Introduzione L’obiettivo che questo nostro lavoro persegue è quello di affrontare una tematica
oggi dotata di una sua emergenza sociale. L’importanza di un intervento di
normazione non è certamente valutabile attraverso il numero di persone a cui si
rivolge, ma di sicuro attraverso questo dato si percepisce quale sia la portata che il
problema dell’inserimento dei soggetti disabili nel mondo del lavoro ha assunto ai
giorni nostri. Utilizziamo quindi, quale punto di partenza della nostra trattazione, le
ultime stime Istat, relative al 2004, svolte in collaborazione con il Ministero del
Lavoro e delle Politiche Sociali nell’ambito del progetto “Sistema di informazione
statistica sulla disabilità” 1
, volte a individuare il numero di persone con disabilità nel
nostro Paese. L’indagine ha evidenziato che in Italia vi è una popolazione con
disabilità pari a circa 2 milioni e 800 mila, di cui 449.000 sono persone che hanno età
compresa tra i 15 e i 64 anni. Di questi soggetti in età lavorativa solo il 26,5% è
occupato.
Muovendo dalla convinzione di partenza che per poter parlare di integrazione
lavorativa dei disabili è necessario in primo luogo comprendere come nel tempo si
sia evoluto a riguardo l’atteggiamento dell’organizzazione sociale, descriveremo la
“via italiana all’attenzione all’ handicap ” e quello che è stato il percorso di sviluppo
delle risposte istituzionali al problema cercando di sottolineare, di volta in volta,
come tali risposte non siano altro che l’espressione di un determinato periodo storico
e della cultura dell’ handicap vigente nel periodo.
Il primo capitolo offre una panoramica del lento processo di maturazione in ambito
di integrazione sociale e lavorativa dei disabili svoltosi in Italia a partire dal periodo
pre-costituzionale sino ai giorni nostri. L’analisi quindi parte da un periodo in cui gli
unici interventi normativi a riguardo si limitavano a riconoscere benefici
previdenziali e assistenziali. Solo la Costituzione Repubblicana porrà le basi
istituzionali per un pieno riconoscimento dei diritti delle persone con disabilità,
chiarendo il ruolo dello Stato nel guidare le istituzioni verso un pieno riconoscimento
di questi soggetti.
Questo lungo cammino vede quale tappa fondamentale del percorso la legge 482 del
1968, che istituirà il sistema del collocamento obbligatorio. Ma tale normativa,
avente natura impositiva, impersonale e ispirata prettamente a ragioni burocratiche,
1
Su sollecitazione dell'art. 41-bis della l. n.162/1998, all’inizio del 2000 il Dipartimento per gli
Affari Sociali della Presidenza del Consiglio ha assegnato all’ISTAT il compito di costituire un
insieme coordinato e integrato di fonti statistiche sulla disabilità che consenta di fare programmazione
sulla base di dati completi e affidabili. Il progetto nel suo complesso è finalizzato a fornire, mediante
l’analisi dei bisogni, delle condizioni sociali e di salute della popolazione con disabilità, un supporto
per le politiche e per la programmazione delle attività di assistenza, sostegno ed integrazione, nonché
per il monitoraggio dello stato di attuazione della normativa sul territorio con particolare attenzione ai
più recenti interventi legislativi.
In particolare, l’obiettivo principale dell’indagine è l’analisi del livello di integrazione sociale delle
persone con disabilità e l'analisi dei fattori che ne ostacolano la piena partecipazione.
1
si è presto rivelata non adeguata alle reali esigenze del mondo del lavoro poiché
poneva un onere non contrattabile a carico dei soggetti obbligati e, in particolare, non
garantiva quella necessaria corrispondenza tra le attese del datore di lavoro e
l’effettiva capacità del lavoratore disabile.
Nel panorama descritto dal capitolo in questione emergerà il ruolo, l’influenza che le
iniziative di tipo internazionale e comunitario hanno avuto sull’elaborazione della
moderna concezione dell’ handicap , favorendo così lo sviluppo di un approccio
diverso delle istituzioni rispetto ai problemi dei disabili. Determinante in questo
senso il documento chiamato Classification of impairments, disabilities and
handicaps , dell’OMS, il quale offre un modello di approccio rivoluzionario nella
definizione e nella percezione dei concetti di “salute” e di “disabilità”. Vedremo
inoltre come la legge 104 del 1992 rappresenti l’espressione normativa italiana dei
principi contenuti in tale documento, determinando un’inversione di tendenza
rispetto all’approccio tradizionale rispetto al mondo della disabilità: si passerà
dall’esclusiva valutazione dei bisogni del soggetto disabile per fini esclusivamente
economici, mediante l’arido riconoscimento dello stato invalidante, all’analisi
valutativa multi-disciplinare e multi-dimensionale della partecipazione del disabile
alla vita socio-lavorativa. E’ questo un nuovo modo di accostarsi alla problematica,
personalizzato e in grado di individuare le capacità residue del soggetto al fine di
inquadrarlo all’interno del profilo lavorativo a lui più idoneo.
I frutti di questa svolta concettuale saranno raccolti dalla legge di riforma n. 68 del
1999, a cui sarà dedicato il secondo capitolo.
