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Abstract (English version)
The recent developments in the field of the psychology the elderly one have put
more and more in discussion the model of aging as characterised by a global
and generalised loss of all the functions. One of the main points of the recent
studies on the subject is to consider as not separated and linked the two
processes of development and senescence. To this intention the Theory of the
Non-linear Systems, commonly known as chaos theory, furnishes an
epistemological organization that puts in prominence the changes that interest
the subject during the whole life-span, using metaphors and concepts (as that of
bifurcation and “edge of chaos”) borrowed by studies in extraneous fields to the
psychology, but which find way to be inserted in this discipline.
The accent is set on besides the notion of adaptation as useful dimension to the
investigation of the aging trying a proposal of model that takes as base the study
of the landscapes of fitness.
The basic epistemological construct that drives the present dissertation is
mainly at the level of metatheory, a purpose that can drive research: a discipline
in statu nascendi (Schroots, 1995b) that attends greater theoretical close
examinations and confirmations from the future research.
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Capitolo 1
Teorie e metafore dell’invecchiamento
Introduzione
Lo studio della psicologia dell’invecchiamento ha visto il suo sviluppo dopo la
Seconda Guerra Mondiale: sebbene ci fossero stati dei tentativi di studio prima
di quel periodo (ad esempio Hall, 1922, cit. in Schroots 1996), i maggiori
contributi si sono avuti a partire dalla seconda metà del Novecento, con una
varietà di teorie le quali utilizzavano metafore che fornivano un approccio
principalmente basato sul tempo cronologico (Birren, Schroots, 1990) come
dimensione privilegiata. Si vedrà nei capitoli successivi che la dimensione
temporale cronologica, intesa come misurazione fisica del tempo, è solo un tipo
particolare di approccio.
Da una prospettiva in cui viene utilizzato principalmente il tempo fisico si
possono, in prima battuta, distinguere tre modelli d’indagine (Schroots, 1995a,
1996): la psicologia dell’anziano (psychology of the aged), psicologia dell’età
(psychology of age ) e la psicologia dell’invecchiamento ( psychology of aging).
Il primo campo d’indagine è centrato sulla persona anziana o sulla tarda età
della vita: esso può essere definito come lo studio della vecchiaia problematica
da una prospettiva psicologica (Schroots, 1995 b).
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Il secondo modello è uno studio comparato delle differenze sul piano cognitivo
e comportamentale tra le varie fasce d’età, tentando di individuare le cause e le
di queste differenze.Il terzo modello si propone di integrare gli studi secondo le
due prospettive sopra riportate con un’attenzione particolare ai cambiamenti
durante il corso del processo d’invecchiamento. Centrale è l’utilizzo del metodo
longitudinale di ricerca, ovvero un metodo che non compara direttamente più
gruppi di fasce d’età diverse in un unico momento (il contrapposto metodo
trasversale cross-cohort), ma segue l’andamento nel tempo, longitudinalmente
appunto, per individuare i pattern di cambiamento durante l’arco della vita. Alla
base di alcuni modelli teorici che si andranno a descrivere nei prossimi
paragrafi di questo capitolo, la visione dello sviluppo maggiormente condivisa è
rappresentata da una curva che, flettendosi rapidamente verso l’alto, in
corrispondenza delle prime fasi dell’ esistenza, incontra una stabilizzazione che
si mantiene costante per tutta l’età definita adulta e conseguentemente va
incontro ad una fase decrescente, una tendenza negativa, che corrisponde a ciò
che comunemente si chiama “terza età”,come mostrato dal diagramma in figura
1.
Figura 1 (Fonte:”Psicologia contemporanea” n. 179, 2003,pag. 61)
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Per ciò che riguarda l’ultima parte della curva, si nota una concezione dell’età
senile tout court, che riflette caratteristiche biologiche, prestazioni fisiche
(forza, agilità e resistenza sono alcune di queste), intelligenza (problem solving,
capacità di ristrutturazione cognitiva), e altri aspetti quali la memoria e capacità
di apprendimento nelle diverse aree della vita quotidiana.
