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Il terzo capitolo riguarda l’inserimento lavorativo del disabile, inizia con l’orientamento
delle persone disabili, e l’approfondimento degli aspetti metodologici più utilizzati in
materia.
Nel quarto capitolo ho descritto il metodo di inserimento lavorativo sviluppato e utilizzato
in America, il Supported Employment, che in Italia è stato tradotto nel c.d. metodo della
“formazione in situazione”; ho analizzato, le principali caratteristiche e gli sviluppi del
sistema. Esistono quattro Agenzie leader in Europa , Italia compresa che sono state descritte
nel corso della ricerca.
Nell’ultimo capitolo, ho analizzato un progetto risalente agli anni ottanta svolto nella regione
Lombardia con l’aiuto dell’Assessorato Istituzione e Formazione Professionale e con il
Centro di formazione professionale consortile del Lodigiano.
Ho quindi terminato trattando dei casi pratici di inserimento e reinserimento lavorativo di
soggetti svantaggiati, che tramite il tirocinio formativo hanno raggiunto degli ottimi risultati.
Mi è stato in questo senso di fondamentale aiuto il Centro di inserimento lavorativo dei
soggetti svantaggiati di San Sperate che mi ha fornito i dati di questa ricerca.
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Capitolo Primo
Definizione del disabile e normativa sull’inserimento lavorativo
1.1 Definizione di menomazione, disabilità, handicap
Termini quali menomazione, disabilità, ed handicap spesso, nel linguaggio comune, si
confondono.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) il termine menomazione, si riferisce a
perdite o anormalità che possono essere transitorie o permanenti e può comprendere l'esistenza o
1'evenienza di anomalie, difetti o perdite a carico di arti, organi, tessuti o altre strutture del
corpo, incluse le funzioni mentali. La menomazione rappresenta l'esteriorizzazione di uno stato
patologico, e in linea di principio riflette i disturbi a livello d'organo.
Per quanto concerne le disabilità, l’OMS precisa che, nel contesto delle conoscenze e delle
esperienze sanitarie, si intende per disabilità qualsiasi restrizione o carenza (conseguente a una
menomazione) della capacità di svolgere un'attività nel modo o nei limiti ritenuti normali per un
essere umano.
La disabilità si riferisce a capacità funzionali estrinsecate attraverso atti e comportamenti che per
generale consenso, costituiscono aspetti essenziali della vita di ogni giorno (Soresi, 1998).
È importante precisare, accanto alla presenza o meno di disabilità, il livello di gravità per
individuare, da un lato i supporti e gli ausili che potrebbero ridimensionarne gli effetti
invalidanti e, dall'altro quelle risorse e abilità possedute dalla persona che potrebbero essere
efficacemente utilizzate in sede di trattamento e di integrazione.
Se all'accertamento delle menomazioni è richiesto soprattutto di chiarire la natura dei danni,
dall'accertamento delle disabilità ci si attende la precisazione di ipotesi terapeutiche, curative e
riabilitative, un ausilio, quindi, nella pianificazione dei supporti necessari all'integrazione della
persona.
E’ opportuno soffermarsi a considerare il concetto stesso di disabilità, opponendolo a quello di
abilità e inabilità.
L'abilità di qualsiasi soggetto animato consiste nella capacità di realizzare un'azione, di
compiere un lavoro, di portare a termine un programma o un progetto predeterminato. L'abilità
dipende dal possesso di una o più capacità e, fatta eccezione per alcune azioni di estrema
semplicità, di solito sono più funzioni integrate a determinare l’abilità complessiva o specifica
individuale.
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Saremmo in presenza di abilità e di persone abili anche quando esse, a fronte di menomazioni
che causerebbero la riduzione dell’efficienza di organi, sistemi o apparati, riescono a manifestare
comportamenti caratterizzati da livelli soddisfacenti di efficienza operativa.
Ne deriva che non necessariamente le menomazioni comportano disabilità o inabilità, così come
si verifica quando, ricorrendo a protesi, si eliminano o si riducono drasticamente le capacità
invalidanti di alcune menomazioni.
