quindi trovato molto più vantaggioso
sviluppare queste capacità in senso evolutivo piuttosto che altri mezzi per
sopravvivere. La stessa anatomia ha permesso agli studiosi di
comprendere come siano cambiati gli organi fonatori insieme alla
conformazione della scatola cranica e dei collegamenti neurali (Pennisi e
Perconti, 2006).
Il nostro linguaggio e la nostra intelligenza si sono sviluppati a tal
punto da permetterci di compiere anche tutte quelle riflessioni chiamate
meta-, come la meta-comunicazione e il meta-linguaggio che ci
permettono di comunicare il tipo di comunicazione che sta avvenendo, ad
esempio se si tratta di un gioco sottoforma di litigio siamo in grado di
distinguere che sia uno scherzo e non un vero e proprio litigio, e nel caso
del metalinguaggio siamo in grado di usare il linguaggio per parlare del
linguaggio stesso.
La nostra evoluzione e lo sviluppo del linguaggio, ma anche di tipi
di lingue diverse, hanno sempre coinvolto studiosi di antropologia,
linguisti, sociologi e psicologi andando ad integrare tra loro tutte queste
discipline e anche altre come la medicina e la biologia.
Tra questi studi alcuni vertono in senso diacronico, inteso come
evoluzione della lingua e cambiamenti di pronuncia e dell’uso di parole
dallo stesso significato, ma con significante diverso, ad esempio si
presuppone che tutte le lingue siano derivate dal sanscrito e abbiano
quindi tutte un’origine comune (Moretti G., 2004).
Molti studi sono svolti anche in senso sincronico, ovvero riguardo
alle differenze tra le lingue sul significante, cioè la sequenza di lettere che
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formano una parola, e il significato, con cui si intende l’interpretazione che
diamo di quella parola. Questi studi riguardano in particolare le teorie sulla
traduzione da una lingua all’altra, prima fra tutte l’idea di una traduzione
rivolta al senso complessivo del testo più che quello letterale e delle
singole parole. Questa teoria a sua volta si dirama in una scelta tra
tradurre secondo quello che voleva trasmettere lo scrittore oppure tradurre
cercando di avvicinarsi alla cultura di appartenenza del lettore (Rocca
Longo e Leproni, 2006).
Gli studi solitamente si concentrano su di un linguaggio comune,
ma sempre “pulito”, è difficile trovare studi che riguardino ciò che è
considerato da censurare: parolacce, insulti, bestemmie, sesso,
scatologia, ecc.. Nell’ultimo secolo gli studiosi, in particolare i linguisti,
hanno iniziato a incuriosirsi anche di quella parte di linguaggio troppe volte
trascurato, considerato disdicevole e da eliminare come se non esistesse
e di conseguenza finora reputato indegno di studi scientifici.
Le ricerche sul linguaggio umano in questa direzione sono
molteplici ma ancora agli inizi, gli studi compiuti riguardano diverse aree
geografiche e diverse epoche, per quello che permettono i documenti
ancora presenti.
Esistono infatti studi, svolti soprattutto negli Stati Uniti d’America,
che hanno analizzato gli insulti Africani, Cinesi, Canadesi
1
, e di molte altre
aree geografiche. Praticamente l’insulto è presente in tutto il mondo ed in
ogni lingua, anche se si è scoperto che come il resto del linguaggio,
l’insulto si adatta alla cultura di appartenenza, cioè non insultiamo allo
stesso modo in tutto il mondo, ogni popolazione ha i propri insulti.
Gli americani hanno focalizzato i loro studi anche nel loro
continente soprattutto per quanto riguarda quelli “rituali” (Labov, 1972),
cioè vere e proprie sfide all’insulto, all’interno delle bande di ragazzi di
strada.
Altri studiosi hanno cercato di scoprire se e come la gente si
insultasse nei secoli precedenti al nostro, studiando documenti dei
tribunali e della polizia, tramite le denunce fatte dalle persone sono stati
studiati gli insulti già del XVIII secolo (Moogk, 1979 e Garrioch, 1987).
