6
Il discorso non cambia davanti all’ipotesi di bancarotta semplice
patrimoniale dell’art 217,1 e “l’alzamientos de bienes” dell’art 257C.p.
Ambedue le normative sanzionano l’insolvenza, come si ricava
implicitamente dalla lettura della legge italiana e dal titolo stesso del capo
VII del Codice spagnolo”Delle insolvenze punibili”.
Il concetto indica il disequilibrio esistente tra i cespiti patrimoniali
rinvenibili nel patrimonio del debitore e le prestazioni esigibili dal creditore
che si vede costretto a ricorrere ad altri mezzi per soddisfare i suoi crediti:
ex art 2740 C.c” il debitore risponde dell’adempimento delle sue
obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri”, ed ex art 1911 C.c
spagnolo per cui “ dell’adempimento delle obbligazioni risponde il debitore
con tutti i suoi beni presenti e futuri”.
I beni del debitore, sia in Italia che in Spagna, vengono intesi”lato sensu”,
comprendendo tutto ciò che è di pertinenza dell’imprenditore, cose mobili,
immobili, diritti, accomunati dall’essere sequestrabili e rinvenibili, la cui
alienazione sia in grado di produrre l’insolvenza. Questi, sono ugualmente
assoggettati al potere d’ aggressione del creditore insoddisfatto alla luce
della primaria funzione di garanzia della procedura in esame,
indipendentemente dalla natura e dall’origine del rapporto obbligatorio
Da una prima analisi, si evince, senza gravi problemi, come, nei due
sistemi giuridici, anche i soggetti relazionati tra loro, siano gli stessi, senza
alcun rilievo al carattere di persona pubblica o privata, caratterizzante.
Questa similitudine è ancora più evidente dopo le recenti modifiche
apportate al sistema spagnolo volte ad uniformare le sanzioni,
indipendentemente dall’identità dei soggetti.Qui è venuta meno la
distinzione tra commercianti e non commercianti, che, sin dall’ordinanza di
Bilbao del 1737, estendeva ed entrambe le categorie l’incriminazione per i
reati di bancarotta, usando però la qualifica professionale come discrimine
7
per una diversa graduazione della pene, che , risultava essere più grave per
i primi, causa di una bancarotta in capo a questi, e contrapposta
all’insolvenza civile di chi non esercita il commercio.
Va infine notato, come l’entrata in vigore del nuovo Codice abbia
equiparato le normative anche nella soluzione del problema del rapporto tra
la sentenza dichiarativa di fallimento in sede civile e i comportamenti
ritenuti penalmente rilevanti tenuti dall’imprenditore (cd pregiudizialità
fallimentare). In Italia, dopo l’abrogazione dell’art 19C.p.p.del 1930 per cui
l’opposizione ad una sentenza dichiarativa di fallimento originava una
questione pregiudiziale obbligatoria sullo stato delle persone con
conseguente sospensione del processo penale, l’art 3 C.p.p limita queste a
quelle inerenti lo stato delle persone, di famiglia, di cittadinanza,
escludendo perciò la situazione di insolvenza e la qualifica di imprenditore
commerciale che rimangono possibili oggetti di indagine.
In Spagna, invece, solo la recente modifica ha posto fine al una sistema
analogo a quello italiano nelle vigenza del C.p.p del 1930, stabilendo ora ex
art 257,3”questo delitto sarà perseguito anche se attraverso la sua
commissione si inizierà un’esecuzione concorsuale” ed ex art 260,3 “in
nessun caso la qualificazione dell’insolvenza nel processo civile,vincola la
giurisdizione penale”.
Queste prime riflessioni, sembrerebbero propendere per una forte
similitudine tra i due ordinamenti, ma solo un’analisi delle singole
fattispecie è invece in grado di porre l’accento sulle evidenti differenze
esistenti, frutto di un diverso sviluppo nel tempo e della necessità del diritto
di essere in rapporto diretto con la realtà sociale in cui opera.