L'impossibilità o l'incapacità di attivare comportamenti in grado di consentire la realizzazione
dei suddetti programmi determina invece inabilità rispetto all'azione considerata e in riferimento
alle capacità ritenute normali in un campione di popolazione omogenea.
L'inabilità consiste dunque nell'assoluta incapacità a svolgere un'azione, sia nel caso che questa
capacità non sia stata mai posseduta, che in quello, invece, in cui sia andata perduta. L'incapacità
di portare a compimento l'azione, ma con risultati più o meno soddisfacenti, realizza la
condizione di disabilità, riconoscibile per l'anomalia del risultato, casualmente riconducibile ad
una menomazione.
Risulta pertanto evidente che l'inabilità costituirebbe l'intensità “zero” della prestazione abile,
mentre la disabilità, un qualsiasi altro livello intermedio tra essa e la completa abilità. La
disabilità, dunque, per essere ben compresa e precisata, richiede operazioni di stima in grado di
evidenziare la quantità di discrepanza dalla prestazione abile (Soresi, 1998).
Le persone disabili, da questo punto di vista non sarebbero inabili, ma solamente meno o
diversamente abili.
Non tutte le menomazioni, come si è detto, provocano necessariamente inabilità e disabilità; la
loro gravità si riferisce all'entità della compromissione funzionale effettivamente registrata, e
non è detto che debba necessariamente esistere una relazione lineare tra la gravità della
compromissione e quella delle disabilità.
Si tratta di una precisazione importante, e doverosa anche per le sue ripercussioni a livello
medico - legale, sociale e assicurativo, che mira a valutare l'incidenza di una menomazione
secondo la capacità del soggetto di assolvere richieste specifiche.
Mentre alcune di esse potranno comportare inabilità o disabilità di diverse entità, altre potranno
consentire anche livelli soddisfacenti e ottimali di abilità (Soresi, 1998).
Tra le conseguenze delle malattie possono comparire, accanto alle situazioni di menomazione e
di disabilità, anche gli handicap.
Handicap è un termine inglese del XVII secolo, derivato dalla locuzione “hand i’ cap”
(letteralmente: mano nel cappello) che stava ad indicare il giocare d’azzardo, lo scommettere
affidandosi al caso.
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Nel secolo XVIII handicap assunse un nuovo significato, indicando lo svantaggio (specialmente
di peso, o di distanza) che veniva attribuito nelle gare (ippica, golf) ai concorrenti più bravi, in
modo da metterli sullo stesso piano di quelli meno bravi, con conseguente pari possibilità di
vittoria.
Handicappato, pertanto, è un termine sportivo internazionale con il quale vengono indicati i
concorrenti che in una competizione sono posti in condizioni di inferiorità, di svantaggio rispetto
agli altri.
Se invece, si considera l'Organizzazione Mondiale della Sanità, il termine handicap è definito
come “una vasta condizione che si presenta con grado, causa, patologia e aspetti sociali diversi,
caratterizzati però da uno stato o sviluppo incompleto della psiche, in modo tale che l'individuo è
incapace di adattarsi all'ambiente sociale in modo ragionevole, efficiente ed armonioso” (Soresi,
1998, pag. 45).
Esso è caratterizzato dalla discrepanza tra l'efficienza o lo stato del soggetto e le aspettative di
efficienza e di stato sia dello stesso soggetto che del particolare gruppo di cui egli fa parte.
L'handicap rappresenta pertanto la socializzazione di una menomazione o di una disabilità e
come tale riflette le conseguenze culturali, sociali, economiche e ambientali che per l'individuo
derivano dalla presenza della menomazione e della disabilità.
Lo svantaggio proviene dalla diminuzione o dalla perdita della capacità di conformarsi alle
aspettative o alle norme proprie all'universo che circonda l'individuo.