Chi però ne ha fatto uno studio molto approfondito andando ad
integrare realmente molte delle discipline possibili è stata Dominique
Lagorgette (2004), la quale ha studiato l’insulto sia in senso linguistico, sia
pragmatico sia semantico, ma anche seguendo la psicologia e la
sociologia, ed ha anche istituito un dipartimento specializzato nello studio
degli insulti, i suoi studi sono però prevalentemente rivolti alla Francia e
alle sue ex colonie.
Per quanto riguarda il contesto italiano gli studi sono ancora limitati
a pochi approfondimenti, esistono solo due pubblicazioni di dizionari degli
insulti (Zanni, 2001; Casalegno e Goffi, 2005) e un solo libro
1
Vedi i vari numeri della rivista Maledicta journal.
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esplicitamente dedicato agli insulti, di Accatino Gli insulti hanno fatto la
storia (2005). Un altro libro che si può considerare relativo all’argomento è
quello di Tartamella (2006), che però tratta delle parolacce e non
dell’insulto in sé, che come vedremo sono due espressioni che non
sempre coincidono.
Castelfranchi (2005) tratta in modo più curato l’insulto in senso
stretto, ma all’interno di un discorso più ampio che riguarda il legame tra le
emozioni e l’immagine sociale dell’individuo. Il testo italiano più
significativo sull’argomento è certamente lo studio sull’eufemismo
compiuto da Nora Galli de’ Paratesi (1964) che fa un ampio e accurato
discorso sulla censura di determinate parole considerate socialmente
inadeguate.
Esistono alcuni articoli che riguardano gli insulti e anche parti del
linguaggio molto vicine a questi, come appunto le parolacce, però in Italia
non c’è un’effettiva pubblicazione a riguardo, un saggio o un manuale
dell’insulto, se così c’è concesso definirlo, cosa invece presente in Francia
(Lagourgette, 2004) e negli U.S.A. (Leach, 1964; Garrioch, 1987; Gabriel,
2011).
Proprio per questa scarsità di materiale bibliografico italiano è stato
necessario analizzare gli studi fatti su altri territori che però avessero una
cultura simile a quella italiana. Lo screening dei testi e delle ricerche
condotte ha evidenziato come lo studio degli insulti abbia più diramazioni
e sia strettamente connesso e influenzato da ricerche rivolte ad altri
ambiti.
Infatti oltre agli studi sugli insulti, in particolare quelli rituali, che
risultano una parte molto approfondita e studiata dell’argomento, sono
stati presi in considerazione gli aspetti psicologici e sociali, che possono
causare l’insulto, per poter fare un’analisi pragmatica.
Gli studi sulla collera (Colucci, 2005) sono stati di supporto per
evidenziare le cause possibili a livello psicologico; da qui sono nate
riflessioni riguardo alla volontà di potere, quindi indagini di tipo più sociale
che riflettono sugli aspetti gerarchici della società e il bisogno di
riconoscimenti sociali e di appartenenza a un gruppo.
Anche gli studi filosofici sulle virtù e la morale (Natoli, 1996) sono
stati di supporto per fare delle distinzioni tra la volontà nel compiere un
atto e non volontà, e tra ottenere un risultato diverso da quello voluto
(Tognonato, 2006) e riuscire a ferire l’altro. Gli studi del Galateo (Della
Casa, 1553; Gioja, 1832; Gasperini, 1975) hanno invece contribuito a
comprendere le origini di certe censure che dal XVI secolo ci hanno
condotti al rifiuto attuale di alcuni comportamenti.
In ambito psicologico le teorie e le ricerche sull’aggressività (Attili,
2000) hanno permesso di definire e circoscrivere meglio l’ambito di azione
dell’insulto, delle motivazioni e degli effetti che questo può scatenare. Di
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supporto per la percezione a livello sociale sono stati molto utili gli studi
sul bullismo (Vergati, 2003) che hanno così permesso anche una
distinzione nell’uso dell’insulto secondo le diverse fasce d’età.
Le teorie sull’ironia e sull’umorismo, visti in certi casi come forme di
inganno rivelato (Castelfranchi e Poggi, 1998), dimostrano come questi
possano essere a volte considerati insulti, se vi è una volontà di aggredire,
ma dai più sono solitamente esclusi nel discorso degli insulti perchè
considerati di uso solo amichevole (Garrioch, 1987).