8
CAPITOLO I
TRA BANCAROTTA E FALLIMENTO
1-ORIGINE STORICA DEL REATO NEL DIRITTO ITALIANO ED
IN QUELLO SPAGNOLO
Nessuna istituzione giuridica è il frutto di una generazione spontanea ma è
sempre il prodotto di elementi che, sedimentati nel corso del tempo,
condizionano la sua configurazione e regolazione attuale, per questo, la
genesi storica delle figure criminose continua ad essere il miglior incipit
per comprendere la loro essenza e le loro caratteristiche.
Le leggi in generale, per essere comprese, non vanno considerate
astrattamente, ma bensì ricondotte e spiegate nell’ambito della realtà
economico sociale da cui hanno avuto origine, secondo l’insegnamento di
Croce che parla di ”lex cum moribus” o per usare un’espressione oggi
corrente”, diritto vigente”
1
.
Quest’ analisi è necessaria per verificare: nel diritto italiano, le anomalie
che il reato di bancarotta presenta, frutto del suo incompleto sviluppo, del
peso della tradizione e della conseguente ed imperfetta formulazione
legislativa, avvalendosi anche di un’utile comparazione con il diritto di un
altro Paese di tradizione normativa e di cultura neolatina , qual’ è la
Spagna.
In Italia, la tutela del credito nasce contemporaneamente al formarsi del
medesimo, quando, fin dalle prime civiltà, l’intensificarsi degli scambi rese
impossibile il costante ricorso al pagamento immediato facendo così
1
Sul punto vedi G Cassandro,Intoduzione a T.Rizzo: La legislazione sociale nella nuova Italia ,Napoli
1988,pg VII
9
sorgere la necessità di dilazionarne la “solutio”. L’esigenza di tale
protezione fu sentita nella Roma della I Repubblica con le XII Tavole,
seguite poi da una seria di leggi, tra cui ricordiamo la lex Papiria del 428 e
la lex Julia del 737, particolarmente severe nei confronti del
comportamento fraudolento.
2
Senza dubbio, il delitto di bancarotta ha trovato per la prima volta
riconoscimento in Italia nel Medioevo con il fiorire delle attività
commerciali dei liberi comuni. Basandosi sui principi del diritto canonico e
romano, il diritto comune dapprima reagì alla usuale cattura del debitore e
alle correlative gravi sanzioni, previste dalle legislazioni romano
barbariche, limitandole all’indegnità, alla privazione dei diritti politici e al
bando e successivamente dispose che i creditori non potessero farsi
giustizia da soli ma dovessero comparire davanti al magistrato, il quale,
accertati i crediti, disponeva il loro concorso sui beni.
Con un’audace innovazione i giuristi dell’epoca, partendo dal concetto
romanistico del furto, comprendente anche l’appropriazione indebita delle
cose possedute, giunsero a considerare come appartenenti al venditore, e
non al compratore, le merci acquistate a credito in prossimità del dissesto
economico e pian piano pervennero, mediante alcune finzioni, ad
affermare che lo stato di “decozione” permettesse di considerare oggetto di
appropriazione indebita cose in effetti entrate nel patrimonio
dell’acquirente e lo stesso denaro ricevuto con l’obbligo di restituirne il “
tamtundem eiusde generis et qualitatis”.
3
2
Sul punto vedi Conti L: Fallimento (reati in materia di) in Novissimo Digesto italiano vol VI 1975 pg
1167 ss
3
F.Antolisei :Manuale di diritto penale reati fallimentari,tributari,ambientali vol II pg 12 ss X ed
Firenze 1998
10
In presenza dell’insolvenza perciò, allo scopo di garantire i creditori, si
affermò un vincolo su beni considerati sostanzialmente appartenenti ad
altri.
Questo nuovo sentire, si rafforzò quando il fallimento iniziò ad essere
concepito come pratica inscindibile dalla frode in danno ai creditori,
presunta in modo assoluto nei casi di fuga e di irregolare tenuta dei libri
commerciali.