Alcuni sviluppi successivi (ad esempio Schroots, 1995b) hanno fortemente
criticato questo punto di vista, in quanto l’evidenza della complessità nella
quale ci si imbatte parlando di processi d’invecchiamento ha costretto ad un
cambiamento di paradigma. Questo lavoro si propone di esplorare le nuove
concezioni dell’argomento in questione, nuove metafore e nuovi paradigmi che
guidano la ricerca psicogerontologica degli ultimi anni.
Per dare subito un esempio che illustri una concezione “classica”
dell’invecchiamento verrà descritto il seguente studio condotto da David
Wechsler, utilizzato per la taratura della nota scala Wechsler-Bellevue negli
anni ’50 (cit. in Cesa-Bianchi M., Pravettoni G.,1998). In base ai risultati
ottenuti da ciascun gruppo di età (dai 16-20 anni agli ultraottanta) si è disegnata
una curva che, flettendosi in positivo fino ad un’età di 21-25 anni, si stabilizza e
successivamente incontra un declino, prima lieve poi più accentuato, partendo
da un’età di 31-35 anni. I punteggi ottenuti venivano espressi in un indice, il
Quoziente Intellettivo, e in un altro indice, il Quoziente di Deterioramento
Mentale, calcolato confrontando le abilità che tipicamente si conservano
coll’andare degli anni, come quelle linguistico-culturali, quelle implicite nel
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ragionamento e abilità come la memoria e l’apprendimento che vanno
generalmente incontro ad un declino. In questo modo si riteneva di poter
confrontare le prestazioni attuali con quelle massime raggiunte nel corso della
vita, riuscendo poi a calcolare una percentuale di decadimento “fisiologico”
tipica di una certa età, ed essere in grado poi di confrontare se le prestazioni di
una persona, si ponga, di sessant’anni, fossero nella norma rispetto al campione
e non presentassero un indice di decadimento superiore alla media (in questo
esempio la percentuale di decadimento è del 10%).
Da queste prime battute si può già vagamente intuire il paradigma che ha
guidato gli autori nella stesura della scala, sottolineando principalmente due
punti:
1. una concezione quasi unitaria dell’invecchiamento: pur non escludendo che
delle abilità rimangono intatte (altrimenti non sarebbe stato possibile
esprimere il Quoziente di Decadimento Mentale), la tendenza è quella di
accorpare molte funzioni che tutte insieme scivolano nella parte bassa
dell’ordinata di un grafico cartesiano.
2. parlare, in un ambito che riguarda l’intelligenza, di decadimento fisiologico
denota una concezione che suggerisce l’implicito che ad invecchiare siano
mente e corpo indistintamente in tutte le loro componenti: questo viene
disconfermato alla luce di successivi sviluppi (ad esempio Baltes e Baltes,
1990) che criticano una visione unitaria e unidirezionale
dell’invecchiamento: unitaria perché, come detto poco sopra, la concezione
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classica dell’invecchiamento pone l’accento sul declino di tutte le funzioni,
sia fisiche che psicologiche, e unidirezionale per il fatto che un tale
paradigma porta l’attenzione solo su una visione deficitaria, ovvero non
tiene conto che l’avanzare degli anni possa essere caratterizzato da un certo
grado di sviluppo.
La ricerca sopra citata trovò presto pareri discordanti (Cesa-Bianchi M.,
Pravettoni G., 1998): in primo luogo venne messa in dubbio la validità del
metodo trasversale da Wechsler utilizzato, in secondo luogo non si ritenne
opportuno impiegare i soggetti in prove a tempo, in quanto gli anziani
notoriamente impiegano più tempo di quelli giovani in compiti del tipo
somministrato da Wechsler , in terzo luogo sempre maggiori esempi di persone
in età molto avanzata che non dimostrano cedimenti a livello intellettuale hanno
messo in crisi il modello classico e la sua visione deficitaria dell’
invecchiamento.
Teorie dell’invecchiamento
Questi paragrafi saranno dedicati ad alcune teorie che hanno indagato i processi
d’invecchiamento. Si partirà con l’esaminare alcuni studi che si sono susseguiti
negli anni in campo biologico per poi fare il punto su alcune teorie psicologiche
che rappresentano il punto di partenza per una visione più ampia dell’
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argomento. Infine un excursus su alcune metafore impiegate sia nel linguaggio
comune, sia nella costruzione di modelli che spiegano il fenomeno
dell’invecchiamento.