Anche le aree di studio riguardanti lo sviluppo cerebrale, sono
risultati importanti per comprendere la connessione tra zone del cervello
predisposte al linguaggio e la scelta che l’individuo fa sulla tipologia del
linguaggio da utilizzare secondo le circostanze (Brandi L., Balvadori B.,
2004).
Nel lavoro qui presentato è lo studio più propriamente linguistico
che permette di distinguere le varie terminologie per dare una definizione
ben circoscritta dell’insulto; inoltre lo studio della grammatica e della
sintassi legate alla logica e alla psicologia è stato utile per comprendere
come vengano costruite le frasi insultanti.
Sono stati raccolti anche diversi insulti, concentrandosi
preferibilmente sui più sentiti, attraverso testi, citazioni, film
particolarmente ricchi di dialoghi insultanti e romanzi, anche la ricerca
tramite internet e con l’ascolto attivo di dialoghi realmente sentiti, hanno
permesso un’analisi pragmatica, direttamente sulla costruzione della
frase, sulle tipologie di insulto e sul contesto.
Queste ricerche, riflessioni ed elaborazioni sono esposte nella
trattazione dei vari capitoli che presentiamo brevemente di seguito.
Il primo capitolo espone una preliminare contestualizzazione degli
studi svolti sull’insulto e da noi consultati, per dare un quadro generale
dell’argomento e di cosa è stato studiato ad oggi.
I vari studi sono esposti in ordine di argomento, per evidenziare le
definizioni che sono state date dell’insulto, e le cause a cui sono risaliti i
diversi autori nella spiegazione dei comportamenti relativi all’insulto e le
loro interpretazioni degli scopi dell’insulto. Il capitolo infine si conclude con
gli studi sugli effetti che l’insulto ha sull’insultato e sugli spettatori.
Questa esposizione non tratta esclusivamente gli esperimenti e le
indagini svolte dagli psicologi, ma porta anche i dibattiti filosofici e le teorie
sociologiche, nonché quelle linguistiche, riguardo all’argomento.
Inoltre i diversi studi ci danno un quadro generale sui diversi modi di
insultare, per arrivare alla definizione dell’insulto in senso stretto.
Nel secondo capitolo verrà esposto il modello di riferimento,
cognitivo-scopistico. Con cui vengono spiegati cosa sono gli scopi, cosa
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comportano e come si compiono le scelte. Cosa implicano nelle relazioni
interpersonali e per quali motivi a volte hanno successo e a volte invece
non vengono raggiunti gli obiettivi prefissati, o addirittura perché capita
che non siano perseguiti gli scopi stessi.
Verranno approfondite a questo proposito le implicazioni di variabili
come le risorse a disposizione e le condizioni ambientali.
Gli scopi sono in diretta relazione con il potere, fondamentale per
capire come anche l’insulto sia un modo per ottenere potere attraverso
l’aggressione.
In questo capitolo saranno anche approfonditi i significati di
immagine e autoimmagine, due componenti dell’identità della persona che
sono in stretto rapporto con gli scambi interpersonali, dal momento che
anche l’insulto incide fortemente su questi aspetti psicologici e sociali.
Il terzo capitolo espone il nostro modello di insulto, cercando di
darne una definizione, partendo dalle basi che gli altri studiosi hanno
poggiato per noi, ma confrontandoci con il modello cognitivo-scopistico ed
elaborando così ragionamenti e riflessioni che non sempre seguono ciò
che è stato detto sull’argomento dai nostri predecessori.
Quindi verrà ricalcato lo schema del primo capitolo, ma trattando il
tema sotto altri punti di vista. Esponendo così cause, scopi ed effetti
secondo i nostri studi. Utilizzando esempi di insulti verrà esposta anche
una struttura linguistica dell’insulto italiano e gli aspetti sociali legati al
nostro contesto. Sarà trattato anche il significato dell’autoinsulto e cosa
implica a livello personale e sociale.
Si cercherà di distinguere l’insulto consapevole da quello
involontario, con un paragrafo per approfondire questi aspetti.