Da un lato sorsero particolari magistrature per meglio controllare e
reprimere i dissesti e dall’altro aumentò il rigore nella persecuzione dei
falliti.
In vero il diritto dell’Italia dei Comuni fu più severo di quello romano,
sotto la cui influenza era stata recepita la “cessione dei beni”, in virtù della
quale chi non era in grado di onorare i propri debiti, poteva sottrarsi
all’obbligo della reclusione cedendo ai creditori le sue sostanze
4
.Gli Statuti
dei Comuni, nei quali la” cessio bonorum” ebbe luogo, mantennero la
cauzione accessoria dell’“infamia” anche a seguito di tale cessione, la quale
conseguenza era viceversa evitata nel diritto romano. Chi ne era colpito con
conseguente esposizione all’onta nelle pubbliche piazze, perdeva anche
l’eleggibilità alle pubbliche cariche e alla nobiltà .
Nel 1560 in Piemonte risultarono esenti dalle conseguenze ignominiose
della cessione dei beni,ufficiali e vassalli regi, nobili, soldati, avvocati,
medici, e tutti coloro che ne avevano avuto dispensa dal principe.
Per converso vi erano condizioni di persone per le quali non era ammessa
la cessione di beni, come quelle che sarebbero state indifferenti al disonore
che ne derivava(a Milano, per esempio, nel XV sec lo erano i massari..).
4
Pertile :Diritto italiano vol IV,Bologna 1868,pg 384
11
Il beneficio della cessione era altresì negato agli stranieri, ai debitori che
avevano già avuto una dilazione quinquennale del debito, a coloro che
risultavano aver occultato parte della loro sostanza.
Mentre nel diritto romano a seguito della semplice dichiarazione del
debitore di voler effettuare la” cessio bonorum”, i creditori acquistavano il
diritto ad esservi immessi nel possesso, il diritto medioevale, li sostituì
genericamente il sequestro giudiziale nell’interesse della massa dei
creditori.
Il fallito che veniva sottoposto a processo,doveva consegnare al magistrato
il proprio stato attivo e passivo e, se era mercante,anche i propri libri e
registri. Se non vi ottemperava, come già accennato, il fallimento si
riteneva fraudolento.
Il processo che apriva il concorso dei creditori sui beni del fallito, non lo
salvava dal carcere se non era stato ammesso al beneficio della cessione ,
ed in ogni caso non ne esimeva mai il reo fraudolento.
I falliti erano dichiarati inabili ai pubblici uffici, né potevano più disporre
di alcuna sostanza, né stipulare contratti, né riscuotere alcunché dai propri
debitori.
Erano inoltre ritenuti debitori in solido con il fallito tutti i suoi ascendenti e
discendenti e, in alcune città, anche i fratelli ed i conviventi al momento in
cui era stato contratto il debito o si era aperto il concorso dei creditori. Se
neanche con queste sostanze accessorie i creditori ricevevano
soddisfazione, il fallito restava obbligato a soddisfarli con i beni che
avrebbe acquistato in futuro. A tal proposito, il commentatore, Baldo degli
Ubaldi scriveva, equiparando il fallito al frodatore ”falliti dicuntur
12
fraudatores. Nec excusantur adversam fortunam est decoctor ergo
fraudator”
5
.
I nostri Statuti parlano di falliti chiamandoli ”bancae ruptores” espressione
indicante, in senso figurato che il banco del commerciante era stato
materialmente spezzato e cioè che gli accordi presi erano stati rotti; a tutti,
specialmente ai commercianti, veniva attribuita la qualifica di frodatori.