La definizione qui ripresa contiene alcuni elementi che meritano di essere sottolineati e
commentati. Ci si riferisce in modo particolare al fatto che:
• si può parlare di handicap solamente riferendosi a persone con delle disabilità o
menomazioni;
• si tratta di uno svantaggio “vissuto”;
• riguarda l'ambito dei ruoli e delle attività normalmente attesi dall'ambiente
socioculturale di appartenenza della persona;
• si caratterizza in termini di discrepanza tra efficienza e aspettative di efficienza
(Soresi, 1998).
Sebbene nel linguaggio corrente i termini handicap e handicappato siano sovente e
impropriamente associati a svariate persone e contesti, è innanzitutto opportuno sottolineare che,
il ricorso a questa espressione può essere considerato corretto solamente qualora si faccia
riferimento a una situazione in cui una persona manifesta inabilità, o livelli non soddisfacenti di
abilità (disabilità), a causa di menomazioni che ne compromettono la possibilità di rispondere a
specifiche aspettative di efficienza.
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Da ciò deriva che al variare delle richieste e delle aspettative di efficienza può, da un lato
registrarsi o meno la presenza di situazioni di handicap, e dall'altro variare anche notevolmente
l'intensità dello svantaggio percepito e provocato.
In assenza di menomazioni, in ogni caso, non si può utilizzare il termine di handicap, né
etichettare in questo modo situazioni di difficoltà d'apprendimento non determinate da danni
ascrivibili ad arti, organi, tessuti o altre strutture del corpo incluso il sistema delle funzioni
mentali, di svantaggio socioculturale, di ritardo mentale, di demotivazione nei confronti
dell'apprendimento, né, tanto meno, di persone con problemi di adattamento personale e sociale.
Sempre a questo proposito, va ancora ricordato che non tutte le menomazioni provocano di fatto
disabilità, e che queste ultime sono “attive” solamente in precisi contesti: ne deriva che, una
persona con menomazioni eterogenee, così come può palesare abilità diverse in contesti diversi,
può anche “essere o non essere handicappata”.
Come non tutte le menomazioni provocano disabilità, e come non tutte le difficoltà che le
persone possono incontrare sono determinate da menomazioni (disturbi della personalità,
difficoltà d'apprendimento, scarsa competenza sociale, ecc.), si può assistere anche alla presenza
di handicap in assenza di disabilità. E’ il caso, ad esempio, di “menomazioni deturpanti” (volti
sfigurati a causa di incidenti e di ustioni) che pur non provocando disabilità, possono far
registrare vissuti di svantaggio associati soprattutto al contesto interpersonale.
Dal momento che una persona non è globalmente disabile e che al variare dei contesti e delle
richieste può manifestare abilità o disabilità, ne deriva che non può nemmeno essere considerata,
altrettanto superficialmente e globalmente, handicappata solo perché, in alcuni ambiti specifici,
sarebbe disabile a causa di specifiche menomazioni.
Pur essendo vero che le menomazioni continuano ad essere presenti al variare delle situazioni,
delle richieste e delle aspettative (un danno uditivo, ad esempio, esiste anche quando la persona
che ne soffre è impegnata in una gara di corsa, e così via), o al variare del “dove”, del “quando”
e del “con chi”, le disabilità si manifestano invece solamente quando è necessario compiere
specifiche prestazioni.
Gli handicap, si manifestano solamente quando si attendono o pretendono livelli di prestazione
standard a prescindere dalle effettive possibilità della persona in questione. Al variare delle
richieste e dei compiti possono quindi essere messe in evidenza o meno le disabilità di una
persona, così come, al variare dei compiti e delle aspettative di efficienza, le stesse situazioni
possono determinare o meno vissuti di svantaggio (handicap).
In considerazione del fatto che l'handicap comparirebbe in contesti che, formulando richieste
standard di prestazione, non tengono in debita considerazione le caratteristiche individuali e
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l'eventuale presenza di disabilità, si dovrebbe sostenere, che le disabilità tendono ad associarsi a
situazioni di handicap solamente in contesti di integrazione scolastica, sociale e comunitaria.