In questo capitolo sono analizzati anche i possibili danni neurologici
che portano alcune persone ad insultare in modo involontario e che ci
permettono di individuare quali sono le aree del cervello predisposte
all’elaborazione dell’insulto. Quindi come facciamo a inventarne sempre di
nuovi e come è possibile che vengano riconosciuti come insulti nonostante
questa creatività.
Inoltre saranno analizzati gli insulti più comuni e ricorrenti proprio
come specchio della società in cui viviamo e alcune particolarità di insulti
che hanno cambiato di significato fino a perdere il loro valore insultante.
Le conclusioni permettono una panoramica di tutta la trattazione
svolta nei suoi punti nodali. Cercare una definizione dell’insulto, e le
possibili implicazioni psico-sociali, basandosi anche sui suoi aspetti
linguistici, ha mostrato tanti possibili spunti per studi successivi
sull’argomento e su tutto ciò che si può approfondire e verificare. Sia con
ricerche sul campo sia attraverso studi bibliografici, per ogni disciplina
correlata all’insulto, quindi dalla linguistica, alla psicologia, alla sociologia
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per finire con studi storici o addirittura anatomici riguardo alle aree del
cervello. L’argomento ha molteplici nicchie da cui possono espandersi
nuove indagini, però c’è il rischio di restare rinchiusi nel proprio recinto
affrontando questo argomento che solo apparentemente è ristretto, ma
che in realtà presenta numerose sfaccettature e di contro la possibilità di
perdersi in questo campo interdisciplinare così ampio.
Tutti gli schemi e le tabelle presenti sono di personale elaborazione,
anche gli esempi, dove non espressamente indicata la provenienza da
altre fonti, sono frutto della raccolta personale di insulti sentiti realmente.
Queste frasi presentano molteplici e rilevanti parole spesso soggette a
censura, l’uso che se ne fa in questo contesto non vuole essere offensivo,
ma ha solo lo scopo esplicativo delle riflessioni fatte nel corso della
trattazione, per sostanziare gli argomenti trattati con una raccolta
effettivamente pragmatica.
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CAPITOLO 1
COSA NE PENSANO GLI STUDIOSI
“Non amiamo la stima per la stima in sé,
ma unicamente per i vantaggi che
procura.”
*Cicerone*
- “sei furbo come un cervo”
- “ma non era come una volpe?”
- “si ma la volpe non ha le corna!”
*Film Amici miei*
L’insulto esiste in tutte le culture ed è sempre stato usato nel nostro
linguaggio e nel corso di diverse epoche storiche, ma solo recentemente
viene studiato come fenomeno oltre che linguistico, anche psicologico e
sociale. Nonostante la tendenza alla censura che finora ha portato ad
analizzare solo alcuni aspetti “più educati” della comunicazione
rallentando l’analisi di questi campi del linguaggio, oggi sugli insulti specie
in Inghilterra, negli Stati Uniti d’America e in Francia, vengono svolti
diversi studi che analizzeremo nel corso dei vari capitoli.
Particolarmente approfondite sono state le ricerche sugli insulti nella
Francia del XVIII secolo condotte sulle denunce alla polizia dell’epoca
(Garrioch, 1987), analogo lo studio degli insulti canadesi nello stesso
periodo storico (Moogk, 1979).
Nell’Università francese della Savoia si trova anche un laboratorio
di pragmatica e semantica dell’insulto, gestito da Lagorgette (2004), una
degli studiosi che più hanno approfondito il tema degli insulti, ma con
riferimento esclusivo agli insulti francesi.
Sempre dagli Stati Uniti proviene la rivista scientifica “Maledicta
Journal”, l’unica specializzata nello studio di bestemmie, insulti e
parolacce, pubblicata dal 1970 al 2004.
Nel corso del capitolo verranno approfonditi i punti di vista dei vari
studiosi dell’insulto attraverso le definizioni di insulto che sono state date
finora. Cosa è stato detto su cause e scopi che portano ad insultare e gli
studi sugli effetti che ne ha l’insultato e gli eventuali spettatori.