1. Teorie biologiche
L’approccio biologico ha tradizionalmente fornito una definizione
dell’invecchiamento qualitativamente diversa da quella data dagli psicologi: un
processo dipendente dallo scorrere del tempo, cumulativo e involutivo,
irreversibile e intrinseco ad ogni individuo ( Robert, 1995 ).
Al giorno d’oggi però sono rari i ricercatori che non abbiano ancora accettato il
fatto che l’invecchiamento non può essere ricondotto ad una sola causa (Robert,
1995).
Verrà fornita qui una trattazione sintetica di alcune teorie che hanno indagato il
fenomeno, una breve carrellata che, lungi dall’essere esaustiva (per il fatto che
non è intenzione del presente lavoro dare un elenco completo di teorie
biologiche sull’invecchiamento), fornisce comunque un’inquadratura del campo
in esame in questo paragrafo.
Una estesa trattazione dell’argomento è stata fatta da Zhorès Medvedev (1990,
cit. in Robert, 1995) nella quale elencava più di trecento teorie, molte delle
quali desuete o troppo imperniate su una sola osservazione o meccanismo,
alcune di queste neppure troppo rilevanti a fini storici (Robert 1995). La
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classificazione suddivisa in sette categorie viene riportata qua sotto (cit. in
Robert,1995):
1. teorie basate su modificazioni con l’età: teorie dell’usura e in generale
basate sull’accumulo progressivo di modificazioni degenerative negli organi.
2. teorie basate su una lesione (“danno”): attribuzione dell’invecchiamento
all’azione di agenti esterni o interni all’organismo che possono scatenare la
sua degenerazione.
3. teorie geneticamente programmate: teorie basate sulla continuità dei
meccanismi dello sviluppo e differenziazione attraverso la maturazione e
l’invecchiamento.
4. teorie evoluzionistiche: teorie che tendono a proporre una spiegazione della
grande diversità della massima durata di vita delle specie apparse nel corso
dell’evoluzione.
5. teorie specifiche dei tessuti: viene attribuita la responsabilità principalmente
alle modificazioni di certi tessuti o di certe cellule con l’età.
6. teorie matematiche e fisico-matematiche: basate su cinetiche di mortalità,
effetto di radiazioni. Trattano gli aspetti cibernetici dell’invecchiamento.
7. .teorie unificate: raggruppano parecchi aspetti delle teorie precedenti,
difficili da verificare sul piano sperimentale.
Tra i modelli sperimentali che hanno goduto di un certo credito negli anni
viene qui citato quello di Leonard Hayflick (1961, cit. in Robert, 1995) che
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ruppe il dogma dell’ immortalità delle cellule. Secondo la precedente
concezione l’invecchiamento era portato da “umori colpevoli”, sostanze nocive,
che provocavano la morte della cellula. Il modello di Hayflick invece si basava
sul fatto che le cellule vanno incontro ad una morte “programmata” causata da
alcuni geni: in pratica, secondo lo studioso, la cellula conserverebbe non una
memoria del tempo che trascorre, ma terrebbe registrato il numero delle
divisioni cellulari avvenute nel corso della sua vita. Si potrebbe dire che alcuni
geni hanno un’attivazione tardiva, proprio quei geni responsabili della morte
cellulare.
È importante ricordare che la sua teoria si basa su cellule in coltura, un modello
che vuol essere una scala ridotta di quanto avverrebbe in vivo, ma alcune
critiche si sono mosse (Robert, 1995):
1. geni che controllano l’invecchiamento sono stati individuati in alcuni
invertebrati, come la Caenorhabditis elegans , ma non nei vertebrati, quindi
risulterebbe dubbia la generalizzabilità di questa teoria. Inoltre, i dati sono a
favore, più che di una morte programmata, di un deterioramento dei
macchinari preposti alla duplicazione del DNA
2. altri esperimenti hanno portato ad ipotesi diverse, per il fatto che si è visto
che col tempo la spartizione del DNA si fa sempre più ingiusta, da quanto
risulta confrontando il genoma di cellule madri e figlie
3. in base a quanto detto al punto precedente, sembra logico supporre una serie
di concause dal punto di vista biologico che non sono previsti da un
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programma genetico come guasti causati da radicali liberi e la reazione di
Mallard ad esempio. In aggiunta, il fatto che la vita si sia allungata
notevolmente nell’ultima metà del XX secolo è una prova in più
dell’importante concorrenza di fattori esterni, i cosiddetti meccanismi
epigenetici..