Già nel XVI sec. ed in qualche luogo, come a Venezia sin dal XIV sec, non
mancarono le reazioni a tale posizione che quindi lasciò il passo ad un
atteggiamento più moderato. In tale contesto, il giurista Benvenuto Stracca,
elaborò la più netta classificazione tra le categorie di falliti: quelli che
“fortunae vitio decoquunt”, quelli che falliscono” suo vitio” , e quelli che
cadono nel dissesto in parte per “su vitio” ed in parte ”fortunae vitio”: si
delinea così la prima discriminazione tra falliti colpevoli e falliti
incolpevoli. Il giureconsulto chiarì quali comportamenti del commerciante
dovessero essere ritenuti indici di una frode soffermandosi in particolare
sulla sottrazione e dissimulazione delle mercanzie, sul compimento di atti
di disposizione in un periodo sospetto e sugli artifizi dilatori di un
fallimento imminente
6
. Stacca pose l’accento sull’importanza dei libri e
delle scritture contabili, il cui obbligo era consuetudinariamente radicato e
la cui tenuta, grazie ai mercanti veneziani e toscani, era migliorata
7
.
Appariva naturale vedere, nella scomparsa o nella falsificazione di tali atti,
comportamenti volti ad alterare o impedire l’accertamento del patrimonio
del debitore. In seguito, nelle varie leggi, tale carattere presuntivo si
attenuò e tale “modus agendi “finì per essere considerato come una forma
5
Sul punto vedi Baldo degliUbaldi,Consilia vol V pg 1 Venezia 1575 citato da Conti L nella voce
Fallimento(reati in materi di)nel Novissimo Digesto italiano
6
Longhi,Bancarotta ed altri reati in materia commerciale II ed pag 15 nota n 1 ,Milano 1930
7
Sul punto vedi B Stracca Decisiones et tractatus varii de mercatura vol III pag 2 ss Lione 1553,citato
da conti L nella voce Fallimento(reati in materia di ) nel Novissimo Digesto italiano
13
particolare di manifestazione del reato accanto alla distrazione e
all’occultamento di beni posseduti.
Questo processo ebbe come naturale evoluzione una chiara separazione
della bancarotta dalle fattispecie di furto e d’ appropriazione indebita. Per
una legge toscana del 1582 si presumeva fallito fraudolentemente chi non
presentava alle autorità entro 3 giorni dalla richiesta, i libri contabili, nel
caso di insolvenza
8
. Si aveva altresì una presunzione di frode nel caso di
chi era dichiarato fallito entro 6 mesi dal giorno in cui era stato contratto il
debito.
Lo sviluppo oramai schiacciante dei traffici commerciali, aumentò
l’esigenza di disporre di una più efficace tutela del credito fino a giungere
all’incriminazione di atti dispositivi dei propri beni non intenzionalmente
diretti al pregiudizio dei creditori.
Per la prima volta si parlò di bancarotta semplice, comprendendo in questa
anche le ipotesi di dispersione di beni, di dilapidazione delle sostanze, di
omessa o irregolare tenuta dei libri e delle scritture per negligenza , incuria
e includendosi anche le operazioni di pura sorte in cui era ravvisabile la
colpa del fallito per incapacità, avventatezza o disordine negli affari.
Le varie situazioni di dolo e di colpa, secondo la tecnica del tempo, furono
individuate “casisticamete” prevedendo una pluralità di specifiche
situazioni concrete.
Innanzi al progressivo ampliarsi di fenomeni pregiudizievoli del
commercio e della pubblica fede, divenne comune la declaratoria della
pena di morte verso il fallito, sino alle costituzioni piemontesi del 1770.
Nel secolo “dei Lumi”, i falliti innocentemente, erano ancora generalmente
incarcerati sia a titolo d’esecuzione civile, che quale pena vera e propria, e
8
vedi ancora Pertile ,op cit pg 658
14
contro questa pratica si levavano fortemente le voci di Beccaria e
Filangeri.
Nel 1779 il granduca Pietro Leopoldo di Toscana circoscrisse la pena al
caso di dolo, paragonando il fallimento al furto qualificato, mentre
Giuseppe I lo ricompresse nella truffa
9
.
Nel tempo lo sviluppo della bancarotta si arrestò, e la dottrina per lungo
tempo attraversò una fase di stasi.