1.1 Definizioni e differenze da altri atti comunicativi e non
Alcuni filosofi, linguisti, psicologi e sociologi hanno dato una loro
definizione di insulto. Il primo autore ad emergere è il filosofo
Schopenhauer, il quale parla dell’insulto ne “L’arte di ottenere ragione”
(Schopenhauer, 1830) come stratagemma estremo, quando non si può
più controbattere all’interlocutore. Secondo lui l’unico modo per uscire
vittoriosi dalla discussione in atto, piuttosto che continuare ad
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argomentare le nostre tesi che ormai sono state dimostrate false, è quello
di insultare l’avversario.
Questo filosofo ha scritto spesso riguardo agli insulti e alle offese,
tant’è che sono state pubblicate diverse raccolte di altri suoi scritti, in
particolare è interessante riportare un suo concetto tratto da “Il giudizio
degli altri”
1
(2010):
«l’onore perduto non si può recuperare, a meno che quella perdita non
fosse dovuta a un errore, per esempio a calunnie o a false apparenze. [..] perché
l’ingiuria, il semplice insulto, è una calunnia sommaria, senza indicazione di
motivi [..] Evidentemente colui che insulta mostra, con ciò, di non essere in grado
di addurre, contro l’altro, nulla di veritiero e di concreto, perché altrimenti lo
direbbe come premessa, lasciando tranquillamente che chi ha sentito tragga da
sé le conclusioni; invece, dà la conclusione e resta debitore delle premesse,
dando per scontato che, se fa così, è soltanto per amore di brevità.»
Nell’articolo sul discredito nei dibattiti politici di Poggi, D’Errico e
Vincze
2
l’insulto è indicato come un modo per screditare una persona con
un attacco diretto, sia per danneggiare l’altro, sia per comunicare
l’intenzione di offendere e di screditare la sua immagine. Riguardo
all’insulto anche le autrici fanno riferimento all’ultimo stratagemma di
Schopenhauer di cui riportiamo una parte:
«Quando ci si accorge che l’avversario è superiore e si finirà per avere
torto, si diventi offensivi, oltraggiosi, grossolani, cioè si passi dall’oggetto della
contesa (dato che lì si ha partita persa) al contendente e si attacchi in qualche
modo la sua persona.» (Schopenhauer 1991: 64)
Secondo Gabriel (2011) l’insulto è composto di due attori
fondamentali: il perpetratore, chi compie l’insulto, e il bersaglio, chi
riceve l’insulto, con la possibilità di una terza parte opzionale che è il
pubblico, chi assiste all’insulto ma non ne è il diretto interessato.
Gabriel sottolinea come spesso negli insulti emergono gli stereotipi
propri dell’insultatore, delle generalizzazioni e ipersemplificazioni della
realtà. Gli stereotipi diventano insulti quando: l’insultatore trova, in tutto ciò
che fa il suo bersaglio, un rinforzo dello stereotipo e la vittima percepisce
in modo esagerato la volontà dell’insultatore di sottometterla.
1
A pag 36 del libro.
2
Poggi I., D’Errico F. e Vincze L. (2011)Discrediting moves in political debate. In Ricci F. et al.
(eds) Proceedings of Second International Workshop on User Models for Motivational Systems:
the affective and the rational routes to persuasion (UMMS 2011) (Girona) Springer LNCS.pp.
84-99 (ISSN 1613-0073).
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L’insulto viene definito in diversi modi secondo le fonti che vengono
prese in considerazione e spesso viene confuso con le parolacce e le
bestemmie oppure con altre forme di maleducazione. In realtà l’insulto non
deve contenere necessariamente parole tabù
3
come avviene con le
parolacce.
Per Schopenhauer, infatti, “offendere uno” significa farlo dubitare
dell’alta opinione che ha di se stesso.
Mentre l’autore Tartamella (2006: 37) nel suo saggio sulle
parolacce afferma:
«Insultare significa utilizzare volontariamente e consapevolmente la forza
emotiva delle parolacce per attaccare e ferire un’altra persona.»
Tartamella considera qualsiasi parola una potenziale parolaccia:
«anche parole neutre possono diventare insulti, se assumono un
significato offensivo, oppure se chi parla attribuisce loro questo significato nel
modo di esprimerle. Per questo, tutte le parole con una carica emotiva
dissacrante possono diventare turpiloquio: il confine fra parole e parolacce è
labile, tanto che le une possono trasformarsi nelle altre e viceversa».