Specifico dell'ambito riabilitativo è invece il perseguimento di obiettivi che tengono in giusta
considerazione le disabilità e le possibilità di incremento, non pretendendo dalla persona più di
quanto essa possa effettivamente dare.
Tutte le agenzie, le organizzazioni, i centri e le cooperative che istituzionalmente prevedono
l'erogazione di interventi riabilitativi, in altri termini, opererebbero in favore delle situazioni di
disabilità, ma non di handicap.
Coloro che invece si interessano di integrazione sociale, molto probabilmente, si troveranno ad
operare con persone disabili che, sperimentando sulla propria pelle lo svantaggio, potranno
essere considerate anche, persone con handicap.
Analogamente a quanto si verifica per le situazioni di disabilità, anche in questo caso non
avrebbe senso parlare in termini globali e generalizzati di handicap e di persone handicappate,
dal momento che al variare dei contesti e delle richieste di volta in volta indirizzate alle persone,
e della presenza o meno di svantaggi, la stessa situazione di handicap può presentarsi o meno.
Da questa prospettiva (anche se paradossalmente a prima vista), i fautori dell'integrazione
sarebbero anche “portatori di handicap”, nel senso che, non accontentandosi delle prestazioni
disabili, ne stimolano il decremento facendo frequentemente riferimento a quanto richiesto dalla
“normalizzazione” e dal costante confronto con persone e prestazioni “più abili”.
Anche il “rifiuto dell'handicap”, da questo punto di vista, potrebbe addirittura essere considerato
sinonimo di impotenza operativa, di sfiducia nei confronti delle possibilità di integrazione, di
quella “passività” e di quel “fatalismo” che troppo spesso, a mio avviso, si constatano quando ci
si limita a “inserire” le persone disabili, senza preoccuparsi di stimolarle a incrementare i loro
livelli di partecipazione attiva alla vita comunitaria, anche a costo di far loro vivere situazioni
sopportabili di “svantaggio” e di handicap.
Gli handicap, infine, si riferiscono in modo specifico a “funzioni della sopravvivenza”; non è
pertanto possibile indicare con questo appellativo situazioni che non si caratterizzano per la
presenza di menomazioni e disabilità e che non si riferiscono alle funzioni di cui sopra, come
avviene ad esempio quando erroneamente si etichettano in questo modo alcune situazioni di
difficoltà d'apprendimento e di svantaggio socioculturale, o le situazioni di persone che
incontrano difficoltà nello svolgimento di attività “non essenziali” alla sopravvivenza.
In realtà il termine handicap si lascia preferire ad altri termini, per motivi essenzialmente pratici,
in quanto è usato nel linguaggio internazionale.
Infine dopo aver esplicato i tre termini: disabilità, menomazione ed handicap, potrebbe essere
interessante notare come si possano relazionare fra loro:
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1. una persona può essere menomata senza essere disabile (per esempio una menomazione
che non porti a sensibili restrizioni delle “attività normali”);
2. l’handicap può essere diretta conseguenza di una menomazione (per esempio una
menomazione sfigurante, senza dare luogo ad alcuna disabilità, può creare una situazione
di svantaggio);
3. una persona può essere disabile senza essere handicappata (per esempio, in dipendenza
del grado di compensazione funzionale della disabilità e d'accettazione personale e
sociale);
4. certe disabilità possono ritardare lo sviluppo o il riconoscimento di altre capacità, come
pure certi handicap che, influenzando il comportamento della persona, possono generare
ulteriori disabilità o menomazioni (Soresi, 1998).
In sostanza la catena menomazione – disabilità - handicap può interrompersi in qualunque punto
e non vi è una precisa corrispondenza fra il grado della menomazione o della disabilità e quello
dell'handicap; tuttavia questa sequenza, aiuta ad individuare le correlazioni, tenuto conto che un
intervento a livello di un elemento ha in sé la possibilità di modificare quelli successivi.