Le nuove leggi, si limitarono, tecnicamente e sostanzialmente a ricalcare le
precedenti. Seguirono il Codice del 1791 e l’ordinanza di Luigi XIV del
1673
10
, antecedenti importanti del Codice Napoleonico del 1808,modificato
dalla legge 28-V-1838. Tutte queste fonti, possono essere considerate
matrice d’ispirazione del Codice Albertino del 1842, di quello di
commercio del 1865 e del 1882 e dell’attuale legge fallimentare n 267 del
16-III-1942.
Balza agli occhi come lo sforzo fatto per superare l’obsoleto sistema
casistico e codificare formule più generali, sintetiche e chiare non abbia
portato a risultati a tutt’oggi soddisfacenti. Pare dunque ipotizzabile, che le
maggiori difficoltà presentate dallo studio della bancarotta derivino proprio
dall’imperfetta formulazione legislativa fino ad ora raggiunta, di livello
inferiore alle altre figure criminose
11
.
Nel diritto Spagnolo, il delitto di bancarotta vanta una lunga tradizione
storica, anche se la determinazione delle specifiche condotte sanzionate è
una conquista relativamente recente.
Molte volte, sotto un unico istituto venivano sanzionati atti diversi tra loro
che oggi sono chiaramente delimitati e separati.
9
vedi ancora Pertile op cit 659
10
Punzo M :Il delitto di bancarotta pg 10ss Torino 1953
11
G.Delitala :Studi Sulla bancarotta pg 14 Padova 1935
15
Anche per l’istituto ispanico vale quanto detto per quello italiano, circa le
fonti rinvenibili nel diritto romano e ci riferiamo alle XII Tavole , alla
“lex Poetalia Papiria” e alla “ lex Julia” dove l’insolvenza, in applicazione
del generale principio ”pacta sunt servanda”, il mancato pagamento delle
obbligazioni era sanzionata con la prigione per debiti come efficace mezzo
di tutela.
12
Tale istituto sanzionatorio era già presente nell’antico diritto delle
popolazioni primitive della penisola iberica. Nella legge “Genitivae Julia,”
data da Marco Antonio agli abitanti della colonia di Ursus (Osuna) fondata
da Giulio Cesare nel 44 aC, si autorizzava, per esempio, la prigione per
debiti, concordemente a quanto prescritto nella legge delle XII tavole (certo
con una maggiore umanizzazione come logico derivato della differenza di
quattro secoli esistenti tra le due normative!).
La schiavitù per debiti dell’antico diritto spagnolo, retaggio di una
consuetudine visigota, si consacrò poi nel “Liber Iudiciorum” : nel capo
II,5,8 si proibiva l’atto di vincolare l’insolvente a causa di un solo debito
,però nel capo V,4,5 dello stesso, si contemplava l’ipotesi che una persona
fosse debitrice contemporaneamente di più creditori ed in questo caso, non
potendo soddisfare tutti, divenisse servo perpetuo degli stessi
13
. Tale testo
si soffermava sui frequenti casi in cui il debitore si nascondeva in una
chiesa per sottrarsi alla persecuzione dei sui creditori e al quale, la legge
stessa, dava protezione. Accordato asilo, era proibito prelevare l’insolvente
violentemente del tempio, i creditori dovevano chiedere al diacono la
consegna pacifica e potevano ottenerla solamente vincolandosi alla
concessione di un certo tempo, sufficientemente ampio per permettere al
debitore la” solutio” del dovuto. Certamente il divario esistente tra realtà
12
Quintano Ripolles:Tratado de la parte especial de derecho penal tomo III pg 25 Madrid 1965
13
Alejandro :La quiebra en el derecho historico anterior a la codificacion pg 4 e 5
16
sociale e i precetti legislativi, lasciano supporre una scarsa applicazione
della norma che sembra essere, più che altro, rimasta “sulla carta”.