Mediante l’emanazione di questa legge, il legislatore ha inteso riformare l’intero
sistema d’inserimento lavorativo del disabile, ponendovi alla base non più un
concetto di collocamento “obbligato”, ma un nuovo modello di collocamento che
chiameremo “mirato”. Tale istituto, a differenza del precedente, risulta fondato non
più su un avviamento prevalentemente numerico e impersonale, basato su obblighi e
divieti posti a capo del datore di lavoro, bensì su una normativa incentivante che
prevede non solo obblighi ma pure sgravi e benefici a favore del datore di lavoro che
assume il disabile. La riforma demanda ad un apposito Comitato tecnico, in raccordo
con i servizi territoriali competenti, il compito di valutare le reali capacità del
disabile in rapporto ad una concreta situazione di lavoro, individuando percorsi
d’inserimento personali e prevedendo forme di sostegno e azioni positive volte alla
soluzione di problemi quali quelli connessi agli ambienti, agli strumenti e alle
relazioni interpersonali nei luoghi di lavoro. E’ questo il modello d’inserimento che,
almeno a livello teorico, appare il metodo più idoneo a soddisfare i problemi delle
aziende in relazione all’effettivo utilizzo produttivo dei lavoratori portatori di
handicap e a realizzare una efficace integrazione socio-lavorativa della persona.
Rispetto alle esigenze delle aziende vedremo come, la suddetta legge n. 68, abbia
non solo attivato una migliore ripartizione dell’onere sociale mediante l’estensione
degli obblighi di assunzione anche a fasce d’imprese precedentemente escluse, ma
abbia anche determinato una riduzione della percentuale di lavoratori da assumere,
2
oltre ad aver inserito elementi di forte flessibilizzazione del rapporto di lavoro,
attraverso l’assunzione del disabile mediante stipulazione delle convenzioni e la
possibilità di optare per l’adozione di tipologie contrattuali a loro volta flessibili.
Proprio all’analisi di tali modelli contrattuali è dedicato il capitolo terzo del nostro
lavoro.
Vedremo che qualunque forma o tipo di contratto di lavoro subordinato può essere
validamente stipulato con un soggetto disabile. Il mercato del lavoro appare, oggi più
che mai, improntato ad esigenze di flessibilità del lavoro, soddisfatte attraverso la
maggior apertura a tipologie contrattuali che tale flessibilità incarnano.
Nel corso del capitolo ci chiederemo principalmente quale uso l’impresa possa fare
di questi tipi contrattuali e se questi, oltre a consentire una valida assunzione del
soggetto disabile, garantiscano al datore la possibilità di computare il rapporto di
lavoro così scaturito nelle quote di riserva previste dalla legge se non stipulati
all’interno di un programma oggetto di convenzione.
Si consideri questo lavoro una riflessione volta all’analisi degli strumenti attuali
messi a disposizione dall’ordinamento per garantire una soluzione alle problematiche
che emergono in ambito di diritto al lavoro dei soggetti disabili. In una situazione
tanto complessa appare evidente che la legislazione da sola non è in grado di fornire
tutte le risposte. L’obiettivo del legislatore resta comunque quello di incoraggiare e
sostenere, con gli strumenti legali adeguati, coloro che non hanno voce e ancora
oggi, all’interno della nostra progredita società, vivono il peso dell’emarginazione e
della discriminazione.
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CAPITOLO I
L’EVOLUZIONE DELLA DISCIPLINA DEL COLLOCAMENTO DEI DISABILI
SOMMARIO: 1. L’evoluzione normativa – 2. Le iniziative Internazionali e Comunitarie – 3. Verso la
riforma del 1999 – 4. La legge n. 68 del 1999 e il decentramento dei servizi per l'impiego 1. L’evoluzione normativa
All’inizio del XX secolo in Italia questa consistente fascia di popolazione è stata al
centro di una serie di riconoscimenti normativi in primo luogo tesi a riconoscere
benefici previdenziali e assistenziali e in parte a disciplinare il collocamento al
lavoro di talune categorie specifiche di invalidi.
Dopo la prima guerra mondiale lo Stato fu costretto a considerare la condizione dei
reduci divenuti invalidi. Il r. d. l. del 14 giugno 1917, n. 1032 riguardava
l’assunzione di tali soggetti e rispondeva ad una chiara scelta politica: non la
menomazione in sè dava diritto al collocamento speciale, ma la menomazione in
quanto causata dal fatto di guerra.
Intorno alla metà del secolo scorso vennero emanate due normative relative
all’assunzione degli ex tubercolitici e dei centralinisti ciechi 2
. Venne così, via via,
strutturandosi un “sistema” che restò invariato fino agli anni 60, basato su tre
principi: la legittimazione della separazione dei portatori di handicap dal contesto
sociale; la monetizzazione dell' handicap come risposta ai bisogni ed alle esigenze
delle famiglie con disabili; la divisione dei cittadini con handicap in categorie.
Nel 1948 l’unificazione di diverse culture politiche all’interno del testo
Costituzionale conduce ad una nuova idea di Stato, chiamato a svolgere una funzione
attiva rispetto agli squilibri sociali esistenti attraverso interventi volti a incidere sulle
cause determinative delle condizioni di bisogno e non solo sui relativi effetti: è lo
Stato sociale.
Agli articoli 2 e 3 della Costituzione si legge che << La Repubblica riconosce e
garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali
ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di
solidarietà politica, economica e sociale >> (art. 2) e che << Tutti i cittadini hanno pari
dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza,
di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E`
compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che,
2
Il d.lgls. 15 aprile 1948, n. 538, sull'avviamento al lavoro dei lavoratori dimessi da luoghi di cura
per guarigione clinica di affezione tubercolare e la l. 14 luglio 1957, n. 594, sul collocamento
obbligatorio dei centralinisti telefonici ciechi.
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