4
Questo presupposto estensivo, che non è condiviso in questa tesi,
con riferimento alle parolacce (infatti considerate da noi come le definisce
il dizionario: “parole sconce e volgari”), è però analogo ai presupposti da
noi fatti riguardo all’insulto e alla definizione che daremo di questo
all’interno di un contesto temporale sincronico ed italiano.
Le parolacce sono anch’esse usate per esprimere diversi stati
d’animo e diversi scopi, che possono risultare analoghi ai motivi scatenanti
l’insulto. Lo stesso autore Tartamella mostra delle percentuali riguardo alle
parolacce dette in TV: risulterebbe che il 42% di queste sono dette per
rabbia, il 30% per humor e il 28% per schernire.
5
Secondo l’autore le
parolacce «parlano in modo diretto, abbassante e offensivo delle pulsioni
fondamentali dell’uomo [..] Perciò sono cariche di una potenza emotiva che le
altre parole non hanno»
6
3
Per parole tabù si intendono tutte quelle parole che sono considerate scurrili, che non sono
accettate dalla società nemmeno nell’uso quotidiano della lingua e quindi sono soggette a
censura. Si presenta all’individuo un divieto di parlare di qualcosa che si manifesta spesso con
l’eufemismo ovvero delle sostituzioni con parole che sono accettate socialmente. Es.: “non
capisci un tubo” in luogo di: “non capisci un cazzo”. Si veda Nora Galli de’ Paratesi Le brutte
parole 1964.
4
Op. cit. pag 50.
5
Op. cit. pag 332.
6
Op. cit. pag 339.
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Qui però l’autore pone sullo stesso piano lo scherno con cui si può
attaccare l’altro usando lo humor che non è sempre offensivo, poiché
schernire qualcuno può essere dovuto ad uno sfogo di rabbia se ci ha
fatto un torto. Quindi la rabbia porta ad usare lo scherno che può a sua
volta utilizzare lo humor e quindi risulterebbero scherno e humor dei
sottoscopi della rabbia, per vendicarsi
7
.
Riferendosi ai sinonimi che vengono comunemente confusi con gli
insulti, Tartamella (2006: 13) definisce l’imprecazione come
un’espressione automatica e non intenzionale per esprimere un’emozione
intensa, come se chi la pronunciasse non riuscisse a trattenersi. La
distingue dalla parolaccia perché l’imprecazione non è rivolta ad una
persona, ma solo una reazione incontrollata.
Allo stesso modo per Tartamella (2006) l’imprecazione è uno sfogo
di energia, mentre la parolaccia serve ad attirare l’attenzione di chi ascolta
esprimendo i sentimenti di chi parla, spesso legati a frustrazione e/o
rabbia, allo stesso modo sembra essere per l’insulto.
Per l’autore l’insulto è un attacco con tre finalità:
- ridurre l’autostima dell’altro
- estraniarlo dal gruppo
- maledirlo
Sempre per compiere distinzioni dalle parolacce, Tartamella dà
questa definizione di maledizione:
«una formula derivata dai riti magici delle popolazioni primitive, in cui si
attribuiva alla parola il potere di influenzare la realtà. La maledizione si fonda
sulla fede che l’augurio espresso alla vittima gli accada davvero: dunque, parlare
equivale a fare un sortilegio, un incantesimo.
[..]
Le maledizioni sono l’esatto contrario delle benedizioni e degli auguri»
(2006: 43-47)
Queste definizioni che sono state date da alcuni studiosi non sono
per noi soddisfacenti. L’insulto viene confuso con l’ingiuria, la calunnia, la
maledizione e la parolaccia. Sinonimi che però presentano delle differenze
negli scopi e nella verità/non verità del loro contenuto. Come vedremo nel
terzo capitolo, ad esempio l’ingiuria non presenta gli stessi scopi
dell’insulto e consiste nel dire qualcosa di veritiero, condizione non
necessaria per l’insulto. Le cause scatenati sono delle emozioni come la
rabbia, che portano ad attaccare l’altro sull’autostima, ma non solo,
vedremo come nell’insulto sia presente lo scopo di danneggiare
7
Vedi paragrafo sugli scopi e sottoscopi.