Tomàs Valiente, nel suo eccellente lavoro
14
sul tema, concorda con tale
riflessione sottolineando l’abusato ricorso all’istituto della prigione per
debiti: in generale, come l’autore sostiene, le conseguenze dell’insolvenza
per il debitore erano tre: la prigione per debiti, la schiavitù e le pene
corporali, tutte con la pretesa finalità di costringerlo al pagamento infatti,
non va dimenticato che la ratio della norma, non è punire i debitori ma
soddisfare i creditori, e per questo, come cause esimenti la pena, vengono
considerati i casi in cui l’insolvente abbia beni nascosti e sia disposto a
consegnarli per evitare le dette conseguenze penali.
Come si legge nelle fonti medioevali la bancarotta fraudolenta deriva
dall’atto di occultare i beni. Le ipotesi di fuga del debitore e di occultazione
dei suoi beni, non furono ignorate dagli ordinamenti locali e regionali
spagnoli, anche se non tutte le ipotesi considerate in tale periodo attuarono
la fattispecie nel senso a noi conosciuto, ma appaiono più similari
all’appropriazione indebita e alla truffa. Nell’Ordinanza reale, data dai Re
cattolici alla Castiglia, per esempio i ladri venivano equiparati a coloro che
occultavano beni altrui. In questa epoca, nei testi legislativi locali, si
sottolineò l’importanza della differenza tra bancarotta reale e personale, ed
in base a ciò, si stabiliva il corrispettivo sistema esecutivo. Nei casi di
insolvenza personale, la fuga e l’occultazione di beni da parte del debitore,
erano considerati eventi di massima importanza perché con tali atti,
sfumava per i creditori, l’unica possibilità di soddisfarsi con il risarcimento.
Per contro, nei casi reali, l’attenzione si spostava sui beni e sugli atti che
impedivano un ‘ esecuzione patrimoniale su questi
15
.Va comunque detto
14
Tomàs Valient :La prision por deudas en los derechos castellano y aragones,lpg 267 ss 1960
15
Libros de los fueros ed.Gallo Sanchez pg 127ss Madrid 1919
17
che, come si legge nelle disposizioni del Tribunale di Alcala de Henares, le
due forme non si escludevano a vicenda, infatti benché nel diritto
castigliano, il tipo di bancarotta più frequente fosse reale , alla luce della
coesistenza delle due differenti tipologie sopra dette, il libro del
Tribunale,
16
prevedeva la possibilità che il debitore, con i suoi beni e con i
suoi familiari, fuggisse dalla sua terra per non pagare i debiti, ed in tale
condotta si ravvisava un chiaro indice della bancarotta.
Nel XIV sec, sotto l’influsso del diritto commerciale italiano, l’attenzione
dei giuristi si spostò sulla relazione esistente tra la bancarotta fraudolenta e
l’occultamento di beni. Il problema venne affrontato, per la prima volta,
nella Corte di Montblanc nel 1333:le due fattispecie venivano regolate in
modo diverso a seconda dell’”animus “doloso o meno dell’agente, e una si
poneva come ipotesi qualificata dell’altra. Successivamente questa
specialità si convertì in una autonomia penale di una fattispecie dall’altra
stabilendo un trattamento più lieve per la bancarotta semplice ed una serie
di aggravanti, che vanno dalla pena capitale alla proibizione della cessione
di beni, per la fraudolenta
17
.Concordi su questa linea sono le norme dettate
da Fernando II alla corte di Manzon nel 1510 o quelle di Filippo II nella
disposizione 18-VI-1590 in cui si affrontava la trasformazione della
fattispecie semplice in fraudolenta, attraverso il compimento di atti
fraudatori. Da questa analisi possiamo dedurre come, nell’età media, non
fosse l’insolvenza in se ad avere rilievo penale, ma l’esigenza principe di
incriminare come delitto le eventuali condotte defraudatorie e castigare in
modo obiettivo il debitore, senza analizzare la sua colpa ma solo come
mezzo per soddisfare il creditore: solo nell’età moderna il soggetto sarà
posto al centro del sistema.
16
Libros de los fueros de Castilla ed Gallo Sanchezpg 114 Barcellona 1924
17
F. Munoz Conde :El alzamiento de bienes II pg 8ss 1999