4. un’altra osservazione è che solo alcune cellule sono in mitosi continua per
tutta la vita (come quelle della mucosa gastrointestinale e del midollo
osseo), altre invece sono a mitosi intermittente (quelle del fegato, ad
esempio), altre ancora smettono di riprodursi molto presto (è il caso dei
neuroni). Quindi, fosse anche verificata l’ipotesi della morte programmata
delle cellule, è importante però tenere da conto che ciò può valere solo per
alcune di esse in quanto molte altre arrestano la propria riproduzione,
definitivamente o temporaneamente.
Tra le teorie che spiegano l’invecchiamento si trovano quelle che individuano
come causa l’accumulo, con l’età, di mutazioni somatiche, ma verifiche
sperimentali hanno dato risultati negativi, in quanto non sembra avere una
correlazione significativa con l’invecchiamento (Robert, 1995) .
In un articolo del 1974, pubblicato da Ronald Hart e Richard Setlow (cit. in
Robert, 1995), si sosteneva che per cinque specie, la longevità è proporzionale
alla capacità del DNA di riparare fotodanni indotti da raggi ultravioletti (UV).
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La validità di questo paradigma è risultata però problematica: ad esempio si è
visto che alcune specie di vertebrati inferiori che non posseggono un’efficace
capacità di autoriparazione non mostravano una differenza nella durata della
vita statisticamente significativa rispetto alle specie con un DNA in grado di
ripararsi.
Gli stessi autori hanno imputato la responsabilità dell’invecchiamento a errori
che l’organismo commette con l’andare degli anni. Questo punto di vista mette
in risalto il ruolo dannoso di enzimi inefficaci negli stadi avanzati della vita, che
provocherebbero danni portando ad una degenerazione il sistema. In pratica si
suppose che avvenissero degli errori al momento della preparazione delle
proteine nelle cellule durante l’invecchiamento. Venne avanzata però la critica
che degli errori avvengono sia nelle cellule giovani quanto in quelle vecchie e il
numero di questi non aumentava con l’avanzare dell’età. È ritenuto più
verosimile che i meccanismi coinvolti nell’eliminazione di molecole consumate
siano meno efficaci nelle cellule vecchie. Questa teoria, detta dell’
invecchiamento molecolare (Hart, Setlow; 1974, cit. in Robert, 1995), ha perso
molti dei suoi sostenitori, pur non essendo stato abbandonato del tutto il suo
interesse.
Un’ulteriore teoria degna di essere citata è quella detta del soma monouso
(Disposable Soma Theory), proposta da Tom Kirkwood (1992). In sintesi,
questo approccio (anche detto teoria dell’evoluzione non adattativa ) si basa sul
seguente quesito: in base all’energia a disposizione dell’organismo, in che
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modo può essa può essere distribuita al meglio per garantire la sopravvivenza
all’individuo di una specie? E ancora: in che modo possono essere distribuite le
risorse energetiche in modo tale da mantenere l’organismo in uno stato non
senescente ? Ai fini della sopravvivenza, sostiene la teoria, le risorse del
sistema vengono spartite con una modalità che andrebbe a scapito del
mantenimento dell’organismo negli anni. Questa spiegazione trova il suo
razionale nel fatto che è meglio avere la possibilità di una progenie numerosa
anziché investire in un solo individuo per molto tempo: per questa ragione si
dice che questa teoria si basa sul concetto di “economia fisiologica”.
2. Teorie psicologiche
Le teorie che qui si esporranno seguono la classificazione fornita da Schroots
(1995a) e Schroots (1996) che tripartisce queste in teorie classiche, moderne e
nuove teorie.
2.1 Teorie classiche.
Queste appartengono ad un periodo che finisce con gli anni Settanta e in
generale si può dire che alcune di esse si focalizzano, un po’ come si è visto per
le teorie biologiche, su aspetti particolari dell’invecchiamento, attribuendo
importanza solo ad alcuni aspetti del fenomeno.